Scola della Patienza/Parte terza/Capitolo V

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PARTE TERZA CAPITOLO V

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Geremia Dressellio - Scola della Patienza (1634)
Traduzione dal latino di Lodovico Flori (1643)
PARTE TERZA CAPITOLO V
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CAP. V.

Come le Afflittioni s’han da ricevere con preparatione.

Q
Uesta nostra vita, che hor facciamo, hà due carnefici, che continuamente le stanno alle spalle, e hor l’uno, hor l’altro sempre la tormentano;, e questi sono il Timore, e il Dolore. Quando le cose sono aspre, e turbolenti, il Dolore è quello, che ci percuote: Quando poi van bene, e secondo il desiderio nostro, il Timore è quello, che ci tormenta. Perche temiamo di perdere quello, che ci è caro. Così lo dice chiaramente S. Agostino: Tota vita ista intelligentibus tribulatio est, sunt enim duo tortores animae, non quidem simul torquentes, sed cruciatum alternantes: horum duorum Tortorum nomina [p. 726 modifica]Timor, et Dolor. Quando tibi bene est, times: Quando male est, doles.1 Tutta questa nostra vita è una tribolatione à quei, che intendono, perche l’anima hà due carnefici, che la tormentano, non già tutti due insieme, ma hora la tormenta uno, hora l’altro. Questi tormentatori si chiamano Timore, e dolore. Quando tù stai bene, temi: e quando stai male, ti duoli.

Hor sapendo noi di certo, che sovente habbiamo da esser percossi da uno di questi due affetti, dobbiamo con gran diligenza andar pensando in che modo ci habbiamo a portar con essi. E questo è il quinto modo di sopportar bene le afflittioni, se con buono apparecchio della nostra mente ci prepararemo a riceverle. In, che modo poi ci habbiamo a preparare per le avversità, hora l’andaremo dichiarando.

Note

  1. [p. 753 modifica]S. Aug. to. 10. de ver. Dom. fer 41. post init.

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§. 1.

C
On gran sollecitudine ci avvisa l’Ecclesiastico: Fili accedens ad servitutem Dei, sta in iustitia, et timore, et praepara animam tuam ad tentationem.1 Figlio volendo tù cominciare a servire a Dio, stà in giustitia, e timore, e apparecchia l’anima tua alla tentatione. Apparecchiala con vigilie, e orationi, apparecchiala con fuggire tutte le male occasioni. Nam qui tetigerit pice, inquinabitur ab ea.2 Perche chi toccarà la pace ne restarà macchiato. Apparecchiala con stabilirti bene il cuore contra gl’assalti di tutte l’avversità. Perche sappi pur certo, che se comincerai a esser huomo da bene, e a voler servire Dio divota, e castamente cominciaranno ancora subito a venirti contra da ogni [p. 728 modifica]parte travagli, e turbolenze. E credimi pure, che i tuoi nemici non staranno in otio.

Tù dunque apparecchiati, e sappi: Omnia muscipulam esse pedibus insipientium. Che tutte le cose possono servire per trappola, e per laccio ai piedi degli sciocchi. E perche i piaceri di questa vita non c’ingannino ce ne mette un vivo ritratto innanzi a gli occhi S. Gio. Chrisostomo dicendo: Nihil est in rebus humanis stabile, nihil inconcussum, sed hominum vita imitamur mare vesaniens, quotidie parturiens naufragia inquam, tum nova tum periculosa.3 Non vi è cosa tra gl’huomini, che sia stabile, non vi è cosa, che sia ferma; ma andiamo imitando in questa nostra vita un mare tempestoso, che ogni giorno partorisce naufragij, dico naufragij, e nuovi, e pericolosi. E perche noi stiamo più at[p. 729 modifica]e vediamo in, che luogo ci troviamo, aggiunge l’istesso Bocca d’oro. Omnia tumultuum ac turbarum plena sunt, omnia scopuli et praecipitia, omnia rupes sub aquis latentes, et sinuosae cautes: Omnia terrores, discrimina, suspiciones, tremores, et angores: Innumerabiles ubique personae simulataque facies. Multa ovium vellera, innumeri ubique lupi sub his occultati, ut iam inter hostes aliquis tutius vixerit, quam inter hos qui videntur amici. Qui heri adulabantur, qui blandiebantur, qui manus exosculabantur, hodie repente comperti sunt esse lupi, ab iustisque personis facti sunt omnibus accusatoribus acerbiores.4 Ogni cosa è piena di tumulti, e di contrasti. Ogni cosa è piena di scogli, e di precipitij; da per tutto stanno nascoste sotto l’acqua le rocche, ogni cosa è piena di caverne, e [p. 730 modifica]laberinti. Ogni cosa è piena di terrori, di pericoli, di sospetti, di tremori, e di affanni. Da per tutto si trovano innumerabili mascare, e persone simulate, e finte. Da per tutto vi sono infiniti lupi vestiti di pelle de pecora, che sarebbe forse meglio in questi tempi habitar fra nemici, che con questi che ti paiono amici. Quei, che hieri t’adulavano, t’accarezzavano, e ti baciavano le mani; hoggi si ritrovano esser diventati tanti lupi rapaci, e di tanti Santi, che parevano, te li trovi più crudeli, e acerbi di qualsivoglia maligno accusatore.

Apparecchia dunque l’anima tuo alla tentatione. Stà vigilante, e guarda bene le porte del tuo cuore perche stai in mezo de’ nemici. Aspetta dunque nella bonaccia la tempesta, nella sanità l’infermità; la povertà nelle ricchezze, e la calamità nella pros[p. 731 modifica]perità. Di quà hebbe grande aiuto la patienza di Giob. Poiche egli dice: timor, quem timebam evenit mihi, et quod verebar accidit.5 Mi è avvenuto a punto quello, di che io temevo, e m’è accaduto ciò, ch’io mi pensavo. Tutto ciò, che si è aspettato molto tempo, più dolcemente se ne viene: e dell’aspettato colpo, più molle è la percossa.

