Scola della Patienza/Parte terza/Capitolo VI

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PARTE TERZA CAPITOLO VI

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Geremia Dressellio - Scola della Patienza (1634)
Traduzione dal latino di Lodovico Flori (1643)
PARTE TERZA CAPITOLO VI
Parte terza - Capitolo V Scola della Patienza
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CAP. VI.

Come tutte l’Afflittioni s’hanno da sopportare conformando la volontà dell’huomo alla divina.

L’
Uovo, come dicono nell’acqua salsa se ne stà a galla; nella dolce và al fondo. Il Real Profeta David fra tante stragi e pubbliche e private; fra tanti ammazzamenti e morti de’ suoi, se ne stava in tanta varietà di miserie, e afflittioni, come in salsissime acque sempre a galla con un’animo invitto e costante, huomo veramente secondo il cuor di Dio, il quale s’andava sempre conformando con ogni diligenza possibile ad ogni cenno della divina volontà. Ma

[p. 775 modifica]Salomone suo figlio ritrovandosi nell’acque dolci di tante delitie, e piaceri, se n’andava miserabilmente al fondo. Intese benissimo Salomone la volontà di Dio, ma non si conformò con essa.

Habbiamo dato in questa parte cinque modi di sopportar l’Avversità, e l’Afflittioni, cioè patientemente, allegramente, constantemente, con ringratiamento, con preparatione. Sentiamo hora il sesto, e l’ultimo, ma il più utile, e necessario, ch’è conformare la sua volontà a quella di Dio. E se bene habbiamo dichiarato questa conformità dell’humana volontà con la divina in cinque libri del nostro Heliotropio, l’andremo però qui brevemente, e sommariamente confermando. E ciò a proposito di questa nostra scuola della patienza, senza replicare le cose già dette.


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§. 1.

N
Iuna volontà, ne d’Angeli, nè d’huomini, si può mai dire, che sia buona, e retta se non si conforma con la volontà di Dio. E quanto più piena, e più sincera sarà questa conformità, tanto migliore si hà sempre da stimar che sia la volontà; e quanto sarà minore, e manco sincera questa confofmità, tanto peggiore, e tanto più instabile sarà la volontà dell’huomo. La sola volontà di Dio è la giusta, e perfetta regola di tutte le volontà sì in Cielo come in terra. E niun volere si deve mai lodare, che dal voler divino sia differente.

Il Serenissimo Rè David lodando spesso i retti di cuore dice: Praetende misericordiam tuam scientibus te, et iustitiam tuam his qui recto sunt corde.1 Date Signore la vostra misericordia a quei, che vi conoscono, e giusti[p. 777 modifica]ficate quei, che son retti di cuore. Esplicando questo S. Agostino dottissimo interprete, dice così: Quod saepe diximus, illi sunt recti corde, qui sequuntur in hac vita voluntatem Dei. Voluntas Dei est aliquando ut sanus sis: aliquando vt aegrotes. Si quando sanus es, dulcis est voluntas Dei, e quando aegrotas, amara est voluntas Dei; Non recto corde es. Quare? quia non vis voluntatem tuam dirigere ad voluntatem Dei, sed Dei vis curvare ad tuam. Illa recta est, sed tu es curvus. Voluntas tua corrigenda est ad illam, non illa curvanda est ad tuam; et rectum habebis cor. Bene est in hoc saeculo? Benedicatur Deus, qui consolatur. Laboratur in hoc saeculo? Benedicatur Deus, qui emendat & probat. Et eris recto corde, dicens: Benedicam Dominum in omni tempore. Ille igitur solus cor rectum habere [p. 778 modifica]censendus est, qui vult, quod vult Deus.2 Quelli sono di retto cuore, come habbiamo detto più volte, che seguono in questa vita la volontà di Dio. Qualche volta la volontà di Dio è, che tù stij sano; qualche volta che t’ammali. Se quando tù stai sano ti par dolce la volontà di Dio, e amara, quando sei ammalato: Non sei di retto cuore. Per qual cagione? Perche tù non vuoi addrizzare la volontà tua à quella di Dio; ma vuoi storcere quella di Dio alla tua. Quella è retta, e tù sei storto. La volontà tua s’hà da conformar con quella, non quella con la tua; e così haverai retto il cuore. Stai bene in questo mondo? Sia benedetto Iddio, che ti consola. Hai travagli in questo mondo? Sia benedetto Dio, che ti corregge, e prova. Et a questo modo sarai retto di cuore, dicendo: Benedicam Dominum in omni [p. 779 modifica]tempore. Io benedirò il Signore in ogni tempo. Colui dunque solamente si hà da stimare haver il cuore retto, il quale vuole tutto ciò, che vuole Iddio.

Questo solo documento val più in questo negotio, che non fanno tutti gl’altri precetti. Questo è un sommario di tutti i ricordi: Questo è un compendio di tutte le sacre scritture, e un breve modo d’acquistare tutte le virtù; questo è il più gran conforto, che si possa havere in tutte le afflittioni: questo è il supremo grado dell’amor divino: questo è quello, che dà la ragione, e il diritto al Paradiso a tutti i figliuoli della Croce: e questo è quello, che innalza gl’huomini fino al luogo de gl’Angeli. Questo solo, cioè di conformare la sua volontà con quella di Dio, hanno tutti da imparare, e sopra ogn’altra cosa. Perche chi nella scuola della Patien[p. 780 modifica]za hà imparato questo solo, già hà finito d’imparare, già hà ottenuto il nome di Maestro, e di Dottore.

A questo più d’ogn’altra cosa attese David quel gran conoscitore della divina volontà. Poiche egli diede molti saggi di questa divina scienza, e all’hora in particolare quando fuggendo da quel suo mal figliuolo d’Absalone, comandò, che i Sacerdoti, e l’Arca se ne ritornassero; dicendo: Si invenero gratiam in oculis Domini, reducet me, et ostendet mihi eam, et tabernaculum suum. Si autem dixerit mihi, non places; praesto sum, faciat quod bonum est coram se.3 Se io trovarò gratia ne gl’occhi del mio Signore ed egli sarà quello che mi rimenerà a casa, e mi farà vedere l’Arca, e il suo tabernacolo. Ma se mi dirà, tù non mi piaci: Eccomi quà, faccia pure egli quello, che più li piace. [p. 781 modifica]

Et eccoti in tempo d’una fuga così impedita, in tempo di grandissimo pianto, e di grandissime strette, e angustie, quando già pareva, che havesse perduto tutto il Regno, il Rè David più che mai costante, e forte, e più che mai attento alla sola volontà di Dio, e ad ogni suo minimo cenno, non vuole, ne cerca altro se non quel, che vuole Iddio. Vuol Iddio, ch’io ritorni? Et io pure così voglio: Non vuol, ch’io torni? Nè anch’io voglio. Faccia pur Dio tutto ciò, che gli parerà meglio, ch’io son pronto a fare quello ch’ei vorrà.

Note

  1. [p. 807 modifica]Ps. 35. 11.
  2. [p. 807 modifica]S. Aug. to. 8. in ps. 35. ante finem.
  3. [p. 807 modifica]2. Reg. c. 25.

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§. 2.

O
Christiani miei cari, noi vorremo procurare di capir bene, e imprimer bene nelle più intime midolle dell’anima nostra questa sol cosa, haveremo [p. 782 modifica]già fatto ogni cosa; niuna calamità ci potrà più, non dico offendere, ma ne manco toccare; niuna afflittione ci opprimerà, niuno huomo ci potrà nuocere, e difesi dalla sola volontà di Dio diventeremo inespugnabili, e invincibili. Se n’anderanno forsi in rovina le cose nostre, la robba, la sanità, la fama: ma noi restaremo in piedi: Rovini pure Atlante con tutto il Mondo, che noi staremo in piedi: Rovini ancor l’istesso Cielo, noi però staremo sempre in piedi, mentre haveremo in noi questa conformità con il volere divino.

Questo ci mostrò Christo chiarissimamente il giorno avanti della sua morte nel monte Oliveto. Poiche si rimise totalmente alla volontà del Padre, e qual mansueto agnello si diede in mano de suoi nemici perche l’ammazzassero. Prima di questa oratione, [p. 783 modifica]se ne stava tutto mesto, pallido, pien di paura, e poco men ch’essangue, tutto tremava in pensar a quel funesto apparato di così horrenda morte: Ma dopo, che hebbe fatto oratione, e rassegnata tutta la sua volontà in quella del Padre; disse subito: surgite eamus. Sù presto andiamo a incontrare allegramente i nostri nemici, e a ricevere gl’empi abbracci, e il sacrilego bacio di Giuda traditore.

E questa conformità della volontà humana con la divina rende l’huomo così pronto a sopportar’ogni cosa, così forte ad operare, così animoso a superare tutti i nemici, e così invitto, e inespugnabile contra tutti gli incontri, che quanto uno è più conforme alla divina volontà, tanto più è apparecchiato a fare, e patire ogni cosa con maggior fortezza. Nè vi sarà mai calami[p. 784 modifica]tà, ò dolore alcuno, che gli possa cavare di bocca altre parole, che queste: Sicut Domino placuit ita factum est, ita fiat; quoniam ab ipso patientia mea. Si è fatto, come è piaciuto al Signore, e così si faccia sempre: perche da esso viene la mia patienza. Il che dichiarando eccellentissimamente S. Agostino dice: Quae patientia inter tanta scandala, nisi quia si id quod non videmus, speramus, per patientiam expectamus? Venit dolor meus, veniet et requies mea. Venit tribulatio mea, veniet et purgatio mea. Nunquid lucet aurum in fornace aurificis? In monili lucebit, in ornamento lucebit: patiatur tamen fornacem, ut purgatum a sordibus veniat ad lucem. Fornax ista, ibi palea, ibi aurum, ibi ignis, ad hanc flat aurifex. In fornace ardet palea, & purgatur aurumn. Illa in cineres vertitur, a sordibus illud [p. 785 modifica]exuitur. Fornax mundus, palea iniqui, aurum iusti, ignis tribulatio, aurifex Deus. Quod vult ergo aurifex, facio; ubi me ponit aurifex, tolero. Iubeor ego tolerare, novit ille purgare: Ardeat licet palea ad incendendum me, et quasi consumendum me; illa in cinerem vertitur, ego sordibus careo. Quare? quia Deo subijcietur anima mea.1 Che patienza è questa, dice S. Agostino, tra tanti scandali, se non che se speriamo quello, che non vediamo, per mezo della patienza, l’aspettiamo? E’ venuto il mio dolore, verrà ancora il mio riposo. E’ venuta la mia tribolatione, verrà ancora la mia purga. L’oro risplende forsi nella fornace? Risplenderà in un gioiello, risplenderà in un ornamento. Habbia però patienza di star nella fornace, accioche purgato dalle bruttezze se ne venga alla luce. Questa è la fornace, [p. 786 modifica]quivi paglia, quivi è l’oro, ivi è il fuoco, e quivi è l’orefice, che soffia. Nella fornace la paglia si brugia, e l’oro si purga: quella si converte in cenere, e questo si purga. Il mondo è la fornace, i peccatori son la paglia, l’oro i giusti, la tribolatione il fuoco, l’orefice Iddio. Io fò quello che vuol l’orefice, e sopporto di stare dov’egli mi pone. A me si comanda, che mi sopporti, ma egli è quello, che sà purgare. E benche s’accenda la paglia per abbrugiarmi, e quasi per consumarmi; ella però si converte in cenere, e io resto purgato. Perche questo? Perche l’anima mia sarà soggetta a Dio.

