Ragionamenti/Ragionamento della Nanna e della Antonia/Giornata prima

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Ragionamento della Nanna e della Antonia
Giornata prima

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Ragionamento della Nanna e della Antonia - Dedica Ragionamento della Nanna e della Antonia - Giornata seconda
ANTONIA E NANNA.
GIORNATA
PRIMA.


Antonia
Che hai tu Nanna? Pàrti che cotesto tuo viso imbriacato ne’ pensieri si convenga a una che governa il mondo?
Nanna
Il mondo, ah?
Antonia
Il mondo, sì. Lascia star pensierosa a me che, dal mal francioso in fuora, non trovo cane che mi abbai, e son povera e superba, e quando io dicessi ghiotta non peccherei in spirito santo.
Nanna
Antonia mia, ci sono dei guai per tutti, e ce ne son tanti dove tu ti credi che ci sieno delle allegrezze, ce ne sono tanti che ti parria strano; e credilo a me, credilo a me, che questo è un mondaccio.
Antonia
Tu dici il vero ch’egli è un mondaccio per me, ma non per te che godi fino del latte della gallina, e per le piazze, e per l’osterie, e per tutto non si ode altro che Nanna qua e Nanna là; e sempre la casa tua è piena come l’uovo ché tutta Roma ti fa i[n]torno quella moresca che si suole veder far dagli Ongari al giubileo.
Nanna
Egli è così; pure io non son contenta, e mi pare esser una sposa che, per una certa sua onestà, ancora che ella abbia molte vivande inanzi e una gran fame, e benché sia in capo di tavola, non ardisce mangiare; e certo certo, sorella, il core non è dove potrebbe essere; basta.
Antonia
Tu sospiri?
Nanna
Pazienza.
Antonia
Tu sospiri a torto: guarda che Domenedio non ti faccia sospirare a ragione.
Nanna
Come non vuoi tu che io sospiri? Ritrovandomi Pippa mia figliuola di sedici anni e volendone pigliar partito, chi mi dice «Fàlla suora, che, oltre che risparagnerai le tre parti della dote, aggiungerai una santa al calendario»; altri dice «Dàlle marito, che ad ogni modo tu sei sì ricca, che non ti accorgerai che ti scemi nulla»; alcuno mi conforta a farla cortigiana di primo volo, con dire «Il mondo è guasto; e quando fosse bene acconcio, facendola cortigiana, di subito la fai una signora, e con quello che tu hai, e con ciò che ella si guadagnerà, tosto diventerà una reina»: di sorte che io son fuora di me. Sì che puoi pur vedere che anco per la Nanna ci sono dei guai.
Antonia
Questi son guai, ad una come sei tu, più dolci che non è un poco di rognuzza a chi la sera intorno al foco, mandato giù le calze ha piacere di grattarsi: guai sono il veder montare il grano, i tormenti sono il veder carestia nel vino, la crudelità è la pigion della casa, la morte è il pigliare il legno due o tre volte l’anno e non isbollarsi, non isgommarsi e non isdogliarsi mai. E mi maraviglio di te che sopra sì minima cosa hai pur fatto un pensiero.
Nanna
Perché te ne maravigli tu?
Antonia
Perché sendo tu nata e allevata in Roma, a chiusi occhi doveresti sbrigarti dai dubbi che tu hai della Pippa. Dimmi, non sei tu stata monica?
Nanna
Sì.
Antonia
Non hai tu avuto marito?
Nanna
Hollo avuto.
Antonia
Non fosti tu cortigiana?
Nanna
Fui e sono.
Antonia
Adunque, dei tre stati non ti basta l’animo di scegliere il migliore?
Nanna
Madonna no.
Antonia
Perché no?
Nanna
Perché le moniche, le maritate e le puttane oggidì vivono con una altra vita che non vivevano già.
Antonia
Ah! ah! ah! La vita visse sempre a una foggia: sempre le persone mangiaro, sempre bevvero, sempre dormiro, sempre vegghiaro, sempre andaro, sempre stettero; e sempre pisciaro le donne per il fesso. E arei caro che tu mi contassi qualche cosa del vivere che faceano le suore, le maritate e le cortigiane del tuo tempo: e io ti giuro, per le sette chiese che io mi sono avotita di fare la quaresima che viene, di risolverti in quattro parole di quello che tu debbi fare della tua Pippa. Ora tu, che per esser una dottoressa sei ciò che tu sei, prima mi dirai perché il farla suora ti fa star fantastica.
Nanna
Io son contenta.
Antonia
Dimmelo, io te ne prego: a ogni modo oggi è la Madalena nostra avvocata che non si fa niente; e quando ben si lavorasse, io ho pane e vino e carne insalata per tre di.
Nanna
Sì?
Antonia
Sì.
Nanna
Ora io ti conterò oggi la vita delle moniche, dimane quella delle maritate, e l’altro quella delle meretrici. Siedimi allato: acconciati adagio.
Antonia
Io sto benissimo. Dì su.
Nanna
Mi vien voglia di bestemmiare l’anima di monsignor nol-vo’-dire, che mi cavò di corpo questo fastidio di figliuola.
Antonia
Non ti scandolezzare.
Nanna
Antonia mia, le moniche, le maritate e le puttane sono come una via croce, che tosto che giungi a essa, stai buona pezza pensando dove tu abbi a porre il piede; e avviene spesso che ’l demonio ti strascina nella più trista, come strascinò la benedetta anima di mio padre quel dì che mi fece suora pur contra la volontà di mia madre santa memoria, la quale tu dovesti per avventura conoscere (oh, ella fu che donna).
Antonia
La conobbi quasi in sogno: e so, perché io l’ho udito dire, che facea miracoli dietro a Banchi; e ho inteso che tuo padre, che fu compagno del bargello, la sposò per innamoramento.
Nanna
Non mi ricordar più il mio cordoglio, ché Roma non fu più Roma da che restò vedova di così fatta coppia. E per tornare a casa, il primo giorno di maggio mona Marietta (che così chiamossi mia madre, benché per vezzi le fosse detto la bella Tina) e ser Barbieraccio (che cotal nome fu quello di mio padre), avendo ragunato tutto il parentado, e zii e avi e cugini e cugine e nepoti e fratelli, con una mandra d’amici e d’amiche, mi menaro alla chiesa del monistero vestita tutta di seta, cinta di ambracane, con una scuffia d’oro sopra la quale era la corona della virginità tessuta di fiori di rose e di viole, con i guanti profumati, con le pianelle di velluto; e se ben mi ricordo, della Pagnina, che entrò poco fa nelle Convertite, erano le perle che io portai al collo e le robbe che avea indosso.
Antonia
Non potevano essere d’altri.
Nanna
E ornata proprio proprio come una donna novella, entrai in chiesa, nella quale erano millantamilia persone che, voltatisi tutti verso di me tosto che io apparsi, chi dicea «Che bella sposa arà messer Domenedio», chi dicea «Che peccato a far monica così bella figlia», altri mi benediva, altri mi bevea con gli occhi, altri diceva «La darà il buon anno a qualche frate»: ma io non pensava malizie sopra tali parole; e udii certi sospiri molto ardenti, e ben conobbi al suono che uscivano dal core di un mio amante che mentre si dicevano gli uffici sempre pianse.
Antonia
Che, tu avevi degli amanti inanzi che ti facessi monica?
Nanna
Qualche sciocca non gli avrebbe auti: ma sanza libidine. Ora io fui posta a sedere in cima all’altre donne; e stata alquanto, cominciò La messa cantando: e io fui acconcia inginocchioni in mezzo a mia madre Tina e alla mia zia Ciampolina; e un cherico cantò in sugli organi una laldetta; e dopo la messa, benedetti i miei panni monachili che erano in su l’altare, il prete che avea detto la pistola, e quello che avea detto il vangelo mi levaro suso e fecero ripormi inginocchioni in su la predella dell’altar grande: allora quello che disse la messa mi dette l’acqua santa, e cantato con gli altri sacerdoti il Te deum laudamus con forse cento ragioni di salmi, mi spogliaro le mondanità e vestiro dello abito spirituale; e la gente, calcando l’un l’altro faceva un romore che si assimigliava a quello ch’è in San Pietro e in Santo Ianni quando alcuna, o per pazzia, o per disperazione, o per malizia, si fa murare come feci una volta io.
Antonia
Sì, sì, mi ti par vedere con quella turba intorno.
Nanna
Finite le cerimonie e datomi l’incenso con il benedicamus e con lo oremus e con lo alleluia, si aprì una porta che fece il medesimo stridore che fanno le cassette delle limosine, allora fui rizzata in piedi e menata all’uscio dove da venti suore con la badessa mi aspettavano; e tosto che la vidi, le feci una bella riverenza; ed ella, basciatami nella fronte, disse non so che parole a mio padre e a mia madre e a’ miei parenti, che tutti piangevano dirottamente; e a un tratto riserrato la porta, udii uno «oimè» che fece risentire ognuno.
