Roma sotterranea cristiana/I

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I. Il Cimitero di Santa Sotere

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Introduzione II
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I.

Il Cimitero di Santa Sotere.


Chi abbia già letto il 2.° tomo dell’Opera, facilmente ricorderà come in quello accennasse il ch.mo A. ad un’ampia sotterranea Necropoli, tra la via Appia e l’Ardeatina, a occidente delle Cripte papali, la quale si aggiunge ed allaccia alla vastissima Callistiana. Allora però ei si studiò solamente di determinarne i veri limiti; e l’egregio fratello Michele dimostrò analiticamente, non con ordinaria dottrina geologica e architettonica, essere una e sola vastissima regione, formata di quattro zone, aggiuntesi successivamente le une alle altre.

Non era, è vero, ignota ai sacri Archeologi questa vasta regione della Callistiana necropoli, e già si conosceva nel sec. XV; se non che rimasta fin qua, non pure anonima (senza cioè un particolare storico nome come le altre) non si conosceva nemmeno il suo proprio ed esatto perimetro: donde tante erronee opinioni ne vennero e in [p. 5 modifica]fatto di nome e di topografia. Ed ecco perciò il còmpito che qui si propone il ch. Autore: vedere se questa grande sotterranea zona ebbe mai speciale denominazione dai sacri archeologi che lo precederono in siffatti studi; e se que’ nomi che variamente ebbe da alcuni di essi, sieno esatti, e rispondano adeguatamente alla storia, alla topografia ed alla critica. Quindi è, che, messe da parte le vecchie opinioni già dimostrate o meramente congetturali o fallaci, e non fidandosi per questo ai giudizi già emessi dai passati scrittori, prende anzi tutto a guida principale i dati topografici, storici ed eprigrafici; e così riesce felicemente a scuoprire che la Basilichetta sovraposta al grande quadrilatero sotterraneo, essendo veramente quella di Santa Sotere o Soteride, dovette dare il nome alla sotterranea necropoli. E tanta è la lucidezza dei concetti, il collegamento e naturalezza delle deduzioni e la testimonianza che sa trarre dalle Iscrizioni, svelandone l’arcano linguaggio, che bisognerebbe aver perduto il ben dell’intelletto per non rimanerne persuasi e convinti.

E pare impossibile che di quanti scesero in questi sacri recessi pel corso del sec. XV (e ne fanno testimonianza i nomi e le epigrafi cronologiche che ancora si vedono, massime nella cripta del buon Pastore) principiando da quel famoso Pomponio Leto, il quale fittosi in testa «di trasformare il paganizzamento letterario in religioso», soleva scendervi co’ suoi compagni unanimes investigatores antiquitatis1 pare impossibile, riprendo, che nessuno si prendesse pensiero di richiamare a vita di cotesti luoghi le sacre e venerande memorie. Infatti avverte l’Autore (cap. I) che non prima del sec. XVI si pose mente a questa importantissima regione della Callistiana necropoli. E il primo fu il dotto Alfonso Ciacconio, che ne lasciò i suoi studi nel Codice Vat. 5409, sotto il nome di coemeterium s. Felicitatis. Se non che il sottile nostro Archeologo rileva che, quanto è vero che gli affreschi studiati e raccolti dal dotto Domenicano partengono veramente a questa sotterranea zona, altrettanto è erroneo che il Cimitero dir si debba s. Felicitatis; avendo già provato sino all’ultima evidenza il ch.mo A., massime nel suo Bullettino di Arch. cristiana2, che il cimitero della insigne martire giace, non sull’Appia, ma sulla via Salaria.

Ma forse, dirà il lettore: come tanto valente uomo, che fu il Ciacconio, e i dotti Bollandisti che pare ne secondassero l’opinione, cader poterono in sì fatto abbaglio?

Il sagace A. avea preveduta l’obiezione: e però, secondo suo costume di nulla mai asserire senza provare, rintraccia l’origine dello [p. 6 modifica]scambio, e mostra chiaro e aperto come l’errato titolo di s. Felicita, dato a questo Cimitero, derivasse dall’aver prestato troppo ciecamente fede ad un antico Indice dei Cimiteri di forma corrotta, adoperata da chi lo inserì nelle Mirabilia urbis Romæ. Indice ch’ei dimostrò, con quella sorprendente erudizione e finissima critica tutta sua propria, nel primo tomo dell’Opera3, essere viziatissimo e fallace, vuoi per le arbitrarie trasformazioni di nomi, vuoi per le non infrequenti lacune ed erronee indicazioni d’ipogei e di luoghi. Per la qual cosa, mostrato come codesto Indice stia in contradizione coi veri monumenti e coi più antichi testi e dati della topografia cimiteriale, facilmente s’intende perchè il Ciacconio ce lo dasse pel cimitero di santa Felicita.

Il dottissimo Bosio vi scese secondo: e dopo averlo in gran parte percorso ed esplorato, si contentò chiamarlo il Cimitero delle bocche (dai molti suoi lucernarii). Perocchè, chiamarlo col suo precursore Ciacconio sanctae Felicitatis, egli non poteva; ben sapendo che s. Felicita diè nome ad un cimitero della Salaria, non dell’Appia; che fosse poi il Cimitero di s. Balbina con la sua basilica sovrastante, sebbene lo sospettasse, non volle asserirlo; quindi rimase per lui anonimo ed il Cimiterio delle bocche.

