Scritti vari (Ardigò)/Giudizi e pensieri/Pensieri

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Filosofia

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Giudizi e pensieri - Giudizi Versi
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PENSIERI


1.

Partiti e libertà.


Mantova, 25 novembre 1885.

Fedele alla verità di un’idea, un uomo è libero; ligio ad un partito è schiavo.

È un culto reso alla libertà il suffragio per l’idea. Il suffragio pel partito è il prezzo pel quale gli si vende chi lo accetta.

(Numero unico, Siena Palermo, Siena, novembre 1885)


È libero chi opina come intende colla sua ragione.

Chi giudica come gli impone il sillabo di un partito non è libero.

(Numero unico Charitas, Sermide nel Mantovano, 21 aprile 1889).


2.

L’ufficio dell'educatore.


Il fatto culminante e più ammirabile della natura è quello delle attitudini morali dell’uomo. E così, se la [p. 265 modifica]matrice creativa di queste è la società, e in essa gli organi più specializzati a produrle sono gli educatori, si deve dire, che non c’è ufficio che eguagli in importanza e dignità quello del maestro.

(La Libertà, Padova, numero unico pel 1° maggio, 1902).


3.

Il conforto delle idealità.


Padova, 26 maggio 1901.

Al Signor Presidente del Circolo Bellini.

Da ciò che si sperimenta, misto di bello e di brutto, di piacevole e di disgustoso, l’immaginazione sceglie e combina a parte il bello e il piacevole, e produce così quelle geniali idealità, che divinizzano l’animo e sono il conforto più puro e più dolce della vita.


4.

Le idee alla moda.


Spesso idee molto speciose, da scrittori di grande fama, col fascino della loro parola sfolgorante, sono propinate al pubblico, che ne resta colpito, e le accarezza, e se ne invaghisce e vi si appassiona, diventando, così per poco la stessa moda del tempo. Se non che, mancando esse di un effettivo valore intrinseco, per non essere che dei paradossi, nè in tutto veri, nè realmente pratici, presto poi cadono nella indifferenza e nella dimenticanza più assoluta.

Altre idee invece, non proclamate innanzi da scrittori [p. 266 modifica]di grido, nate, si può dire, da sè quali prodotti spontanei e quasi inconsci del sentire comune, a poco a poco, facendosi inavvertitamente sempre più vive, si impadroniscono dell’assenso universale, e, per la verità e la praticità che hanno in se stesse, vanno acquistando sempre maggior terreno, riuscendo infine ad essere le direttive provvidenziali dell’umano consorzio.

(Numero unico, Trento Trieste, Vicenza, Giugno 1908).


5.

Il Vero e l’influsso dei sentimenti.


Fatta eccezione di quei pochi, che più fortemente si disciplinarono nel rigone del cimento scientifico, assai difficilmente riescono gli uomini in generale a resistere all’istinto di ribellarsi a ciò che contrasta ai sentimenti, che in loro le tradizionalità del pensare e del fare comune hanno fatto nascere. E così, vero, per essi, ha da essere, non ciò che logicamente risulta, ma ciò che si desidera che sia.

28 aprile 1903.

(Numero unico, del congresso universitario di Udine, 3-4 settembre 1903).


6.

La costrizione del pensiero.


Cospirano a impedire la libertà del pensiero quelle o vecchie o nuove istituzioni e coalizioni sociali intolleranti, che, prescritto, secondo le loro vedute particolari, un sistema inviolabile di punti dottrinali appassionatamente propugnati, ne fanno una imposizione coattiva per [p. 267 modifica]gli adepti e un monito imperioso per tutti gli altri; opponendosi settariamente a qualunque iniziativa, per quanto giusta, che non emani da loro.

Padova, 13 agosto 1904.

(Libertas, numero unico per la festa nazionale del XX settembre e il congresso internazionale in Roma del Libero Pensiero, 20 settembre 1904).


7.

Nascere e morire.


Nascere e morire è la legge del divenire eterno, infinito. Non eri prima di nascere, non sarai più dopo morto: tu e l’umanità universa. Se ne fai rimprovero alla natura, dimentichi che tu stesso ne sei elemento integrante, cooperante, corresponsabile: elemento tu stesso cooperante della natura, che consiste nella vicenda perenne di una infinità di meraviglie che appariscono a sostituire una infinità di maraviglie che scompajono.

(Per il Libero Pensiero, Roma, 17 febbraio 1906, numero unico per la commemorazione di Giordano Bruno).


8.

Idea e sentimento.


Quante volte ci inganniamo, ritenendo che un sentimento che proviamo sia proprio ispirato da un’idea, che invece solo per dimenticato fantastico riferimento abbiamo a quello associato.

(Letture venete, Vittorio Veneto, febbraio 1908).