Antonia
E donde uscì lo «oimè»?
Nanna
Da un mio amante poveretto, che dell’altro dì si fece frate dei zoccoli o romito dal sacco, salvo il vero.
Antonia
Meschino.
Nanna
Ora nel serrar della porta, che fu sì ratto che non mi lasciò dire pure «a dio» al sangue mio, credetti certo di entrare viva viva in una sepoltura, e mi pensava di vedere donne morte nelle discipline e ne’ digiuni; e non più dei parenti, ma di me stessa piangeva. E andando con gli occhi fissi in terra e con il core vòlto a quello che avea a essere del fatto mio, giunsi nel refettorio dove una schiera di suore mi corsero ad abbracciare e dandomi della sorella per il capo, mi fecero alzare il viso alquanto: e visto alcuni volti freschi, lucidi e coloriti, tutta mi rincorai; e riguardandole con più sicu[r]tà, dicea meco: «Certamente i diavoli non debbeno esser brutti come si dipingono». E stando in questo, eccoti uno stuolo di frati e di preti, e alcuno secolare mescolato con essi, i più bei giovani, i più forbiti e i più lieti che mai vedessi: e pigliando per mano ciascuno la sua amica, pareano angeli che guidassero i balli celestiali.
Antonia
Non por bocca nel Cielo.
Nanna
Pareano innamorati che scherzasseno con le lor ninfe.
Antonia
Cotesta è più lecita comperazione. Séguita.
Nanna
E pigliatele per mano, gli davano i più dolci basciozzi del mondo, e faceano a gara nel dargli più melati.
Antonia
E chi gli dava con più zucchero, secondo il giudizio tuo?
Nanna
I frati, sanza dubbio.
Antonia
Per che ragione?
Nanna
Per le ragioni che allega la leggenda della Puttana errante di Vinegia.
Antonia
E poi?
Nanna
E poi ciascuno si puose a sedere ad una delle più dilicate tavole che mi paresse mai vedere: nel più onorato luogo stava madonna la badessa tenendo a man sinistra messer l’abate; e dopo la badessa era la tesoriera, e appresso di lei il baccelliere, allo incontra sedea la sacrestana, e allato a essa il maestro dei novizi, e seguiva di mano in mano una suora, un frate e un secolare, e giuso a’ piedi non so quanti cherici e altrettanti fratini , e io fui posta tra il predicatore e il confessore del monistero. E così vennero le vivande, e di sorte che il papa (mi farai dire) non ne mangiò mai tali. Nel primo assalto le ciance fur poste da canto, di maniera che parea che il «Silenzio» scritto dove i padri hanno la piatanza si fosse insignorito delle bocche d’ognuno: anzi delle lingue, ché le bocche facevano il medesimo mormorio che fanno quelle dei vermi della seta finiti di crescere quando, indugiato il cibo, divorano le frondi di quelli arbori sotto l’ombra dei quali si solea trastullare quel poveretto di Piramo e quella poverina di Tisbe, che Dio gli accompagni di là come gli accompagnò di qua.
Antonia
Delle frondi del moro bianco vuoi dir tu.
Nanna
Ah! ah! ah!
Antonia
A che fine cotesto tuo ridere?
Nanna
Rido d’un frate poltrone, Dio mel perdoni, che mentre macinava con due macine, e che avea le gote gonfiate come colui che suona la tromba, pose la bocca a un fiasco e lo tracannò tutto.
Antonia
Domine affogalo.
Nanna
E cominciandosi a saziare, cominciaro a cicalare: e mi parea essere, a mezzo del desinare, come nel mezzo del mercato di Navona, che si ode in qua e in là il romore del comperare che fa questo e quello con quello e con questo giudeo, e sendo già sazi, andavansi scegliendo le punte delle ali delle galline e alcune creste e qualche capo, e porgendolo l’uno a l’altra e l’altra a l’uno, simigliavano rondini che imbeccassero i rondinini. E non ti potrei contare le risa e voci che si udivano nel donare di un culo di cappone, né sarebbe possibile a poter dire le dispute che sopra di ciò si faceano.
Antonia
Che poltroneria.
Nanna
Mi veniva voglia di recere quando vedea masticare un boccone da una suora, e porgelo con la propria bocca all’amico suo.
Antonia
Gaglioffe.
Nanna
Ora, sendo il piacere del mangiare converso in quel fastidio che si converte altrui di subito che ha fatto quella cosa, contrafecero i Tedeschi con il brindisi: e pigliando il generale un gran bicchiere di corso, invitando a fare il simile alla badessa, lo mandò giù come un sacramento falso. E già gli occhi di ciascuno rilucevano per il troppo bere come le bambole degli specchi; poi velati dal vino come dal fiato un diamante, si sarieno chiusi, talché la turba, cadendo sonnacchiosa sopra le vivande, arìa fatto della tavola letto, se non era un bel fanciullo che vi sopragiunse: egli avea un paniere in mano coperto d’uno il più bianco e il più sottile panno di lino che mi paia anco aver veduto: che neve? che brina? che latte? egli avanzava di bianchezza la luna in quintadecima, [or và].
Antonia
Che fece del paniere? e che c’era dentro?
Nanna
Piano un poco; il fanciullo, con una reverenza alla spagnuola annapolitanata, disse: «Buon pro’ alle Signorie vostre»; e poi soggiunse: «Un servidore di questa bella brigata vi manda dei frutti del paradiso terrestre»; e scoperto il dono, lo pose su la tavola: ed eccoti uno scoppio di risa che parve un tuono, anzi scoppiò la compagnia nel riso nel modo che scoppia nel pianto la famigliuola che ha visto serrar gli occhi al padre per sempre.
Antonia
Buone e naturali fai le simiglianze.
Nanna
Appena i frutti paradisi fur visti, che le mani di queste e di quelli, che già cominciavano a ragionare con le cosce, con le poppe, con le guance, con le pive e co’ pivi di ognuno con quella destrezza che ragionano quelle de’ mariuoli con le tasche dei balocchi che si lasciano imbolare le borse, si avventaro ai detti frutti nella guisa che si avventa la gente alle candele che si gittano giuso dalla loggia il dì della Ceraiuola.
Antonia
Che frutti furo quelli? che cose? Dillo.
Nanna
Erano di quei frutti di vetro che si fanno a Murano di Vinegia alla similitudine del K, salvo che hanno duo sonagli che ne sarebbe orrevole ogni gran cembalo.
Antonia
Ah! ah! ah! Io t’ho per il becco, io t’afferro.
Nanna
Ed era beata, non pure avventurata, quella a cui veniva preso il più grosso e il più largo; né si ritenne niuna di non basciare il suo, dicendo: «Questi abbassano la tentazione della carne».
Antonia
Che ’l diavolo ne spenga la sementa.
Nanna
Io che facea l’onesta-da-campi, dando alcune occhiate ai frutti, parea una gatta astuta che con gli occhi guarda la fante e con la zampa tenta di grappare la carne che ella per trascuraggine ha lasciato sola, e se non che la compagna la quale mi sedea allato, avendone tolti due, me ne diede uno, per non parere una ignocca averei preso il mio. E per abbreviare, ridendo e cianciando la badessa si rizzò in piedi, e così fece ciascuno: e la benedicite che ella disse alla tavola fu in volgare.
Antonia
Lasciamo ir le benediciti. Levate dalla tavola, dove andaste?
Nanna
Ora io tel dirò. Noi andammo in una camera terrena, ampia, fresca e tutta dipinta.
Antonia
Che dipinture c’erano? La penitenza della quaresima o che?
Nanna
Che penitenza: le dipinture erano tali che avrieno intertenuto a mirarle gli ipocriti. La camera avea quattro facce: nella prima era la vita di santa Nafissa, e ivi di dodici anni si vedea la buona fanciulla, tutta piena di carità, dispensare la sua dote a sbirri, a barri, a piovani, a staffieri e a ogni sorte di degne persone; e mancatole la robba, tutta pietosa, tutta umile, si siede verbigrazia in mezzo di ponte Sisto sanza pompa alcuna, eccetto (la seggiola), la stola e il cagnoletto, e un foglio di carta increspato in cima ad una canna fessa con la quale parea che si facesse vento e che si riparasse dalle mosche.
Antonia
A che effetto stava ella in seggiola?
Nanna
Ci stava per fare l’opre del rivestire gli ignudi; ella, così giovanetta come io ti ho detto, si stava sedendo, e con il viso in alto e la bocca aperta, diresti ella canta quella canzone che dice:
Che fa lo mio amore, che non viene?