Nam levius laedit quidquid praevidimus ante:
     Et praevisa minus tela ferire solent.

Perche tutto quello, che prima habbiamo previsto, ci fa minor male; e quei dardi, che prima si vedono, sogliono far manco danno.

Perciò chi hà cervello s’avvezzi ai mali futuri, e quelle cose, che altri con lunga patienza sanno leggeri, egli se l’alleggerisce col pensarvi prima molto bene. Sentimo talvolta alcuni ignoran[p. 732 modifica]ti, che dicono: io non sapevo, che mi restasse ancor questo da patire. Un’huomo savio sà molto bene, che gli resta ogni cosa: Accadagli pur ciò, che si voglia, ch’egli dice: già molto bene io lo sapevo. Si deve dunque pensar prima bene ad ogni cosa, e apparecchiarsi bene contra tutte le cose, che possono avvenire. Và pur pensando essilij, tormenti, guerre, malatie, e naufragi. Mettiti avanti gl’occhi la misera conditione della natura humana. Et andiamo pensando non quanto spesso la tal cosa soglia avvenire, ma si bene, quanto più spesso ella può avvenire, se non vogliamo essere oppressi, e da insoliti avvenimenti come da cose totalmente nuove essere storditi. Le cose inaspettate gravano più, e l’istessa novità aggiugne peso alle calamità. Perciò non ci deve venire cosa all’improviso, bisogna pre[p. 733 modifica]parar l’animo ad ogni cosa, e s’ha da pensare non tutto quello, ch’è solito, ma tutto quello, che può avvenire.

L’animo è quello, che cagiona a se stesso una buona ò una mala vita. Un’animo cattivo ogni cosa converte in male, anche le cose delle quali vi era ottima speranza. Ma l’animo buono, retto, e sano emenda le cose male della fortuna, e con la patienza addolcisce le cose aspre, e dure. Se dunque tù vorrai osservare ò gl’altri, ò te stesso senza punto lusingarti, sarai forzato a sentire, e a confessare che niuna cosa fra le desiderabili, e care ti può esser di giovamento alcuno, se non ti apparecchierai contra la leggerezza della fortuna, e del caso, e di quelle cose, che la seguono; se non dirai spesso, e senza lamento in ogni cosa, che s’occorre di traverso: Deo aliter visum est. così è piaciuto a Dio. [p. 734 modifica]Sic composito animo (dice Seneca) nihil accidet. Sic autem componetur, si quid humanarum rerum varietas possit, cogitaverit, antequam senserit. Si liberos, et coniugem, et patrimonium sic habuerit, tanquam non utique semper habiturus, et tanquam non futurus ob hoc miserior, si habere desieris6. A un’animo così composto, non accaderà mai cosa niuna. E si comporrà a questo modo; Se pensarà quello, che possa la varietà delle cose humane, prima di provarlo. Se terrà i figliuoli, e la moglie, e la robba talmente come se non l’havesse a tener sempre, e come se non l’havesse da esser per ciò più infelice se lasciasse d’haverle.

Plutarco racconta, che ritornando Ulisse dopo venti anni intieri dalla guerra nella patria sua, e postosi già a sedere vicino a Penelope sua moglie che piangeva, [p. 735 modifica]non sparse egli pur una lagrima, ma se ne stette sempre con gl’occhi asciutti. Eo enim venerat (dice Plutarco) animo iam ante confirmato, et adversis lachrymas munito: Perche vi era andato con l’animo preparato, e contra le lagrime ben munito. Ma quando vide il cane morto nella sua venuta, non potè tenere le lagrime. In illum autem fletum subita res, et inspectata eum coniecerat7. E quello, che lo sforzò a piangere fù quell’improviso, e inaspettato caso. Chi dunque si vuol dolere meno dell’avversità, deve procurar bene di prevederle prima.

Note

  1. [p. 761 modifica]Eccl. c. 21.
  2. [p. 761 modifica]Id. c. 23. 1.
  3. [p. 761 modifica]S. Chrys. to. 5. cum Sartor. et Aurelian. acti essent in exil.
  4. [p. 761 modifica]S. Chrys. to. 5. cum Sartor. et Aurelian. acti essent in exil.
  5. [p. 761 modifica]Iob. c. 3. 25.
  6. [p. 761 modifica]Id. ibid.
  7. Plutarch. l. de tranquill. an. prop. fin.

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§. 2.

M
A noi siamo talvolta tanto scioperati, e spensierati, che senza ricordarci dove andiamo, ci maravigliamo di perder qualche cosarella dovendo pure alla fine un giorno perder ogni cosa. E così non essendo preparati, ci spaventiamo ancora di cose leggierissime. Per tanto dobbiamo procurare di prevedere per quanto sarà possibile ogni cosa: E perche ogni cosa viene aggravata dalla novità, questo continuo pensiero farà, che non siamo nuovi per qualsivoglia male, e non ci maravigliamo niente di quelle cose, che apporta la conditione della nostra caduta. Le cose, che noi patiamo a tutti sono communi: dico che sono communi a tutti; perche etiandio quelle cose, che alcuno scansa, le poteva patire anch’egli. E quella legge è giusta, non della quale tutti s’have[p. 737 modifica]ranno a servire, ma, che per tutti è stata fatta.