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9.

La vendetta.


Quello della vendetta è un istinto rozzo dell’uomo volgare. All’uomo virilmente temprato ripugna la viltà della vendetta. Sublime quindi, pur nella sua esagerazione, è il detto di Cristo: Se uno ti dà uno schiaffo offrigli quell’altra guancia.

(La Puglia scolastica, Bari, 26 gennaio 1908).


10.

La natura malefica.


Malefica è natura per quelle stesse sue forze, per quelle stesse sue leggi, in grazia delle quali è pur benefica.

Togliete le forze e le leggi, onde è il male, e non avrete più quelle, onde è il bene, che sono le medesime.

(In un numero unico pel terremoto Reggio-Messina).


11.

La fratellanza nazionale.


Chi appartiene ad un grande Stato ha un sentimento di sè in ragione della grandezza dello Stato medesimo. Ma, se questo Stato è un complesso di popolazioni diverse forzatamente collegate, il sentimento suddetto è mortificato dalla considerazione che si tratta di una grandezza non naturale e stabile, sibbene artificiale, di elementi che si contrastano, e quindi precaria.

Un tutto più veramente tale, più parlante al cuore di chi vi appartiene, massime se storicamente notevole, è [p. 269 modifica]quello di una famiglia di genti, che parlano lo stesso linguaggio e hanno istinti, tendenze, tradizioni, aspirazioni, genialità eguali: e qui l’appartenervi appaga assai più, anche se, per ragioni storiche che possono mutarsi, essa al momento non è in tutti i suoi rami politicamente riunita: poichè, malgrado questo, li accomuna sempre, e fortemente, la fraternità secolare, intimamente sentita.

(Numero unito, Associazione Trento Trieste, Udine, 6 dicembre 1908).


12.

L’apostata.


Si chiama così chi lascia il nostro partito (massoneria) per entrare nel partito avversario. Può chiamarsi anche fedifrago, rinnegato, transfuga. Si premettono spesso gli aggettivi ignobile, vile, spregevole. Quando invece uno lascia il partito avversario lo si chiama convertito, ravveduto, neofita, recluta. E in questo caso gli epiteti più usati sono nobile, generoso, illustre, ecc. ecc.

(Gazzetta di Venezia, 6 giugno 1903).


13.

La responsabilità dei mali sociali.


Per l’inchiesta, su quel che si pensa dello czar, ecc. Risposta del prof. Ardigò.

Ogni società sì trova di essere riuscita come è riuscita per le ragioni storiche della sua evoluzione. Dei mali, che vi si possono vedere, sono responsabili tutti e nessuno.

(Sempre Avanti, Roma, gennaio 1909).

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14.

La filosofia del Bergson.


La brillante ed evanescente filosofia bergsoniana — in cui sono reminiscenze dei gnostici e dell’antico Plotino — considerata specialmente dal solo aspetto dello «slancio vitale», è più che altro una specie di irrazionalismo, che può dar causa a nuove forme di nietzschianismo ed imperialismo sociale, antitetici all’etica ed alla idealità del socialismo. Piuttosto noi dobbiamo essere d’accordo col Bergson e con tutti gli idealisti là dove essi esaltano il volontarismo di fronte al determinismo e al meccanicismo.


15.

L' individuo.


Unum enim et indivisum est homo, prout homo.

Chiunque imprende a mutare l’animo, o a modificare un’altra natura qualunque, conviene che aggiunga delle parti o ne muti l’ordine, o se non altro dalla somma detragga alcun che.


16.

Fede e filosofia.


La fede è la filosofia dei non filosofi.


17.

La tolleranza della sventura.


Nella sventura doppiamente sventurato è chi non sa sopportarla serenamente. [p. 271 modifica]


18.

Il materialismo storico.


Colla Concezione materialistica della Storia si vuole spiegare una formazione naturale, che ne dipende solo in parte e solo indirettamente, trascurando altri essenziali coefficienti. E mi spiego.

