Scritti vari (Ardigò)/Polemiche/La psicologia positiva e i problemi della filosofia/Dialogo V

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La psicologia positiva e i problemi della filosofia.


Dialogo V. - Il filosofo e un ignorante.


Ignorante — Perdonatemi, signor filosofo, se sono qui di nuovo a incomodarvi; ma questa volta vengo non per me ma per voi.

Filosofo — Voi... per me...?

Ignorante — Sì, perchè mi preme l’onor vostro. Ho dovuto contrastate con una mala lingua, che voleva sostenere che non siete nè cattolico e nè anche religioso: ma io ho sostenuto tutto il contrario. [p. 118 modifica]Filosofo — Cattolico, cattolicissimo! più cattolico che quegli ignoranti, che vogliono giudicarmi senza intendermi. Quando avrò pubblicate tutte le mie opere, e spiegato tutto il mio sistema, allora si vedrà se non sono più cattolico di quei bigotti che mi gridano la croce addosso.

Ignorante — Senza dubbio! E intanto ditemi un poco se è vera quella calunnia che voi non ammettete l’anima umana? Veramente avendo sempre creduto d’averla, mi rincrescerebbe molto il perderla, benchè sia quella di un ignorante.

Filosofo — Prima di tutto bisogna che vi dica che «il filosofo positivista (e nessun altro fuori di lui) può già avere la speranza di sciogliere le quistioni materialistica, morale, idealistica e dello scetticismo (p. 314)».

Ignorante — A parte la modestia, per far carità a tutto il genere umano, che sta qui pendente dalla vostra bocca, degnamente rappresentato da un ignorante. Avanti.

Filosofo — Cominciamo dalla materialistica, giacchè voi istesso l’avete proposta. Vedete! finora gli spiritualisti sono caduti nell’idealismo, e i sensisti nel materialismo, che combattuto acremente si sostiene oggi intero e formidabile come prima, e atto a vincere gli avversari in tutti i loro trinceramenti (pag. 315).

Ignorante — Dunque addio anima!

Filosofo — No, caro mio: bisogna che c’intendiamo bene. Io non nego l’anima, ma spiego in che consista: cosa che niuno ha fatto finora. «Il sentimento di un atto volontario, per esempio, è universalmente ritenuto, siccome una manifestazione diretta dell’essenza stessa dell’anima, e costituisce pei più la prova principale, e, a loro credere, inconcussa della sua esistenza (p. 248)».

Ignorante — E ciò a me, che sono ignorante, sembra naturalissimo. Mi sono levato dalla mia sedia per venire ad ascoltarvi: quest’atto non può essere stato fatto semplicemente dalle gambe, ma da un certo che, che le ha mosse, e che diciamo anima. [p. 119 modifica]Filosofo — Benissimo! Eppure tutto ciò non è che una illusione volgare (p 249).

Ignorante — Proprio? Ma come mai sin qui questi atti si sono riferiti all’anima?

Filosofo — «I così detti atti volontarii, che infine non sono che sensazioni, si riferiscono all’anima, e non, come ha luogo per altre sensazioni, ad un qualche organo del corpo, o ad una cosa fuori di noi, per due ragioni».

Ignorante — Spiegatemele chiaramente, perchè sono duro di testa.

Filosofo — «Primo, perchè somigliandosi moltissimo tra loro i diversi atti, o per meglio dire, i diversi sentimenti di volere, e non avendo noi modo di distinguerli, stante l’impossibilità in cui siamo di vedere i movimenti degli organi cerebrali, a cui conseguono...»

Ignorante — Scusate, se v’interrompo: ma chi li ha da vedere e distinguere questi movimenti, se non c’è l’anima che ne faccia la rivista?

Filosofo — Attendete. «Li confondiamo insieme, e li concepiamo quali produzioni di una attività unica».

Ignorante — Secondo il mio poco giudizio non solo li concepiamo quali produzioni di una attività unica, ma li sentiamo, e ne siamo intimamente persuasi che procedono da una sola attività. Per bacco! Io mi sono alzato di letto, ho fatto colazione, sono andato al passeggio, ho visitato un amico, sono venuto a trovarvi per diventare anch’io filosofo, e sento che tutto ciò è stato fatto da me, e non da tanti organi, organetti ed organini del cervello, e dovrò dire, che tutte queste cose le credo fatte da un solo me per effetto di una illusione volgare? Finora la non ci entra nella mia testa.

Filosofo — Guardate! «Succederebbe lo stesso per le sensazioni tattili delle dita della mano. Non le distingueremmo tra loro e le attribuiremmo tutte al medesimo organo, se non avessimo una cognizione chiara e sicura di ciascun dito».

Ignorante — Ma per amor del cielo, chi è che deve [p. 120 modifica]distinguere queste sensazioni, che deve imparare a conoscere qual’è il dito pollice e quale il mignolo, chi sono questi noi, se non c’è una anima? Vedete! voi negate l’anima, e poi parlate come se l’aveste.

Filosofo — Ma sentite tutto prima di rispondere. «Nelle dita minori dei piedi, che ci sono meno famigliari di quelle delle mani...»

Ignorante — Famigliari a chi? Ecco dunque il noi e perciò l’anima!

Filosofo — «... le diverse sensazioni sono già meno distinte; e siamo costretti per accertarci, che il dito toccato è l’uno piuttosto che l’altro, di portarvi la mano».