Sia pur l’animo ben composto, che senza alcun lamento pagaremo i tributi della nostra mortalità. L’inverno porta il freddo, s’hà da sentire. L’estate rimena il caldo, bisogna ancor sentirlo. L’intemperie dell’aria nuoce alla sanità, bisogna ammalarsi. E quella, che ci incontrarà sarà una fiera ò pure un’huomo più dannoso spesse volte di qualsivoglia fiera. Una cosa ci levarà l’acqua, l’altra il fuoco. Noi non potiamo mutare questa conditione delle cose; questo sì potiamo fare, apparecchiarci un’animo grande per patire fortemente qualsivoglia incontro, che dalla fortuna ci potesse venire.

A questa legge di toleranza s’ha da preparar l’animo nostro. Questa segua, a questa ubbidisca, e tutte le cose, che si fanno eccet[p. 738 modifica]tuatone il peccato solamente, pensi, che così s’havevano à fare. E’ ottima cosa il sopportar con patienza ciò, che tù non puoi emendare, e senza veruna sorte di mormoratione accompagnare Iddio, da cui viene ogni cosa. E’ un cattivo soldato colui, che gemendo segue il capitano. Per tanto riceviamo pronti, e allegri quelle cose, che ci si comandano, e così diciamo a Dio: Menatemi pur Signore dove vi piace: Eccomi quà pronto ad ubbidirvi. E per la vostra benignità sforzate ancora la mia volontà, benche rubella, a venir da voi. Così habbiamo da vivere, in questo modo habbiamo a parlare. Et ogni calamità, che venga ci trovi sempre apparecchiati.

Per questa medesima cagione disse l’Ecclesiastico: In die bonorum ne immemor sis malorum; et in die malorum, ne immemor [p. 739 modifica]sis bonorum: memento paupertatis in tempore abundantiae, et necessitatum paupertatis in die divitiarum. A mane usqua ad vesperam immutabitur tempus, et haec omnia citata in oculis Dei.1 Nel tempo, che tù haverai de i beni non ti scordar de i mali, e nel tempo de i mali non ti scordare de i beni: Ricordati della povertà nel tempo dell’abondanza, e delle necessità della povertà nel tempo delle ricchezze: Perche il tempo dalla mattina alla sera si mutarà, e tutte queste cose, passano presto avanti gl’occhi di Dio. Sei hora Padrone, e comandi? Ricordati, che potrebbe venir tempo, che tu potresti servire. Hai delle ricchezze? e con tutto questo potressi venire in povertà. Sei sano, e di buone forze? Un poco di febre che ti venga, anzi una minima gocciola ti può levare la vita. Hai figliuoli? Ti possono mo[p. 740 modifica]rire tutti in un giorno. Hai de gl’amici? Una sola horetta, e un sol momento ti può privare, e de gl’amici, e di tutte l’altre cose.

Prepara dunque l’anima tua a queste tentationi accioche quando la morte ti levarà gl’amici, o i figliuoli, tù possi dire ciò, che disse quella santa donna Spartana: Sciebam me mortales genuisse. Io sapevo molto bene d’haver generato huomini, che havevano a morire: Quando perderai dinari: io sapeva che non doveva esser sempre mio ciò, che per solo uso m’era stato concesso. Quando ti mancarà l’honore e la veneratione: io sapevo, che niuna gloria in questa vita era eterna.

Vi sono alcuni, che mettendosi innanzi come un bastione una gran mole di cose, e di negotij, se ne stanno tutti occupati nelle cose presenti, senza mai pensare a quello, che hà da venire. Questi [p. 741 modifica]pare, che stiano sempre in facende, come quell’Attalo, benche faccino poco, ò niente. Se tù cerchi di persuaderli a volersi ritirare un poco, e attendere alle cose dello spirito; subito ti risponderanno, che non possono, e, che non vi hanno tempo. Se gl’inviti alla predica, non c’è tempo. Se li avvisi, che si confessino: Non c’è tempo. Che si communichino, non c’è tempo. Se li esorti a pensar al Giuditio, non c’è tempo. A meditar l’inferno, non c’è tempo. A contemplar le cose eterne, ne manco; a pensar alla morte, manco che manco. E questi tali, com’io credo, a pena haveran tempo di morire. E così i meschini non pensano niente alle cose future. Si come una gran parte de gl’huomini, che hanno da navigare, non pensano mai alle tempeste.

Ma quando poi questi tali so[p. 742 modifica]sono colti all’improviso da qualche subitaneo fulmine, quando vien loro adosso una calamità inaspettata; quivi si perdono subito d’animo, si diffidano di tutte le cose loro, desperano di poter essere aiutati, e si rendono in tutto, e per tutto inconsolabili. Ma voi, huomini da bene dovevate prevedere questo dardo, e vi haverebbe offeso manco, e fatto manco danno.

Note

  1. [p. 768 modifica]Eccli. c. 11. 27. et c. 18 25. et 26.

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§. 3.

D
Icono alcuni, che se ’l lupo vede prima l’huomo, l’huomo perde la voce. Et al contrario che se l’huomo vede prima il lupo, il lupo perde la sua. La cagione di questa favola, fù come dice Cardano, che un subito terrore è solito a levar la voce, ò farla rauca.1 Onde disse quel Poeta: Lupi Merin videre priores.2 Merì