Ella era anco dipinta in piedi, e volta a uno che per vergogna non ardiva di richiederla delle cose sue, tutta gioconda, tutta umana, gli giva incontra; e menatolo nella tomba dove consolava gli afflitti, prima gli levava la veste di dosso, e poi, snodatogli le calze e ritrovato il tortorino, gli faceva tanta festa che, entrato in superbia, con la furia che uno stallone rotta la cavezza si avventa alla cavalla, le entrava fra le gambe: ma ella, non le parendo esser degna di vederlo in viso e forse (come dicea il predicatore che spianava la sua vita a noi altre) non le bastando l’animo di vederlo sì rosso, sì fumante e sì collerico, gli volgea le spalle magnificamente.

Antonia
Siale appresentato alla anima.
Nanna
O non gli è rappresentato, essendo santa?
Antonia
Tu dici la verità.
Nanna
Chi ti potria narrare il tutto? Ivi era dipinto il popolo d’Israelle che ella graziosamente albergò e contentò sempre amore dei. E ci si vedea dipinto alcuno che, dopo l’avere assaggiato ciò che ci è, si partiva da lei con un pugno di denari i quali l’altrui discrezione le dava per forza: che intervenia a chi la lavorava come interviene a uno che alloggia in casa di qualche prodigo uomo che non solo lo accoglie, lo pasce e lo riveste, ma gli dà ancora il modo di poter finire il viaggio suo.
Antonia
O benedetta o intemerata madonna santa Nafissa, ispirami a seguitare le tue santissime pedate.
Nanna
In conchiusione, ciò che ella fece mai e dietro e dinanzi alla porta e all’uscio, è ivi al naturale: e fino al fine suo c’è dipinto, e nella sepoltura sono ritratti tutti i Taliani che ella ripose in questo mondo per ritrovarselo nello altro; e non è di tante ragioni erbe in una insalata di maggio quante son varietà di chiavi nel suo sepolcro.
Antonia
Io voglio vedere un dì queste dipinture a ogni modo.
Nanna
Nella seconda c’è la istoria di Masetto da Lampolecchio: e ti giuro per l’anima mia che paiono vive quelle due suore che lo menaro nella capanna mentre il gaglioffone fingendo dormire, facea vela della camiscia nell’alzare della antenna carnefice
Antonia
Ah! ah! ah!
Nanna
Non si potea tenere dalle risa niuno mirando le altre due che, accorte della galantaria delle compagne, prendono partito non di dirlo alla badessa, ma di entrare in lega con esse, e stupiva ciascuno contemplando Masetto che, parlando con i cenni, parea non voler consentire. Alla fine ci fermammo tutti a vedere la savia ministra delle moniche arrecarsi alle cose oneste e convitare a cenare e a dormir seco il valente uomo: che per non si scorticare, parlando una notte, fece correre tutto il paese al miracolo, onde il monistero ne fu canonizzato per santo.
Antonia
Ah! ah! ah!
Nanna
Nella terza ci erano (se ben mi ricordo) ritratte tutte le suore che fur mai di quello ordine, con i loro amanti appresso e i figliuoli nati di esse, con i nomi di ciascuno e di ciascuna.
Antonia
Bella memoria.
Nanna
Nell’ultimo quadro ci erano dipinti tutti i modi e tutte le vie che si può chiavare e farsi chiavare, e sono obligate le moniche, prima che le si mettino in campo con gli amici loro di provare di stare negli atti vivi che stanno le dipinte: e questo si fa per non rimanere poi goffe nel letto, come rimangono alcune che si piantano là in quattro sanza odore e sanza sapore, che chi ne gusta ne ha quel piacere che si ha di una minestra di fave sanza olio e sanza sale.
Antonia
Adunque bisogna una maestra che insegni la scrima?
Nanna
C’è bene la maestra che mostra a chi non sa come si deve stare, caso che la lussuria stimoli l’uomo sì che sopra una cassa, su per una scala, in una sede, in una tavola, e nello spazzo voglia cavalcarle; e quella medesima pacienza che ci ha chi ammaestra un cane, un pappagallo, uno stornello e una gazzuola ha colei che insegna le attitudini alle buone moniche: e il giocar di mano con le bagattelle è meno difficile a imparare che non è lo accarezzare lo uccello sì che ancora che non voglia si rizzi in piedi.
Antonia
Certo?
Nanna
Certissimo. Ora, venuto a noia la dipintura e il ragionare e lo scherzare, come sparisce la strada dinanzi ai barberi che corrono il palio o, per dir meglio la vacca dinanzi a coloro che sono confinati a mangiare in tinello, o vero le lasagne dinanzi alla fame contadina, sparvero le moniche, i frati, i preti e i secolari, non lasciando perciò i cherichetti né i fratini, né meno l’apportatore dei cotali di vetro. Solamente il baccelliere rimase meco: che sendo sola, quasi tremando restai muta, ed egli dicendomi «Suora Cristina» (che così fui rebattezzata tosto che ebbi lo abito indosso) «a me tocca menarvi alla cella vostra, nella quale si salva l’anima nei trionfi del corpo», io volea pur stare su le continenze: onde tutta ritrosetta in contegno, non rispondea nulla; ed egli presami per quella mano con cui io teneva il salsiccione di vetro, appena lo scampai che non gisse in terra, onde non potei contenermi di non ghignare: talché ’l padre santo prese animo di basciarmi; e io che era nata di madre di misericordia, e non di pietra, stetti ferma mirandolo con occhio volpino.
Antonia
Saviamente.
Nanna
E così mi lasciava guidare da lui come lo orbo dalla cagnola. Che più? Egli mi condusse in una cameretta posta nel mezzo di tutte le camere: le quali erano divise da un ordine di semplici mattoni, e così male incalcinate le commessure del muro, che ogni poco d’occhio che si dava ai fessi, si potea vedere ciò che si operava dentro gli alberghetti di ciascuna. Giunta ivi, il baccalaro appunto apriva la bocca per dirmi (credo io) che le mie bellezze avanzavano quelle delle fate e con quello «anima mia», «cor mio», «sangue caro», «dolce vita» e lo avanzo della filostroccola che gli va appresso, per acconciarmi sul letto come più gli piaceva, quando eccoti un tic toc tac che il baccelliere, e qualunche nel monistero l’udì, spaventò non altrimenti che al subito aprire d’una porta spaventa una moltitudine di topi ragunati intorno a un monte de noci: che intrigati nella paura, non si rementano dove abbino lasciato il buco; così i compagnoni, cercando ascondersi, urtandosi insieme, restavano smarriti nel volersi appiattare dal safruganio: ché il safruganio del vescovo protettore del monistero era quello che con il tic tac toc ci spaventò come spaventa le rane poste in un greppo, a testa alta fra l’erba, una voce o il gittare d’un sasso, al suon del quale si tuffano nel rio quasi tutte in un tempo; e poco meno che, mentre passava per il dormitorio, non entrò nella camera della badessa che col generale riformava il vespro allo ufficiuolo delle suore sue: e dice la celleraia che alzò la mano per percuoterla e ogni cosa, e poi se ne scordò per esse[r]segli inginocchiata a’ piedi una monichetta dotta come l’Ancroia e Drusiana di Buovo d’Antona in canto figurato.
Antonia
Oh che bella festa s’egli entrava dentro! ah! ah! ah!
Nanna
Ma la ventura ci prese il dì per i capegli: questo dico perché, tosto che si pose a sedere il suffraganio...
Antonia
Ora tu hai detto bene.
Nanna
...eccoti un canonico, cioè il primocerio, che gli portò la novella che il vescovo era poco lontano. Onde levatosi suso, ratto andò al Vescovado per mettersi in ordine a girgli incontra, comandandoci prima a farne allegrezza con le campane: e così, tratto il piede fuor dell’uscio, a poco a poco ritornò ciascuno a bomba; solo il baccelliere fu costretto andare in nome della badessa a basciar la mano a sua Signoria reverendissima. E nel comparire all’innamorate loro, simigliavano storni ritornati allo olivo donde gli avea cacciati allora allora quello «oh, oh, oh» del villano che si sente beccare il core beccandosigli una oliva.
Antonia
Io sto’ aspettare che tu venga ai fatti, come aspettano i bambini la balia che gli ponga la poppa in bocca, e mi pare lo indugio più aspro che non è il sabato santo a chi monda le uova avendo fatta la quaresima.
Nanna
Veniamo al quia. Sendo io rimasa sola, e avendo già posto amore al baccelliere non mi parendo lecito di volere contrafare alla usanza del monistero, pensava alle cose udite e vedute in cinque o sei ore che era stata ivi; e tenendo in mano quel pestello di vetro, lo presi a vagheggiare come vagheggia chi non l’ha più veduta la lucertola così terribile ch’è appiccata nella chiesa del Popolo: e mi meravigliava d’esso più che non faccio di quelle spine bestiali del pesce che rimase in secco a Corneto; e non potea ritrar meco per che conto le suore lo tenessero caro. E in cotale dibattimento di pensiere, io odo fioccare alcune risa sì spensierate che arebbono rallegrato un morto; e tuttavia rinforzando il suono d’esse, deliberai vedere onde il riso nasceva: e levatami in piedi, accosto l’orecchia ad una fessura; e perché nell’oscuro si vede meglio con un occhio che con dui, chiuso il mancino, e fisando il dritto nel foro che era fra mattone e mattone, veggio... ah! ah! ah!
Antonia
Che vedesti? Dimmelo, di grazia.
Nanna
Vidi in una cella quattro suore, il generale e tre fratini di latte e di sangue, i quali spogliaro il reverendo padre della tonica rivestendolo d’un saio di raso, ricoprendogli la chierica d’uno scuffion d’oro sopra del quale posero una berretta di velluto tutta piena di puntali di cristallo ornata d’un pennoncello bianco; e cintagli la spada al lato, il beato generale, parlando per «ti» e per «mi», si diede a passeggiare in sul passo grave di Bortolameo Coglioni. Intanto le moniche cavatosi le gonne e i fratini le toniche, esse si misero gli abiti dei fratini, cioè tre di loro, ed essi quelli delle moniche: l’altra, postasi intorno la toga del generale, sedendo pontificalmente contrafacea il padre dando le leggi ai conventi.
Antonia
Che bella tresca.
Nanna
Ora si farà bella.
Antonia
Perché?
Nanna
Perché la reverenda Paternità chiamò i tre fratini e, appoggiato su la spalla a uno cresciuto inanzi ai dì tenero e lungo, dagli altri si fece cavar del nido il passerotto che stava chioccio chioccio; onde il più scaltrito e il più attrattivo lo tolse in su la palma, e lisciandogli la schiena come si liscia la coda alla gatta che ronfiando comincia a soffiare di sorte che non si puote più tenere al segno, il passerotto levò la cresta di maniera che il valente generale, poste le unghie a dosso alla monica più graziosa e più fanciulla, recatole i panni in capo le fece appoggiare la fronte nella cassa del letto: e aprendole con le mani soavemente le carte del messale culabriense, tutto astratto contemplava il sesso, il cui volto non era per magrezza fitto nell’ossa, né per grassezza sospinto in fuore, ma con la via del mezzo tremolante e ritondetto, lucea come faria un avorio che avesse lo spirito; e quelle fossettine che si veggiono nel mento e nelle guance delle donne belle, si scorgeano nelle sue chiappettine (parlando alla fiorentina); e la morbidezza sua avria vinto quella d’un topo di molino nato, creato e visso nella farina; ed erano sì lisce tutte le membra della suora, che la mano che si le ponea nelle reni sdrucciolava a un tratto sino alle gambe con più fretta che non sdrucciola un piede sopra il ghiaccio; e tanto ardiva di apparire pelo niuno in lei, quanto ardisce nello uovo.
Antonia
Adunque il padre generale consumò il giorno in contemplazioni, ah?
Nanna
Nol consumò miga: che posto il suo pennello nello scudellino del colore, umiliatolo prima con lo sputo, lo facea torcere nella guisa che si torceno le donne per le doglie del parto o per il mal della madre. E perché il chiodo stesse più fermo nel forame, accennò dietrovia al suo erba-da-buoi, che rovesciatoli le brache fino alle calcagna, mise il cristeo alla sua Riverenza visibilium; la quale tenea fissi gli occhi agli altri dui giovanastri che, acconce due suore a buon modo e con agio nel letto, gli pestavano la salsa nel mortaio facendo disperare la loro sorellina: che per esser alquanto loschetta e di carnagion nera, refutata da tutti, avendo empito il vetriolo bernardo di acqua scaldata per lavar le mani al messere, recatasi sopra un coscino in terra, appuntando le piante dei piedi al muro della camera, pontando contra lo smisurato pastorale, se lo avea riposto nel corpo come si ripongono le spade nelle guaine. Io all’odore del piacer loro struggendomi più che non si distruggono i pegni per le usure, fregava la monina con la mano nel modo che di gennaio fregano il culo per i tetti i gatti.
Antonia
Ah! ah! ah! Che fine ebbe il giuoco?
Nanna
Menatosi e dimenatosi mezza ora, disse il generale: «Facciamo tutti ad un’otta; e tu, pinchellon mio, basciami; così tu, colomba mia»; e tenendo una mano nella scatola dell’angeletta, e con l’altra facendo festa alle mele dell’angelone, basciando ora lui e ora lei, facea quel viso arcigno che a Belvedere fa quella figura di marmo ai serpi che l’assassinano in mezzo dei suoi figli. Alla fine le suore del letto, e i giovincelli, e il generale, e colei alla quale egli era sopra, colui il quale gli era dietro, con quella dalla pestinaca muranese, s’accordaro di fare ad una voce come s’accordano i cantori o vero i fabbri martellando: e così, attento ognuno al compire, si udiva un «ahi ahi», un «abbracciami», un «voltamiti», «la lingua dolce», «dàmmela», «tòtela», «spinge forte», «aspetta ch’io faccio», «oimè fà», «stringemi», «aitami», e chi con sommessa voce e chi con alta smiagolando, pareano quelli dalla sol, fa, mi, rene; e faceano uno stralunare d’occhi, un alitare, un menare, un dibattere, che le banche, le casse, la lettiera, gli scanni e le scodelle se ne risentivano come le case per i terremoti.

ANTONIA . Fuoco!

