Questioni Pompeiane/Il Ludus gladiatorius

Da Wikisource.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
../Prefazione

../Il galerus dei reziarii IncludiIntestazione 9 luglio 2012 100% Da definire

Prefazione Il galerus dei reziarii
[p. 1 modifica]

Il Ludus Gladiatorius, ovvero Convitto dei Gladiatori.


Un edifizio è in Pompei consistente di un portico quadrato, attorno al quale ricorre una doppia fila di camerette in due piani, e si va ad esso immediatamente da coloro, che entrano in città dalla parte dei teatri. È poi facile ravvisarlo, perchè su di una parete si legge scritto a buone lettere PORTICO DEI TEATRI. Questa denominazione pertanto non è universalmente tenuta dagli scrittori, trai quali taluni l’han creduto un Forum (v. Gaetano D’Ancora, Prospetto storico-fisico degli scavi di Ercolano e di Pompei, Napoli 1803 p. 79), e questo del tempo degli Etrusci! (Gius. Galanti, Napoli e Contorni, Napoli 1838 p. 335), altri, e sono i più, un quartiere di soldati Castrum, (Gli Ercolanesi, Bronzi T. II. p. 416. n. 40, Mazois, ed altri). Andò più oltre il dotto Monsign. Rosini, opinando, che fosse un quartiere di soldati sì, ma di marina: In cubiculis circa Porticum Pompeianam positis militum contubernium fuisse in dubium revocari nequit, cum ibidem clypeos, ocreas, loricas, galeas, gladios, invenerimus. Ea autem arma ad classiarios milites pertinuisse argumento sunt anchorae, gubernacula, tridentes tum in armis ipsis insculpta, tum in porticus columnis graphio passim ab otiantibus delineata etc. Igitur Pompeiis stationem classiarii [p. 2 modifica]misenates habebant etc. (Dissert. Isagog. p. 81). Facendoci alla disamina delle ragioni, che poterono determinare questi autori a definizioni sì differenti, stupiremo a riconoscere, come un molino a grano ed un altro ad olio quivi rinvenuti potessero parere argomento sufficiente a creder questa una piazza o Foro nundinario; e come a ravvisarvi un portico dei Teatri bastasse ad altri il vedere, che la maggior porta di uno d’essi gli corrispondeva (Fr. De Cesare, Le più belle ruine di Pompei descritte misurate e disegnate, Napoli, 1835 p. 78). Miglior fondamento par si avessero quelli, l’opinione dei quali è poi prevalsa, i quali lo dissero quartiere di soldati: perocchè nelle stanze che corrono intorno al portico si erano finalmente trovati non meno di diciannove elmi di bronzo, di sedici gambali, e poi tre scudi, un parazonio, una grossa punta di lancia, tre baltei, e due braccialetti. Che se ancor essi debbono aver torto, come dimostrerò, pure questo non risulta da altro, se non perchè non considerarono la natura di quelle armi, donde ne avrebbero facilmente conosciuta la diversa destinazione. In questa considerazione volle di poi entrare il dotto Rosini, ed ottimamente, ma non tenne parmi una giusta via. Perocchè in luogo di esaminare qual forma di armi fosse quella, ed a quale professione o condizion di persone conveniente, egli fe’ caso invece delle figure emblematiche, che le adornano.

Laonde fa maraviglia, come stando in questi discorsi, piuttosto non pensò ad armi di scenico [p. 3 modifica]apparato, essendo assai più numerose le allusioni al dio della comedia, che non son quelle al dio del mare. In somma, e perchè non potrebbe altri sostenere che siano armi di scenico apparato quelle, sulle quali son figurati termini priapici, coi sacrificanti a quel rustico nume, ove maschere di Fauni, e Sileno κέρατα ποιῶν, e la Baccante ederifera, e i tirsi colle lor ciste, e pelli di tigre, e bende mistiche? Poi quella ricchezza e profusion di ornati, e la stessa mole sfoggiata, che alle rappresentanze teatrali sì mirabilmente risponde, e fa sì opportunamente risovvenire di quell’apparatus spectatio descritta da Cicerone nella lettera a Mario: Armatura varia pedilalus et equitatus in aliqua pugna, quae popularem admirationem habuerunt! (ad Fam. VIII. 1.). E quanto agli strumenti marini rappresentati su di esse, potrebbesi notare, che quelle armi sono appena tre, due mezzi scudetti, ove è scolpito un granchio, un’ancora, ed un tridente, ed un elmo, ove due soli delfini son figurati; quando non meno di sette son quelle, che hanno intere bacchiche rappresentanze, Sileni, Baccanti, Priapi, Satiri, maschere d’ogni maniera, tirsi, ciste, nebridi, corone di ellera. Per la qual cosa, se il simbolico rappresentato delle armi dovesse condurci in tal quistione a rilevar l’uso di esse, io non veggo ragionevole, che si debbano giudicare piuttosto armi di marini, che di scenico apparato, specialmente perchè trovate in edifizio sì contiguo ai due teatri. Alle ragioni che vi ha omai sì patenti la scena sacra a Bacco gioverebbe ancora la [p. 4 modifica]protome di Ercole, che in più d’una d’esse è figurata, e la stessa Ἅλωσις favola non meno tragediabile, di quella dell’Eroe tebano.