[p. 743 modifica]hà perduto la voce. Non altrimente accade a uno di questi poveri meschini, che se per sorte qualche caso repentino a guisa di lupo prima il vede, & all’improviso l’assalta, perde subito la voce, e si lascia levare l’animo, e la speranza: Che s’egli fusse il primo a prender quel trauaglio, molta meno il sentirebbe. Dice benissimo Seneca a nostro proposito. In tanta rerum sursum, ac deorsum euntium variatione, si non quidquid fieri potest pro futuro habes, das in te vires rebus adversis, quas infregit quisquis prior vidit. Sero animus ad periculorum patientiam post pericula instruitur. Non putavi hoc futurum: Nunquam hoc eventum credidissem. Quare autem non? Quae sunt divitiae quas non egestas, et fames, et mendicitas a tergo sequatur? Quae dignitas, quam non mille maculae, et extrema contemptio [p. 744 modifica]comitetur? Quod Regnum est, cui non parata sit ruina, et proculcatio, et Dominus, et carnifex? Nec magnis ista intervallis diuisa, sed horae momentum interest inter solium, et aliena genua. Scito ergo omnem conditionem versabilem esse, et quidquid in ullum incurrit, posse in te quoque incurrere.3 Se in tanta varietà di cose, che vanno sù è giù, non pensarai, che habbia da essere ciò, che si può mai fare, dai forze alle’avversità contra di te; le quali hà già rotte chiunque prima l’hà previste. Tardi s‘ammaestra l’animo a sopportar i pericoli dopo, che quei son passati: Non mi pensai, che dovesse auvenire questo: Non m’haverei mai creduto, che potesse occorrer questo. E perche nò? Quali sono quelle ricchezze, che non habbino à le spalle, e la povertà, e la fame, e la mendicità? Qual’è quella dignità, che [p. 745 modifica]non sia accompagnata da mille macchie, e da un’estremo dispreggio? Qual’è quel Regno, che non li stia sempre preparata la sua rovina, il Signore, e il carnefice? Ne queste cose sono molto frà di loro lontane; ma vi è differenza d’un breve spatio d’hora fra un soglio alto, e eminente, doue hor ti siedi, e fra l’altrui ginocchia, alle quali tu ancora potrai inchinarti. Sappi dunque, che ogni conditione è mutabile; e che può accadere a te ancora tutto ciò, che accade a un’altro.

Diceva Socrate: Sicut ij, qui in tranquillo, et sereno navigant, parata etiam instrumenta habent, quae in tempestate sint usui: sic qui in bona fortuna sapiunt, contra adversam auxilia expediunt. Sì come quei, che navigano in tempo tranquillo, e sereno, tengono ancora sempre in ordine gl’instrumenti, che servono in [p. 746 modifica]tempo di borasca: Così quelli, che nella buona fortuna hanno cervello, si vanno procacciando aiuti per la contraria. Se vi sarà alcuno,che si tenghi bene a mente questo, e guardarà tutti i mali, che patiscono gl’altri, de quali ve n’è sempre grand’abbondanza talmente come se ancor lui li havesse da patire, si trouerà armato molto prima d’esser assalito.

E’ cosa saputa come dice San Gregorio, che i dardi previsti fanno manco danno, e che i travagli antiveduti più facilmente si sopportano.4 Del medesimo parere è anco S. Girolamo, il quale dice: Quia vita haec miserabilis diversis quotidie variatur eventibus tam ad prospera, quam adversa, iusti animus praeparetur, ut quodcunque venerit, libera mente sustentetur.5 Perche questa nostra miserabil vita è sottoposta a diverse mutationi. Si apparecchi [p. 747 modifica]l’animo del giusto tanto per le prosperità, quanto per le avversità; accioche, venga poi ciò, che si voglia si sopporti francamente. E di gratia Christiano mio, non ti pensare d’essere stato chiamato alla scuola della Patienza, per esser posto sopra un morbido letto, accioche ti siano fatte gran carezze, ne per darti buon tempo. Tù t’inganni, huomo da bene, e t’inganni all’ingrosso. Perche tù sei venuto a questa scuola per travagliare, per combattere, e per lottare, e per esser provato, e essercitato in molti travagli. Apparecchia dunque l’anima tua alla tentatione.

Un’ottimo apparecchio poi in questo negotio è farne spesso oratione a Dio. Quà habbiamo sempre da correre, e ricorrere ne i nostri travagli, quà dobbiamo drizzar’il primo gemito, e la prima parola a dimandar aiuto a Dio. E dove s’habbia da correr per [p. 748 modifica]aiuto ne i travagli, ce lo mostrarono come col dito gl’Apostoli, poiche trovandosi in mezo a’ venti, e alle tempeste, gridano a Christo: Domine salva nos:6Signore salvateci Deus noter refugium, et virtus, adiutor in tribulationibus, quae invenerunt nos nimis.7 Dio nostro, che sete il nostro rifugio, e la nostra virtù, aiutateci in queste tribolationi, che ci danno tanto fastidio.

Interpretando questo luogo S. Agostino dice: Sunt quidem refugia ubi non est virtus, quo quisque cum fugerit, magis infirmatur, quam confirmetur. Confugis, v. gr. ad aliquem in saeculo magnum, ut facias tibi potentem amicum, refugium tibi videtur; (O refugium ruinosum!) Antea enim tantum causae tuae timebas, cum vero ad talem refugeris, et de illo tibi timebis. Multi enim cum ad talia refugia [p. 749 modifica]confugissent, cadentibus illis, ad quos confugerunt, et ipsi quaesiti sunt: quos nemo quaereret, si non ad talia confugissent. Non est refugium nostrum tale, sed refugium nostrum virtus est, cum illuc confugerimus, firmi erimus.8 Vi sono alcuni refugij, dove non è virtù, e quando uno si ritira, e ricorre a quelli più tosto s’indebolisce, che si rinforzi. Te ne vai, v. gr. a qualche gran personaggio nel secolo per farti un’amico potente; Questo ti par un refugio (ò rovinoso refugio!) Poiche prima temevi solamente de’ fatti tuoi, ma essendo ricorso a quel tale, temerai ancora, e sarai sempre sollecito de’ fatti suoi. Perche vi sono stati molti, che essendo ricorsi a tali refugij, mancando quelli, mancarono ancor essi; dove non sarebbono mai mancati, se non havessero fatto ricorso a tali refugij. Non è già tale il nostro refu[p. 750 modifica]gio; mà il nostro refugio è la virtù, quando ricorreremo da lei, all’hora saremo sicuri.

