Quaranta novelle/La chiocciola e il rosaio

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6. La chiocciola e il rosaio

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Hans Christian Andersen - Quaranta novelle (XIX secolo)
Traduzione dal danese di Maria Pezzè Pascolato (1903)
6. La chiocciola e il rosaio
La margheritina L'intrepido soldato di stagno

Intorno al giardino c’era tutta una siepe di nocciuoli; al di là della siepe, i campi e i prati, con le mucche e le pecore; nel mezzo del giardino, un bel rosaio in fiore; e a’ piedi del rosaio, una chiocciola, la quale dentro non aveva poco, poichè era piena di sè.

"Aspettate che venga la mia volta!" - diceva: "Farò ben di meglio, io, che dar rose, nocciuole o latte, come il rosaio, come i nocciuoli, come le mucche e le pecore."

"E da te, infatti, ci aspettavamo moltissimo!" - diceva il rosaio: "Ma, se la domanda è lecita, quando ci farai tu vedere qualche cosa?"

"Io mi prendo tempo," - replicava la chiocciola: "Avete sempre furia, voialtri! E così non eccitate la curiosità con l’aspettazione."

L’anno dopo, la chiocciola stava circa allo stesso posto, al sole, sotto il rosaio; e il rosaio metteva da capo i bocciuoli, i quali fiorivano in rose sempre fresche, sempre nuove. La chiocciola strisciò a mezzo fuor del guscio, stese le corna e poi le ritirò.

"Tutto come l’anno passato. Nessun progresso. Il rosaio s’è fermato alle rose e di meglio non sa fare."1

Passò l’estate e venne l’autunno; il rosaio continuò a dar rose, sin che cadde la neve ed il tempo si fece umido e freddo; e allora il rosaio si chinò al suolo: la chiocciola si ficcò sotterra.

Poi cominciò un anno nuovo, e le rose tornarono a sbocciare e tornò fuori anche la chiocciola.

"Ora, tu sei un vecchio rosaio," - disse la chiocciola "Devi sbrigarti e finirla, poi che hai dato al mondo tutto quello che avevi in te: se sia servito a qualche cosa, è questione ch’io non ho avuto tempo di meditare; ma questo intanto è chiaro e limpido: che tu non hai fatto niente di niente per migliorare te stesso: se no, avresti dato qualche cos’altro. Che puoi rispondere a questo? Tra poco sarai ridotto un pezzo di legno secco. Capisci quel che ti dico?"

"Mi fai paura!" - rispose il rosaio. "Non ci avevo pensato mai."

"No, davvero; tu non ti sei affaticato di certo a pensare. Ti sei nemmeno domandato perchè fiorisci e come avviene la tua fioritura? Perchè le cose vanno così e non in altro modo?"

"No," - disse il rosaio. "Io ho fiorito nella gioia perchè non potevo altrimenti. Il sole era così caldo, l’aria così fresca... Bevevo le pure gocciole di rugiada e la forte pioggia violenta: respiravo, vivevo! Fuor della terra, sorgeva in me una forza; dall’alto, scendeva in me una forza; ed io ne risentivo una gioia sempre nuova, e sempre così grande, che dovevo fiorire e fiorire. Era la mia vita quella; nè potevo fare altrimenti!

"Hai menato una vita molto comoda!" - osservò la chiocciola.

"Oh, sì. Tutto mi fu donato," - disse il rosaio: "Ma a te fu donato di più. Tu sei una di quelle nature pensose, profonde, riccamente dotate, le quali vogliono far meravigliare il mondo".

"Oh, questo non mi passa nemmeno per la mente!" - esclamò la chiocciola. "Il mondo, per me, è nulla. Che ci ho da fare io col mondo? Ho abbastanza di me stessa e di quello che ho dentro."

"Ma non dobbiamo tutti, su questa terra, dare agli altri il meglio che abbiamo, donare quello ch’è in nostro potere? Certo, io non ho dato altro che rose. Ma tu, con tutte le tue belle qualità, che cos’hai tu dato al mondo? che intendi di dargli?"

"Che gli ho dato? che intendo di dargli? Ci sputo sopra io, al mondo. Non merita nulla: non è affar mio. Continua a dar rose tu, se vuoi: tu non puoi fare di meglio. E diano i nocciuoli il loro frutto, e le mucche e le pecore il latte; essi hanno il loro pubblico; ma io ho il mio, dentro di me. Io rientro in me, e vi rimango: il mondo per me è meno di nulla."

E così dicendo, la chiocciola, rientrò nella sua casetta e si chiuse l’uscio dietro.

"È triste,!" - disse il rosaio: "Io non potrei rintanarmi così dentro di me, nemmeno se volessi: bisogna che continui a dar rose. E i petali cadono, e il vento li porta via... Ma vidi una volta una rosa nel libro di preghiere di una mamma; ed una delle mie rose stette sul seno d’una bella giovinetta, ed un’altra... un bambinetto la baciò, persino, nella pienezza della sua gioia. Ciò mi fece tanto bene a vedere: mi fu una vera benedizione; ed ora è tutto il mio ricordo, la mia vita!"

Il rosaio continuò a fiorire, nella sua innocenza, mentre la chiocciola passava il tempo oziando, rintanata in casa: il mondo non era affar suo.

E gli anni passavano.

La chiocciola era divenuta polvere nella polvere, ed il rosaio terra nella terra; la rosa della ricordanza, nel libro di preghiere, era sbiadita; nel giardino fiorivano nuovi rosai, e sotto i rosai vivevano nuove chiocciole, strisciando ancora nelle loro case, e sputando sul mondo, che non era affar loro.

E se ricominciassimo la storia e la rileggessimo tutta per bene da capo?

Tanto, non muta mai.

Note

  1. Più tardi troverete la morale della favola danese nel volume di un Poeta nostro. Anche Giovanni Pascoli racconta la storia di due fuchi, e la intitola Le pene del Poeta:

     
    Due fuchi udii ronzare sotto un moro.
    Fanno queste api quel lor miele (il primo
    diceva) e niente più: beate loro.
    E l’altro: E poi fa afa: troppo timo!

    (Myricae, Livorno, 1900, pag. 63).