Eccoti un’intiera conformità dell’umana volontà con la divina. Di questa disse con molta verità quel divotissimo Autore. Che non si può far sacrificio, che sia maggiore, o più grato a Dio, che in ogni tribolatione [p. 787 modifica]conformarsi col beneplacido della divina volontà.2

Mostrossi Iddio molte volte ad Abramo, come se fusse mutabile, come se hora volesse una cosa, hora un’altra, e comandasse cosa, che fusse contraria a quello, che gli haveva prima ordinato. Il, che fù fatto, acciò, che in un servo tanto fedele andasse sempre crescendo questa conformità della sua con la divina volontà. E che sia il vero considerate bene l’animo dell’istesso Abramo. Non potè Iddio tanto mutare i suoi comandamenti, ne mandargli mai tanti travagli così grandi, e molesti, nè trattarlo mai tanto male, che Abramo voltandosi sempre prontamente ad ogni minimo cenno del suo volere, non volesse sempre, o non ricusasse ciò, che voleva, ò non voleva Iddio.

Note

  1. [p. 813 modifica]S. Aug. in ps. 61. circ. med.
  2. Lud. Gran. in Duc. pec. l. 1. p. 2. c. 22.

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§. 3.

I
Discepoli della Patienza sono molto differenti fra di loro. Perche vi sono alcuni, che vengono alla scuola malissimo in ordine, senza cappello, con la testa scoperta, senza scarpe, e senza mantello, e tutti stracciati, come sogliono fare i più poveri. Altri poi, che non possono caminare, vi vengono carponi. Altri vengono bene a piedi, e honestamente vestiti, ma senza carta, senza penna, senza calamaro, e senza libri, spreparatissimi per imparare. Altri hanno tutto il sudetto, ma non hanno da pagar il Maestro. Altri poi, che hanno da pagar il Maestro, non hanno ingegno. Finalmente vi sono alcuni, che vengono alla scuola a cavallo, ò in carrozza, come i figliuoli de’ Nobili, e de’ Signori; E questi hanno molto a caro di venir alla scuola [p. 789 modifica]in questo modo, e così commodamente.

Quei primi senza cappello, senza scarpe, e senza mantello, vengono bene a questa scuola; ma sono ancora impatienti, e non hanno ancora imparato, ne anche a sopportar patientemente le cose avverse. Ma non sanno ne anche dissimulare, ò ricoprire l’impatienza loro. Huomini veramente senza cappello, e sanza manto, troppo, e vitiosamente scoperti.

Altri vengono miseramente a questa scuola a branciconi; questi hanno imparato qualche poco di patienza, ma non sono patienti se non per forza. Il dinaro è quello, ò la paura, che fà lor mostrare qualche poco di patienza. E questi non sopportano cosa alcuna allegramente.

I Terzi vengono alla scuola della patienza, ma senza veruno [p. 790 modifica]di quelli instrumenti che vi bisognano, come solamente per sentire, i quali per un’hora, ò due stanno attenti, ma poi vinti dal tedio, perdono tutta la patienza, e si partono dalla scuola. E la mente vaga, e indocile di costoro, non può capire la costanza.

Mà vi sono alcuni, che venendo alla scuola con più apparecchio, non hanno però da pagare il Maestro. Il vero pagamento nella scuola della Patienza è il rendimento di grazie nelle Avversità. Questo non capiscono molti discepoli nella grossezza dell’ingegno loro, ma ne anche se ne curano troppo. Pare, che quelli facciano talvolta qualche profitto, e con qualche costanza, e che siano assai capaci dell’altre cose della scuola; ma non hanno ancora imparato a ringratiar Iddio nelle cose avverse, come nelle prospere; ne per i castighi come per i be[p. 791 modifica]neficij. E questi tali non hanno da pagare il Maestro.

Ad altri però non mancarebbe forsi da pagare, ma manca loro l’ingegno, perche patiscono le tribolationi, e le cose avverse senza mai pensarci prima, e senza niuno apparecchio. Questo è un gran mancamento d’ingegno, il non prevedere quelle cose, che possono, e sogliono avvenire a ciascun’huomo, e andar poi dicendo quelle parole così sciocche: io non mi haverei pensato questo.

Altri finalmente vi sono, che vanno, e tornano da questa scuola a cavallo, ò in cocchio huomini ricchi, e abondanti di favori divini. E questi sono quelli, che in tutte le cose, e particolarmente nelle avverse si danno tutti da dovero, e con tutto il cuore in mano alla divina volontà, e providenza. Et a questo modo otten[p. 792 modifica]gono di sentire sì la Croce, ma di portarla facilissimamente conformandosi sempre con la divina volontà. Questi non solamente sopportano tutte le avversità con patienza, allegrezza, e costanza, ma ancora con ringratiamento, e non senza apparecchio, e quel, che più importa con grandissima conformità della loro alla volontà divina. Questi stanno sempre bene, etiandio, quando stanno pessimamente. Perche sono portati in carrozza sicuramente dalla divina provvidenza. Ciascheduno di questi hà sempre in bocca: Dominus regit me, et nihil mihi deerit: Dominus sollicitus est mei.1 Il Signore è quello, che mi governa, e però non mi mancherà niente. Il Signore è quello, che hà cura di me. Questi tali hanno tutto quello, che desiderano; questi ottengano ciò, che vogliono etiandio prima che lo desiderino, es[p. 793 modifica]sendo che essi non desiderano mai altro, nè altro vogliono, che quel, che vuole Iddio. Sono ammalati? sanno che questo è parte della divina volontà. Accade, che patischino travagli, danni ò timori? Sanno, che queste son cose solite, che son già determinate, e che non vengono a caso. Vedono le triste partenze de gl’amici, e le immature morti de’ suoi più cari? Sanno benissimo, che la vita, e la morte, e tutto l’ordine della vita stà in mano della volontà di Dio; Così si conformano in ogni cosa con lui, e seguono Dio, non perche siano forzati, ma con tutto il cuore, e di buona voglia. Nè occorre loro mai cosa alcuna, che la piglino con melanconia, e con mal volto, nè contra lor voglia pagano alcun tributo della vita.

Tutte le cose poi, per le quali noi ci affligiamo, e delle quali ci spaventiamo, sono tributi, e ga[p. 794 modifica]belle della vita; da’ quali nè si deve sperare, ne si deve dimandare d’esserne esenti. Questi finalmente così grandi osservatori del divin volere, sanno come il sonatore, che tanto và tirando, e allentando le corde della cetera, finche è accordata: Così chi vuole, che la sua volontà sia conforme alla divina, và tanto emendando, forzando, instruendo, e stimulando la sua, fin che totalmente, e perfettamente si soggetti alla divina.

Il che facendo molto bene seco stesso il Salmista, diceva: Nonne Deo subiecta erit anima mea? ab ipso enim salutare meum. Sicut Domino placuit, ita factum est. Sicut fuerit voluntas in Caelo, sic fiat.2 Non sarà forse soggetta a Dio l’anima mia, essendo che da esso dipende la salute mia? Si è fatto, com’è piaciuto al Signore. Facciasi pura come sarà la volon[p. 795 modifica]tà di Dio la sù nel Cielo. Nonne, dunque, Deo subiecta erit anima mea? L’Hebreo legge: Nonne ad Deum silebit anima mea?3 Come se havesse detto: in tutte quante le cose, che m’occorrono io servo un religiosissimo silenzio, nè dico pur una minima parolina in contrario, essendo contentissimo di tutto ciò, che vuole, e ordina Iddio: a Dio tocca il governare, e comandare: a me tocca d’ubbidire, e così camino sicuro. Che s’io trovo la mia volontà repugnante, all’hora comincio a pregarlo, come fece quel suo fedelissimo servo quando disse: Ecce Pater dilecte, in manibus tuis sum ego, sub virga correctionis tuae me inclino: percute dorsum meum et collum meum, ut incurvem ad voluntatem tuam tortuositatem meam.4 Ecco Padre mio diletto, ch’io son tutto nelle vostre mani; Io mi piego alla verga [p. 796 modifica]verga della vostra correttione: battetemi bene il dorso, e il collo, accioche io mi pieghi a far la vostra santissima volontà. E datemi gratia sopra ogn’altra cosa, ch’io sempre vada cercando il beneplacito della vostra volontà.

Note

  1. [p. 822 modifica]Ps. 22. 1.
  2. [p. 822 modifica]Ps. 61. 2.
  3. [p. 822 modifica]Mach. c. 3. 60.
  4. [p. 822 modifica]Thom. de Kemp. Imit. Christ. l. 1. c. 59.

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§. 4.

N
E questa conformità del’humana volontà con la divina deve parer difficile ad alcuno. Poiche qual cosa è più in nostro potere, che il volere, ò non volere. E che cosa può ciascuno haver più pronta, ò che sia di manco spesa, quanto dire di sì, ò di no?

Alessandro Magno haveva cominciato ad imparare le geometria, per saper quanto era piccola la terra, di sì minima parte di cui fin’all’hora haveva fatto acquisto. [p. 797 modifica]Erano molto sottili quelle cose, che se gl’insegnavano, e bisognava starci molto attento, e non le poteva capire così facilmente un Soldato, e un’huomo, che haveva il cervello, e i suoi pensieri di là dall’Oceano: E perciò questo buon scolare disse un giorno al Maestro: Insegnami cose più facili. A cui rispose il Maestro. Queste cose sono ugualmente difficili per tutti.

L’istesso quasi credo io, si potrebbe dire della conformità della humana volontà alla divina. Queste cose sono per tutti le medesime. Così il volere, e il non volere deve a tutti ugualmente parer facile. E per imparar questo siamo tutti uguali, tanto i più poveri, quanto i più ricchi; E senza veruna fatica, ò spesa, potiamo tutti infinite cose volere, e non volere. Anzi ogni giorno infinite cose vogliamo, e non vo[p. 798 modifica]gliamo. Ma poco importa il voler’ò non volere molte cose; ma il volere, ò non volere quello, che vuole, ò non vuole Iddio, questa sì ch’è cosa lodevole, e virtuosa.