Il de Rossi però, sicuro del canone ormai certo della scienza archeologica, rispetto ai cimiteri cristiani; che questi, cioè, nell’età della pace e dei pellegrinaggi a que’ santuarii, prendevano quasi sempre il nome dalla maggiore basilica o chiesetta che ne stava sopra terra, muove dal rintracciare il vero nome dell’edificio, che originariamente esiste (e le mine ce lo attestano ancora) sopra il dorso del cimitero di cui ragioniamo. E a questo fine prende a studiare accuratamente que’ sarcofagi ed iscrizioni che si dissero rinvenute nel 1640 nelle rovine di una basilica tra le vie Appia e Ardeatina; e queste tutte raccoglie in un corpo a lume e guida delle sottili sue investigazioni. Consulta i primi studiosi raccoglitori dei monumenti della callistiana necropoli, come Aleandro, il giuniore, il Judio, il Fonseca e i più preziosi antichi Codici: i quali tutti gli dicono che veramente inter vias Ardeatinam et Appiam fu una basilica. Ma, e il nome di questa? Ecco l’incognita del problema. Perocchè non è quella basilica a tre navi, ricordata nel Codice Vallicelliano (G 36), già dedicata a S. Damaso, meglio, come evidentemente prova il ch.mo nostro A., a san Marco papa; e nemmeno è da confondersi con altre chiesette ed oratori, che alla superficie del grande Cimitero pertennero.

[p. 7 modifica]È ormai evidentemente dimostrato, che della immensa Callistiana necropoli, quella regione la quale si estende a occidente tra l’Appia e l’Ardeatina, contiene altri cimiteri minori incorporati alla grande necropoli; i quali sono conosciuti, per antichi, genuini e svariati documenti, sotto i nomi di santa Sotere, Ippolito, e Balbina. La questione si riduce dunque a vedere quale dei tre nomi convenga alla basilica di cui ragioniamo, e quindi al grande sotterraneo cimiterio.

Intanto il ch.mo A. principia a dimostrare (cap. II) che il cimitero di s. Ippolito non può esser quello che ’or va esaminando; perocché desso è situato col suo arenario lungo la via Appia a settentrione; mentre questo è tra l’Appia e l’Ardeatina a levante; e poi non sappiamo che alcuna chiesetta esistesse mai sul suo arenario. Nemmeno è da scambiarsi col cimitero di s. Balbina; avendo l’A. ormai provato e nel tomo I (p. 265)., e nuovamente in questo, come la postura di esso non è nella parte più settentrionale della cristiana necropoli, racchiusa tra le due nominate vie. Qual conseguenza pertanto più legittima, che dei tre nomi quello veramente si convenga alla Basilichetta e suo sotterraneo, di s. Sotere? Mi sarebbe però impossibile, se io qui volessi formulare in poche parole la vasta erudizione, il ragionare sottile, la critica esposizione dei fatti e dei monumenti, onde il sommo Archeologo viene alla conclusione della sua tesi. Talmentechè, dubitare ancora della convenienza dei nome di s. Sotere con la chiesetta, rimasta fin qua anonima, e col suo sottostante cimitero, sarebbe un negar la luce in pieno giorno.

Ma qui sorge un’altra difficoltà: altre sante omonime si leggono nel romano Martirologio; qual sarà dunque quella, cui è intitolato il sacro edificio ed il sotterraneo?

Difficoltà, invero, spinosa e difficile; ma già in gran parte sciolta dall’A. nel I e II tomo dell’opera, ove chiamò a rassegna e collazionò i più antichi Martirologi, donde trasse gran lume a discernere l’età, il nome e la passione dei martiri che riposano nella vasta necropoli della R. S. Tornato quindi a interrogare cotesti Martirologi, e confrontando le testimonianze di questi con quanto ne dicono i gravi autori, e anzitutto, il famoso Codice di Berna, da lui recentemente scoperto, dilegua il dubbio di Ruinart4 e conferma l’asserzione di Tillemont5, che la nostra Sotere è veramente quella, di cui il natale si celebrava ai 10 di Febbraio, secondo il Calendario Gelasiano, o agli 11 come ricorda una preziosissima iscrizione dell’anno 401; siccome a’ 6 di detto mese, se ne festeggiava il martirio.

[p. 8 modifica]Non può nascondersi peraltro che cotesta varietà di date portava naturalmente una nuova difficoltà: furono per avventura, come le date, due le martiri omonime? Lo credè il Fiorentini: ma al dottissimo de Rossi non rimane difficile conciliare i due giorni 10 od 11, e 6 di febbraio con la identità della martire Sotere della via Appia. Prova infatti (cap. III) che, se la iscrizione del 401 dice: natale Domnes Sitiretis tertium idus Feb., e poco di poi il messale Gelasiano lo anticipa al giorno precedente, ai 10 di febbraio, cotesto natale fu del dì della nascita non del martirio. E in verità, tutt’i più antichi codici martirologici, segnatamente i maggiori Geronimiani, mettono: viii id. feb. Via Appia. passio Soteris ec. Sarebbe però grande sbaglio, avverte con accortezza il ch. Autore, se si volesse credere esser la medesima Sotere, che nel martirologio di Adone è ricordata ai 12 di maggio.

Il felice discuoprimento fatto dall’infaticabile nostro A. del prezioso Codice di Berna, scioglie omai l’intricatissimo nodo intorno all’esistenza di una o più martiri romane conosciute sotto il nome di Sotere. Chiaro infatti per codesto Codice apparisce che tre furono le omonime martiri: una, di cui il Codice ci lascia all’oscuro rispetto all’età in cui visse, e alle sue condizioni, ricordandola semplicemente in gruppo con altri martiri sulla via Lavicana: una seconda vergine Sotere, presso la via Aurelia, la quale patì insieme a s. Pancrazio il martirio; ed una terza che (dice) ebbe cimitero proprio presso la via Appia, non che culto e feste anniversarie sì nel giorno del suo nascimento, 10, (poi 11) di febbraio, come del suo martirio ai 6. Ed ecco la vergine martire romana, la s. Sotere martirizzata nell’an. 304, di cui l’A. ragiona.