Per questa cagione il Real Profeta disse con grande spirito: Ideo non timebimus dum turbabitur terra, et trasnsferentur montes in cor maris.9 Però non haveremo paura, mentre si turbarà la terra, e i monti saranno trasferiti nel mezo del mare. Se Dio sarà dalla parte nostra, anchorche i monti s’urtino insieme, e si precipitino nel mare; anchorche vadano sossopra il Cielo, e la terra, anchorche si turbino, e confondino tutte le cose, s’apra l’inferno, e tutto quanto rovini il mondo, non per questo temeremo, nè haveremo paura.

Il Riccio marino, e la Seppia, quando presentono qualche tempesta nel mare, sapendo molto bene la lor fiacchezza, accioche dall’impeto, e dalla furia dell’on[p. 751 modifica]de non siano sbattuti in qualche scoglio, s’attaccano quanto più fortemente possono a qualche sasso, e così stanno finche passi la tempesta.10 Hor qual cosa è più turbolenta, e procellosa di questa vita? Una tempesta nasce dall’altra, e spesso Ferrea flant Caelo nubila. Si mantiene da per tutto nuvoloso il Cielo. In così gran tempesta, e rivoltura di mare, e di venti, impariamo dal riccio, e dalla sepia d’attaccarci a Dio, che è insuperabile, e sicurissima pietra; talmente, che ciascuno possa dire: Mihi autem adhaerere Deo bonum est.11 E’ molto buona cosa per me lo star attaccato con Dio. Perche non basteranno a staccarmene nè la forza di qualsivoglia calamità, e miseria, nè tutti gli eserciti de’ Demonij nè tutte le machine dell’Inferno. Quoniam firmamentum meum, et refugium meum es tu.12 Perche voi [p. 752 modifica]Signore sete quello, che mi fate forte, e siete il mio rifugio. Quoniam tu es patientiam mea, Domine, Domine spes mea a iuventute mea. Voi sete la mia patienza, e la mia speranza fin dalla mia gioventù. Spartiamo dunque Signor mio trà di noi gli officij: Io non anderò mai sottrahendo nè mè, nè le cose mie dalla Croce: E voi datemi patienza per sopportarla. Perche io sò molto bene, che voi ci mandate l’avversità per essercitar con quelle la patienza nostra, e per accender in noi una gran confidanza verso di voi. Adunque Signor mio, Pone me iuxta te, et cuius manus pugnet contra me.13 Mettetemi pure alla vostra spalla, e venga chi vuole a combattere meco. Già io non temo più alcuna Croce, nè hò paura d’alcun nemico: perche voi siete la patienza mia.

Note

  1. [p. 778 modifica]Cardan. l. 18. de Subt.
  2. [p. 778 modifica]Virg. elog. 9. in fin.
  3. [p. 779 modifica]tranquill. c. 11.
  4. [p. 779 modifica]S. Greg. l. 24. moral. c. 13.
  5. [p. 779 modifica]Hieron. in c. 7 Eccli.
  6. [p. 779 modifica]Matth. c. 8. 25.
  7. [p. 779 modifica]Ps. 45. 1.
  8. [p. 779 modifica]S. Aug. to. 8. in ps. 45. init.
  9. [p. 779 modifica]Psal. eod. v. 3.
  10. [p. 779 modifica]S. Ambr. in Hexam. Athenaeus l. 8.
  11. [p. 779 modifica]Ps. 72. 28.
  12. [p. 779 modifica]Ps. 70 3. et 5.
  13. [p. 779 modifica]Iob c. 17. 3.

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§. 4.

L’
Apparecchiarsi adunque è un fortissimo scudo contra le avversità; perche come dice S. Gregorio: Omnia orbis mala mitius vulnerant si contra haec per praescientiae clypeum munimur.1 Tutti i mali del mondo ci fanno manco danno, quando siamo difesi dallo scudo d’haverli prima previsti. Il savio non viene eccettuato da i casi humani, ma sì bene da gl’errori: Perche non gli avvengono le cose come hà voluto, mà si bene come hà pensato. E questo è quello, che si dice, che al Savio non occorre cosa alcuna contra la sua opinion. Poiche và [p. 754 modifica]sempre con l’animo ben pensando prima a tutti gli impedimenti, che se gli possono attraversare. E spesse volte sentirai, che questo tale così parla: Io fò conto di navigare, se altro non m’occorrerà: Penso d’ottener il tale officio, se non vi sarà qualche impedimento: La mia mercantia spero, che andarà bene, se qualche cosa non vi si frapone. Dimani anderò a un banchetto, se non sarò chiamato altrove: Posdimani andarò alla scuola della scrima, se pur sarò sano: di quà a un anno, piacendo a Dio ch’io viva, voglio cominciare a fabbricare. Perche và sempre pensando, che vi possa essere qualche cosa, che gli impedisca i suoi disegni.