Palladio, e Ruffino raccontano una cosa degna di grandissima meraviglia. Parve a Pafnuzio d’haver fatto tanto profitto nella via del Signore, che con una semplice, e pia curiosità pregò Dio, che gli volesse mostrar un’huomo, che gli fusse uguale nel modo di vivere. Lo compiacque Iddio, e gli fece dire da un’Angelo, che suo pari era un sonatore, che col sonar la piva in una terricciuola là vicina s’andava procacciando il vitto. Restò tutto stordito a questo annuntio Pafnuzio; e pensando fra se stesso molte cose, andava così discorrendo, e dicendo a se stesso: È possibile, che in tanti anni, e con tanto sforzo tù non [p. 799 modifica]habbi fatto tanto profitto, che ti basti a passar di virtù un sonator di piva? E postosi subito in viaggio se n’andò a trovar costui, e trovato che l’hebbe cominciò con ogni diligenza a interrogarlo, che sorte di vita ei facesse, e a quali virtù particolarmente attendesse? Ma egli mettendosi a ridere a una dimanda così seria, e cominciando da capo a confessar quello ch’egli era. Io gli disse, fui prima un ladro; e adesso son un sonator di piva. Del resto tù mi domandi in vano delle mie virtù, perche io non nè hò nessuna, mà ne anche ne sò il nome. Pafnutio però lo stringeva con varie dimande, e l’animava a dire, se havesse fatto mai qualche opra buona, etiandio mentre ch’era ladro. A cui egli rivolto disse: O come sei fastidioso! Tù t’affatichi indarno, perche la mia conscienza è assai sterile, e mi diedi sempre [p. 800 modifica]all’ebrietà, e alla libidine. Mi ricordo solamente che una volta liberai una monaca, che noi altri havevamo pigliata, dalle mani de’ miei compagni, che cercavano di farle forza, e la menai in questa terra quì vicina. Ma già, che tù m’assedij con tante dimande, e ti piace d’udire queste cose; mi ricordo ancora, che molti anni avanti trovai una donna, che smarrita andava errando per le selve, e faceva un gran pianto. E dimandandole quale fusse la causa del suo pianto; ella mi rispose: Non mi dir niente, ch’io sono la più infelice donna del mondo. Ma se tù hai bisogno di una serva, menami pur dove vuoi, ch’io ti seguo. Mio marito è carcerato per debiti, e si muore di fame, nè vi è speranza alcuna d’esserne liberato; Tre figliuoli, ch’io havevo; (ben dissi che havevo, che non li hò più) se l’han pigliati i credito[p. 801 modifica]ri per servi in pagamento. Et essendo ancor’io cercata per questo medesimo, me ne son fuggita quà tutta piena di miserie, e morta di fame, non havendo chi mi dia nè aiuto, nè consiglio. Sentite queste cose, diceva il sonatore, havendo pietà d’una disgratia così grande, e pensando che ciò fusse la volontà di Dio, menai la donna, che per la fame a pena si poteva più muovere, alla nostra spelonca; dove col mangiare un poco ricuperò lo spirito, che stava per uscirle dal corpo. E perche sapeva benissimo, che Dio era un ricco Signore; rimenai alla Città quella donna, e le diedi dinari, che bastarono per liberare, e i suoi figliuoli, e il marito. Ma tù huomo da bene, non mi stare a dimandare più niente. Questa è la somma di tutte le mie virtù; e se tù vuoi, io ti dirò più facilmente i miei vitij, che le mie virtù. Qui[p. 802 modifica]vi sospirando Pafnutio dall’intimo fondo del suo cuore. Io gli disse, fratel mio, hò saputo per divina rivelatione, che tù non sei niente inferiore a me, che habito le solitudini, e affligo il mio corpo con sommo rigore. Ecco dunque fratello mio carissimo, che essendo tù appresso di Dio in tanta stima, quanto alcun’altro, che gli sia più caro, e essendo l’origine d’ogni santità il voler esser santo, non disprezzar, ti prego, te stesso; piglia pure ancor tù la tua Croce, e seguita Christo; Et esso, come se vedesse Dio, che ciò volesse, e gli comandasse, gettata via la piva, che haveva in mano, seguì subito Pafnutio per conformarsi con la divina volontà; E così facendo per tre anni una celeste vita in terra, fù alla fine ricevuto in Cielo.1

Qui potrei forse ben gridare, e dire. Vedete, e mirate bene, ò [p. 803 modifica]discepoli, che nella scuola della Patienza vi pare d’haver fatto molto profitto, vedete, che i più bassi della scuola non vi passino. Nelle scuole vi è questo costume, che si chiama un putto dell’infima classe, che corregga, e insegni ad un giovinotto ben grande, ma stordito, e gli mostri d’haver bruttamente errato. L’istesso quasi quivi accade. I ladri, e sonatori di piva, che sono scolari dell’infima classe, fanno talvolta vergognare quei più grandi, e quei, che sono più superbi, e men patienti.

Quì porta il vanto, il voler tutto ciò, che Dio vuole, e non volere alcuna cosa di quelle, ch’ei non vuole. Quello è qui più litterato, più patiente, e miglior di tutti gl’altri, che più si conforma con la volontà di Dio. Hà fatto ogni cosa chi hà conformato la sua volontà a quella di Dio. [p. 804 modifica]cura di volere, e t’hai guadagnato il premio della Patienza.

Note

  1. [p. 830 modifica]Pallad. Helenop. epi. c. 63. Ruffin Aquil. c. 16.

[p. 804 modifica]

§. 5.

M
A quel serpentino Perche, dà gran fastidio a molti nella scuola della Patienza. Perche Dio fà questo, perche fà quell’altro? Perche castiga gl’innocenti, e lascia andare i colpevoli? Perche permette tante, e così gran sceleragini? Perche è così aspro co’i suoi, e spesse volte così amorevole con li altri? Perche vuole che si faccia ogni cosa a suo modo? A questo modo andava il serpente interrogando là nel Paradiso terrestre la madre del genere humano. Perche vi hà comandato Iddio, che non mangiaste di tutti i frutti del Paradiso? Cur praecepit vobis Deus, ut non comederetis ex omni ligno Paradisi?1 Questo serpentino Perche s’hà [p. 805 modifica]s’ha da sbandire affatto dalla scuola della Patienza. Et il maestro hà comandato seriamente, che ne anche fra noi si senta il nome suo; Nec nominetur in vobis.2

E rispondendo esattissimamente S. Agostino a questi serpenti, dice così: Quare percutiunt aliquando fulmina montemi, et non percutiunt latronem? Quia forte adhuc latronis conversionem quaerit Deus, & ideo percutitur mons, qui non timet, ut mutetur homo qui timet. Aliquando et tu, cum das dtsciplinam, terram feris, ut infans expavescat. Sed dicis mihi; Ecce cadit innocentiorem dimittit sceleratiorem. Noli mirari, Undecunque mors pio bona est. Unde autem scis illi sceleratiori, si se mutare noluerit, quid poenarum in occulto servetur? Non ne mallent fulmims incendio potius interire, quibus in fine dicetur: Ite maledicti in ignem aeternum? [p. 806 modifica]Opus est, ut innocens sis. Quid enim? Malum est mori naufragio, et bonum est mori febre? Sive hinc sive inde moriatur, quaere qualis sit qui moritur, quo post mortem iturus est, non unde de vita exiturus. Tu time, et bonus esto. Undecumque voluerit ut exeas hinc, paratum te inueniat. Quidquid ergo hic accidit3 (Son parole del medesimo S. Agostino) contra voluntatem nostram, noveris non accidere, nisi de voluntate Dei, de providentia ipsius, de ordine ipsius, de legibus ipsius, Et si nos non intelligimus, quid quare fiat demus hoc prouidentia ipsius, quia non fit sine caufa. Cum enim coeperimus disputare de operibus Dei: quare hoc, quare illud, et non debuit sic facere, male fecit hoc. Ubi est laus Dei? Perdidisti Alleluia. Omnia sic considera ut placeas Deo, et laudes artificem. Quasi si intrares in [p. 807 modifica]officinam forte fabri ferrarij, non auderes reprehendere folles, incudes, malleos. In officina non audes vituperare fabrum, et audes in hoc mundo Deum? Imperitus reprehendit omnia. Peritior et si artificem novit, scit tamen esse hominem, et ait: Non sine causa hoc loco folles positi sunt, artifex nouit quare, etsi ego non novi.4 Perche i fulmini (dice questo Santo) battono talvolta un monte, e non un ladro? Perche Iddio forse aspetta ancora, che il ladro si converta, e perciò si batte il monte, che non teme, accioche si muti l’huomo, che teme. Qualche volta tù ancora, quanto disciplini il tuo figliuolino, batti la terra perche quello tema. Ma tù mi dici: ecco, che batte un’innocente, e lascia andare uno scelerato. Non ti meravigliare: venga la morte come si voglia, che per il giusto è sempre buona. Ma onde [p. 808 modifica]puoi tu sapere, che pene siano in secreto riservate per quel scelerato, se non si vorrà mutare? E quelli, a’i quali sarà detto nel fine: Andate maledetti nel fuoco eterno, non vorrebbono più tosto essere stati brugiati dal fulmine? Bisogna, che tù sij huomo da bene. E che, sarà forsi male il morire di naufragio, e bene il morir di febre? Muoiasi pure uno dove si voglia, tù hai da cercare qual sia quello, che muore, e dove andarà dopo la morte: E non di che morte habbia da morire. Tu vivi sempre con timore, e sij huomo da bene. Procura, che ti trovi sempre apparecchiato, e facciati morire com’egli vuole. Tutto quello dunque, che ci occorre contra la nostra volontà, sappi pure, che non ci occorre se non per volontà di Dio, per la sua providenza, per ordine suo, e per le sue leggi; benche non intendiamo [p. 809 modifica]noi altri il perche, concediamo questo nondimeno alla sua providenza, perche non si fa cosa alcuna senza causa. Perche si cominciaremo a disputare delle opere di Dio. Perche fà questa cosa, perche quel’altra. E non doveva far così, e questo fece male. Dove è quì la lode di Dio? Tù hai perduto l’Alleluia. Considera talmente tutte le cose, che tù piaccia a Dio, e ne lodi l’artefice; Come se a punto tù entrasti in una bottega d’un ferraro non haveresti ardire di riprendere ne i mantici, nè le incudini, ne i martelli. Non ardiresti in una bottega di riprendere un Maestro, e hai ardire nel mondo di biasimare Iddio? Un ignorante ad ogni cosa mette bocca, ma un saputo, anchorche conosca l’artefice, sà però ch’egli è un’huomo, e dice: Non senza causa i mantici son posti in questo luogo, il Mastro sà il [p. 810 modifica]perche, ancorche io nol sappia.