Ma chi era questa Sotere, quali le sue condizioni, la sua parentela?

Che ella fosse di nobilissima famiglia romana e d’ordine consolare, non che congiunta in parentela al grande vescovo di Milano s. Ambrogio, non è più a dubitare. Ma da qual famiglia romana traessero origine e la nostra Martire e il grande Ambrogio, fu tenuta fin qua cosa oscurissima e incerta a sapere. Ma oggi non lo è più, grazie alla dottrina ed erudizione del nostro Autore. Egli richiama qui (cap. IV) alla memoria quanto scrisse, e largamente, intorno a questo argomento nel suo Bullettino di Arch. crist.6, ove mostrò con quella solida erudizione tutta sua propria, come Ambrogio e il fratel suo Sotiro, discendessero, pare per linea materna, dalla Gente Aurelia. Quindi di cotesta [p. 9 modifica]famiglia non è punto improbabile che discendesse l’inclita eroina nostra, parente del grande Ambrogio. Però non è da scambiarsi la famiglia Aurelia consolare con la imperiale, E sebbene s. Ambrogio portasse il gentilizio Aurelio, pure egli stesso parlando della sua prosapia e dei suoi antenati, che furono o consoli o prefetti od onorevoli magistrati d’altr’ordine, ma nessuno di essi rivestito di dignità imperiale, mostra chiaro e aperto che dalla consolare, non imperiale discendesse: e però l'acuto nostro Illustratore vorrebbe intravedere la comune origine di Ambrogio e di Sotere nella famiglia degli Aurelii Cotta: famiglia sì celebre nei fasti della Repubblica romana, e che per via di adozioni continuò nei Massimi e nei Messala. Peraltro il coscenzioso Autore non si lascia illudere da cotali congetture, per quanto sieno di molto valore e ragionatissime: né nasconde che la difficoltà resterebbe nulladimeno insoluta. Perocché il gentilizio Aurelius, che portava Ambrogio, pare matronimico; e Sotere, secondo le parole istesse del santo Arcivescovo7, gli fu congiunta per linea paterna. Quindi il ch. A. in quest’altra guisa risolve il problema. Era di que’ tempi costume che i grandi personaggi prendevano doppio nome: uno, dal lato paterno; dal materno, l’altro. Ond’é che Ambrosius dovett’essere il cognome paterno; come Aurelius il gentilizio materno. Donde ne consegue che Sotere, da s. Ambrogio chiamata antenata della sua Gente (auctor generis), dovè essergli, non per linea materna, ma paterna congiunta. Né potendosi poi dire che fosse sua ava, per la ragione che subì il martirio nel fiore della sua verginità, si può credere che almeno fosse sua zia.

Diradate così le maggiori tenebre, che ascondevano la parentela tra il grande Vescovo di Milano e la martire Sotere, volge l’animo l’egregio A. a investigare i monumenti che si accolgono in questo Cimiterio, già sapendo che quivi esser doveano i patrii sepolcri dell’inclita sopraricordata Eroina.

È vero che i due fratelli germani, Ambrogio e Sotero e la sorella Marcellina, morirono in Milano, e furono deposti presso i martiri Vittore, Gervasio e Protasio; ma dal prezioso epitaffio di Marcellina, riportalo dal Grutero8, subodorò il de Rossi che in Roma, in quest’istesso cimiterio, si dovea trovare il cristiano sepolcro dell’antica prosapia di Ambrogio e di Marcellina, antenata della nostra martire Sotere. Ed ecco perché rivolge tutte le sue indagini alle mine della sovrapposta Basilichetta. Egli ha potuto infatti scuoprire che il sepolcro della illustre Martire, dopo precaria dimora nel sotterraneo, [p. 10 modifica]dovett’essere trasferito in cotesta chiesetta sopra terra: qui dunque anche gli avelli dei nobili parenti di lei. Se non che le barbare devastazioni già sofferte dal sacro luogo, lo scompaginamento e corrosione dei sarcofagi, e la dispersione degli epitaffi infranti e smarriti, chiunque avrebbero sgomentato a cercarvi la istoria che si voleva. Non si perde però d’animo il de Rossi. A lui bastano anche pochi framenti, per divinare con la portentosa sua erudizione i genuini fatti e la storia dei muti abitatori della sotterranea Roma. E in verità, raccoglie que’ miserabili avanzi di sarcofagi, precipitati nel sotterraneo, e pochi altri frantumi d’iscrizioni che riesce a trovare scavando dentro e fuori della Basilica; li ricompone pazientemente, e vi scuopre ripetuti i nomi di Aurelii, di Tiziani e di Marcelline: tutti nomi proprii e veri della prosapia Ambrosiana. Ond’è, se a tutto questo si aggiunga il poliandro sepolcro di vari Aurelii ivi pure dissepolto dalle ruine, non sarebb’egli singolare leggerezza, per non dir peggio, il non voler credere che quivi furono i patrii sepolcri di Aurelio Ambrogio, arcivescovo di Milano, e della sorella Marcellina?