Con questo animo ritrovandosi Zenone Filosofo, sentendo, che tutta la sua robba s’era perduta in mare, rivolto alla fortuna disse: Laudo tuum factum [p. 755 modifica]fortuna: nunc expeditius philosophari me iubes. Io lodo grandemente questo tuo fatto, ò fortuna; e ben m’avvedo, che tù vuoi, che io attenda a filosofare più liberamente, e senza tanti impedimenti. Et Epitteto dotta, e saviamente avvisandoci dice: Cuiusque Rei antecedentibus, et consequentibus consideratis, sic eam aggreditor. Alioqui cupide quidem eam aggredieris: quippe qui nihil eorum quae sequuntur consideratis. Postea vero cum aliquae molestiae, ac difficultates intercesserint, turpiter desistes. Cupio inquis, vincere Olympica. Considerato antecedentia, et consequentia, et sic si è re tua fuerit, rem aggreditor. Est tibi accurato ordine opus: edendum necessario, bellarijs abstinendum, exercendum corpus vel invito idque hora praefinita: in aestu, in frigore non bibenda frigida: aliquando ne vinum [p. 756 modifica]quidem: Denique lanitae tanquam Medico te tradas oportebit. Deinde in certamine laniare corpus contingit manum laedi, distorqueri lumbos, multum pulveris deglutiri, flagris caedi, et cum his omnibus interdum vinci. His rebus consideratis, si placet, certamen inito. Sin minus, vide ut puerorum more acturus sis, qui nunc pugiles ludunt, nunc gladiatores, nunc turba canunt, nunc, tragoedias agunt, cum ista viderint, admiratique fuerint. Sic, et tu nunc pugil eris, nunc gladiator; mox philosophus; postea orator, toto autem animo nihil: sed ut simius quidquid videris imitaberis, subinde aliud ex alio tibi placebit. Usitata vero displicebunt. Neque enim considerate quidquam aggressus es, neque rem totam explorasti, aut examinasti, sed temere, et frigida cupiditate impulsus. Vigilandum [p. 757 modifica]est, laborandum vincenda sunt quaedam cupiditates a cognatis discedendum; Oportet a puero contemni. ab obvijs derideri: omnibus in rebus deteriori conditione esse in magistratu, in honore, in iudicio. His consideratis, si lubet, accedito: si his rebus redimere cupis animi tranquillitatem, libertatem, constantiam. Quando tù t’hai da metter a fare una cosa, considera prima bene tutte le cose antecedenti, e conseguenti di quella, e poi falla. Altrimenti ti metterai bene a farla con gran desiderio, come, che non hai considerato niente di quelle cose, che ne seguono appresso. Mà poi quando ti s’attraverseranno alcune molestie, e difficultà, bruttamente ti fermerai. Tù mi dirai, il mio desiderio è di riportar vittoria ne i giuochi Olimpici. Considera prima le cose antecedenti, e conseguenti, e così se ti mette[p. 758 modifica]rà conto, pigliarai l’impresa. La prima cosa tù hai bisogno d’osservare un ordine molto stretto, e accurato: Perche hai necessariamente da mangiare, ma t’hai da astenere da ogni sorte di confettura, e altri simili allettamenti della gola: hai da essercitare il corpo anchorche tù non voglia: E ciò hai da fare in un’hora determinata, ò sia caldo, o pur sia freddo: Non hai da bere acqua fresca: e talvolta ne anche vino: finalmente bisogna, che tù ti dia in mano d’un lanista, ò d’uno, che ti ammaestri ed esserciti in quei giuochi, che come un Medico ti terrà a regola. Di poi occorre bene spesso, che negli stessi giuochi si straccia il corpo, resta offesa una mano; si storcono i lombi, s’inghiotte di molta polvere, si riceve delle sferzate, e con tutte queste cose qualche volta si perde, e l’huomo resta vinto. Ma se tù non [p. 759 modifica]consideri prima le dette cose, vedi di non fare, come fanno i putti, i quali dopo haver mirato, e ammirato questi tali giuochi, hora fanno a pugni, hora giuocano a i gladiatori, hora suonano la tromba, hora fanno tragedie. Così tù hor farai a pugni, hor sarai gladiatore, di là a un poco Filosofo, di poi Oratore, e finalmente con tutto l’animo non sarai niente. Ma come una Simia anderai imitando tutto ciò, che vederai fare; e hora ti piacerà una cosa, e hora un’altra; e le cose usitate ti dispiaceranno, perche non ti sei messo a far niente con consideratione, e non hai bene considerato, ed essaminato quello, che havevi da fare, ma te ci mettesti temerariamente spinto solamente dal tuo vano desiderio. S’ha da star vigilante, s’ha da travagliare, bisogna sottometter le passioni, e abbandonar i parenti, bisogna assuefar[p. 760 modifica]si fin da fanciullo ad essere dispreggiato, beffato, e deriso da ogn’uno, e in tutte le cose tenersi di peggior conditione de gl’altri, così nel magistrato, come nell’honore, e nel Giuditio. Considerate che haverai queste cose, se tù vuoi, mettiti nel giuoco: se con queste cose tù desideri d’acquistare la tranquillità dell’animo, la libertà, e la costanza.

Interrogato una volta Diogene, che cosa havesse imparato dalla Filosofia? Rispose prontamente. Hò imparato a prevedere le cose avverse, e a sopportarle con patienza, quando vengono. Questo, che così seriamente disse Diogene, fù approvato in fatti da Anassagora: Questi ritrovandosi prigione in Athene, hebbe tutte a un tempo due tristissime nuove. La prima fù, che già era stato condennato a morte; al che rispose Anassagora: Già la natura un pez[p. 761 modifica]zo fà diede questa sentenza tanto contra di me, quanto contra quei, che mi condannano. L’altra nuova fù, che i suoi figliuoli erano morti: al che il Filosofo: Ben sapeva io, che i miei figliuoli non erano immortali. Questi erano colpi mortali, mà perche furono previsti, non poterono far alcun danno ad Anassagora.