Per abbracciar dunque volontieri la volontà del nostro amantissimo Padre, animandoci il medesimo S. Agostino, e mettendoci inanzi l’hereditarie delitie della eternità dice: Deus tuus, Redemptor tuus, Domitor tuus, castigator tuus, Pater tuus erudit te. Quo? Ut accipias haereditatem, ubi non efferas Patrem, fed haereditatem habeas ipfum Patrem. Ad hanc spem erudiris, et murmuras? Et si quid triste acciderit, fortasse blaphemas? Quo ibis a spiritu eius? Ecce dimittit te, et non flagellat; deserit blasphemantem; non senties iudicantem! Non ne melius est, ut flagellet te, et recipiat te; quàm parcat tibi; & deserat te!5 Gaudes agnosce Patrem blandientem: Tribularis? agnosce Patrem emendantem. Sive blandiatur, sive emendet, cum [p. 811 modifica]erudit, cui parat haereditatem.6 Il tuo Dio, il tuo Redentore, il tuo Domatore, il tuo Correttore, il tuo Padre t’ammaestra. A che fine? Perche tù habbi l’heredità, dove senza sepellire il Padre, habbia per heredità l’istesso Padre. Tù sei ammaestrato, e instrutto per questa heredità, è mormori? Et occorrendoti qualche cosa sinistra forsi ancor bestemmi? Dove te n’andrai se tù fuggi dal suo spirito? Ecco ch’ei ti lascia andare, e non ti castiga; hor perche ti lascia andare mentre bestemmi, pensi tù forse di non l‘haver a sentire, quando ti giudicarà? Non è forsi meglio, che ti castighi, e ti riceva, che perdonandoti ti abbandoni? Ti trovi forsi allegro? Riconoscilo per Padre, che ti accarezza; Sei forsi tribolato? Riconoscilo per Padre, che ti castiga. O ti accarezzi dunque, ò ti corregga, ammaestra uno a cui [p. 812 modifica]apparecchia l’heredità.

Ma Dio come dice il medesimo S. Agostino, ordina talmente i peccati di tutti gl’huomini: Ut quae fuerunt oblectmenta homini peccanti, sint instrumenta Domino punienti. Non dixit Deus, fiant tenebrae, et factae sunt tenebrae, et tamen ipsas ordinavit.7 Accioche quelle cose, che servirono all’huomo per peccare servino a Dio per punire. Non disse Dio facciansi le tenebre, e fur fatte le tenebre, e nondimeno le ordinò. Così fà Dio delli peccati, anchorche egli non li faccia, nondimeno li permette, e li ordina, e così esseguisce in ogni cosa efficacissimamente la sua volontà. Ma hora statemi tutti attenti a quello, che io vi dirò, che vi racconterò la cosa dal principio, mà brevissimamente.

Note

  1. [p. 838 modifica]Gen. c. 3.
  2. [p. 838 modifica]Ephes. c. 5. 3.
  3. [p. 839 modifica]Haec quaeso bene notentur.
  4. [p. 838 modifica]S. Aug. to. 8. in ps. 149. circ. me. [p. 839 modifica]
  5. [p. 839 modifica]Id. to. 10. de verb. Dom. ser. 4. c. 5.
  6. [p. 839 modifica]Id. to. 8. in ps. 54. post. med.
  7. [p. 839 modifica]Id. in ps. 7. ans. fin.

[p. 813 modifica]

§. 6.

P
Rima che fusse creato il Mondo, non vi era cosa alcuna, se non un merissimo vacuo, anzi un purissimo niente, fuor che Dio ottimo massimo, che senza le creature, essendo Beatissimo, e sufficentissimo a se stesso, hebbe fin dall’eternità, e hà fino al presente ancora in se stesso così perfetta Idea di tutte le cose; che non si può nel suo divino intelletto, e volontà desiderar cosa alcuna per minima, che sia. E conforme a quest’Idea dell’intelletto, e volontà desiderar cosa alcuna per minima, che sia. E conforme a questa Idea dell’intelletto, e volontà sua, creò tutte le cose perfettissimamente, tutte le fece buone, e molto buone ancora. Ne lascia di governarle, e conservarle, e ad ogni momento và [p. 814 modifica]nendo tutte le cose ordinatissimamente.

Quel fine poi, che Dio dall’eternità si prefisse, l’ottiene sempre in tutte le cose. E quello, ch’è di infinita potenza, e bontà, hà cura egualmente di tutte le cose dalle più piccole fino alle più grandi; e con grandissima providenza regge, e governa a ogni momento tutti gl’huomini, e ciascuno di essi; e indirizza con tanto amore tutte le cose più minute di ciascun’huomo, che non vi è cosa, che non sia portata ad un’ottimo fine, purche la sola volontà dell’huomo da se stessa non si sconci, discordando dalla somma volontà di Dio.

Quello, che Dio già fino da tutta l’eternità hà scritto ne’ suoi decreti, tutto quello ch’egli hà determinato di fare ò di permettere, non vi sarà mai huomo nè Angelo alcuno, che lo possa mutare, ò [p. 815 modifica]impedire. Tutti i peli di tutti gl’animali, tutte le arene de’ monti, tutte le foglie de gl’alberi, tutti i più minimi uccelletti, regoli, e passarini, fino à gl’istessi atomi dell’aria, e tutti quanti i pensieri sì de gl’huomini, come de gl’Angeli, tutti sono contati, e diligentissimamente pesati.

Di che dunque ti puoi hormai tù lamentare, come se Dio poco attento alle tue calamità non governi tè, e le cose tue con providenza, ò troppo permetta a’ tuoi nemici, ò pure in tanta moltitudine d’huomini, e di cose non si curi più di te? Pazzo che sei, tù vai dicendo queste cose? Omnia in mensura, et numero, et pondere disponit Deus.1 Dio và sempre disponendo, e ordinando ogni cosa in misura, numero, e peso etiandio le cose sue, e ciascuna minutia delle cose tue.

Considera di gratia un poco la [p. 816 modifica]tua vita passata, e và cancellando in essa tutto ciò, che tù vorresti che fusse altrimente successo; e osserva ancora diligentemente, che questo istesso è stato da Dio con più esquisita accuratezza riferito alla sua idea, cioè (perche tù l’intenda meglio) sicome piacque a Dio fin dall’eternità, così a punto si è fatto, e si farà mai sempre ancora: Iota unum, aut unus apex non praeterijt,2 senza che se ne preterisca, nè tralasci pure un minimo puntino, nè per il passato, nè per l’avvenire, finche ogni cosa si renda conforme a quella divina Idea.

La santissima volontà di Dio starà sempre salda, fà pur quel, che tù vuoi. Hor che ti hà giovato d’esserti così gravemente afflitto, e d’haver indarno turbato te stesso, e gl’altri ancora? E che ti gioverà per l’avvenire il dolerti, e ’l conturbarti?3 Di gratia avverti di non [p. 817 modifica]non dar di nuovo nel medesimo scoglio; vestiti dell’affetto di una buona resignatione, e datti tutto quanto in potere della divina volontà, e a questo modo entra nel cocchio della divina providenza perche in esso andrai sicuro. E senza concessione, e licenza della divina volontà non si moverà mai contra di te nè una minima arena, nè un ditarello, nè qualsivoglia minimo pensiero.

Ma si come a mia persuasione hai considerato le cose passate considera ancora un poco di gratia le future; Qual di esse stia nella volontà, ò potere tuo? A pena ne troverai una. Ma ne anche sei sufficiente a prevedere le cose imminenti. Dimmi un poco come sarà la futura estate? Se ella sarà sterile, e mala, e se vi sarà carestia ò peste? Che ti giovarà quì il tuo prevedere, e il tuo dolerti! Così s’hà da dire in tutte l’altre cose. [p. 818 modifica]Ma in verità tù non puoi impetrare le cose buone, nè guardarti dalle cattive, se Dio non vuole, e però procura di conformare la tua volontà con la sua.

Tu ti crucij indarno, e indarno fai resistenza, indarno t’affatichi a fabbricare, se teco non fabrica la divina volontà. Non fai niente, nè fai alcun profitto, se tù non vuoi quello, che vuole Iddio.

Fà dunque così: assoggettati in tutto, e per tutto al divin volere. E pensa di gratia un poco ogni giorno a questa cosa sola, ch’è certissima; Iddio fin dall’eternità hà previsto, e hà determinato di darti questa croce secondo tutte le circostanze del luogo, del tempo, e delle persone; e questa egli con la sua somma bontà, e sapienza l’ha fatta a posta per le tue spalle, e te n’hà pigliata la misura. Resta solamente, che tù vogli, ch’essa ti [p. 819 modifica]sia di giovamento; e ti gioverà molto , purche tu vadi conformando, e accommodando la tua volontà con la divina.

Adunque in ogni evento và così discorrendo: Questa cosa mi vien da Dio, adunque è una cosa ottima. Questa ingiuria, questa infermità, questa povertà, questa molestia, ò questa miseria, ch’io patisco, mi vien dall’stesso Iddio, adunque non può far danno, se la mia volontà non è discordante dalla divina. Guardati però di non dir mai: Purche questa, ò quella Croce non mi prema. Perche questa è una querela otiosa, e vana. Tù accetta pure, e questa è quella, che tù così abborrisci, perche Iddio vuole, che con questa, ò quella Croce tù sij travagliato. O tù dunque vogli quel, che vuole Iddio, ò pure, perche così tù vuoi, lasciati vincere, e và in mal’hora.

Note

  1. [p. 846 modifica]Sap. c. 11. 21.
  2. [p. 846 modifica]Matth. c. 5. 18.
  3. [p. 846 modifica]Non excludimus, licita rerum remedia an ea antem effectum habitura sint, an minus, penes Dei voluntatem est.

[p. 820 modifica]

§.7.

Q
Uanto poi s’appartiene a quell’altra serpentina dimanda: Per qual cagione Iddio si mostri spesse volte con gl’altri così benigno, e sì severo con i suoi? E’ da sapere con ogni essattezza, che questa volontà di Dio è giustissima, perche con le Avversità si convertono a miglior vita molte migliaia di huomini, e pochissimi con le prosperità. Onde disse colui: Felicitas virtutis noverca, beatulis suis applaudit, ut noceat.1 La felicità matrigna della virtù appalude ai suoi beatelli per far poi loro del danno.

Vi sono alcuni, che par loro di esser felici, e beati, ma questo è solamente nella loro opinione, [p. 821 modifica]la quale perche è falsa, s’accosta più alla miseria, che alla felicità. Poiche il non conoscere la propria miseria è una somma miseria. Pompeo Magno si credette d’esser felice; ma se consideriamo meglio questo, non fù mai tale, ne anche quando in fioritissimo stato pareva a tutti felicissimo. La riuscita mostrò la verità del fatto, perche il povero Pompeo fù forzato a dar a gustar la sua testa, e a far un brindisi del suo sangue alla spada d’un carnefice.