Delucidati con una critica ed erudizione senza pari i punti più oscuri intorno alla vera martire, s. Sotere, da cui prende nome la sotterranea necropoli; e dimostrato con piena evidenza esser dessa la illustre martire e vergine romana di sangue consolare, e congiunta di parentela al grande vescovo Ambrogio di Milano, passa (cap. V) il ch.mo Autore a narrare storicamente il culto solenne che, dal tramonto del secolo IV al IX (in cui il venerato ipogeo della martire cadde in oblio) ebbe non interrottamente s. Sotere dai visitatori paesani e stranieri. Indi scende nel sottoposto Ipogeo; e prendendo quasi a mano il lettore (tanta è la chiarezza della descrizione ch’ei ne fa topografica!) lo conduce al vero sito ove fu deposta l’inclita Vergine appena che ricevuta ebbe la gloriosa palma del martirio. Passa la 1.a la 2.a e 3.a cripta, le quali, misere e disadorne, non poteano certo aver accolte le spoglie mortali dell’illustre martire di stirpe consolare: e giunge a un punto, ove per grande frana l’ambulacro ne resta interrotto e chiuso. Egli però non indietreggia: fa sgombrare le ammassate macerie; ed ecco all’aperto il luogo del desiato sepolcro in una cripta absidata. Che se l’ignobilità del luogo sembrerebbe stare in opposizione con la nobiltà dell’illustre Deposta, non lo è, se si rifletta che non andarono molti anni dal suo martirio, che trasferita venne, come prova il ch.mo Autore, dal sotterraneo alla Basilichetta sopra terra, costruitavi nel quarto secolo, e però quasi contemporaneamente al martirio della santa Vergine medesima: donde avvenne [p. 11 modifica]naturalmente che il sito sotterraneo perdette ben presto ogni storica importanza. Vero è che assolutamente provar non si può, per difetto di documenti, né il fatto né il tempo di cotale trasferimento; ma tali sono le ragioni, onde il dotto Autore lo argomenta, che non puossi omai più tenerne dubbiosa la mente.

Dei tre cubicoli che incontriamo nell'Ipogeo, prima di pervenire al monumento di s. Solere, uno ve n’ha, che il sommo p. Gesuita Marchi sospettò (non sapendo dirne altro) che a famiglia privata pertenesse. Or ecco il non meno dotto suo discepolo svelare per il felice ritrovamento del titoletto Eutychiorum un tempo affisso sulla porta del rotondo cubicolo, che ivi ebbero stanza gli Eutichi, specie di Collegio funeratizio. Né il grecanico cognome, né il fatto nuovo di sodalizi funerari nei cimiteri suburbani dà noia all’erudito nostro archeologo. Egli c'insegna com’era frequente in Roma, nei secoli III e IV, l’uso tra’ magnati di assumere un cognome di greca derivazione (e ognuno sa quanto i Romani spasimassero per i Greci!); i quali peraltro erano personali (si noti bene) non gentilizi. Per rispetto poi al sodalizio, ne abbiamo un riscontro nell’ipogeo di C. Servienio Demetrio presso la via Latina, ov’era il cubicolo del familiare sodalizio funerario Pancratiorum. Il difficile sta piuttosto nel sapere qual famiglia romana si nascondesse sotto il nome sodaliziario degli Eutichii; e qual relazione e attinenza avessero potuto avere con s. Sotere, signora eponima del grande sotterraneo Cimiterio. Duplice difficoltà invero ardua a risolversi, da che ne mancano i dati certi e gli storici documenti. E il de Rossi, cui non piacque mai dare ipotesi per tesi, si limita a rispondervi con induzioni e congetture; molto ben fondate però, e tali da rendere probabilissimo lo scioglimento che ne offre. Nelle iscrizioni, che per lo più frammentate trova sparse per il cubicolo, legge ripetutamente i nomi e cognomi della famiglia dei Florii e Florentii, i quali costituivano una sola Gente (forse l’Annia) e nel secolo IV si trovano salire agli onori prefettizi e consolari, nominati Floriani, Florentii e Florentini indistintamente. Per questi pochi dati ed altri argomenti che la sua vastissima erudizione gli suggerisce, induce l’acuto Autore che, o cotesti medesimi, od un loro gruppo, debbono essere stati i ricordati Sodali Eutichii; non dimenticando che il nome Eutichio non fu gentilizio, ma personale. Che se non può ammettersi essere stati i Florii e i Flavi Florentii, tuttoché nobilissimi e patrizi Romani, gli antenati di s. Sotere, ciò non impedisce che per via di matrimoni si congiugnessero le due parentele, e ne venisse nei Sodales Eutichii il diritto di avere nell’ipogeo della nobilissima Martire il proprio loro sepolcro.

[p. 12 modifica]Svolte così le generali nozioni intorno al Cimiterio; e rivendicato ad esso il suo vero e proprio nome, scende il ch. Autore (cap. VII) ad illustrare partitamente le quattro aree, o regioni, ond’è composto, come già avvertimmo, il grande sotterraneo. Muove quindi dalla prima e generatrice delle altre, come dimostrò egli storicamente, e il fratel suo Michele architettonicamente, nel II tomo dell’Opera9. E poiché è questa una continuazione della Callistiana necropoli occidentale, ove stanno e la cripta del santo papa Eusebio e l’altra dei ss. Calocero e Partenio, prende a ragionare anche della cripta del s. Pontefice; la quale avendo con l’area di s. Sotere stretta relazione, si serbò a parlarne più largamente in questo terzo volume.

Innanzi però di esporne i particolari, riassume sinteticamente quanto già ne disse nell’antecedente tomo10; che la cripta, cioè, di s. Eusebio, scavata nei tempi che corsero tra la seconda metà del sec. III e la prima del IV, tanta simiglianza ritiene con le gallerie della I area di s. Sotere, di cui ragioniamo, che queste si mostrano indubitatamente contemporanee a quella, anzi di quella una vera continuazione. E ciò il ch.mo A., a studio, ricorda per vieppiù fermare e dichiarare i dati storici e monumentali, onde mostrò precedentemente come il classico Cimiterio di s. Solere era già nel secolo IV in onore.