Nanna
Eccoti poi otto sospiri ad un tratto, usciti dal fegato, dal polmone, dal core e dall’anima del reverendo e cetera, dalle suore e dai fraticelli, che ferno un vento sì grande che avrieno spenti otto torchi; e sospirando caddero per la stanchezza come gli imbriachi per il vino. E così io che era quasi incordata per il disconcio del mirare, mi ritirai destramente, e postami a sedere, diedi uno sguardo al cotale di vetro.
Antonia
Salda un poco: come può stare degli otto sospiri?
Nanna
Tu sei troppo punteruola; ascolta pure.
Antonia
Dì.
Nanna
Mirando il cotal di vetro mi sentii tutta commovere, benché ciò che io vidi arìa commosso l’ermo di Camaldoli: e mirandolo caddi in tentazione...
Antonia
E libra nos a malo.
Nanna
...e non potendo più sofferire la volontà della carne che mi pungea la natura bestialmente, non avendo acqua calda come la suora che mi avvertì di quello che io avea a fare de’ frutti cristallini, sendo fatta accorta dalla necessità, pisciai nel manico della vanga.
Antonia
Come?
Nanna
Per un bucolino fatto in esso perché si possa empire d’acqua tepida. E che ti vado allungando la trama? Io mi alzai la tonica galantemente, e posato il pomo dello stocco su la cassa, e rivolta la punta d’esso nel corpo, cominciai pian piano a macerarmi lo stimolo: il pizzicore era grande e la testa del cefalo grossa, onde sentiva passione e dolcezza; nientedimeno la dolcezza avanzava la passione, e a poco a poco lo spirito entrava nell’ampolla, é così sudata sudata, portandomi da paladina, lo spinsi inver me di sorte che poco mancò che nol perdei in me stessa, e in quello suo entrare credetti morire d’una morte più dolce che la vita beata. E tenuto un pezzo il becco in molle, sentomi tutta insaponata: onde lo cavo fuora, e nel cavarlo restai con quel cociore che rimane in uno rognoso poi che si leva le unghie dalle cosce; e guardatolo un tratto, lo veggio tutto sangue: allora sì che fui per gridar confessione!
Antonia
Perché, Nanna?
Nanna
Perché, ah? Mi credetti esser ferita a morte: io mi metto la mano alla becchina, e immollandola tiro a me, e vedendola con un guanto da vescovo parato, mi reco a piangere: e con le mani in quei corti capegli che, tagliandomi lo avanzo colui che mi vestì in chiesa mi avea lasciati, cominciai il lamento di Rodi.
Antonia
Dì quello di Roma, dove ora siamo.
Nanna
Di Roma, per dire a tuo modo. E oltra che io avea paura di morire vedendo il sangue, temea ancora de la badessa.
Antonia
A che proposito?
Nanna
A proposito che ella, spiando la cagione del sangue, e inteso il vero, non mi avesse posta in prigione legata come una ribalda; e quando bene non mi avesse dato altra penitenza che il raccontare alle altre la novella del mio sangue, ti parea che non avessi da piangere?
Antonia
Non, perché?
Nanna
Perché no?
Antonia
Perché accusando tu la suora che tu avevi vista giocare a che egli è dentro il vetro, averesti spedito gratis.
Nanna
Sì, quando la suora si fosse insanguinata come io. Egli è certo che Nanna era a’ pessimi partiti. E stando così, odo percuotere la cella mia: onde sciugatimi ben ben gli occhi, mi levo suso e rispondo gratia plena; e in questo apro e veggio che son chiamata a cena; e io che non da suora novella, ma da saccomanna avea pettinato la mattina, e perduto l’appetito per il timor del sangue, dissi che volea star sobria per la sera; e riserrata la porta con la scopa, mi rimasi pensando con la mano alla cotalina. E vedendo pur che ella si stagnava, mi ravvivai un pochetto; e per trapassar l’ozio, ritorno al fesso che vidi tralucere per il lume che per la venuta della notte le suore accesero; e mirando di nuovo, veggio nudo ciascuno: e certo, se il generale e le moniche con i fraticelli fossero stati vecchi gli assimiglierei ad Adamo e ad Eva con le altre animucce dei limbo. Ma lasciamo le comparazioni alle sibille. Il generale fece montare quella erba-da-buoi, cioè il teneron lungone, in una tavoletta quadra su la quale mangiavano le quattro cristianelle di Antecristo; e invece di tromba tenendo un bastone nella foggia che i trombetti tengono il loro istrumento, bandì la giostra, e dopo il «tara tantara», disse: «Il gran soldano di Babilonia fa noto a tutti i valenti giostranti che or ora compariscano in campo con le lance in resta, e a quello che più ne rompe si darà un tondo senza pelo, del quale goderà tutta notte, et amen».
Antonia
Bel bandimento: il suo maestro gliene dovette far la minuta. Or via, Nanna.
Nanna
Eccoti i giostranti in ordine; e avendo fatto inguintana del sedere di quella lusca negretta che dianzi mangiò vetro a tutto pasto, fu tratto la sorte, e toccò il primo aringo al trombetta: che facendo sonare il compagno mentre si movea spronando se stesso con le dita, incartò la lancia sua fino al calce nel targone dell’amica; e perché il colpo valea per tre, fu molto lodato.
Antonia
Ah! ah! ah!
Nanna
Mosse dopo lui il generale tratto per poliza; e con la lancia in resta correndo, empì l’anello di colui che l’avea empito alla suora; e così stando, fissi come i termini fra dui campi, toccò il terzo aringo a una monica: e non avendo lancia di abeto, ne tolse una di vetro, e di primo scontro la cacciò dietro al generale, appiattandosi per buon rispetto le ventose nel pettig[n]one.
Antonia
Tanto se ne ebbe.
Nanna
Ora vien via il fratoncello secondo, pur tóccogli per sorte, e ficcò la freccia nel berzaglio alla bella prima; e l’altra monica, contrafacendo la sozia con la lancia da le due pallotte, investì nello utriusque del giovanetto, che sguizzò come una anguilla nel ricevere il colpo. Venne l’ultima e l’ultimo: e ci fu molto da ridere, perché sepellì il berlingozzo che era tocco la mattina a pranzo ne l’anello della compagna; ed egli, rimaso dietro a tutti, piantò dietro a lei il lanciotto: di modo che pareano una spedonata di anime dannate, le quali volesse porre al fuoco Satanasso per il carnasciale di Lucifero.
Antonia
Ah! ah! ah! che festa!
Nanna
Quella luschetta era una suora tutta sollazzevole, e mentre ognuno spingeva e menava, dicea le più dolci buffonarie del mondo; e io udendo ciò risi tanto forte che fui udita: e sendo udita mi ritrassi indietro; e garrendo non so chi, dopo un certo spazio di tempo ritornando alla vedetta, la trovai coperta da un lenzuolo: e non potei vedere il fine della giostra, né a chi si diede il pregio.
Antonia
Tu mi manchi nel più bello.
Nanna
Io manco a te perché fu mancato a me. E mi spiacque al possibile di non poter veder fare il seme alle fave e alle castagne. Or per dirti, mentre io era adirata con le mie risa che mi aveano tolto il luogo alla predica, odo di nuovo...
Antonia
Che odisti? dì tosto.
Nanna
Tre camere potea vedere per i fessi che erano nella mia..
Antonia
Ben erano i muri tutti sfessi: io ne disgrazio i vagli.
Nanna
Io mi credo che desseno poca cura di riserràgli, e mi stimo che avesseno piacere l’una dell’altra. Come si sia, odo un ansciare, un sospirare, un rugnire e un raspare che parea che venisse da dieci persone che se dolessero in sogno, e stando attenta odo (allo incontro della parte che mi dividea donde si giostrava) parlar alla muta; e io con l’occhio ai fessi: per i quali scorgo a gambe alte due sorelline grassettine, frescoline, con quattro coscette bianche e tonde che pareano di latte rappreso sì erano tremolanti, e ciascuna tenendo in mano la sua carota di vetro, cominciò l’una: «Che pazzia è questa a credere che l’appetito nostro si sazi per via di questi imbratti che non hanno né bascio, né lingua, né mani con le quali ci tocchino i tasti; e quando bene le avessero, se noi proviamo dolcezza co’ dipinti, che faremmo noi co’ vivi? Noi ci potremmo ben chiamare meschine se consumassimo la nostra gioventudine co’ vetri». «Sai tu, sorella,» rispondea l’altra, «io ti consiglio che te ne venga meco»; «E dove vai tu?» disse ella; «Io sul far del dì mi voglio sfratare e girmene con un giovane a Napoli, il quale ha un compagno suo fratel giurato che sarebbe il caso tuo: sì che usciamo di questa spelonca, di questa sepoltura, e godiamo della nostra etade come debbeno godere le femine». E poca diceria bisognò all’amica, che era di poca levata; e nello accettare lo invito, avventò insieme con essa contra il muro i cedri di vetro, ricoprendo il romore che fecero nello spezzarsi con gridare «Gatti! gatti!», fingendo che avessero rotte guastade e ciò che c’era. E lanciate del letto, prima fecero fardello delle miglior robbe, e poi uscir fuor di camera; e io mi rimasi. Quando eccoti un suon di palme, un «oimè, trista a me», un graffiar di volto, un squarciar di capegli e di panni molto stranio; e a fede di leale mia pari, che mi credetti che fosse appiccato il fuoco nel campanile; onde miso l’occhio alle fessure dei mattoni, veggio che è la Paternità di mona badessa che fa le lamentazioni di Geremia apostolo.
Antonia
Come la badessa?
Nanna
La divota madre delle moniche e la protettrice del monistero
Antonia
Che aveva ella?
Nanna
Per quello che posso considerare, era stata assassinata dal confessore.
Antonia
A che modo?
Nanna
Egli, in sul più bel dello spasso, le avea cavato lo stoppino della botte e lo volea porre nel vaso del zibetto; e la poveretta, tutta in sapore, tutta in lussuria, tutta in sugo, inginocchiata ai suoi piedi, lo scongiurava per le stimmate, per i dolori, per le sette allegrezze, per il pater noster di san Giuliano, per i salmi penitenziali, per i tre magi, per la stella e per santa santorum: né poté mai ottenere che il nerone, il caino, il giuda le ripiantasse il porro nell’orticello, anzi, con un viso di Marforio, tutto velenoso, la sforzò con i fatti e con le bravarie a voltarsi in là; e fattole porre la testa in una stufetta, soffiando come un aspido sordo, con la schiuma alla bocca come l’orco, le ficcò il piantone nel fosso ristorativo.
Antonia
Poltronaccio.
Nanna
E si pigliava un piacere da mille forche nel cavare e mettere, ridendo a quel non so che che udiva allo entrare e allo uscire del piuolo, simigliante a quel lof tof e taf che fanno i piedi dei peregrini quando trovano la via di creta viscosa che spesso gli ruba le scarpe.
Antonia
Che sia squartato.
Nanna
La sconsolata, col capo nella stufa, parea lo spirto d’un sodomito in bocca del demonio. Alla fine il padre, spirato dalle sue orazioni, le fece trarre il capo fuora, e sanza schiavare, il fratacchione la portò su la verga fino a un trespido; al quale appoggiata la martorella, cominciò a dimenarsi con tanta galantaria, che quello che tocca i tasti al gravicembalo non ne sa tanto; e come ella fosse disnodata, tutta si volgea indietro volendosi bere i labbri e mangiare la lingua del confessore tenendo fuora tuttavia la sua che non era punto differente da quella d’una vacca, e presagli la mano con gli orli della valigia, lo facea torcere come gliene avesse presa con le tanaglie.
Antonia
Io rinasco, io trasecolo!
Nanna
E intertenendo la piena che volea dare il passo alla macina, il santo uomo compì il lavoro, e forbito il cordone con un fazzoletto profumato e la buona donna nettato il dolcemele, dopo un nonnulla si abbracciaro insieme; e il frate ghiottone le dicea: «Parevati onesto, la mia fagiana, la mia pavona la mia colomba, anima delle anime, core dei cori, vita delle vite che il tuo Narciso, il tuo Ganimede il tuo angelo non potesse disporre per una volta dei tuoi quarti di dietro?», ed ella rispondeva: «Parevati giusto, il mio papero il mio cigno, il mio falcone consolazione delle consolazioni, piacere dei piaceri, speranza delle speranze, che la tua ninfa, la tua ancilla, la tua comedia per una fiata non dovesse riporre il tuo naturale nella sua natura?»; e avventandosigli con un morso gli lasciò i segni neri dei denti nei labbri, facendogli cacciare uno strido crudele.