Policrate Rè dei Samij, era da tutti tenuto per l’istesso figlio della fortuna; perche non gli occorse mai cosa contraria in vita sua. Lo favorivano, ò per dir meglio, il servivano a gara il Cielo, la Terra, e ’l Mare. Ogni cosa, alla quale egli si metteva, gli riusciva sempre bene: La speranza haveva sempre il suo desiato frutto: Non haveva così presto desiderato una cosa, che [p. 822 modifica]subito otteneva ciò, che voleva: Haveva il potere pari al volere: attristossi un poco solamente una volta Policrate, quando per placare Nemesi, (accioche non fusse totalmente esente da ogni incommodo) gettò in mare un suo carissimo, e pretiosissimo anello; il qual però ricuperò subito essendosi pigliato un pesce, che se l’haveva inghiottito. Alla fine ogni sua felicità venne miseramente a spirare sopra un’altissima Croce, perche Policrate essendo stato posto in Croce sù la cima del Monte Micalo da Oronte gran personaggio del Rè Dario, diede un miserabile, mà chiarissimo spettacolo d’una fallacissima felicità.2

Ma tù mi dirai, che queste son cose vane? Adunque rivolgi il guardo ad Aman ch’era un’altro Policrate, e fù ricevuto in un somigliante sepolcro, e non meno alto di quell’altro. Abondò per [p. 823 modifica]un pezzo di gran ricchezze Aman, fù beato per la moglie, e una copiosa prole, haveva molti amici, e sopra tutti il medesimo Rè Assuero gl’era amicissimo. Ogni cosa succedeva ad Aman come voleva; alla fine come terminò il negotio? La conclusione di così gran felicità fù una forca ch’egli stesso non volendo si fece fabbricare. Così per esser troppo piene cadono le spighe; così si spezzano i rami de gl’alberi, quando son troppo carichi; così una gran bonaccia in mare suol’esser segno d’una gran borrasca. Così ancora avviene ne i costumi, e nella vita: Luxuriant animi rebus plerunque secundis. Gli animi nelle prosperità si danno spesse volte a i vitij. Et alla Luna non manca mai il lume, se non quando è piena; e quanto è più piena, tanto è più lontana dal Sole. Et il cavallo quanto meglio si governa, ed è più [p. 824 modifica]grasso, tanto è più feroce a quel che lo cavalca. Così l’huomo spesse volte all’hora è più lontano da Dio, quanto si tiene più felice.

Quindi è, che Dio si lamentò una volta di quel suo Popolo dicendo: Saturavi eos; et moechati sunt; incrassati sunt, et impinguati, et praeterierunt sermones meos pessime. Io li satiai molto bene, e adulterarono, s’impirono, e s’ingrassarono; e trasgredirono pessissimamente le mie leggi.

S. Ambrogio Vescovo di Milano, come racconta S. Paolino, essendo una volta ad alloggiare in casa di un riccone, questi per trattare bene S. Ambrogio hospite suo, non solo con una liberale, e abbondante mensa, ma per ricrearlo ancora con diversi ragionamenti cominciò a farli un lungo racconto di diverse cose, e fra le altre gli disse di se stesso, che non haveva mai patito alcuna avversi[p. 825 modifica]tà, e che haveva sempre havuto ogni cosa prima di desiderarla, e oltre il suo desiderio, cioè prima ch’egli volesse, e più di quello, che volesse, e che perciò ei non sapeva, che cosa si fusse la calamità, e la miseria. Tremò tutto di paura a queste parole S. Ambrogio, e subito, come se fusse stato chiamato per un negotio di grandissima importanza, licentiandosi da quell’huomo da bene, e da quella sua così felice casa se ne partì. Domandandoli poi i suoi la causa di così subita partenza, disse loro, che egli dubitava grandemente d’haver eletto un pessissimo alloggiamento in una casa tanto beata, e d’un’huomo tanto felice, che non haveva mai provato alcuna avversità. E che però gl’haveva paruto di doversene fuggir di là quanto prima, accioche, egli co’ suoi compagni non fussero forse oppressi insieme con [p. 826 modifica]quell’huomo da qualche subita, e inaspettata rovina. Non si era S. Ambrogio ancora troppo scostato di là, quando rovinando subito, e inaspettatamente tutta quella casa oppresse miseramente tutti quei, che vi erano.3

Quanto meglio dunque fanno quei, che sono tribolati, e patiscono adesso diversi travagli, per cercarsi la quiete, e la felicità, dove non c’è timore d’alcuna rovina. Qui facciamo una vita soggetta a perpetue guerre di tentationi, essendo esposti del continuo a molti, e gravi pericoli, e non essendo mai sicuri prima della Morte. Il che, ò sappino ò nò quei, che s’insognano d’esser felici, s’hanno a tenere tutti ugualmente miseri. Perche non vi può essere felicità alcuna con errore, ò senza sicurezza. Solamente quello è felice, che stando a sedere nel cocchio della divina providenza si dà [p. 827 modifica]del tutto nelle mani del suo divino volere.

Tomaso Moro, che fù un chiarissimo specchio di patienza, soggettò perfettissimamente la sua volontà a quella di Dio in questo modo. Quando essendo ritornato poco prima da un’ambasceria lontana, se ne stava in Corte appresso il Rè lontano dalla sua casa, nel mese d’Agosto s’abbrugiò, non sò per qual’inavvertenza d’un suo vicino, parte della casa sua, e tutti i suoi granari, ch’erano pieni di frumento. La moglie gli fece scrivere da un suo genero questa disgratia. Il Moro rispose alla moglie come se fusse stato un’Angelo in questo modo.

io vi saluto carissimamente Signora Aloisia mia. Intendo, che i nostri granari con alcuni altri di quei nostri vicini, si sono con un subito incendio abbrugiati con tutto il frumento, che vi era. E ve[p. 828 modifica]ramente ch’è cosa da dolersene (salva però la volontà di Dio) la perdita di tanto frumento. Ma perche è così piaciuto a Dio, dobbiamo sopportar questo colpo non solamente con patienza, ma con allegrezza ancora. Tutto quello, che habbiamo perduto, ce l’haveva dato Iddio, ma perche ce l’hà voluto levar di nuovo, sia fatta la sua santissima volontà. Non mormoriamo mai sopra di questo, ma pigliamolo in bene, e rendiamone molte grazie a Dio, tanto nelle avversità, quanto nelle prosperità. E se faremo bene il conto, è maggior beneficio di Dio questo danno, che qualsivoglia altro gran guadagno. Perche Dio sà molto meglio di noi quello, che fà per la nostra salute. Vi prego dunque a star di buon’animo; e menate alla Chiesa insieme con voi tutta la famiglia, e ringratiate Dio tanto di quello, che ci [p. 829 modifica]diede, quanto di quello, che ci hà tolto, e ci hà lasciato. E’ facil cosa a Dio, se così gli piacerà, d’accrescere ciò, che ci è restato. Che se ce ne vorrà levar di più, facciasi ciò che gli farà più a grado. Procurisi ancora di sapere il danno, che per ciò hanno patito i vicini, e s’avvisino a non volersi pigliar fastidio. Perche io non permetterò che i miei vicini per i miei domestici travagli, patischino alcun danno, etiandio che mi fusse rubbato tutto il mio havere fino ad un cucchiaro. Vi prego dunque Aloisia mia, insieme con i nostri figliuoli, e tutta la famiglia, a star allegramente nel Signore. Tutte queste cose, e tutti noi siamo nelle mani del Signore: Dipendiamo pur tutti dalla volontà di Dio, e non potremo haver mai danno alcuno. A dio dalla Corte di Vuodstoch a’ 13 di Settembre 1529. [p. 830 modifica]

O Dio! O Santi del Paradiso! come fù pura, e sincera questa divotione verso la divina volontà! O che lettera è questa d’un’huomo veramente Santo! Questo Padre di famiglia sì che fece profitto nella scuola della Patienza. Questo è quello, che per mezo d’una perfetta conformità della sua alla divina volontà portò tanto soavemente sopra le sue spalle una sì gran mole di perdita sì grande. Eccovi un struzzo, che potè inghiottirsi, e digerire il ferro. Si brugiarono ben sì, e si perderono i suoi granai; ma non già l’animo, che ben difeso dalla patienza seppe così bene conservare intiero.

E vedete di gratia, come il nostro liberalissimo Iddio gli andò poi con multiplicato guadagno compensando quella disgratia, non altrimente di quello, che facesse già con Giob nelle sue tribolationi. [p. 831 modifica]Del mese di Settembre hebbe il Moro questa tristissima novella: E nel prossimo mese d’Ottobre fù fatto Cancelliero di tutto il Regno d’Inghilterra; con la nuova dignità gli furono date ancora nuove entrate. Onde non solamente si rifecero i vecchi granai, ma se ne poterono ancora far de gl’altri nuovi. Questo è il costume di Dio: Ducit ad inferos, et reducit. Ti conduce ad una estrema miseria, e quando manco ci pensi te ne libera.

A un Cancelliero d’Inghilterra io voglio qui aggiugnere un Principe Spagnolo; che fù il Beato Francesco Borgia terzo Generale della Compagnia di Giesù. Questi andando una volta a Simanca, dov’è un novitiato della Compagnia, fù sopragionto nel viaggio dalla notte, nella quale nevicava a più potere, e tirava un vento così freddo, che consuma[p. 832 modifica]va i poveri viandanti, e confondeva tutte le strade, le quali ne anche si potevano vedere per l’oscurità della notte.

Alla fine, havendo buona parte di quella notte contrastato e con la neve, e con le tenebre, arrivò, come a Dio piacque, al luogo destinato. Nè per questo si potè affatto liberare dell’ingiurie del Cielo. Poiche arrivato al Collegio, trovò che tutti quei di casa stavano nel primo sonno, e per molto che sonasse la campanella, e picchiasse la porta, non vi fù pur uno, che gli rispondesse; e pareva più tosto, che fussero morti che dormissero. A questo si aggiunse ancora per più scommodo, che l’habitatione era lontana dalla porta di casa. Fra tanto il povero Padre era benissimo battuto dal vento, si sentiva morir di fame, la neve seguitava a cadere copiosamente ricopren[p. 833 modifica]dolo tutto da capo a a piedi. Dopo haver aspettato un gran pezzo, risvegliatisi alla fine quei buoni novitij gli andarono ad aprir la porta. Entrato ch’egli fù in casa, fù tanto lontano dal mostrar qualche risentimento di quella poca discretione d’haverlo fatto tanto aspettare a quel gran freddo, che pieno tutto di gaudio, pareva che seco stesso si rallegrasse di questo fatto. Se ne stavano quei di casa come storditi, e si vergognavano della lor sì profonda sonnolenza, e scusandosi al meglio che potevano gli dimandavano perdono d’haver fatto stare, benche non volendo, fuori tanto tempo in sì pessima stagione un sì buon Padre. Ma il B. Borgia, benche per il freddo a pena potesse parlare, nondimeno rivolto a loro con volto placido, e sereno, disse loro queste parole: Non dovete, figliuoli miei, pigliarvi alcun [p. 834 modifica]fastidio per causa mia, perche mentre io stavo così di fuori aspettando, mi venne questo pensiero. Si come un Principe si piglia talvolta gran piacere, quando vede un leone, ò qualche altro simile animale, esser ò nel teatro agitato con stimoli, ò con cani, e reti cacciato alla campagna: Così Dio benedetto si piglia gran gusto quando vede me, che non sono niente migliore di qualsivoglia fiera, cacciato da questi venti, e da questa molle neve, che senza offendermi niente fortemente mi stringa, e prema. E che ciò mi sia accaduto è stato per providenza di Dio, e sua santissima volontà. Vogliamo per tanto, e contentiamoci ancor noi di ciò, che vuole, e si contenta Dio, e rallegriamoci quando ci fà di questi favori, e con qualche più rigido esperimento và di noi facendo prova. Questa sì che è cosa da huo[p. 835 modifica]mo, quasta raddolcisce, e mitiga le avversità, non solamente non contradire con la sua volontà a quella di Dio, ma conformarla in tutto, e per tutto con quello, ch’egli vuole.