Quindi, entra a ragionare in proposito della area I (cap. VIII), principiando da quel gruppo di cubicoli che formano una cripta partita in quattro stanze, e che s’incontra tosto che, lasciato s. Eusebio, si entra in quella via che si prolunga nel sotterraneo verso occidente. E cotesta cripta, dalle immagini oranti che vi si vedono dipinte, è detta dei cinque santi; siccome l’altra, (cap. IX), scavatavi da Severo, diacono di s. Marcellino papa, com’è a doppio cubicolo, è conosciuta sotto il nome di Cubicolo doppio.

Un’altra via taglia, nella direzione di nord-est e sud-ovest, il sotterraneo (cap. X); e lungo codesta via, che si prolunga sulla destra della prima, s’incontrano altri cubicoli, tra’ quali la maggior cripta tricubicolare, la quale portando in fronte del maggior arcosolio, scritto in rosso, Patricino, fu naturalmente detta di Patricio.

Tornati sulla prima via (cap. XI), e camminando nella direzione primitiva, non pochi cubicoli ed arcosolii si presentano a destra e a sinistra: ma sopra tutti primeggia la grandiosa e triplice cripta d’Eunucus; della quale il ch. A. deplorò la «devastazione con la perdita di ogni memoria capace di dircene il nome» (p. 64).

[p. 13 modifica]Di faccia alla grandiosa cripta, si apre sulla nostra sinistra altra via, che il ch.mo Autore tornerà ad esaminare ed illustrare, dopo avere studiata a destra tutta la parte che rimane lunghesso la via che percorriamo. Pertanto, oltrepassati i cubicoli e le accennate cripte, si entra in un ambulacro, o via trasversale nella direzione parallela all’altra or accennata, e che si prolunga, per quanto tiene l’area che andiamo esaminando. In questa, appena entrati, ci si presenta sulla destra un arcosolio, cui di fronte si vede una quadruplice cripta, ma con sepolcri aperti e devastati. Una iscrizione però, unico avanzo della saccheggiata cripta, suggerisce al ch.mo Autore il nome di essa, cioè di Ulpio Florenzio, e non sarebbe alieno dal credere, che que’ Florenzii, di cui già ragionò, fossero gli autori di questo rispettabile ipogeo (cap. XII).

Ne vengono in seguito altri cubicoli, là, ove piegando la via quasi ad angolo retto verso settentrione, torna a congiungersi con l'altra che dicemmo tagliare orizzontalmente il sotterraneo, e per tal modo ne forma una zona quadrata. Quindi, esaminatine i cubicoli e gli arcosolii, poverissimi in vero di memorie e d’interesse, torna (cap. XIII) sulla via principale, e volgendosi sulla sinistra, prende a esaminare le gallerie che percorrono l’accennata via di faccia alla cripta dell’Eunuco, non che le varie appendici di cubicoli sparsi sulla sinistra zona della area I della necropoli Soteridiana. Se non che del tutto poveri, squallidi e disadorni, non offrono niente di singolare all’attenzione del sapiente illustratore, tranne la triplice cripta, ricca di belle immagini del buon Pastore (detta però della Pecorella), la quale già illustrò nel tomo secondo11. In questa pertanto concentra i suoi studi, e ne completa la trattazione. Stabilisce l’epoca di sua origine, desumendola dai dati cronologici, avvalorati dai caratteri architettonici e topografici, e dalla forma della croce, asiatica, gammata, che vede incisa sulla tomba di un fanciullo; sicché tutto gli rivela una origine non anteriore alla seconda metà del secolo III, né posteriore alla prima del IV. Avuto poi riguardo alla sua forma di chiesetta, non dubita a credere, che servir dovesse, a quei tempi di persecuzione, di sicuro asilo ai buoni cristiani per le loro segrete sinassi. Come poi questa cripta fu la più simpatica a quanti curiosi visitatori scesero in questa sotterranea regione, massime nel secolo XV, egli non lascia di raccorre di essi il nome scritto col carbone sulle pareti, per es., di un Zaccaria Ab. di s. Ermete di Pisa an. mccclxvii; [p. 14 modifica]d’un Ranuzio Farnese, an. 1490; d’un Girolamo Minutolo, an. 1495 e di altri più recenti personaggi.

Descritta così topograficamente questa I Area, si crederebbe che ne dovesse venire la illustrazione de’ suoi monumenti, si dipinti come epigrafici; e indi passare alle altre, per illustrarle con simile metodo. Ma no: l’Autore ebbe più sottile avvedimento. Come dei monumenti epigrafici tornava meglio riserbare (come egli ha fatto] la trattazione generale e completa, in ultimo dell’assoluta descrizione di tutto il gran cimitero Soteriano, perchè fosse di suggello alla critica esposizione storica del medesimo; così per lo contrario, conveniva che qui prendesse in esame non pure le dipinture di questa area, o zona, particolare, ma e delle altre ancora; perocché le une con le altre per modo si uniscono e a vicenda s’illustrano, che i monumenti figurati (svolgimento dell’arte cristiana) servono mirabilmente di criterio certo e sicuro, a stabilire i dati cronologici del genesi o sviluppo di tutte le varie cripte che nel grande cimitero si accolgono.

Lasciati dunque, per ora, da parte i monumenti epigrafici, consacra tre capitoli (XIV-XVI) ai figurati o dipinti, dei quali non pochi erano rimasti fino a oggi o ignorati o negletti. Prende di qui occasione a correggere il Ciacconio e il Bosio, intorno a certe dipinture da loro divulgate erroneamente. Intanto dall’osservare una successiva scarsità di pitture, in ragione che c’inoltriamo nelle secondarie e terziarie regioni; dal dato storico che l’uso del dipignere nei sotterranei andò dal IV secolo in poi sempre declinando; trae nuovo argomento a stabilire che coteste regioni andarono successivamente formandosi ed aggiugnendosi tra il III e V secolo. E tutto questo espone e svolge con tanta profondità di dottrina e vastità di erudizione, che mi sarebbe impossibile riassumerla in poche parole.