Questa è la filosofia Christiana; a questo modo Christo manda i suoi nel mondo, dicendo: Ecce ego mitto vos, sicut oves in medio luporum. Si me persecuti sunt, et vos persequentur. Tradent enim vos in concilijs, et in Synagocis suis flagellabunt vos: Ad Praesides, et ad Reges ducemini proper me. Venit hora, ut omnis, qui interficit vos, arbitretur se obsequium praestare Deo; sed haec locutus sum vobis, ut cum venerit hora, eorum reminiscamini, quia ego dixi vobis.2 Ecco [p. 762 modifica]ch’io vi mando per il Mondo come pecore fra i lupi. Se hanno perseguitato me, perseguitaranno voi ancora. Perche vi mandaranno da un tribunale all’altro, e vi frusteranno nelle loro Sinagoghe: Sarete condotti innanzi a diversi Presidenti, e Regi per causa mia. E verrà tempo, che chi vi ammazzerà si pensarà di far un sacrificio a Dio: Ma io vi hò detto queste cose accioche quando verrà quell’hora, ve ne ricordiate perche io ve le dissi.

Predisse loro tutte queste cose il Maestro, perche i discepoli vi pensassero avanti, e vi s’apparecchiassero. E sicome quando uno stà per andare in paese lontano, hà da considerare prima bene tutte quelle cose, che sogliono accadere in simili viaggi; come i mali tempi, le male strade, gli alloggiamenti scarsi, gl’imbrogli de gl’hosti, e l’importu[p. 763 modifica]nità de’ compagni, le spese, che si fanno, l’aria dubiosa, i venti, le pioggie, la stanchezza, e altri simili miserie, che si sogliono patire; le quali cose tutte non pareranno così gravi al viandante, se potrà dire: Io hò considerato prima tutte queste cose. E sono lamenti d’huomini sciocchi quelli: Non aspettavo questo: Chi havessi mai pensato quest’altro? Io ne speravo meglio. Questi non sono lamenti di huomini savij.

E’ cosa molto bella da sentire ciò, che si racconta d’un Abbate d’un Monastero, il quale haveva per costume, quando haveva d’accettar qualche novitio nella sua famiglia, prima di riceverlo, di menarlo in cima d’una torre, e gli diceva così: Guarda bene figlio, e stendi il guardo fin dove può giunger la tua vista, e pensa, che se dall’ultimo termine fino all’occhio tuo vi fussero piantate tante [p. 764 modifica]Croci, che una toccasse l’altra, tù però non potresti mai con gl’occhi mirarne tante, quante sono quelle, che da qui innanzi haverai da portare. Vedi figlio mio, e pensa bene a quello, che hà da venire. Altro sarà sempre fatto di quello, che tù vorrai. Quando vorrai far oratione, bisognerà lavorare, quando vorrai lavorare ti bisognerà far oratione. Quando pensarai d’andar a dormire, sarai forzato a vegliare: quando vorrai vegliare, sarai mandato a dormire: Quando vorrai parlare ti sarà imposto silentio: quando vorrai tacere, ti sarà comandato, che parli: Ne ti dissimularò una cosa, ed è, che spesso bisogna, che tù porga l’orecchie, e stij ad udire cose, che non vorresti; e oltre la continua mortificatione, e penitenza corporale, t’aspettano infinite riprensioni: Quando ti pensarai d’haver fatto bene, e d’haver cantato eccellentemen[p. 765 modifica]te, in cambio di lode ne riporterai biasimo, e vituperio. Haverai spesso di quelli, che ti accuseranno, e non saranno sempre veri, ma non per questo ti lasceranno appellare a maggiore tribunale. Tutta la tua ragione haverà da consistere in molta patienza. Puoi tù dunque sopportar tutte queste cose per cinquanta, o sessant’anni, anzi per tutto quanto il tempo di tua vita? Che se non ti dà l’animo di sopportar, e vincer continuamente te stesso, vattene figlio mio, vattene pure, perche tù non sei buono per essere religioso, ne per stare qui fra noi.

O come gliela cantava chiara, e saviamente! E, che altra cosa giamai potrassi meglio, e più spesso ripetere a i scolari di questa scuola, di questa esortatione. Pensate bene alle innumerabili avversità, che vi verranno; le potrete voi, ò vorrete sopportarle? Stà [p. 766 modifica]bene. Non le volete sopportare? Andatevene dunque, e partitevi da questa scuola, la quale non accetta nè Lentuli, nè Endimioni, nè dormiglioni, e sonnolenti, nè quei, che fuggono la fatica, ò se pur gl’accetta, scopertogli poi per tali subito li caccia. Stia quindi lontano ogni dapoco. Quivi regnano solamente la fatica, e la Patienza.

Note

  1. [p. 792 modifica]S. Greg. hom. 35. in Evang.
  2. [p. 792 modifica]Matth.c. 10. 16.

[p. 766 modifica]

§. 5.

T
Almente ciascun preveda le miserie, e i futuri avvenimenti del suo stato, che possa dire con Anassagora: io sapevo queste cose, e prevedevo queste altre, onde non mi accade cosa nuova, e improvisa.

Ma potrei dire, Io hò perduto il mio dinaro. Forse ch’egli haveria prima perduto, e mandato [p. 767 modifica]in ruina me; Ne mai il possedei altrimente che se io l’havessi havuto sempre a perdere: E Dio volesse, che con esso havessi perduto ancora l’avaritia.

Ma che dirò, s’io son povero? Io sò, che il vitio non stà nella povertà; procurarò dunque, che ne anche stia nel povero.

Mà se io hò perduto la vista? La cecità è una parte dell’Innocenza.

E se hò perduto un’amico? Ne cercarò un altro, e in luogo dove lo possa trovare: i migliori amici, che si possino trovare stanno in Cielo, e la sù n’haveremo quanti, e come li vorremo.

E se l’invidia altrui mi preme? E chi è quello, che se ne vada esente da questa peste? Se non è qualche persona infelicissima, a cui pochi sono, che sogliono portar invidia.