Ma io aggiungo ancora al Duca di Candia la Serenissima Maddalena Duchessa di Neoburgo, accioche quanto più nuovi, e moderni sono gl’essempij, tanto più efficacemente ci muovino. Questa gran Prencipessa, che doverà esser poi da noi più a longo celebrata, sorella del Serenissimo Elettore Massimiliano, e moglie del Serenissimo Vuolgango Guglielmo Duca di Neoburgo, morì alli 25. di Settembre dell’anno 1628. Questa virtuosissima Signora, dico, s’essercitò sempre con grandissima costanza in ogni sorte di virtù, nondimeno attese sopra ogn’altra cosa a conformar in ogni cosa per quanto poteva la [p. 836 modifica]sua volontà con la divina. Riceveva tutte le cose avverse, che ogni giorno glie n’occorrevano molte, dalla divina mano con tanta prontezza, come se fussero tanti segni di particolarissimi favori; e mostravasi sempre invitta a sopportar fortemente qualunque cosa per amor di Dio. Nel quale studio si ridusse a tale col continuo esercitio, che nelli ultimi quattro anni, che s’affaticò d’arrivar alla cima di questa virtù, spesse volte in un sol giorno (come si trovò scritto in alcuni suoi notamenti) arrivò a fare più di cento volte atti di questa conformatione della sua volontà con la divina.

Poiche alla fine questa è la vera vita, vivere conforme alla volontà di Dio; e quando altrimente si vive, è morte. Di, che disse elegantemente S. Agostino: Contulerunt cum Apostolo quidam [p. 837 modifica]philosophorum Epicureorum secundum carnem viventes, et stoicorum quidam secundum animam viventes; contulit cum illis scundum Deum vivens. Dicebat Epicureus, mihi frui carne, bonum est. Dicebat Stoicus: mihi frui mea mente, bonum est. Dicebat Apostolus, Mihi autem adhaerere Deo bonum est. Andavano discorrendo con l’Apostolo alcuni Filosofi Epicurei, che vivevano secondo la carne, e alcuni Stoici, che facevano professione di vivere secondo la virtù, che si pensavano d’havere nell’animo loro; Diceva l’Epicureo: Io stimo, che sia bene il vivere secondo la carne. Lo Stoico diceva, e io stimo, che sia bene il vivere secondo la propria virtù dell’anima mia. L’Apostolo poi diceva, e io stimo, che sia bene l’accostarsi a [p. 838 modifica]Dio. E perciò erra l’Epicureo, s’inganna lo Stoico, ma non erra già, nè s’inganna il Christiano, che s’accosta a Dio, e stà unito con la sua divina volontà. Perche all’hora vive bene l’anima, quando vive, non secondo la carne, nè secondo se stessa, ma secondo la volontà di Dio. Perche si come l’anima è la vita della carne, così Dio è la vita dell’anima.

Note

  1. [p. 864 modifica]Io. Sarisberg. t. 1. Policrat. c. 1.
  2. [p. 864 modifica]Herodot. l. 3.
  3. [p. 864 modifica]S. Paulin. in vit. S. Ambros.

[p. 838 modifica]

§. 8.

P
Erche dunque non abbracciamo strettamente questa sola, ottima, e santissima volontà di Dio? Perche non ci vogliamo andare più tosto di buona voglia, che essere strascinati? Perche non rimettiamo a quella tutta la volontà nostra per fare, e patire tutto [p. 839 modifica]ciò che Dio vorrà, che facciamo, e patiamo?

Quello finalmente è vero discepolo della Patienza, quello è vero patiente, il quale in tutte le cose, che patisce, non fà altro, che replicare queste parole: Io voglio solamente quello, che vuole Iddio. Sà molto bene Iddio, che cosa ò in publico, ò in privato sia più conveniente alla sua gloria, e giovevole alla nostra salute. Ma io, che non lo sò; che cosa posso mai meglio sperare, ò temere; di che devo più santamente dolermi, ò rallegrarmi, Dio mio, che della vostra Santissima volontà, e de’ suoi giustissimi decreti? Avvenga pur ciò che si voglia; vada pur sottosopra il Cielo, e la terra, turbisi pure, e confondasi ogni cosa; Non si farà mai niente (E ne son certissimo), e non mi caderà pur un capello di capo. Nè una minima arena, nè una piccola pietruzza [p. 840 modifica]dal monte senza la vostra divina providenza. Non accade dunque ch’io mi lamenti d’alcuna cosa, ò d’alcun’huomo. Perche sempre, Dio mio, s’ha da fare la volontà vostra, anzi la mia, che tante volte hò fatto vostra.

Qui ti prego, ò mio Lettor cortese, che non ti rincresca di leggere, ò se pur l’havessi letto, di rileggere di nuovo, tanto quello, che habbiamo scritto in tutto il nostro Heliotropio, particolarmente nel libro quinto all’ultimo cap. quanto quello, che noi andiamo trattando nel nostro Foriere dell’eternità al cap. 2. §. 28. e e al cap. 3. §. 47 e 49. dove andiamo accuratamente dichiarando questa conformità dell’humana volontà con la divina. Ma in che modo s’habbia da fermare, ed eccitare la speranza in Dio nelle cose avverse l’insegnamo nel detto Heliotropio nel lib. 5 al cap. 3 [p. 841 modifica]che non fà hora quì di bisogno il ripeterlo.

Ma finiamola con una parola. Se voi, ò Christiani, ò non capite, ò pure (il che ha più del verosimile) non volete capire questa dottrina, voi perdete il tempo nella scuola della Patienza, non imparerete mai niente, non farete mai alcun profitto, e farete come coloro, che semper discentes et nunquam ad scientiam veritatem pervenientes1; sempre imparano, e non arrivano mai a sapere la verità.

Risolvetevi dunque, ò a conformare la vostra volontà con la divina (bisogna parlar chiaro) ò uscirvene fuori di questa scuola, come scolari indocili, grossi, e di niuna speranza, ò buona riuscita. Che se voi imparerete bene questo sol documento, sarete sempre beati, etiandio fra le più grandi avversità del mondo. E’ sentenza [p. 842 modifica]dell’eterna verità: Si quis voluerit voluntatem eius facere, cognoscet de doctrina.2 Quicunque enim fecerit voluntatem Patris mei, qui in caelis est, ipse meus frater, et soror, et mater est.3 Se alcuno vorrà fare la volontà di Dio conoscerà se la sua dottrina è buona, perche chiunque farà la volontà del Padre mio, ch’è nel Cielo; questo è mio fratello, mia sorella, e mia madre.

Note

  1. [p. 868 modifica]Thim. c. 3. 7.
  2. Io. c. 7. 17.
  3. Matth. c. 10. 50. et Marc. c. 3. 35.

[p. 842 modifica]

§. 9.

Conclusione di tutte le sudette cose

Q
Uello, che habbiamo detto del conformare l’humana volontà, con la divina, massime nelle avversità, ciò conferma chiarissimamente S. Agostino dove discorrendo del sopportar i tristi, e peccatori così dice: Hinc [p. 843 modifica]mitesce, quemadmodum mitescis cum discis: Quia Deus hoc vult, ideo florent mali. Parcere vult malis; ad poenitentiam adducit eos quibus parcit, sed illi non corriguntur. Novit ille quomodo de illis iudicet. Immitis est autem homo, cum vult contradicere aut bonitati Domini, aut patientiae, aut potestati, aut iustitiae iudicis. Qui ergo sunt recto corde? Qui hoc volunt, quod Deus vult. Deus parcit peccatoribus, tu vis ut iam perdat peccatores. Distorti ergo cordis es, et pravae voluntatis, quando aliud vis, aliud vult Deus. Vult autem Deus parcere malis; tu non vis parci. Patiens est Deus peccatoribus; tu non vis tolerare peccatores. Sed ut dicere coeperam, aliud vis tu, aliud vult Deus. Converte cor tuum, et dirige ad Deum, quia, et Dominus infirmis compassus est. Vidit in corpore suo idest in Ecclesia sua [p. 844 modifica]infirmos, qui primo voluntatem suam sequi tentant: sed cum vident voluntatem Dei aliam esse, dirigunt se et cor suum ad suscipiendam et sequendam voluntatem Dei. Igitur ne voluntatem Dei velis torquere ad voluntatem tuam, sed tuam corrige ad voluntate Dei. Voluntas Dei est ut regula incommutabilis. Quandiu integra est regula, habes quo te convertas, et corrigas, quod in te tortum est. Quid autem volunt homines? Parum est quia voluntate suam tortuosam habent, etiam volunt voluntatem Dei tortuosam facere secundum cor suum, ut hoc faciat Deus quod ipsi volunt, cum ipsi hoc debeant facere, quod Deus vult. Quietati per questo, e datti pace, come fai quando impari, perche Dio vuole questo, perciò fioriscono i peccatori. Vuole perdonare a i tristi, chiama a penitenza quei, a i quali [p. 845 modifica]perdona. Ma quei non si emendano. Sà molto bene egli in che modo li hà da giudicare. Ma l’huomo non si quieta, nè si dà pace, quando vuol contradire ò alla bontà, ò alla patienza, ò alla potestà, ò alla giustitia del Signore, che giudica. Quali sono dunque quelli, che hanno retto il cuore? Quelli, che vogliono ciò, che vuole Dio. Dio perdona a i peccatori; Tù vuoi, che li castighi. Hai dunque il cuore storto, quando tù vuoi una cosa, e Dio ne vuole un’altra. Dio vuol perdonare a i peccatori, e tù non vuoi: Dio sopporta i peccatori, e tù non li vuoi sopportare. Ma come io havevo cominciato a dire, una cosa vuoi tù, e un’altra Dio. Volta il tuo cuore, e drizzalo a Dio; perche il Signore ancora hà compatito a gl’infermi. Hà veduto nel suo corpo, cioè nella sua Chiesa, de gl’infermi i quali tentano prima [p. 846 modifica]di far la loro propria volontà, ma vedendo poi, che altra è la volontà di Dio, addrizzano se, e il cuor loro a pigliar, e far la volontà di Dio: non voler dunque tirare, e torcere la volontà di Dio alla tua, ma correggi la tua secondo la volontà di Dio. La volontà di Dio è come una regola incommutabile. Sinche la regola è intiera, hai dove voltarti, e dove correggere la tua malitia, e hai donde tù possa correggere quello ch’è in te di storto. Ma che vogliono gl’huomini? E’ poco d’haver essi la loro volontà storta, vogliono ancora torcere la volontà di Dio secondo il cuor loro, perche Dio faccia quello ch’essi vogliono, dovendo essi fare quello, che vuole Iddio. Sin qui S. Agostino.