Non pertanto chi ammettesse queste osservazioni non si troverebbe meno fuori di strada, e forse tanto più perniciosamente, quanto una piacevole illusione ve lo terrebbe più fermo.

Perocchè a voler ben giudicare delle armi proposte ad esame, conviene prima di ogni altro tener conto della forma di esse, onde propriamente risulta la vera loro destinazione. E ciò che avrebber dovuto far tutti in questo caso, sarebbe stato, pare a me, il notare, che i diciannove elmi trovati qui avevano tutti visiera, che i gamberuoli erano lavorati a coppie. E poichè gli elmi della romana milizia, per solenne pruova di una infinita serie di monumenti figurati, e per la classica testimonianza di Arriano, giudice autorevolissimo, NON EBBERO MAI VISIERA; Τὰ κράνη τὰ εἰς μάχην πεποιημένα πρὸ τῆς κεφαλῆς καὶ τῶν παρειῶν προβέβληται μόνον (Arriani Tactica c. 48),1; nè i Romani usarono mai più di un solo gamberuolo o [p. 5 modifica]προκνημὶς, secondo Polibio, maestro non men competente del primo (Polib. H. R. VI, 469. Amstel. 1670), faceva forza conchiudere che alla romana milizia nè di mare, nè di terra, quelle armi non appartennero.

Lasciando stare adunque l’argomento dei simboli siccome non meno inefficaci a noi di quello che abbiamo dimostrato esserlo ad altri, entriamo piuttosto a definire l’uso dell’edifizio dalla qualità di esse armi, che in tanta copia vi furon rinvenute, poi da altre osservazioni non meno opportune, che ci vengon somministrate assai utilmente dal giornale di quegli scavi.

Tolta di mezzo la romana milizia, per l’invitta testimonianza di due gravissimi storici Arriano, e Polibio, non resta se non invocare l’autorità dei monumenti, che nella quistione presente abbiam veduto essere sì d’accordo cogli scrittori. Monumenti adunque che diano egualmente elmi con le visiere, e doppio gambale ad una condizione di persone io non conosco se non i gladiatorii. Escludo quì, come ognuno può avvisarsi, l’alta età della Grecia, che non può allegarsi per l’epoca dei monumenti di che disputiamo, escludo per la ragione medesima la celata, che i cavalieri romani usavano negli esercizii loro (Arrian. l. c.). Lungo sarebbe il noverarli tutti, e basterà solo richiamare alla memoria le tavole aggiunte al [p. 6 modifica]dotto suo lavoro dal ch. sig. Henzen (Musaico Borghesiano), e le pitture gladiatorie dell’anfiteatro di Pompei, e gli stucchi del Sepolcro di Umbricio Scauro (Mazois I, tav. 31, IV. tav. 47, 48. cf. gli Ercolanesi T. VIII. Lucerne tav. 7.) a’ quali posso aggiugnere sin da ora un bassorilievo di molta istruzione, che mi son fatto disegnare in Venafro, sul quale il gladiatore Blastus ha visiera, e gambale doppio. Laonde da tanto ragionevole confronto risulterà, che le armi trovate nell’edifizio pompeiano detto con niun fondamento quartiere di Soldati, siano veramente gladiatorie; quindi se ne possono dedurre due conseguenze, che io credo di grande rilevanza per la scienza, e più segnatamente per noi ai quali è quasi affidata Pompei, e la illustrazione delle cose ivi scoperte.

La prima è, che il nostro museo possiede una collezione rarissima, anzi unica di armi gladiatorie di bronzo, degna di essere separata dalle greche e romane panoplie, colle quali veggonsi per l’antico errore miste e confuse.