Riprendendo il cammino sulla prima via (cap. XVII), entriamo nell’Area seconda, che si distende a settentrione. È di forma anch’essa quadrilatera, e divisa da una via centrale, che incrocia il prolungamento della prima. Lunghesso queste vie si alternano regolarmente arcosoli e cubicoli, di fronte gli uni agli altri. È la zona per altro la più povera e devastata della Soteriana necropoli; e serba ancora sulle rozze pareti, tracciati i nomi de’ suoi devastatori del sec. XVII e VIII.

Ma se dalla scarsità de’ monumenti nulla di singolare importanza può trarne il ch. A., tuttavia la singolare regolarità di cubicoli e arcosoli lungo le gallerie, gli offrono un argomento non dubbio della posteriore formazione di questa Area rispetto alla prima; sicché avuto riguardo alle sue architettoniche forme gli si rivela per opera del sec. IV. [p. 15 modifica]L’Area terza, la quale può dirsi continuazione della seconda, ad occidente, subì le istesse devastazioni e saccheggi d’ingordi scavatori del secolo decimosettimo. La inusitata forma però de’ suoi cubicoli offre all’accorto A. un nuovo periodo del sotterraneo svolgimento cimiteriale. Nota infatti che la via principale di quest’Area, con il prolungamento della via che congiunge le prime due zone, e poi volge ad angolo verso occidente, divenne l’arteria principale di questa terza regione. Se dunque cotesta arteria non è che lo svolgimento e prolungamento delle altre due vie, bisogna ben ammettere la contemporaneità di questa terza Area con la seconda.

Scese già il dotto illustratore (cap. V e VI) in questa terza regione, quando volle additarci il sito preciso, ove induttivamente provò essere stata deposta l’eponima eroina di questa necropoli, appena subito il martirio: e allora parlò anche della classica rotonda degli Eutichii. Or dunque non gli rimane a dire di questa squallida e saccheggiata regione rispetto ai monumenti, che di un doppio cubicolo scopertosi recentemente. Questo illustra; e dai dati che gli offre ne fissa l’origine nella prima metà del secolo IV. E infatti, quelle epigrafi che vi si leggono con la terminazione di antico sapore: in pace, in christum; e il ripetuto monogramma occulto del signum christi () non ti ricordano i tempi della orrenda Dioclezianea persecuzione? Vero è che vi si incontra pure il monogramma svelato costantiniano () ma ciò non prova altro che questo sacro recesso continuò ad esser mortuario asilo dei cristiani anche dopo la vittoria della Croce.

Peraltro, se per la parte monumentale nulla offre questa zona, o area, di singolare, vi trova bensì il dotto nostro Archeologo una singolarità tutta propria di lei: la forma speciale architettonica delle sue cripte.

Sono coteste infatti costruite a guisa d’emiciclo poligonale, cruciformi con loro abside; e coperte di volta rotonda. Questa singolarità di costruzione non potea certo fuggire alla mente perspicace del de Rossi il quale dalla oscurità, direi, istessa, sa trarre luce e argomenti a rendere istoria e vita a questi sacri e venerandi recessi.

Ei si domanda dunque (cap. XVIII): quando principiò a prevalere cotesto novello tipo di architettura; qual ne fu l’uso e lo scopo? E risponde (con un’ampiezza di erudizione e critico ragionamento, cui io non so tener dietro) che cotesta forma segna l’ultima fase architettonica nel generale svolgimento della grandiosa necropoli Soteriana: e scende ai fatti. Com’è indubitato che le regioni, seconda e terza, sono il prolungamento e la continuazione della prima; così cotesta forma, alla semplice e rettilinea dominante nella prima, prevalse [p. 16 modifica] e subentrò nell’area terza e quarta. Ora, è dimostrato che l’area prima è del secolo II cadente, o del IV entrante; la seconda e la terza, degli ultimi del III secolo, e della prima metà del IV; l’area quarta, del IV inoltrato. Confrontando adunque le quattro cripte della terza e quarta regione, architettate alla maniera di quella degli Eutichii, a emiciclo e absidate, ne pare evidente che come la cripta Eutichiana ne fu il tipico esemplare, così il principio cronologico siccome lo sviluppo di tal forma architettonica, si debba tra il III e IV secolo stabilire.

Il difetto poi assoluto di memorie ed epigrafici monumenti di questa devastata regione, pone nella impossibilità il ch. A. di sapere lo scopo preciso e la ragione, perchè di questa forma absidata e circolare venissero costruite coteste cripte. Se non che il confronto di queste (rispetto all'uso) con i mausolei costruiti sopra terra (de’ quali parlerà a suo tempo in questo volume) gli suggerirebbe il pensiero che come questi, così quelle contener dovessero in mezzo il sarcofago di qualche illustre defunto, o martire della fede, e destinate fossero a celebrarvi le commemorazioni degli estinti confratelli e le rituali agapi e sinassi.

E qui termina la illustrazione topografica, e di tutte le pitture quante ne potè scuoprire nelle principali cripte delle quattro regioni; offrendone la riproduzione cromolitografica, in dieci e più Tavgle, con tanta verità e scrupolosa esattezza, che in rimirandole bisogna dire:

Non vide me’ di me chi vide il vero.


Un altro sistema di sepolcreti si sovrappone alla 1.a e 4.a area del grande Cimitero; ma per non ingenerar confusione di dati, di epoche e di nomi, a scapito della chiarezza e dell’ordine, si riserba il ch.mo A. a parlarne quando abbia esaurita completamente la trattazione delle quattro aree, con l’esame dei loro monumenti epigrafici dei quali appunto or passa a ragionare.