Ditemi di gratia, poveri mortali, non finite voi una volta di capire questa dottrina di conformar la vostra volontà con la divi[p. 847 modifica]na, la quale, e i Padri antichi, e i sacri libri con tanti gridi vi inculcano? E’ possibile, che stiamo ancora fermi nel nostro parere, e siamo di testa così dura, e ostinata, che ancora non vogliamo ciò, che vuole Iddio, ò pur vogliamo quello ch’ei non vuole? Le cose, che noi patiamo, Dio è quello, che vuole, che le patiamo (non vi è cosa più certa) e ciò vuole per nostro bene, e per farci un singolar favore. Ma tù mi dirai, io non desidero ne cerco questi favori. O poco men che’io ti dissi non huomo, ma bestia del Cielo! Di gratia vedi bene un poco, e considera, quanti siano, etiandio de’ grandi, che desiderano le fatiche, purche siano accompagnate da gl’honori, e dalle ricchezze. E quando questi conseguiscono ciò, che desideravano, l’hanno per un grandissmo favore. E tù, che con brevissimi travagli hai da passarte[p. 848 modifica]ne a i riposi, e alle delitie eterne, come un bufalo, ò un toro indomito, ferisci col corno, e fai tanta resistenza? Senti una cosa maravigliosa, e degnissima di fede, che racconta Leontio Vescovo di Napoli in Cipro nel seguente modo.

Vi fù un certo Gentil’huomo (che Leontio chiama Filocristo) che se n’andò a trovare S. Giovanni patriarca Alessandrino, huomo da per tutto conosciuto, e tenuto per santissimo, e dandogli sette libbre e meza d’oro per farne limosina, gli disse queste parole. Io, Santo Padre, non hò più oro di questo, ma questa sol cosa io vi dimando, e col maggior affetto, che posso, che vogliate raccomandare a Dio nelle vostre orationi un mio figliuolo assente; e purche io lo riceva sano, e salvo, terrò d’haver molto bene speso tutto questo poco d’oro. E per [p. 849 modifica]mostrare quanto seriamente ciò gli dimandasse, se gl’inchinò molte volte con le ginocchia fino a terra, per impetrar tanto più efficacemente come ei si pensava ciò, che dimandava, con quanta maggiore sommissione glie l’havesse dimandato. Haveva poi questo suo figliuolo di quindeci anni, ed era unico, e l’aspettava, che in una nave tornasse d’Africa, e questo desiderava, che fusse raccomandatissimo al Santo Patriarca. Il quale accettò quell’oro, e ascoltò insieme con molta cortesia quelle sue preghiere, e si maravigliò d’un’animo sì generoso, che potesse disprezzare, e far poco conto di tanta gran quantità d’oro havendogli pregato dal Signore ogni contento, poiche come dice Leonzio, oravit ei in facie multum, fece molta oratione alla sua presenza, e così lo licentiò. Nè tardò poi a far più lunghe oratio[p. 850 modifica]ni, per quello, che con tanta instanza glie l’haveva dimandate. Entrato dunque subito nell’Oratorio, e riposto l’oro sotto l’altare disse la messa, dice Leontio, che perfectam fecit synaxim, fece una perfettissima communione, e pregò Iddio, così come haveva promesso, con le più efficaci preghiere, che gli fù possibile, che volesse far gratia a quel gentil’huomo di ricondurgli il figlio a casa sano, e salvo insieme con la nave. Non erano ancora passati trenta giorni dopo questa oratione, che il figliuolo di quel gentil’huomo così liberale si morì, e la nave, che veniva ben carica fece miserabilmente naufragio. Il terzo giorno dopo la morte del figliuolo venne la mala nuova, e quello, che la portava disse al povero Padre, che il figlio era morto, e che la nave con tutte le mercantie s’era affondata, come ne mostrava fede, e [p. 851 modifica]che solamente gl’huomini si erano salvati in uno schifo.

O dolore immenso del povero Padre! E per quanti capi restava il poverello afflitto! Haveva speso l’oro, perduto il figlio, ne anche la nave haveva potuto arrivare a salvamento. Eccoti per premio d’una così gran pietà un pianto immenso, e a pena capace d’alcun conforto. Poiche si potè ben dire all’hora di questo afflittissimo Padre quello del real profeta: Nisi quia Dominus adiuvit illum, paulo minus habitasset in inferno anima illius.1 Che se Dio non l’aiutava era quasi per morire di dolore. Per battere un petto virile, poteva forse parere che fusse bastante la perdita della nave, mà vi s’aggiunse ancora l’immatura morte del carissimo figliuolo. Ahimè, che queste furono due ferite mortali, e ciascuna di esse bastava a far morire quel poverello. [p. 852 modifica]

Dopo, che S. Giovanni Patriarca seppe tutto questo, ne sentì il buon Pastore hormai tanto dolore, e dispiacere, quanto forse il Padre stesso, che da sì gran calamità era stato ferito. Quindi è che stando in dubio di quel, che havesse a fare pregò instantissimamente Iddio, che volesse dar qualche conforto a quel mestissimo Padre, perche ei non haveva havuto tanto animo di poter consolar un’huomo tanto afflitto, e tribolato, e perciò farselo chiamare. Ma lo mandò a visitare per un’huomo assai prudente accioche lo consolasse, e da sua parte gli dicesse queste parole: Guardatevi figlio mio carissimo di non vi perder d’animo, nè d’accusare Iddio d’alcuna inclemenza. Sollevatevi pure in alto, e considerate le delitie eterne. Il momentaneo, e lieve peso della nostra tribolatione, ne fabrica in noi un eter[p. 853 modifica]no peso della nostra gloria. Tutte le cose, che si fanno qua giù in terra si fanno per giustissimo giuditio di Dio, nè vi è alcun male, ò supplicio così grande, che non torni in nostro bene; purchè lo sopportiamo con patienza. Dio providentissimo Padre non solamente previde fin dall’eternità, ma determinò ancora quello, che ci era più giovevole. Noi altri a guisa di bambini, che non sappiamo quello, che ci fà danno, dimandiamo spesse volte cose, che ci sono molto dannose. Perciò confidatevi in Dio, nelle cui mani è la vostra nave, e il vostro figliuolo.

Consolatione veramente assai pia, e soda; ma con tutto ciò non poterono queste parole penetrar un’animo così malamente ferito. Mancando dunque l’aiuto humano, venne subito il divino. La notte seguente parve a questo po[p. 854 modifica]vero afflitto, che gli apparisse in sogno il Santissimo Patriarca Giovanni, e che gli diceva così: Perche v’affligete fratello, e perche vi struggete nella melanconia? Non mi pregaste voi, che ch’io dimandassi da Dio, che vi facesse havere il figlio salvo? Ecco ch’egli è salvo. Credetemi pure, che s’ei fosse sopravvissuto, si sarebbe dannato. Della vostra nave poi sappiate questo, che se non vi haveste fatto amico Iddio con quella limosina sì liberale, ella saria stata inghiottita dall’onde con tutti quei, che v’erano dentro, fra i quali v’era ancora vostro fratello, che pur se l’haveria pigliato il mare, e nondimeno l’havete ricevuto sano, e salvo. Levatevi dunque, e ringratiate Iddio d’havervi già salvato il figlio, e condottovi alla casa sano, e salvo il fratello.

Svegliandosi poi da questo sonno Filocristo, molto più con[p. 855 modifica]solato di quello ch’era prima, si sentì quasi alleggerito da tutto il dolore. Et andandosene subito dal Patriarca, se gli gettò a piedi, e narrogli il sogno, che haveva havuto la notte precedente, e quanta consolatione n’havesse ricevuto. E dall’hora in quà, diceva. Io ringratio il benignissimo Dio, che ci esercita sempre per nostro bene, e sempre si mostra Padre, così quando ci castiga, come quando ci consola. All’hora disse subito il S. Patriarca siate sempre glorificato, o benignissimo, e pietosissimo Iddio, che mai dispregiate le orationi de vostri servi; e voltatosi a quel gentil’huomo: non vogliate altrimente attribuire questo alle mie orationi, ma si bene alla divina bontà, e alla vostra fede.

Impariamo, ò huomini di poca fede, a confidarci in Dio, a non ci perder d’animo nelle tri[p. 856 modifica]bolationi: Impariamo a sopportar l’avversità, non solamente con patienza, ma con allegrezza ancora, e con rendimento di gratie. Che dubitiamo? perche tergiversiamo indarno, e facciamo resistenza senza profitto? fermiamoci bene nell’animo, e deliberiamoci di patir molte cose, e apparecchiamoci bene a sopportarle. Perseveriamo costantemente nella Patienza, e conformiamo sempre la nostra volontà con la divina in tutte le cose, che ci accaderanno, ò grandi siano, ò picciole.

Papa Pio V. pativa spesso gravissimi, e longhissimi dolori di pietra con grandissima patienza, e fù spesso sentito, che diceva: Signore accrescetemi il dolore; purche mi accresciate ancor la patienza. Imitiamo ancor noi un sì buono essempio, e se bene saremo angustiati da ogni parte [p. 857 modifica]d’animo, e di corpo, nondimeno diciamo pure con grandissima confidanza: Signor mio Giesù Christo, accrescetemi pur quanto volete il dolore purche mi diate ancor maggior patienza.

Non altrimente S. Francesco Saverio, quel grand’Apostolo delle Indie, e del Giappone, il quale fù così avido, e desideroso di patire, che nel più bello de’ suoi patimenti, e nel mezo de i pericoli pregava Dio instantissimamente, che nol liberasse altrimente da quelli, se non per metterlo in maggiori per la divina gloria. E ritrovandosi ancora in Roma in un’Hospedale, e havendo conosciuto per divina rivelatione, che egli haveva da patir per amor di Dio, e per mare, e per terra gran travagli, necessità, fame, sete, povertà, caldo, freddo, stratij, pericoli, tradimenti, escla[p. 858 modifica]mò subito con gran spavento: Più Signore, più, più! Perche era tanta la fiducia, che haveva in Dio, che teneva per certo, che havendogli egli dato quell’ardentissimo desiderio, gli haverebbe dato ancor forze bastanti a sopportar tutte quelle cose, che per causa sua haveva da patire. Donde poi nascevano quelle infocatissime parole: Più Signore, più, più.