Ma s’io hò perduto il favore [p. 768 modifica]che havevo? Sapevo molto bene, che non vi era cosa più incostante di questa, come quello, che ad un tratto svanisce, e più presto di qualsivoglia vino conciato con le spetiarie.

E se un’infermità m’hà rovinato? Nè anche di ciò mi maraviglio, nè mi è cosa nuova, che s’ammali uno, che ha anco da morire. Questi pensieri, che si hanno prima con le future disgratie, fanno, che nelle avversità noi stiamo saggi, e non facciamo delle pazzie.

Carneade, che fù un Filosofo molto acuto, soleva dire, ch’ogni mestitia, e dolore nelle cose grandi veniva dal sopragiungerci inaspettata, e improvisa la tempesta. Così non vi è cosa, che turbi più un cuoco poco pratico, quanto una subita, e inaspettata venuta d’invitati, quando non hà in ordine nè fuoco, nè focolare, nè car[p. 769 modifica]ne, nè altro da mangiare: Quì tù lo vedi andare quà, e là per la cucina, grattarsi il capo, gridare a quei, che v’entrano, cercar d’accendere il fuoco, gettar quà, e là le cose della cucina, cuocere prima fulmini, che vivande, mandar’a quelli convitati la peste, e la fame d’Erisittone, e con queste bestemmie metter le mani al fuoco. Molto meno si spaventaria il cuoco a questa tempesta, se la potesse prevedere. Noi altri potiamo mitigare assai queste borasche col prevederle, e apparecchiarcisi, massime se vogliamo attribuire alla providenza, e volontà divina le cose, che prevediamo.

Santa Felicita, che fù madre di sette figliuoli, e fù da S. Agostino celebrata con varij encomi, stando nella prigione partorendo con grandissimi dolori, e non potendo in alcun modo contener le grida, e i lamenti, sentendola [p. 770 modifica]lamentare uno di quei guardiani, motteggiandola acerbamente le disse: O Donna, se tù non puoi sopportar questi dolori del parto senza gridare, come sopportarai quelli, che sentirai, quando sarai bruciata, tagliata in pezzi, e tutta squarciata. Pensa pure, che siano un mero giuoco le cose, che tù hora patisci, appresso si farà da vero. A costui diede Felicita una prudentissima, e christianissima risposta: Adesso gli disse, son’io quella, che per me patisco, ma all’hora doverà patire in me Christo. Come disse, così fù. Perche essendo gettata alle fiere non gridava, ne si lamentava niente: Havresti detto, ch’ella se n’andasse a nozze, e a un festino, così allegramente salutava la morte. E tutto questo, Signore, perche voi eravate la sua patienza.

A questo modo a punto habbiamo noi da combattere, e da [p. 771 modifica]vincere. E subito che ci sentiremo soffiar contra qualche vento contrario; volgasi all’hora tutta l’anima nostra a Dio, e si dia tutta pienissimamente nelle mani della sua divina volontà: anzi vi s’immerga dentro tutta; dolgasi d’haver peccato, proponga efficacemente di non scostarsi da Dio nelle avversità, e gli dimandi il suo divino aiuto. E lasci poi tutte l'altre cose (fidandofi di Dio) alla sua divina providenza. Questo è quello, che accresce la patienza, e che fà gl’huomini sicuri, e senza paura.

Aristippo, come dice Vitruvio, havendo fatto naufragio, fù con la rotta nave gettato nella spiaggia di Rhodi. Quivi egli guardandosi bene attorno; s’accorse d’alcuni circoli, e altre figure matematiche, ch’erano impresse nell’arena, e però voltatosi a’ compagni, disse loro: state pur di buon’ani[p. 772 modifica]mo compagni miei, io già vedo segni d’ottima speranza, poiche ancor quì vi sono vestigij, e orme d’huomini.1

Ogni volta, che noi altri con l’oratione ci voltiamo a Dio, troviamo sempre in lui descritti i segni della sua immensa bontà, e potenza, e della nostra beatitudine. Habbiamo dunque ottima speranza, anchorche siamo avanzati al naufragio; Nè si stimi grave danno il perdere la robba, ò la fama, ò qualsivoglia altra cosa, quando ci si promette il Cielo.

Perche ci lamentiamo di haver perduto quattro dinarelli ricevendo in cambio de i Regni? Che paura habbiamo di morire, diventando a questo modo immortali? Dopo tutti i naufragi siamo alla fine condotti da questo nostro buon Dio ad un sicurissimo porto: purche tù, ò Christiano mio, te [p. 773 modifica]ferisca tutto quanto sei.

Essendo gl’Accaroniti molestati da i sorci, fecero alcuni sorci d’oro, e li offersero a Dio trovando con questo rimedio al lor male.2 Così ancora fecero gl’Israeliti, quando furono feriti da i serpenti, per mezo d’un serpente di bronzo, recuperarono la loro sanità.3 Così ancora a punto accade a noi, che l’istesso ci sana, che quello, che c’impiaga: la calamità, mentre ci preme ci manda a Dio, purche noi non manchiamo a noi stessi, e apparecchiamo l’anima nostra alla tentatione. Quoniam pius, et misericors est Deus, et remittet in die tribulationis peccata; et protector est omnibus exquirentibus se in veritate.4 Perche Dio è clemente, e pietoso: e ci rimetterà i nostri peccati nel tempo della tribolatione. Poiche egli difende, e protegge tutti quei, che con verità lo vanno cercando.

Note

  1. [p. 800 modifica]Vitr. l. 6. de Architect.
  2. [p. 800 modifica]1. Reg. c. 6. 11.
  3. [p. 800 modifica]Num. c. 23. 6. et 9.
  4. [p. 800 modifica]Eccli, c, 2. 13.