Né è a dire la pena e la fatica, che gli costasse lo studio e la retta restituzione di codesti monumenti. Racconta infatti (cap. XIX) che «gli epitaffi cimiteriali erano quasi tutti staccati dai loro loculi, infranti e mutili, e tanto misti con pietre diverse, precipitale dal suolo esterno e dai piani superiori per le scale e le bocche dei lucernari, che appena dopo lunghissima e minuta osservazione si può giungere a discernerne le classi, ricomporne le sparse e lacere membra, e dare alcun sesto ed ordine a sì arruffata matassa. Frantumi della medesima [p. 17 modifica] lastra ed epigrafe ho ravvisati a grandi distanze, altri nelle regioni di Eusebio, altri nel contiguo Cimitero di s. Sotere» (p. 97). E di cotal fatto ne rintraccia e ne spiega le cagioni.

Fu dunque necessario che prima raccogliesse tutte quante le iscrizioni e frammenti, che successivamente nelle sue esplorazioni gli davano alle mani; e poi accingersi al complessivo esame dell’ingente massa, per restituire ciascuno epitaffio alle loro respettive regioni e sepolcri. E così fece. Però, come il Cimitero di s. Sotere ebbe principio e svolgimento dalla regione di S. Eusebio, conveniva che dagli epitaffi di questa esordisse l’epigrafica illustrazione; e tanto più, che nel tomo II12 avendo descritto ed illustrato, anche ne’ suoi epitaffi, il piano superiore della Eusebiana necropoli, metteva bene che qui da cotesta regione riattaccasse il filo dell’epigrafica illustrazione, a complemento anche dell’istoria di essa necropoli.

Ma qual sarà l’ingegnoso metodo ch’egli adopererà per venire a capo in tanto caos, e dar vita e ordine ad un ammasso confuso di epitaffi e di pietre?

Egli stesso ce lo espone aperto: «Da prima separo tutti i marmi, la cui provenienza dal suolo esterno è certa, o in sommo grado probabile: parimente separo (in altro gruppo) gl’incerti, se al sepolcreto sotterraneo, ovvero a quello che fu all’aperto cielo, sieno appartenuti» (p. 97). Ma sopratutti volge particolare attenzione alle iscrizioni vere e proprie cimiteriali, come in maggior numero e più sicuro faro di verità. Quindi partisce queste in due classi: le rinvenute nell’infimo strato dello scarico sovrapposto; argomentando con giusto avvedimento, che quelle certamente appartener doveano alle istesse gallerie, sul cui suolo si trovano giacenti: e quelle, che per la loro integrità non offrono segni di esservi travolte rovinosamente da altri luoghi. Queste intanto le costituisce come nucleo principale e sicuro della famiglia epigrafica locale. Nè trascura pure i frammenti: anzi tien l’occhio sempre attento alle lapidi che per avventura gli capitano, smozzicate od imperfette che sieno, purché appartengano ai nucleo principale.

Con si giusto e sicuro criterio a guida, pon mano allo spinoso esame e alla paziente cerna. E se felicemente raggiugnesse lo scopo, lo dicono chiaro e aperto a ognuno che legga i dieci capitoli (XX-XXX); ove, e delle gallerie Eusebiane e del Cimiterio di s. Sotere nelle sue quattro Aree del piano principale, minutamente illustra e cementa le non poche migliaia di lapidi cimiteriali. Di tutte però è il più prezioso [p. 18 modifica] gioiello la lapide originale greca che cuopriva la veneranda tomba del santo pontefice Caio. Avea già dimostrato l’esimio A. nel tomo II come il santo predecessore di Marcellino papa fosse stato deposto nel Cimiterio di s. Callisto il 22 aprile dell’anno 296; ma del suo sepolcrale epitaffio nella cripta di s. Eusebio non volle parlare; perocché i pochissimi frammenti che allora aveva alle mani non lo assicuravano a dirne nulla di certo. Oggi però che tra cotesta farragine di ammassate macerie potè altri frammenti rinvenirne, giunge felicemente a ricomporre l’originale epitaffio, e nel cap. XXII lo riporta ed illustra a complemento di quanto ragionò nel precedente tomo intorno agli epitaffi papali. E qui è, per me, ove la sterminata erudizione e dottrina del preclaro Autore si manifesta nel suo più bello splendore. In coteste preziose pagine ti si rivela in tutta la sua realtà lo sviluppo successivo della vita politica ed artistica del Cristianesimo per i primi quattro o cinque secoli, che germogliò nei silenziosi recessi della sotterranea Roma. È una maraviglia vedere com’ei dalla forma dei monogrammi (più o meno occulti) del nome di Cristo, sappia trarre indizio non dubbio dell’età del sepolcro ove li trova apposti. Le ingenue formule; in pace, depositus, καταθεσις: non meno che la presenza, o no, del gentilizio nome del defunto, sono per lui dati cronologici a ritrovare a quale dei differenti piani, onde si compongono i sepolcreti, doveano pertenere le rimosse e sparse lapidi. Con una divinazione poi mirabile, e’ ricompone e torna a vita, novello Osea, le fratturate e disperse, ricongiugnendone i dissipati frantumi; supplisce e compie l’epigrafe di quelle rinvenute tronche e smozzicate. Se non che invano tenterei con la mia povera penna tutta svelare la profonda dottrina di sacra Archeologia che si accoglie in questa trattazione delle cimiteriali Iscrizioni. Lasciando adunque che il lettore se la gusti sulle auree pagine dell’opera medesima, seguiteremo i passi del sommo Archeologo, il quale, come ci avea promesso, passa ad illustrarci il primo piano della grande necropoli; quello, cioè, che sovrasta all’ampia quadripartita regione che siamo andati fin qui percorrendo.