L’animale non vive, se non ha il suo nutrimento. E può procurarselo, perchè in lui nasce il sentimento della fame, che lo porta a cercare il cibo. Ma in un animale, oltre il sentimento della fame, si producono molti altri sentimenti, relativi ad altre operazioni, a quali, pur essi, agiscono a muoverlo. Egli è che, col nutrimento si mantiene un dato organismo, che ha attitudini speciali, quali specie, quali in un’altra. Una caduta d’acqua fa muovere un mulino a produrre la farina, e un telajo a produrre un drappo. Sicchè pel mulino, oltre la caduta dell’acqua, occorre il grano da macinare, e pel telajo occorrono i fili da comporre insieme. Mantenendosi col movimento un organismo, l’ambiente, colle sue importazioni d’altro genere, determina, come dicemmo, molti funzionamenti, che non dipendono direttamente dal nutrimento, ma dalla struttura speciale dell’apparecchio funzionante, da una parte, e dalla azione, ossia importazione nuova dell’ambiente dall’altra. Un uomo quindi, per esempio, è incitato in più sensi. E in tutti irresistibilmente. È incitato dal sentimento della fame, è incitato da altri sentimenti, prodotti in ragione della struttura sua speciale, e delle sensazioni e delle idee fatte nascere in lui per l’azione esterna, e per l’ammaestramento ricevuto, ecc. ecc. Deve ubbidire al primo, ma deve ubbidire anche agli altri; voglia o non voglia. E gli equilibrj che si formano [p. 272 modifica]tra l’impulso del primo e di questi altri, per la risultante dell’azione, riescono diversissimi, secondo una infinità di circostanze, che fanno giocare più l’uno che l’altro dei sentimenti incitanti. In una mandra di porci il sopravvento rimane al sentimento della fame, in una popolazione di uomini, ben diversamente, poichè hanno anche altre cure all’infuori di quella di ingrassare. Nell’uomo stesso l’equilibrio si diversifica secondo le disposizioni che poterono farsi in lui, e quindi, col sentimento della fame, il ladro ruba, e il galantuomo invece lavora: avendo quanto gli occorse per soddisfare alla fame, l’avaro cerca anche il non necessario, e il filosofo se ne contenta e dedica la sua opera alla scienza. L’antagonismo poi può esser tale, che riescano in prevalenza i sentimenti che sono diversi da quelli della fame, fino a farli tacere affatto, fino a sopportare di morire, ecc. ecc. ecc.

La forza, onde è, e agisce l’animale, è quella della natura, che lo investe e lo sforza ad agire in sensi moltiformi, trasformandosi variamente nel suo organismo. Poniamo che sia la luce del sole, alla quale si dovrebbe ridurre la concezione materialistica della storia, anzichè alla ragione economica. Alla luce del sole, intesa in modo, che anche ad essa si possa riferire il fatto della idealità impulsiva dell’uomo.


19.

Il disprezzo della filosofia.


Quelli che disprezzano la filosofia, sono quelli che più ne fanno.

E perchè la disprezzano?

Perchè credono che la filosofia sia proprio quella che fanno essi. [p. 273 modifica]

20.

Retorica e libertà.

Certe ingenue teoriche astratte della libertà, colle quali furoreggia la retorica dei politichini da piazza, non possono, nella applicazione pratica, avere altro effetto, che di servire alla tirannia dei turbolenti: che ridono poi dentro di sè della dabbenaggine di chi non si accorge di favorirli e, credendo di giovare alla libertà santa degli onesti, fa invece l’interesse delle tirannidi sconcie degli arruffapopoli.


21.

Vita e Amore.

Solo per chi ama ha prezzo la vita; solo per lui la luce confortatrice dell’Ideale colora, abbellisce, ravviva la mole tetra, scondita, demente delle cose e degli eventi.


22.

Vanità e disonestà.

La vanità crea l’invidia, l’invidia crea la disonestà. Data una vanità grande, grande riesce anche la disonestà.


23.

Astruserie esotiche.

Da qualche autore esotico si copiano, e di solito in caricatura, quattro astruserie insulse e inconcludenti; ed [p. 274 modifica]ecco pronta una produzione scientifica, letteraria, artistica; che si propina al bel paese, col l’aria di ammonirlo, che esso non è buono a nulla, e tutto deve imparare da fuori.


24.

Filosofia vagabonda.


La scienza, si va ora sempre più dicendo da tanti saccentuzzi, non vale che a rinchiuderci nel carcere angusto dell’asfissiante suo piccolo mondo, mentre l’uomo sente il bisogno incoercibile dei liberi voli del pensiero senza ceppi, ossia della Filosofia, da intendersi come il dominio illimitato per sè dell’Intelligenza, l’aspirazione all’infinito dello Spirito.

E, data questa concezione della Filosofia (e così di quella che io chiamerei, vagabonda) corre naturalmente fra gli ignari l’idea, che per essa non si richieda, come per la Scienza positiva, forza e attitudine speciale della mente, e preparazione faticosa, e apposita cultura, e abitudine al rigore dell’induzione, ma basti (e anzi meglio si presti in quanto impregiudicato) qualunque povero incosciente sognatore improvvisato di strampalate bizzarrie fantastiche.

Onde poi avviene, che appaja così la Filosofia quell’arringo ridicolo, nel quale uno dice una cosa e l’altro affatto al contrario, e tutti hanno ragione lo stesso, e non si viene mai a capo di nulla.

Prof. Roberto Ardigò


(Il Giornale d’Italia, numero a beneficio della Croce Rossa, gennaio 1915).