Ma la seconda anche più notevole, che l’Edifizio ove furono scoperte queste armi in tanto numero, e distribuite per tutte le stanze intorno, d’ora innanzi debba dirsi appartenuto ai gladiatori, ossia un LVDVS GLADIATORIVS. Questo medesimo vero alcuni avevano pur sospettato (v. Bechi, Museo Borb. vol. V, XI, De Cesare, le più belle ruine di Pompei, p. 79), senza efficacia però di persuaderlo, e di farlo comunemente accettare, onde è perdurato, e perdura [p. 7 modifica]tuttavia l’erronea denominazione di Quartiere dei Soldati.

Del ludus gladiatorius ha parlato da suo pari Giusto Lipsio (Saturn. I, 1), notando segnatamente l’angustia e lo squallore delle celle con alcuni luoghi di Quintiliano, che lo insegnano. Corrisponde di fatti la turpior custodia ed il sordidus cellarum situs, cuius ad comparationem ergastulum leve est, alla strettezza delle stanze del pompeiano ludo. Piacerà quindi di riconoscere ove si preparasse la famosa sagina gladiatoria, in quale spazzo erano istruiti dal maestro di scherma (lanista, doctor, magister), cose tutte che hanno ora il primo riscontro dopo questa notevole scoperta, per la quale formam gladiatorii ludi consideramus!

Quella stanza più larga delle altre, ed affatto aperta verso il cortile aveva quattro dipinti, che scoperti il 14 Febraio 1767 furono fatti disegnare dal Morghen, e poscia il 7 Marzo staccati e collocati nel Museo: due di essi sono trofei d’armi gladiatorie preziosissimi per la grandezza al naturale, e perchè ci fanno conoscere alcune speciali forme di tali armature, delle quali darò in seguito una illustrazione. Facile è ora l’intendere l’uso dei ceppi capaci di dieci persone, e i quattro scheletri essere stati di altrettanti gladiatori, tenuti in quel gastigo. Le molte iscrizioni sì dentro che fuori di questo edifizio, e le armi graffite sulle pareti e sulle colonne erano quasi tutte gladiatorie. Non era in quei tempi molta perizia di copiare le leggende parietarie di Pompei, ma se ne tenne nondimeno più conto di quello, che non si [p. 8 modifica]sarebbe opinato. Certo il giornale di questi scavi ne trascrive parecchi, anzi è il primo a copiare graffiti, e ce ne dà fino dal 1765, e quando non può riuscirvi, ingenuamente se ne scusa. Ora che non mancherebbe forse a qualcuno l’animo di vincere questa difficoltà, gl’intonachi son periti, e convien stare a quelle poche notizie, che dal giornale ne vengono communicate.

Passando dalle leggende gladiatorie dipinte alle graffite, egli è evidente che moltissime ne sono perite, se può trarsene giusto argomento dai graffiti, che tuttora si conservano in uno dei corridoi di questa fabbrica. La relazione degli scavi ne avverte, che un altro corridoio era pur tutto scritto, ma ora l’intonaco dalle pareti di esso è caduto. Rimangono ancora molte nel primo, in due delle quali son nominati i Curatores, in tre altre leggonsi liste di gladiatori con allato a ciascun nome il numero delle pugne. Esse, come innumerevoli altre, sono tuttavia o ignote, o mal trascritte; e però assai utilmente al proposito, ed allo scopo del presente bullettino credo sarà di pubblicare, o rettificare le più importanti, lo che per non estender di troppo quest’articolo diretto a stabilire il Ludus gladiatorius di Pompei, riservo ad altra trattazione.

Note

  1. Vedi anche il Lipsio (Mil. Rom. III, 5). A lui vanamente si oppone l’autore della nota posta a p. 262 del vol. I. Bronzi (Ant. Ercol.) invocando i commentatori di Silio (635, L. XIV), e i monumenti. Perocchè nè Silio dà celate agli elmi romani in quel luogo, nè Stazio, che parla de’ Greci, nè il Fabretti che cita anche erroneamente Masiste Persiano, nè il Montfaucon porta verun monumento, nè il Gori veruno. Citano Alcimo Avito, e Claudiano. Ma questi scrittori non descrivono i Romani del primo secolo di G. C.; ed io volentieri concedo che venne poscia in uso nella milizia romana il σιδήρεον παραπίτασμα come lo dice Niceta, il quale ne ha lasciata ancora la più esatta descrizione (I, de Archizupano zupano cf. Scheffer ad Arriani Tact. p. 77.); e che io anzi aggiungo alle autorità arrecate dai contraddittori, ai quali aveva pur risposto lo Scheffer (ad Arriani Tactica p. 113, Upsal, 1664).