Cotesto piano (cap. XXXI-III) riesce con le sue gallerie sopra appunto le due già descritte aree, 1.a e 4.a, là ov’esse si congiungono; e non è che la continuazione del piano superiore istesso dell’Eusebiana necropoli, nel cimitero di s. Callisto. La parte però dì questo piano che si attiene al cimitero predetto illustrò egli ampiamente nel tomo II13; e fin d’allora promise che del suo prolungamento [p. 19 modifica] ne avrebbe ragionato (come a suo luogo) allorché avesse illustrato il cimitero di s. Sotere. Or dunque in questo terzo volume scioglie la promessa; ed illustra splendidamente quest’ultimo prolungamento, che si estende nella necropoli Soteriana. Istituisce dei confronti tra questa seconda parte e la prima del piano già illustrato e descritto; e ne raccoglie dati certissimi a confortare sempre meglio le sue diritte induzioni intorno non pure all’età del vasto sepolcreto di s. Sotere, ma e del suo svolgimento, rispetto alla generale istoria della classica necropoli Callistiana. Che se arida, ingrata e minuziosa potrà sembrare al lettore la trattazione della regione inferiore, maggior diletto vorrà certamente prendere nella trattazione di questa superiore, ove l’A. ci addita e illustra una serie di gallerie non tocche dalla rapace mano dell’ignorante, ma ricche di arcosoli loculi ed epigrafi tuttora al loro posto; e di bellissimi vasi vitrei infissi (secondo costume d’allora) agli angoli esterni dei loculi; e di monogrammi di Cristo di varie forme, tra’ quali il celebre acrostico ΙΧΘΥС (Iesus Christus). Tutto questo ei raccoglie, esamina, e ordina alla stregua della più severa critica. Confronta tanta dovizia di oggetti coi monumenti scoperti nelle gallerie della prima parte del piano14, ed osserva: in quella, a fatica, un monogramma di Cristo comparisce nella lunga serie de’ suoi sepolcri; in queste, ripetutamente ne appariscono, e con ordine costante, della forma benespesso Costantiniana; in quelle il cognome del defunto, scolpito sulla tomba, va quasi sempre accompagnato dal gentilizio; mentre su i sepolcri di queste, il gentilizio non apparisce pur una volta. Così nelle prime, le iscrizioni greche abbondano; e per contrario rarissime se ne incontrano nelle seconde: e per non dir di più; nelle gallerie Eusebiane radamente leggi la solenne parola, depositus, depositio: laddove nella continuazione loro per entro il Cimitero di s. Sotere, e varcato il primo limite del Cimitero di s. Callisto, si vede prendere cotesta parola predominio quasi assoluto. A tali confronti chi non vede subito che le due parti dì questo piano della Callistiana necropoli pertengono a due epoche, e successive? Che se è oscuro a sapere il punto preciso cronologico di separazione delle due epoche, è naturale peraltro il concludere che se la parte anteriore spetta alla seconda metà cadente del secolo III (e splendidamente lo provò il ch.mo Autore nel tomo precedente); la parte posteriore, che di quella è continuazione, non può aver avuto principio innanzi del secolo IV. [p. 20 modifica] Altre diramazioni, più o meno prolungate, ebbe questo piano soprastante alle regioni di s. Eusebio e di s. Sotere; e segnatamente due, le quali si protendono coi loro sepolcreti al mezzo del diverticolo appio-ardeatino. Non apparterrebbero veramente al Cimitero di cui qui si ragiona: ma non appartenendo nemmeno al sistema primitivo dell’Area terza di s. Callisto, giudicò saviamente il ch. A. tacerne allora che nel II tomo ragionava dell’Area Callistiana, e si riserbò a parlarne qui, quasi appendice alla trattazione generale del Cimitero di santa Sotere.

L’epoca della prima di codeste due diramazioni, che si apre di faccia al sepolcro di s. Eusebio, fu dimostrato dall’esimio fratello dell’Autore per i dati topografici, non esser posteriore al declinante secolo III15: ma non così puossi decifrare e stabilire l’epoca della seconda; che la villana mano de’ soliti frugatori ingordi devastò per guisa anche questi venerandi recessi, che ne rimase un ammasso di rovine e di macerie. Per la qual cosa non è a dire l’eroica pazienza e affaticamento, che costò all’instancabile de Rossi il rintracciare tra que’ frantumi un qualche raggio di luce che riflettesse sull’istoria di codesti due malcapitati sepolcreti. E se dal primo potè ravvisare un nuovo simbolismo cristiano, nelle palestre e vasi di premio (sul qual simbolismo eruditamente disserta); dal secondo e da altri minori non può altro d’importante raccogliere che ivi doverono esser deposti non pochi illustri personaggi, fioriti sul tramonto del secolo IV o sul principiare del V; e segnatamente i discendenti della celebre matrona Romana, S. Paola, morta, com’è noto, in Betlemme l’anno 404.

Note

  1. Cantù, Gli eretici in Italia, T. II, p. 187.
  2. An. 1863, p. 41-46.
  3. Pag. 159, 160.
  4. V. Acta mart. sincera, p. 406.
  5. V. Hist. eccl, t. V, p. 689.
  6. An. 1864, p. 76, e an. 1865, p. 15.
  7. De virginibus, III, 6.
  8. V. Iscrip., 1055, 1056.
  9. p. 25 e segg. e p. 76 e segg.
  10. T. II, pag. 281-83.
  11. P. 349-51.
  12. P. 281-92.
  13. Pag. 289 e segg.
  14. T. II, pag. 287 e segg.
  15. T. II, Analis. arch., pag. 110, M.