Antonia
Che piacere.
Nanna
Dopo questo la prudente badessa gli grappò la reliquia: e porgendole la bocca, la basciava soavemente, poi imbertonata di essa, la masticava e la mordeva come un cagnuolino la gamba o la mano, per la qual cosa si gode del suo mordere che fa piangere ridendo: così il ribaldone frate al pungere dei morsi di madonna, tutto festevole dicea «ahi! ahi!».
Antonia
Potea pur levargliene un pezzo co’ denti, la minchiona.
Nanna
Mentre la buona limosina della badessa scherzava col suo idolo, la porta della sua camera è tocca pianamente: onde restaro sopra di sé tutti e dui, e stando ’ ascoltare, odono sufolare con un suono fioco fioco, e allora si avvisaro che quello era il creato del confessore, che venne dentro però che gli fu aperto di subito; e perché sapea quanto pesava la lor lana, non si guastaro niente: anzi, la traditora badessa, lasciato il franguello del padre e preso per le ali il calderino del figliuolo, distruggendosi di fregare l’archetto del fanciullo su per la sua lira, disse: «Amor mio, fammi di grazia una grazia»; e il frataccio le dice: «Son contento, che vuoi tu?»; «Io voglio» disse ella, «grattugiare questo formaggio con la mia grattugia: con questo, che tu metta l’arpione nel timpano del tuo figliuolo spirituale; e se il piacere ti piacerà, daremo le mosse ai cavalli; se no, proveremo tanti modi, che un ne sarà a nostro modo». E intanto avendo la mano di fra Galasso calate le vele dello schivo del garzonetto, che avvedutasene madama, postasi a sedere, spalancata la gabbia e misoci dentro il lusignolo, si tirò a dosso il fascio con gran contentezza d’ognuno: e ti so dire che stette a crepacuore co sì gran mappamondo in su la pancia che la gualcò come è gualcata dalla gualchiera una pezza di panno. In ultimo ella scaricò le some, ed essi il balestro; e finito il giuoco, non ti potrei dire il vino che tracannaro e le confezioni che divoraro.
Antonia
Come ti potevi tu raffrenare nel desiderio dello uomo vedendo tante chiavi?
Nanna
Io venni in succhio fortemente a questo assalto badessale e avendo pure in mano il pugnale vetrigno...
Antonia
Io credo che lo tenevi fiutandolo spesso, come si fiuta un garofano.
Nanna
Ah! ah! ah! Dico che sendo in frega per le battaglie che io vedea, votai la tampella della orina fredda, ed empitola di nuovo, mi ci posi suso a sedere: e misa la fava nel baccello me la avrei spinto nel coliseo per provare ogni cosa perché non si può sapere a che modo ella abbia andare per noi.
Antonia
Tu facesti bene, cioè aresti fatto bene.
Nanna
E così calcandomi sopra la sua schiena, mi sentiva tutta confortare la sporta dinanzi, bontà del frugatoio che mi bruniva il secchio; e standomi fra due, contendea meco il sì e il no circa il ricever tutto l’argomento o vero una parte: e credo che avrei lasciato ire il cane nel covile se non fosse che udendo chiedere licenza dal confessore, rivestito col suo all[i]evo, alla ben contenta badessa, corsi a vedere le cacarie sue nel pa[r]tirsi. Ella facea la bambina, e vezzeggiando dicea: «Quando ritornerete? O Dio a chi voglio io bene? chi adoro io?»; e il padre giurava per le letanie e per lo avvento che ritorneria la sera seguente: e il fanciullo, che ancora si ristringava le calze, con tutta la lingua in bocca le disse addio. E udi’ che il confessore al partir cominciò quel pecora campi che è nel vespro ,
Antonia
Che, il cialtrone fingeva di dire compieta, eh?
Nanna
Tu lo hai indovinato. E appena partì il sopradetto che per il ca[l]pestio che udi’, intesi che i giostranti ancora avean finito la giornata e ritornavano a casa con la vettoria, facendo stallare i cavalli di maniera che mi parea la prima pioggia d’agosto.
Antonia
Il sangue!
Nanna
Odi, odi questa. Le due che aveano imballato le cose loro erano ritornate in camera: e la cagione, secondo che brontolando diceano, era per aver trovato chiuso a chiave l’uscio dietro per commissione della badessa, alla quale diedero più maledizioni che non aranno i cattivi nel dì del giudicio. Ma elle non andaro indarno, perché nello scendere della scala videro sonnacchiare il mulattiere che duo dì inanzi avea tolto il monistero; e fattoci disegno sopra, disse l’una a l’altra: «Tu anderai a destarlo con dire che ti porti una bracciata di legne in cocina ed egli stimandoti la cuoca, verà via; e tu mostrandogli questa camera, gli dirai «Portale là»: come il brigante è dentro lascialo pure intertenere alla tua fratellina»; e per non aver dato così fatto avviso né a muta né a sorda, tosto fu ubbidita. In questo scopro un altro agguato.
Antonia
Che scopristi?
Nanna
Scoprii, allato alla stanza delle predette, una camerina imbossolata alla cortigiana, molto leggiadra, nella quale erano due suore divine: e aveano apparecchiato un tavolino in su le grazie e postovi suso una tovaglia che parea di damasco bianco, e sapea più di spigo che di zibetto gli animali che lo fanno; e acconciatovi tovaglini, piatti, coltelli e forchette per tre persone sì pulitamente che non te lo potrei dire, e tratto fuora d’un panieretto molte varietà di fiori, givano ricamando con gran diligenza la tavola. Una delle suore avea nel mezzo d’essa composto un festoncello tutto di frondi di lauro, e spartoci dove meglio campeggiavano alcune rose bianche e vermiglie; e di fiorancio dipinte le fasce che legavano il festone, le quali per lo spazio della tavola si distendevano; e dentro del festone co’ fiori di borrana scritto il nome del vicario del vescovo, che con il suo monsignore era venuto il dì proprio: e per lui più che per la sua mitera si fecero le scampanate che mi tolsero delle orecchie, con il loro don din don, mille cose belle da raccontare. Dico che pel vicario si apparecchiavano le nozze, e ciò seppi da poi. Ora l’altra monica avea in ogni quadro della tavola ritratto una cosa bella: nel primo fece il nodo di Salomone di viole mammole, nel secondo il laberinto di fiori di sambuco; nel terzo un core di rose incarnate trapassato da un dardo che era del gambo d’un garofano, e la sua boccia lo servia per ferro: che, mezza aperta, parea tinta nel sangue del core; e sopra d’esso, di fiori di bugalossa avea ritratti i suoi occhi lividi per il piangere e le lagrime che versavano erano di quei bottoncini di aranci spuntati pur allora per le cime dei rami loro; nell’ultimo avea fatto due mani di gelsomini congiunte insieme, con un fides di viole gialle. Dopo questo una si diede a lavare alcuni bicchieri con le foglie del fico, e gli forbì sì bene che pareano trasformati di cristallo in ariento; intanto la compagna, gittato sopra una panchettina la tovaglietta di rensa, pose con pari ordine i bicchieri su lo scanno avendoci nel mezzo d’essi acconcio una guastadetta piena d’acqua nanfa, simile a un pero, dalla quale pendea un pannetto di lino sottile che ella serbava per asciugar le mani, come dalle tempie dei vescovi pendono le bande delle mitere. A piè dello scanno stava un vaso di rame che ci si potea specchiare dentro sì ben lo avea polito l’arena, l’aceto e la mano: egli, colmo d’acqua fresca, tenea in seno dui orcioletti di vetro schietto che pareano non tenere vino vermiglio e bianco, ma robini e iacinti stillati. E finito di acconciare il tutto, questa trasse de un cofano il pane che parea bambagia rappresa, e lo porse a quella, la quale lo mise al luogo suo; e così si riposaro alquanto.
Antonia
Veramente la diligenza usata nello imbellettare il tavolino non volea essere opra se non di suore, le quali gettano il tempo dietro al tempo.
Nanna
Stando a sedere, ecco che scroccano le tre ore, onde disse la più galluta: «Il vicario è più lungo che la messa di Natale»; rispose l’altra: «Non è maraviglia il suo indugiare, perché il vescovo, che domane vuol cresimare, lo debbe avere miso a qualche faccenda»; e favellando di mille fanfalughe acciò che l’aspettare non gli rincrescesse, passando l’ora a fatto e a fine, a gara tutte due dissero di lui quello che dice maestro Pasquino dei preti: e gaglioffo e porco e poltrone era il nome dal dì delle feste; e una di loro corse al fuoco dove bollivano dui capponi che per le gotti non poteano più muoversi, ai quali facea la guardia uno spedone piegato nel mezzo per il peso d’un pavone allevato da esse: e gli avrebbe tratti per la finestra se la compagna non glielo vetava. E in cotal loro scompiglio, il mulattiere che dovea scaricar le legne nella camera di quella che alla sua sorella d’animo avea dato il buon consiglio fallì la porta che gli mostrò colei che gli pose il fascio in su le spalle; ed entrato dove era aspettato il messere, ivi lo asino lasciò ir giù le legne: che udendo, le due compagne si cacciaro le unghie nel viso e tutte si laceraro.
Antonia
Che dissero quelle dal piantone?
Nanna
Che avresti detto tu?
Antonia
Arei presa la ventura per il ciuffetto.
Nanna
Così ferno esse: che, rallegrate per la non aspettata ventura del mulattiere (co)me si rallegrano i colombi per l’esca, gli fecero un’accoglienza da re; e stangata la porta perché il volpone non iscappasse della trappola, sel misero a sedere in mezzo forbendolo con un sciugatoio di bucato. Il mulattiere era d’un venti anni o circa, sbarbato, paffuto con la fronte come il fondo d’uno staio, con duo lombi badiali, grandone, biancone, un certo caca-pensieri , un cotale guarda-feste, troppo buono per il proposito loro. Egli facea le più scimoni[t]e risa del mondo quando si vide alloggiare intorno ai capponi e al pavone: e trangugiava bocconi smisurati, e bevea da mietitore. Ed esse che mille anni gli parea di scardassare il pelo con il battaglio suo dileggiavano le vivande nella foggia che le dileggia un che non ha fame: e se non che la più ingorda, perduta la pacienza come la perde un che si fa romito, si gli avventò al pifero come il nibbio al polcino, il mulattiere facea un pasto da vetturale. Egli non fu sì tosto tocco, che spinse fuora un pezzo di giannettone che togliea il vanto a quel di Bivilacqua: e parve quel trombone che ritira fuora colui che lo suona in Castello; e mentre questa tenea il bacchettone in mano quella scansò la tavoletta; onde la sua sozia, recatosi il bambolino fra le gambe si lasciò tutta sul flauto del mulattiere che sedea, e spingendo con quella discrezione che si spinge l’un l’altro sul Ponte data la benedizione, cadde la sede, il mulattiere ed ella: e tomaro come una scimia; e schiavatosi il catenaccio dalla porta, l’altra suora, che biasciava come una mula vecchia, perché il bambolino che non avea nulla in testa non infreddasse, lo incappellò con il verbigrazia: talché la compagna dischiodata venne in tanta collera, che la prese per la gola, onde vomitò quel poco che avea mangiato; ed ella rivolta a lei, sanza curarsi di compire altrimenti il camino, se ne diero più che i beati Paoli.
Antonia
Ah! ah! ah!
Nanna