Facciamo di gratia, ò Christiani, facciamo ancor noi qualche cosa, che sia degna del Cielo. E quando ci troveremo ne i travagli, gridiamo ancor noi con quel Santo huomo: Più Signore, più, più. Dateci più dolori, e affanni, che ci confidiamo in voi, che ci darete ancora più patienza.

Ma voglio finire tutto questo trattato della Patienza col Beato Martire Melitone, il quale essen[p. 859 modifica]do il più giovinetto fra quei illustrissimi quaranta Martiri di Sebaste d’Armenia, diede però un bellissimo essempio di costanza virile.2 Vedendo la sua santa Madre, matrona veramente christiana, che il suo buon figliuolo, essendogli già state rotte le gambe, a pena poteva più respirare, dandogli animo lo cominciò ad essortare a questo modo: Fili paulisper sustine, ecce Christus ad ianuam adest auxilium allaturus, et praemium, paulisper mi fili, sustine. Habbi, figliuol mio, ancora un poco di patienza, sopporta ancora un poco questi tormenti. Ecco che Christo stà alla porta per darti aiuto, e per premiarti: Habbi, figliuol mio, ancora un poco di patienza sopporta ancora per un poco. Hebbe egli questa patienza, sopportò, come gli diceva la madre, e infiammato dalle sue parole sop[p. 860 modifica]portò una generosa morte.3

Con le medesime parole l’ottima madre Patienza essorta, e fà animo a’i suoi figliuoli: Habbiate figliuoli miei ancora un poco di patienza; Ecco che Christo vi aiuta, e vi mostra il premio. Ogni dolore finisce presto. E la beatissima Eternità s’avvicina: Guardate un poco tante compagnie di Beati; Tutti quelli trovarono in brevissimo tempo il modo di farsi immortali; e col patire, e col morire pervennero all’immortalità.

Perche dunque facciamo resistenza, e ci spaventiamo di patire? Con la patienza arriva l’animo a disprezzar la forza, e la potenza di tutti i mali; Se tù non vuoi patire, non vuoi esser coronato. Non est vita (Dice San Giovanni Chrisostomo) sine quantum tribulationes intenduntur, tantum et [p. 861 modifica]retributiones ampliabuntur.4 Non si trova vita senza miseria: Ma quanto più crescono le tribolationi, tanto più ancora cresceranno i premij.

Con travagli, e con dolori si compra il Cielo; sappiamo bene quel detto antico: Labor est ante cibum. Prima di mangiare bisogna travagliare. Così Suida racconta, che i soldati di Ciro non mangiarono mai, senza prima haver sudato; e questo per mangiare con più appetito, e star più sani. E noi altri ci crediamo d’andare a godere quella celeste mensa giocando, burlando, e stando in otio?

E di gratia per conoscer bene quella vita eterna, e immortale, impariamo prima a conoscer bene questa misera, e mortale. Perche stiamo noi a prometterci, e a proporci cose soavi, e molli? Noi siamo in esilio, e ci troviamo in [p. 862 modifica]un deserto. Qui non si vive se non con molti incommodi; Se malamente li sopporti, ti sono pesi intolerabili; se li sopporti bene, ti sono di gran gusto.

Sicut immortalis homo (dice San Giovanni Chrisostomo) non potest inveniri, ita nec absque tristitia.5 Si come non si può trovare un’huomo, che sia immortale; così non se nè può trovar alcuno, che sia senza tristezza. Ma poi per nostra consolatione soggiugne questo Santo: Cum rebus adversis premimur, gaudeamus; hoc enim est peccatorum expiatio. Nullus Athleta generosus in stadio balnea quaerit, aut mensam cibis, et vino redundantem. Hoc non est Athletae, sed delicati. Athleta namque pugnat pulvere, oleo, solis ardore, sudore largo, tribulatione, et angustia. Hoc est certaminis tempus, et pugna: igitur, et vulnerum, et cruoris, et [p. 863 modifica]doloris. Quando siamo travagliati, rallegriamoci; perche questo ci serve per purga de nostri peccati. Niuno generoso Atleta cerca bagni, ò una bella tavola apparecchiata nello stadio, perche questa non è cosa d’Atleta, ma d’un’huomo delicato, e molle, poiche l’Atleta combatte nella polvere, con l’oglio, con l’ardore del sole, con sudar molto bene, con gran tribolatione, e grande angustia. Questo è tempo di combattere, e di menar le mani; e per conseguenza è tempo di ferite, di sangue, e di dolore. Nella guerra si conosce il soldato, il nocchiero nella tempesta, nello stadio il corritore, e ’l pugile nell’arena.

Pensiamo pure che tutta questa nostra vita non è altro, che una continua battaglia; nè cerchiamo mai di riposare; e così non ci pensaremo mai nelle tribolationi nostre di patir cose inusita[p. 864 modifica]te; perche come dice il medesimo Santo Pedagogus noster tribulatio est.6 La tribolatione è il nostro Pedante. E l’esser tribolato non è cosa mala, ma il peccare è cosa mala. Ha peccato, non colui, che hà patito il male; ma chi l’ha fatto.

Anzi come dice chiarissimamente l’istesso Santo: il patir per Christo è un dono gratuito, e di maggior maraviglia, che risuscitar morti, e far gran miracoli. Nam illic quidem (dice il Santo) debitor sum, hic vero debitorem habeo Christum.7 Perche là io son debitore, ma quà hò Christo per io debitore. Christianum vero, et in hoc ab infidelibus differre oportet, ut omnia generose ferat: et velut alatus se humanorum malorum impetu superiorem exhibeat. Supra petram statutus est fidelis; propterea, et undarum ictibus inexpugnabilis est.8 [p. 865 modifica]Bisogna poi che il christiano anche in questo sia differente da gl’infedeli, che ogni cosa sopporti generosamente; e come alato si mostri superiore, e più alto dell’impeto dell’humane miserie. Il Fedele è stabilito sopra la pietra, e perciò non teme i colpi dell’onde.

Perciò San Paolo predicando questo istesso per una gratia singolare, e un gran dono dice: Vobis donatum est pro Christo, non solum, ut in eum credatis, sed ut etiam pro illo patiamini.9 A voi è stato donato come cosa singolare, che non solamente crediate in Christo, ma ancora, che patiate per lui. Neque enim (come dice S. Gregorio) electis suis in hac vita promisit gaudia delectationis, sed amaritudine, tribulationis, ut medicinae more per amarum poculum ad dulcedimìnem aeterne salutis redeant.10 Perche non hà promesso Iddio a’i [p. 866 modifica]suoi eletti allegrezze, e diletti, ma si bene amarezze, e tribolationi, accioche a modo di medicina ritornino per mezo d’un’amara bevanda alla dolcezza dell’eterna salute.

Ma, che bisogno è quì di testimonij? E’ parola del Signore, e oracolo d’eterna verità: qui non accipit Crucem suam, et sequitur me, non est dignus.11 Chi non piglia la sua Croce, e mi segue, non è degno di me. Quì non vi è alcuna licenza, niuna eccettione, ò prerogativa, niun privilegio: E’ indegno di Christo chi getta via la Croce, e non seguita Christo. E la Croce, etiandio che sia gravissima, s’ha da portare patientemente. Quei, che sono stati più cari a Christo, l’istessa Madre di Christo, anzi Christo stesso, non sono vissuti d’altra maniera.

Lodando già una volta publicamente la patienza quella sag[p. 867 modifica]gia, e castissima vedova di Giuditta disse così: Illi autem, qui tentationes non susceperunt cum timore Domini, et impatientiam suam, et improperium murmurationis suae contra Deum protulerunt, exterminati sunt. Expectemus ergo humiles consolationem eius, quia tentati sunt Patres nostri, ut probarentur, si vere colerent Deum suum. Quomodo Pater vester Abraham tentatus est, et per multas tribulationes probatus, Dei amicus effectus est: Sic Isaac, sic Iacob, sic Moyses, et omnes qui placuerunt Deo per multas tribulationes transierunt fideles.12 Quelli poi, che non riceverono le tribulationi con timore del Signore, e mostrarono la lor impatienza, e mormorarono contra Dio furono tutti esterminati. Aspettiamo dunque noi con humiltà la sua consolatione; perche i nostri Padri furono tentati per far [p. 868 modifica]prova se veramente honoravano il lor Dio; e si come il vostro Padre Abramo fù tentato, e provato con molte tribolationi, e così diventò amico di Dio: così ancora Isac, Giacob, e Moysè, e tutti quelli, che piacquero a Dio, passarono con grandissima fedeltà per molte tribolationi.

Che stiamo più a contrastare? Tutti passarono di questa maniera. Tutti quanti furono, tutti, tutti quei, che piacquero a Dio. Niuno si deve tener per approvato, e per fedele, che non habbia patito qualche travaglio, e afflittione.

Si, che resta verissimo il detto della saggia Giuditta: Omnes, qui placuerunt Deo, per multas tribulationes transierunt fideles. Questo patir per Christo; questo è vincer con Christo. Questa è la vera strada d’andar al Cielo, aspra sì bene, e angusta, ma sicura. Habbiamo ancora un poco di [p. 869 modifica]patienza, sopportiamo un poco, poiche nè ci mancarà aiuto nel combattere, nè premio dopo la vittoria.

[p. 869 modifica]

Il fine dei precetti della Patienza sia il principio d’essercitarla.

A maggior gloria di Dio, e honore della B. Vergine sua madre, e di tutti i Santi Angeli.

Note

  1. [p. 895 modifica]Ps 93. 17.
  2. [p. 895 modifica]Sur. to. 2. die 9. mart. de SS. 40. mart.
  3. [p. 895 modifica]Sur. to. 2. die 9. mart. de SS. 40. mart.
  4. [p. 895 modifica]S. Chrys. to. 5. hom. 5. et hom. 66 post init.
  5. [p. 895 modifica]Id.to. 1. hom. 67. med.
  6. [p. 895 modifica]Id. eod. to. ho. 62.
  7. [p. 895 modifica]Chrys. to. 4. in c. 1. ad Philipp. hom. 4.
  8. [p. 895 modifica]Id. to. 5. hom. 2. de Imag. subvers. ant. med.
  9. [p. 895 modifica]Philipp. c. 1. 29
  10. [p. 895 modifica]S. Greg. l. 9. ep. 18. post. init.
  11. [p. 895 modifica]Matth. c. 10. 38.
  12. [p. 895 modifica]Iud. c. 8.