Rime (Michelangelo)/22. Che fie di me? che vo' tu far di nuovo

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22. Che fie di me? che vo' tu far di nuovo

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22. Che fie di me? che vo' tu far di nuovo
21. Chiunche nasce a morte arriva 23. I' fu', già son molt'anni, mille volte
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Che fie di me? che vo’ tu far di nuovo
d’un arso legno e d’un afflitto core?
Dimmelo un poco, Amore,
acciò che io sappi in che stato io mi truovo.
  Gli anni del corso mio al segno sono,5
come saetta c’al berzaglio è giunta,

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onde si de’ quetar l’ardente foco.
E’ mie passati danni a te perdono,
cagion che ’l cor l’arme tu’ spezza e spunta,
c’amor per pruova in me non ha più loco;10
e s’e’ tuo colpi fussin nuovo gioco
agli occhi mei, al cor timido e molle,
vorria quel che già volle?
Ond’or ti vince e sprezza, e tu tel sai,
sol per aver men forza oggi che mai.15
  Tu speri forse per nuova beltate
tornarmi ’ndietro al periglioso impaccio,
ove ’l più saggio assai men si difende:
più corto è ’l mal nella più lunga etate
ond’io sarò come nel foco el ghiaccio,20
che si distrugge e parte e non s’accende.
La morte in questa età sol ne difende
dal fiero braccio e da’ pungenti strali,
cagion di tanti mali,
che non perdona a condizion nessuna,25
né a loco, né tempo, né fortuna.
  L’anima mia, che con la morte parla,
e seco di se stessa si consiglia,
e di nuovi sospetti ognor s’attrista,
el corpo di dì in dì spera lasciarla:30
onde l’immaginato cammin piglia,
di speranza e timor confusa e mista.
Ahi, Amor, come se’ pronto in vista,
temerario, audace, armato e forte!
che e’ pensier della morte35
nel tempo suo di me discacci fori,
per trar d’un arbor secco fronde e fiori.
  Che poss’io più? che debb’io? Nel tuo regno
non ha’ tu tutto el tempo mio passato,
che de’ mia anni un’ora non m’è tocca?40
Qual inganno, qual forza o qual ingegno
tornar mi puote a te, signore ingrato,

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c’al cuor la morte e pietà porti in bocca?
Ben sare’ ingrata e sciocca
l’alma risuscitata, e senza stima,45
tornare a quel che gli diè morte prima.
  Ogni nato la terra in breve aspetta;
d’ora in or manca ogni mortal bellezza:
chi ama, il vedo, e’ non si può po’ sciorre.
Col gran peccato la crudel vendetta50
insieme vanno; e quel che men s’apprezza,
colui è sol c’a più suo mal più corre.
A che mi vuo’ tu porre,
che ’l dì ultimo buon, che mi bisogna,
sie quel del danno e quel della vergogna?55