Appunto il mestolone si levava suso per partir la zuffa, quando ecco che io mi sento appoggiare le mani su la spalla e dir piano piano: «Buona notte, animetta mia»; io tutta mi scossi per la paura, e tanto più n’ebbi, quanto più attendendo al fatto d’arme delle infoiate (io lo dirò pure!), non pensavo ad altro, e nel sentirmi por le mani a dosso mi rivolsi e dissi: «Oimè chi è questo?»; e nello aprir la bocca per gridare «acorruomo» veggio il baccelliere che mi lasciò per gire incontra al vescovo e mi riebbi tutta. Pure gli dissi: «Padre, io non son di quelle che vi credete, fatevi in costà, io non voglio, orsù mo’, io griderò; prima mi lascerei segar le vene, Dio me ne guardi; nol farò mai, non mai, io dico di no; vi dovereste aggricciare: bella cosa, ben si saperà bene», ed egli a me: «Come può essere che in un carobino, in un trono e in un sarafino alberghi crudeltà? Io vi son servo, io vi adoro perché voi sola sète il mio altare, il mio vespro, la mia compieta e la mia messa, e quando sia che vi piaccia che io muoia, ecco il coltello: trapassatemi il petto, e vedrete nel mio core il vostro soave nome scritto a lettere d’oro». E così dicendomi volea pormi in mano un bellissimo coltello col manico d’ariento indorato, col ferro lavorato fino al mezzo alla damaschina: io non lo volsi mai tòrre e sanza rispondere tenea il viso fitto in terra, onde egli con quelle esclamazioni che si cantano al passio mi ruppe tanto il capo che mi lascia[i] vincere.
Antonia
Peggio fanno quelli che si lasciano condurre a uccidere e avelenare gli uomini: e festi una opra più pia che non è il monte della pietà; e ogni donna da bene dovria pigliare lo essempio da te. Segue pure.
Nanna
E lasciatami vincere dal suo proemio fratino, nel quale dicea maggior bugie che non dicono gli oriuoli stemperati, egli mi entrò a dosso con un laudamus te che parea che egli avesse a benedir le palme: e con i suoi canti mi incantò sì, che ce lo lasciai ire... Ma che volevi tu che io facessi, Antonia?
Antonia
Non altro, Nanna.
Nanna
...dico dinanzi; e crederesti una cosa?
Antonia
Che?
Nanna
Egli mi parse meno aspro quello di carne che quello di vetro.
Antonia
Gran segreto!
Nanna
Sì, per questa croce!
Antonia
Che bisogna giurare, se io tel credo e st[r]acredo?
Nanna
Io pisciai sanza pisciare...
Antonia
Ah! ah! ah!
Nanna
...una certa pania bianca che parea bava di lumache. Ora egli me lo fece tre volte, con riverenza parlando: due alla antica e una alla moderna; e questa usanza, abbila trovata chi vuole, non mi piace punto: meffé no, che ella non mi piace.
Antonia
Tu hai il torto.
Nanna
Stiamo freschi se io ho il torto; e chi la trovò ebbe dello svogliato: né potea girci gusto veruno se non quello... tu me lo farai dire.
Antonia
Nol mentovare invano, perché è un boccone che se ne fa alla grappa più che delle lamprede; è una vivanda da gran maestri.
Nanna
Abbinsela. Ora al proposito nostro: poi che il baccelliere mi ebbe piantato due volte lo stendardo nella rocca e una nel rivellino, mi dimandò se io avea cenato io che al fiato mi avvidi che egli era pasciuto come l’oche dei Giudei, gli risposi di sì: onde egli mi si recò in grembo, e con un braccio mi cingeva il collo e con la mano dello altro mi festeggiava ora le gote e ora le poppe, mescolando le carezze con basci saporiti al possibile; di modo che fra me stessa ringraziava l’ora e il punto del mio farmi suora, giudicando il vero paradiso quello delle suore. E così stando, venne un gricciolo al baccelliere, e si deliberò di menarmi a processione per il monestero, dicendo: «Dormiremo poi il giorno», e io che avea visto tanti miracoli in quattro camere, mi parea cento anni di vederne degli altri per le altre. Egli si cavò le scarpe e io le pianelle e tenendomi egli per mano, gli giva dietro ponendo il piede in terra come avessi a porlo sopra l’uova.
Antonia
Ritorna indietro.
Nanna
Perché?
Antonia
Perché ti sei dimenticata di quelle due rimase in secco per lo errore del mulattiere
Nanna
Io certamente ho dato le cervella al cimatore. Le meschine, le sfortunate, sfogaro la rabbia suso le palle dei capofuochi: e infilzatesi in esse, ci scambiettavano sopra come i rei nei pali turcheschi; e se non che quella che finì il ballo prima soccorse la compagnetta sua, la palla le saria uscita per bocca.
Antonia
O questa sì che è grande ah! ah! ah!
Nanna
Io me ne andava dietro al drudo cheta come un olio, ed ecco che vediamo la celletta della cuoca mezza chiusa dalla smemorata, e dandogli una occhiata, la vedemmo scherzare in cagnesco con un peregrino che chiedendole (mi stimo io) la carità per gire a San Iacopo di Galizia, lo avea raccolto dentro: e la schiavina sua si stava sopra la cassa ripiegata, e il bordone, sul quale era una tavoletta col miracolo, appoggiato al muro, e la tasca piena di tozzi dava da trastullarsi a una gatta alla quale gli amanti giolivi, occupati, non davano cura; né al barlotto, caduto sottosopra, che tuttavia versava il vino. Noi non degnammo perdere il tempo in così lordo amorazzo: ma arrivati alle fessure della camera di madonna celleraia, che mancatole la speranza del venir del suo piovano, si condusse in tanto furore che, acconcio un fune ad una travetta, salita suso un trespolo e adattatosi il capestro al collo, si arrischiava di dar col piede nel sostegno, e già apriva la bocca per dire al piovano «Io ti perdono», quando egli, giunto all’uscio e sospintolo, entrò dentro e visto la sua vita al termine detto, lanciatosi a lei e ricoltola nelle braccia, disse: «Che cose son queste? Adunque io da voi, cor mio, sono tenuto un mancatore di fede? e dove è la divinità della prudenza vostra? dove è ella?». A quelle dolci parole ella rilevò la testa come si rilievano gli stramortiti nello spruzzargli l’acqua fredda nel viso, e risentissi proprio come si risentono i membri assiderati al calor del fuoco, e il piovano gittato la corda e ’l trespolo, la pose nel letto, ed ella, datogli un bascio, lentamente gli dice: «Le orazioni mie sono state esaudite, e voglio che mi fate porre di cera dinanzi alla imagine di san Gimignano, con lettere che dicano "raccomandossi e fu liberata"», e ciò detto, allo uncino delle sue forche impiccò il pietoso piovano: che, stucco al primo boccone della capra, dimandò il capretto.
Antonia
Io te lo ho voluto dire, ed emmisi scordato: parla alla libera, e dì «cu’, ca’, po’ e fo’», che non sarai intesa se non dalla Sapienza Capranica con cotesto tuo «cordone nello anello», «guglia nel coliseo», «porro nello orto», «chiavistello ne l’uscio», «chiave nella serratura», «pestello nel mortaio», «rossignuolo nel nido», «piantone nel fosso», «sgonfiatoio nella animella», «stocco nella guaina»; e così «il piuolo», «il pastorale», «la pastinaca», «la monina», «la cotale», «il cotale», «le mele», «le carte del messale», «quel fatto», «il verbigrazia», «quella cosa», «quella faccenda», «quella novella», «il manico», «la freccia», «la carota», «la radice» e la merda che ti sia non vo’ dire in gola, poi che vuoi andare su le punte dei zoccoli; ora dì sì al sì e no al no: se non, tientelo.
Nanna
Non sai tu che l’onestà è bella in chiasso?
Antonia
Dì a tuo modo, e non ti corruccerai.
Nanna
Dico che, ottenuto il capretto, e fittoci dentro il coltello proprio da cotal carne, godea come un pazzo del vederlo entrare e uscire; e nel cavare e nel mettere avea quel sollazzo che ha un fante di ficcare e sficcare le pugna nella pasta. Insomma il piovano Arlotto, facendo prova della schiena del suo papavero, ci portò suso di peso la serpolina fino al letto; e calcando il suggello nella cera a più potere, si fece da un capo del letto, rotolando, fino al piede, poi fino al capo; e di nuovo ritornando in suso e in giuso, una volta veniva la suora a premere la faccenda del piovano, e una volta il piovano a premere la faccenda della suora; e così, tu a me e io a te, ruotolaro tanto, che venne la piena: e allagato il piano delle lenzuola, caddero uno in qua e l’altro in là, sospirando come i mantici abandonati da chi gli alza, che soffiando s’arrestano. Noi non ci potemmo tenere di ridere quando, schiavata la serratura, il venerabil prete ne fece segno con una sì orrevole correggia (salvo il tuo naso) che rimbombò per tutto il monestero: e se non che ci serravamo la bocca con la mano l’uno a l’altro, saremmo stati scoperti.
Antonia
Ah! ah! ah! E chi non avrebbe sma[s]cellato?
Nanna
E partitici a tentoni dalla ciancia che facea le cose sue da dovero, vedemmo la maestra delle novizie che traeva di sotto il letto un facchino più sporco che non è un monte di cenci e gli dicea: «Vieni fuora il mio Ettor troiano, il mio Orlando dal quartiere, eccomi tua servitrice, e perdonami del disagio che nello asconderti ti ho dato: egli mi fu forza a farlo». E il manigoldone, alzando gli stracci suoi, le respondea col cenno del membro, ed ella, non avendo torcimanno che le spianasse le sue cifere, le diede a interpretrare alla sua fantasia: e il zoticone, cacciatole il roncone nella siepe, le fe’ veder mille lucciole, e la pigliava con le zanne di lupo nelle labbra con tanta piacevolezza che le facea venir giù le lagrime a quattro a quattro; onde noi, per non vedere la fragola in bocca allo orso, gimmo altrove.
Antonia
Dove giste?
Nanna
A un fesso che ci mostrò una suora che parea la madre della disciplina, la zia della bibbia e la suocera del testamento vecchio appena che io soffersi di guatarla: ella avea in capo da venti capelli simili a quelli di una spelatoia, tutti lendinosi, e forse cento crespe nella fronte; le sue ciglia folte e canute, gli occhi che gocciavano una certa cosa gialla.
Antonia
Tu hai una acuta vista, se insino ai lendini scorgi di lontano .
Nanna
Attendi a me. Ella avea bavosa e moccicosa la bocca e il naso, e pareano le sue mascelle un pettine d’osso da pidocchiosi con duo denti i labbri secchi e il mento aguzzo come il capo d’un genovese: ii quale avea per sua grazia alcuni peli che spuntavano fuora a guisa di quei d’una leona, ma pungenti (mi penso io) come spine, le poppe pareano borse d’uomo sanza granelli, che nel petto le stavano attaccate con due cordelle, il corpo (misericordia), tutto scropuloso, ritirato in dentro e con il bilico in fuora. Vero è che ella avea intorno al pisciatoio una ghirlanda di foglie di cavoli che parea che fossero stati un mese nella testa a un tignoso.
Antonia
Ancora santo Nofrio portava un cerchio da taverna intorno alla sua vergogna.
Nanna
Tanto meglio. Le cosce erano fuscelli ricoperti di carta pecorina, e le ginocchia le tremavano sì, che stava tuttavia per cadere; e mentre ti imagini gli stinchi suoi e le braccia e i piedi, ti dico che le unghie delle sue mani erano lunghe come quella che avea il Roffiano nel dito picciolo, la quale portava per nimicizia, ma piene di mestura. Ora ella, chinata in terra, con un carbone facea stelle, lune, quadri, tondi, lettere e mille altre cantafavole, e ciò facendo chiamava i demoni per certi nomi che i diavoli non gli terrebero a mente; poi, aggirandosi tre volte intorno alle catarattole dipinte, si volgea al cielo tuttavia borbottando seco; poi, tolta una figurina di cera nuova nella quale erano fitti cento aghi (e se tu hai mai visto la mandragola, tu vedi la figura) e postola tanto allato al fuoco che lo potea sentire, e volgendola come si volgono gli ortolani e i beccafichi perché cuochino e non si abbruscino, dicea queste parole:
Fuoco, mio fuoco strugge
quel crudel che mi fugge;

e voltandola con più furia che non si dà il pane allo spedale, soggiungea:

Il mio gran pizzicore
mova il mio dio d’amore;

e cominciando la imagine a scaldarsi forte, dicea con il viso fitto nello spazzo:

Fà, demonia, mia gioia,
ch’ei venga o che si muoia.

Al fin di questi versetti, eccoti uno che le batte la porta alitando come uno che co’ piedi abbia (sendo stato giunto a far danno in cocina) risparagnato un monte di bastonate alle sue spalle: onde ella riposti tosto tosto gl’incantesimi, gli aperse.

Antonia
Così ignuda?
Nanna
Così ignuda e il poveruomo, sforzato dalla negromanzia come la fame dalla carestia, le gittò le braccia al collo, e basciandola non men saporitamente che se ella fosse stata la Rosa e l’Arcolana, dava quelle lode alla beltà sua che danno quelli che fanno i sonetti alle Lorenzine, e la maladetta fantasima, dimenandosi tutta e gongolando, gli dicea: «Son queste carni da dormirsi sole?».
Antonia
Ohibò!
Nanna
Non ti guasterò più lo stomaco con la vecchia trentina, che non so altro di lei perché non ne volli vedere altro: e quando lo affatturato secolare giovane di prima barba la calcò suso uno scabello, feci la gatta di Masino, che serrava gli occhi per non pigliare i topi. Ora al rimanente. Dopo la vecchia pervenimmo alla sarta, che era ai ferri col sarto suo maestro: e scopertolo tutto ignudo, gli basciava la bocca, le mammelle, il battitoio e il tamburo come bascia la balia al suo figliuolo di latte il visetto, il bocchino, le manine, il corpicello, il pinchino e ’l culetto, che pare che se lo voglia succiare nel modo che egli sugge a lei le poppe. Certo volevamo acconciar l’occhiolino alle scommessure per veder tagliare dal sarto i lembi della tonica della sarta, ma udivamo un grido, e dopo il grido uno strido, e appresso dello strido uno «oimè», e finito l’«oimè», uno «o Dio» che ci percosse tutto il core. E avviatici ratti donde uscivano le voci che ricoprivano il calpestio dei nostri passi, vedemmo una che avea mezza una creatura fuora della canova: che poi col capo inanzi la pisciò a fatto al suono di molte peta profumate. E visto che era maschio, chiamaro il padre d’esso, don guardiano, che venne accompagnato da due suore di mezza età: alla venuta del quale si cominciaro a squinternare allegrezze signorili. Dicea il guardiano: «Poiché qui, in questo desco, è carta, penna e inchiostro, io vo’ fare la sua natività», e disegnato un milione di punti, tirando certe righe infra essi, dicendo non so che della casa di Venere e di Marte, si volse a quella brigata e disse: «Sappiate, sorelle, che mio figliuolo naturale, carnale e spirituale sarà un Messia, uno Antecristo o Melchisedech»; e volendo vedere la buca di donde egli era apparso, tirandomi il mio baccelliere per i panni, gli feci cenno che mi spiaceva vedere altri sanguinacci che quelli del porco sparato.
Antonia
Và fatti suora, và.
Nanna
Ora odi questa. Sei giorni inanzi a me, dai suoi fratelli era stata misa dove io fui posta una non-vo’-dir donzella, e una robba-che-dio-tel-dica, e per gelosia d’uno dei primi della terra innamorato d’essa (secondo che mi fu detto), la badessa la tenea in una camera sola, e la notte, riserratala, ne portava seco la chiave. E il giovane amante, accortosi che una finestra serrata della camera sua rispondea nello orto, aggrappandosi su per il muro di quella finestra come un picchio, al meglio che potea dava da beccare alla papera, e a punto in questa notte che io ti conto venne a lei: e acconciatosi alla ferrata, abeverava il bracco alla tazza che si gli sporgeva in fuore, tenendo però le braccia intrecciate con i ferri traditori. E venendo il mèle sul fiadone, la dolcitudine gli tornò più amara che non è una medecina.
Antonia
A che modo?
Nanna
Lo sventurato venne in tanto sfinimento in sul fà-che-io-fo, che, abbandonate le braccia, cadde dal balcone sopra un tetto, e del tetto in un pollaio, e del pollaio in terra, di maniera che si ruppe una coscia.
Antonia
Oh le avesse rotte tutte due la strega badessa, poiché volea che ella osservasse castità in bordello!
Nanna
Ella lo facea per paura dei fratelli che aveano giurato di abbrusciarla con tutto il monestero udendone biasimo. E per tornare a dirti, il giovane che ebbe il lavorar dei cani, misse a romore tutto il mondo: e corsero ciascuna per le finestrette alzando le impannate, scorgendo per il lume della luna il ruinato e fracassato meschino. Fecero scovare duo seculari del letto con le posticce mogli loro, e mandatogli nell’orto, lo ricolsero su le braccia e lo portaro di fuora: e ti so dire che ci fu che dir per la terra di cotal caso. Dopo questo scandolo, ritornandoci in cella per paura che il dì non ci giungesse a spiare i fatti d’altri, udimmo un frate buonissimo brigante, bisuntone, che contava una fola a non so quante suore e preti e secolari che aveano giocato a dadi e a carte tutta notte: finito di sbevazzare, erano entrati a chiacchiarare, scongiurando il frate che dicesse una novella; ed egli, dicendo «Io vi vo’ contare una istoria che cominciò in riso e finì in pianto per un cagnaccio stallone», impetrò udienza e cominciò: «Dui dì fa, passando per piazza mi fermai a vedere una cagnoletta in frega che avea due dozzine di cagnoletti tratti allo odore della fregna sua, tutta enfiata e sì rossa, che parea di corallo che ardesse: e tuttavia fiutandola or questo e ora quello, cotal gioco avea ragunati una gran frotta di fanciulli a vedere ora salir suso questo e dar due menatine, e or questo altro e darne due altre. Io a tale spasso facea viso proprio fratesco, ed ecco che comparisce un cane da pagliaio, che parea il luogotenente delle beccarie di tutto il mondo: e afferratone uno, lo trasse in terra rabbiosamente, e lasciatolo, ne prese un altro, né gli rimasse a dosso il cuoio intero; in questo, chi fugge di qua e chi di là, e il cagnone, fatto arco della schiena, arricciando il pelo come il porco le setole con occhi guerci, digrignendo i denti, rignendo con la schiuma alla bocca, guardava la cagnola male arrivata, e fiutatole un tratto la bella bellina, le diede due spinte che la fecero abbaiare da cagna grande: ma sguizzatagli di sotto, si diede a correre. E i cagnoletti, che stavano alla vedetta, le trottàr dietro, il cagnaccio, in collera, la seguitava: e così la cagna, veduta la fessura d’una porta chiusa, di subito ci saltò dentro, e i cagnuoli seco. Il cane poltrone si rimase fuoruscito, imperò che egli era cotanto sconcio che non capiva dove gir gli altri, onde rimaso di fuora, mordeva la porta, zappava in terra, urlava che parea un leone che avesse la febbre. E stato così gran pezzo, sbuca fuora un dei poverini: e il can traditore, ciuffatolo, gli staccò una orecchia; e apparendo il secondo, gli fece peggio, e di mano in mano gli castigò tutti nello uscire, e gli fece disgombrare il paese come sgombrano i villani per la venuta dei soldati. Alla fine la sposa venne fuora, ed egli presola nella gola le ficcò le zanne nella canna e strozzolla, mandandone i fanciulli, con il popolo raccolto alla festa canina, i gridi al cielo...», onde noi non ci curando di vedere né di udire più altro, entrati in camera nostra e caminato un miglio per il letto, ci adormentammo.
Antonia
Perdonimi il Centonovelle: egli si può andare a riporre.
Nanna
Questo non dico io; ma voglio che egli confessi almeno che le mie son cose vive, e le sue dipinte. Ma non ti ho io da dire?
Antonia
Che?
Nanna
Levatami a nona, sendosi non so come partito a buona otta il gallo della mia parrocchia, e andando a desinare non potea contener i ghigni vedendo quelle che erano le notte gite in carnafau: e domesticata in pochi dì con tutte, fui chiarita che sì come i’ vidi altri, altri vide me: cioè in tresca col baccelliere. E disnato che avemmo, salì in pergamo un fra luteriano che avea una voce da far guardie, e sì penetrativa e tonante, che si sarìa udita da Campidoglio a Testaccio, e fece una essortazione alle suore, di così fatta maniera che arìa convertito la stella Diana.
Antonia
Che cose diceva egli?
Nanna
Egli diceva che non era cosa più in odio alla natura che vedere perdere il tempo alla gente, però che ella ce lo ha dato perché lo spendiamo in consolazione d’essa; e che gode del vedere le sue creature crescere e multiplicare, e sopra ogni altra cosa si rallegra quando scorge una donna che, giunta nella vecchiezza, può dir «Mondo, fatti con Dio», e che oltre le altre la natura tiene per gioie care le monicelle le quali fanno i zuccherini allo dio Cupido: onde i piaceri che ci dona son più dolci che mille che ne dia alle mondane, affermando ad alta voce che i figliuoli che nascono di frate e di suora sono parenti del Disitte e del Verbumcaro. Ed entrato poi nello amore fino delle mosche e delle formiche, era forte riscaldato nel volere che fosse di bocca della verità tutto quello che usciva della sua. Non è ascoltato sì attentamente un canta-in-panca dagli scioperati, come ascoltavano le buone massaie il cicalone e data la benedizione con uno di quelli, tu mi intendi, di vetro lungo tre spanne, scese giuso, e infrescandosi facea del vino quello che fanno i cavalli della acqua, divorando le confezioni con la ingordigia che divora un asinaccio i sermenti; e gli fu donato più cose che non dona il parentado a chi canta la messa novella, o vero una madre alla figlia che va a marito; e partitosi, chi si diede a fare una bagattella e chi un’altra. E io, tornata in camera, non stei molto che odo percuotermi la porta; onde apro, ed ecco a me il fanciullo del baccelliere che con uno inchino cortigiano mi porge una cosa inguluppata e una lettera piegata nel modo che sono quelle penne con tre cantoni, o spicchi che si gli debba dire, che stanno in cima alle frecce. La soprascritta dicea..., io non so se mi ricorderò delle parole...; aspetta, sì, sì, così dicevano:
Queste mie poche e semplici parole
sciutte co’ miei sospir, scritte col pianto,
sien date in paradiso in man del Sole.
Antonia
O buono!
Nanna
Dentro ci era una diceria lunga lunga; e cominciava da quei capegli che mi fur tagliati in chiesa, dicendo che gli avea ricolti e fattosene un laccio intorno al collo; e che la mia fronte era più serena che il cielo, assimigliandomi le ciglia a quel legno nero di che si fanno i pettini; e che le mie guance faceano aschio al latte e al cremisi; a una filza di perle mi agguagliò i denti, e le labbra a’ fiori delle melagrane; facendo un gran proemio su le mie mani: e fino le unghie lodò; e che la mia voce era simile al canto del gloria in eccelsis: e venendo al petto, disse mirabilia, e che tenea duo pomi candidi come la neve calda. Alla fine si lasciò sdrucciolare alla fonte, dicendo averci bevuto indegnamente, e che ella stillava manuscristi e manna, e che di seta erano i peluzzi suoi. Del rovescio della medaglia tacque, scusandosi che bisogneria che rinascesse il Burchiello a dirne una minima particella, e venne a finirla col rendermi grazie per infinita secula della liberalità che io gli avea fatto del mio tesoro, e giurando che verria tosto a me; e con uno «addio coricino mio», si sottoscrisse a punto così:
Quel(lo) che nel bel petto vostro vive,
spinto da troppo amor, questa vi scrive.
Antonia
E chi non si arìa alzato i palmi a sì bella canzona?
Nanna
Letta la novella, ripiego la carta e, prima che io me la ponga in seno, la bascio; e tratta la cosa dello invoglio, veggio che egli è uno ufficiuolo molto vago che lo amico mi manda, cioè lo ufficiuolo che io credea che mi mandasse: egli era coperto di velluto verde, che significava amore, con i suoi nastri di seta. E lo piglio sorridendo e di fuora lo vagheggio, tuttavia basciandolo e lodandolo per il più bello che avesse mai visto. E licenciato il messo con dirgli che in vece mia basciasse il suo maestro, rimasa sola apro il libricciuolo per leggere la magnificat: e apertolo, veggiolo pieno di dipinture che si trastullano nella foggia che fanno le savie moniche; e scoppiai in tanto riso nel vedere una che, spingendo le sue cose fuora di una cesta senza fondo, per una fune si calava su la fava di uno sterminato baccello, che ci corse una sorella che più di alcuna altra si era domesticata meco; e dicendomi «Che significano coteste tua risa?», sanza corda le dico il tutto, e mostratole il libretto, ce ne demmo insieme uno spasso che ci mise in tanta voglia di provare i modi dipinti, che ci fu forza a consigliarcene col manico di vetro: il quale acconciossi fra le cosce la mia compagnetta sì bene, che parea il cotale di uno uomo drizzato inverso la sua tentazione; onde io gittatami là come una di quelle di ponte Santa Maria, le pongo le gambe in su le spalle; ed ella ficcandomelo ora a buon modo e ora a tristo, mi fece far tosto quello che io avea a fare, e arrecatasi ella alla foggia che mi recai io, le fu renduto da me migliaccio per torta.
Antonia
Sai tu, Nanna, quello che interviene a me udendoti ragionare?
Nanna
No.
Antonia
Quello che interviene a uno che odora una medicina: che sanza prenderla altrimenti, va due e tre volte del corpo.
Nanna
Ah! ah! ah!
Antonia
Dico che mi paiono tanto veri i tuoi ragionamenti, che mi hai fatto pisciare sanza che io abbia gustato né tartufo né cardo.
Nanna
Tu mi riprendi del parlare a fette, e poi usi anche tu la favella di chi narra le novelluzze alle bambine dicendo: «Io ho una mia cosa che è bianca come una oca: oca non è, or dimmi ciò ch’ella è».
Antonia
Io favello per compiacerti, perciò uso le oscurità.
Nanna
Ti ringrazio. Ora seguiamo la antifana. Dopo gli scherzi che ci facemmo l’una a l’altra, ci venne voglia di farci vedere alla grata e alla ruota: dove non potemmo aver luogo, perché tutte erano corse ivi come corrono le lucertole al sole, e la chiesa parea San Piero e San Paolo il dì della stazzone, e fino a monaci e a soldati si dava udienza; e se me lo vuoi credere credimelo, io vidi Iacob ebreo che con una gran securtà cianciava con la badessa.
Antonia
Il mondo è corrotto.
Nanna
Io lo dirò, escane che vuole: ci vidi anco uno di quei Turchi disgraziati che si lasciò dare nella ragna in Ungaria.
Antonia
Egli dovea esser fatto cristiano.
Nanna
Basta che vi lo vidi, né ti saprei dire se col battesimo o sanza. Ma sono stata una bestia a prometterti di raccontare in un dì la vita delle suore perciò che elle in una ora fanno cose che non si narrerebero in uno anno. Il sole si mette in ordine per tramontare, onde io abbreviando farò conto di essere uno che ha fretta di cavalcare: che, benché abbia appitito grande appena assaggia quattro bocconi bevendo un tratto, e via al suo camino.
Antonia
Lasciami dire un poco. Tu mi dicesti da principio che il mondo non è più quello ch’egli era al tuo tempo: io pensava che tu mi avessi a contare delle suore di allora di quelle cose che sono in sul libro dei santi Padri.
Nanna
Ho errato io, se ti ho detto cotesto: io volli forse dire che non son più come erano al tempo antico.
Antonia
Errò adunque la lingua, non il core.
Nanna
Sia come vuole, io ora non l’ho in mente: attendiamo a questo, che importa più. Dico che tentandomi il demonio, mi lasciai porre il basto da un frate che era venuto da Studio, guardandomi però dal baccelliere: e come la fortuna volse, egli mi menava spesso a cena fuora del monastero, non sapendo che io fossi maritata al baccelliere. E fra le altre, venne per me una sera dopo le avemarie allo improviso e disse: «Cara la mia putta, fammi grazia di venir meco in questo punto, che ti vo’ menare in un luogo che averai grandissimo piacere: e udirai non pure musiche angeliche, ma recitare una comedietta molto gentile». Io che avea il capo pieno di grilli, sanza indugiarmi mi spoglio, aitandomi lui; e trattimi i panni sacrati, mi vesto i profumati, cioè i panni da garzone, i quali mi fece fare il primo amante; e postomi in capo un cappelletto di seta verde con una pennetta rossa e un fermaglio d’oro, con la cappa indosso men vado seco. E caminato un tirar di sasso, egli entra in una stradetta lunga e larga mezzo passo, sanza uscita; e fischiando soave soave, udimmo ratto scendere una scala e poi aprire uno uscio, sul quale posto che avemmo il piede, apparse un paggio con un torchio di cera bianca acceso, e salita la scala al lume comparimmo in una sala ornatissima, tenendomi il mio studiante per mano; e alzando il paggio dal torchio la portiera della camera con dirci «Entrino le Signorie vostre», entrammo, e tosto che io giunsi, vedesti levarsi suso le persone con la berretta in mano, come fanno le brigate nel dar la benedizione del predicatore. Ivi era il ricetto di tutti i fottisteri sacrati, alla similitudine di una baratteria, e ivi si riducea ogni sorte di suore e di frati, come alla noce di Benevento ogni generazione di streghe e di stregoni. E ripostosi ciascuno a sedere, non si udiva altro che bisbigliare del visetto mio: che ancora che non stia bene a dirlo a me, sappi Antonia che egli fu bello.
Antonia
È da credere, sendo tu bellissima vecchia, che tu sia stata bellissima giovane.
Nanna
E stando in sui vezzi, arrivò la virtù della musica che mi fece risentire fino alla anima: erano quattro che guardavano sopra un libro, e uno, con un liuto argentino accordato con le voci loro, cantava «Divini occhi sereni...». Dopo questo venne una ferrarese che ballò sì gentilmente, che fece maravigliare ognuno: ella facea cavriole che non le avria fatte un cavriuolo con una destrezza, Dio, con una grazia, Antonia, che non avresti voluto vedere altro. Che miracolo era, raccogliendosi la gamba mancina a usanza della grue, e fermatasi tutta nella dritta, vederla girare come un torno: di modo che la sua veste gonfiata per il presto rivolgimento, spiegatasi in un bel tondo, tanto si vedea quanto le girelle mosse dal vento sopra d’una capanna, o vogliamo dire quelle di carta poste dai fanciulli in cima ad una canna, che, distesa la mano dandosi a correre, godono di vederle girare sì che appena si scorgono.
Antonia
Dio la benedica.
Nanna
Ah! ah! ah! Io mi rido di uno che lo dimandavano «il fio di Giampolo», secondo me veneziano, che tiratosi dentro a una porta contrafece una brigata di voci. Egli facea un facchino che ogni bergamasco gliene avrebbe data vinta, e il facchino, dimandando a una vecchia della madonna, in persona della vecchia dicea: «E che vuoi tu da madonna?», ed egli a lei: «Le vorria parlare», e da cattivo le dicea: «Madonna, o madonna, io moro, io sento il polmon che mi bolle come un laveggio di trippe»; egli facea un lamento alla facchina il più dolce del mondo e cominciando a toccarla, ridea con alcuni detti proprio atti a farle guastar la quaresima o a rompere il digiuno. E in questa ciancia, eccoti il suo marito vecchio rimbambito che, visto il facchino, levò un romore che parve un villano che vedesse mettere a sacco il suo ciriegio; e il facchino gli dicea: «Messere, o messere, ah! ah! ah!»; e ridendo e facendo cenni e atti da balordo, «Và con Dio» gli disse il vecchio, «imbriaco, asino». E fattosi scalzare dalla fante, contava alla moglie non so che del sofì e del Turco; e facea scompisciare delle risa ognuno quando, tirando alcuna di quelle con le quali egli si affibbiava, facea sagramento di non mangiare più cibi ventosi, e lasciatosi colcare, e addorméntosi ronfando, ritornò il predetto nella forma del facchino: e con la madonna tanto pianse e tanto rise, che si mise a scuoterle il pelliccione.
Antonia
Ah! ah! ah!
Nanna
Riso averesti tu udendo il dibattimento del rimenarsi loro mescolato con alcuni ladri detti del facchino, che campeggiavano troppo bene con quelli di madonna fàmmelo. Finito il vespro delle voci, ci riducemmo in sala, dove era uno apparato per coloro che aveano a recitare la comedia: e già la tenda si dovea scoprire, quando uno percosse fortemente la porta, perché il romore del favellare non lo averia lasciato udire percotendola piano; e restando di mandar giù la tenda, fu aperto al baccelliere. Ché il baccelliere era quello che, a caso passando, batté allo uscio, non sapendo che io gli fossi traditrice; e venuto suso e vistami fare gli amori con lo studiante, mosso da quel maladetto martello che accieca altrui, con quella furia che si avventò il cagnaccio che uccise la cagnuola (come raccontò la novella del frate), mi prese per i ciuffi: e trascinandomi per la sala e poi giù per la scala, non dando cura ai preghi che per me facea ognuno, salvo lo studiante che, tosto che vide il baccelliere, sparve come un raggio dalla girandola, mi condusse sempre percotendomi al monistero; e in presenza di tutte le suore mi diede un cavallo con quella discrizione che dimostrano i frati nel punire un frate da meno di loro se avviene che egli abbia sputato in chiesa, e fur tali e tante le scorreggiate che con la correggia del leggio mi diede, che mi s’alzò la carne per le natiche una spanna: e quello che più mi dolse fu che la badessa tenea la ragione del baccelliere. Onde io, stata otto giorni ungendomi spesso e bagnandomi con acqua rosa, feci intendere a mia madre che, se mi volea veder viva, venisse tosto: e trovandomi che non parea più dessa, credendosi che io fossi caduta inferma per le astinenze e per i mattutini, a tutti i patti del mondo volse che allora allora io fossi portata a casa, né valse ciance di suora né di monica a farmici rimanere pure un dì. E sendo a casa mia, mio padre che temea più mia madre che non temo io non so che, di subito volea correre per il medico: e non fu lasciato per buon rispetto. E non potendo io celare il male da basso, dove lo staffile si era maneggiato come si maneggiano le mazze dei fanciulli la sera della settimana santa per le predelle degli altari e per le porte delle chiese dopo gli uffici, dissi che per macerare la carne, sedendo sopra un pettine dalla stoppa, ciò mi era avvenuto: ghignò mia madre alla scusa magra, perché i denti del pettine mi avrieno passato il core, non pure il culo (sano il tuo sia), e per lo meglio si tacque.
Antonia
Io comincio a credere che sia il vero che tu abbia dei guai per la Pippa in quanto al farla monica, e ora mi ricorda che quella benedetta anima di mia madre solea dire che una suora di un monestero, acciò che tutti i medici le mettessero lo orinale nella vesta fingea ogni terzo dì di avere tutti i mali.
Nanna
Io so ben chi ella fu, e non la ho conta per lunghezza. Ora, da che io ti ho tenuta tuttodì oggi con le ciance, vo’ che ne venga istasera meco.
Antonia
Ciò che ti piace.
Nanna
E mi aiterai a sbrigar di alcune cosette; e poi domane dopo disinare, in questa mia vigna, sotto a questa proprio ficaia, entreremo alla vita delle maritate.
Antonia
Eccomi per servirti.

E così detto, sanza ingombrarsi di veruna cosa della vigna, si avviaro a casa di Nanna che stava alla Scrofa: dove giunte in su lo annottarsi, la Pippa fece alla Antonia molte carezze e così venuta la ora di cena, cenaro; e state così un poco, giro a dormire.

FINE DE LA PRIMA GIORNATA.