Ignorante — Benissimo! E così diviene credibile un fatterello da me creduto finora una barzelletta. Un pover’uomo cadde da un’altura, e credette essersi fracassata una gamba. Tenendola stretta con ambe le mani andava gridando con quanto fiato aveva: povera la mia gamba! Mi sono rotta una gamba! Portato all’ospedale, collocato sul letto, visitato dal medico, povera la mia gamba! seguitava, tenendola stretta. Ma su di buon animo! esclama il medico, la gamba è sana sanissima. Ah! signor dottore, soggiunse a gran fatica il poveretto, la mi scusi: la è quest’altra la rotta, quest’altra!! Poveretto! non aveva ancora acquistata una cognizione chiara e sicura delle sue gambe, anzi di nessuna, perchè ambedue erano sane. Era un filosofo positivista ancora in erba! — La prima ragione è molto bella, e la seconda?

Filosofo — «La seconda ragione è poi quella che abbiamo accennato sopra della forza».

Ignorante — Scusate: allora io non era a scuola: favorite di ripetermi la lezione.

Filosofo — «L’atto del moto volontario delle membra è in noi accompagnato da una sensazione speciale, la sensazione della forza muscolare».

Ignorante — E chi eccita questa forza muscolare? E questa sensazione è causa o effetto del moto volontario?

Filosofo — A poco per volta. «Le fibre muscolari, [p. 121 modifica]raccorciandosi e tirandosi dietro le parti a cui sono attaccate, producono per mezzo dei filamenti nervosi la detta sensazione».

Ignorante — Dunque la detta sensazione è causa del moto volontario. Ma chi muove le fibre muscolari, quando p. e. standomi comodamente seduto mi determino ad alzarmi?

Filosofo — Accade «nello stesso modo che, nell’udito, le vibrazioni... producono la sensazione del suono, che... per naturale illusione è da noi collocato nell’oggetto sonoro».

Ignorante — E nel caso della sensazione della forza muscolare, nel moto volontario, che avviene?

Filosofo — «Questa dapprima si confonde e compenetra coll’altra, in sè affatto diversa del volere; e se ne fa una sola. E poi, così commista, la si attribuisce a ciò che si dice anima, e alla mossa dei muscoli operanti; con grossolana illusione».

Ignorante — Per un grossolano giuoco di bussolotti, dirò io. Come avete voi introdotto nell’atto, chiamato da voi, volontario, il volere mentre non avete parlato che di filamenti nervosi, di stiramenti e raccorciamenti di muscoli, i quali avete fatto giocare a vostro capriccio senza indicare la prima molla che li svegliò dal loro sonno, e poi vi introducete sotto mano il più importante, e il più difficile, per voi, da spiegarsi, il volontario? Se tale è tutta la vostra Filosofia, la chiamo proprio, come dissi un’altra volta, filosofia da bussolotti.

Filosofo — Compatisco la vostra ignoranza, e non do alcun valore a queste ingiuriose parole. Concludiamo dunque l’argomento, ossia la seconda ragione. «Quando l’uomo ha una sensazione, ha la tendenza di riferirla a qualche cosa».

Ignorante — Ma se tutto è sensazione, se nulla vi ha nell’uomo che sensazione, chi è che ha la tendenza di riferirla a qualche cosa?

Filosofo — Che pazienza cogli ignoranti! «Nel caso [p. 122 modifica]d’un suono, la riferisce all’oggetto sonoro; nel caso di un dolore, alla parte lesa. Ma trattandosi della sensazione del volere, con cui non si può associare, nè l’idea di un oggetto esteriore, nè quella d’un organo corporeo conosciuto ed apparente...»

Ignorante — E se non sapete riferirla ad un organo corporeo conosciuto, come pretendete poi di riferirla ancora ad un organo corporeo sconosciuto senza darvi alcuna pena di provarlo?

Filosofo — Finiamola! (prosegue) «come dicemmo, non c’è che riferirla a qualche cosa che non conosciamo, ma che supponiamo esistere dentro di noi, e chiamiamo anima... per la doppia illusione indicata (pag. 251)».

Ignorante — Finitela piuttosto voi cogli equivoci. Quando un suono mi colpisce l’orecchio, io sono, come direbbesi in grammatica, passivo: ma quando mi alzo da sedere per camminare sono attivo: son io che mi determino, è l’anima che muove le gambe e tutto il corpo. E molto più poi quando studio, medito, ragiono, e faccio tante altre cose, che finora s’è dimostrato da filosofi non potersi fare dalla materia.

Filosofo — Dunque quando voglio qualche cosa, sento un suono p. e., in do, sento l’anima che fa do. «La conseguenza è un poco ridicola, ma poste le vostre premesse irrepugnabile (p. 252)».

Ignorante — Sciocchezza, pari a quella delle zucche portata un’altra volta per tutta risposta alle propostevi mie difficoltà. Altro è sentire un suono, altro è determinarsi a qualche azione, benchè è pure diversa cosa l’essere materialmente percosso da ciò che rende suono, ed altro è accorgersi di questa sensazione, cosa che manda a monte la vostra parità delle zucche.

Filosofo — E pure «i sentimenti, le passioni, lo stato dell’animo dipendono da un moto o da una disposizione organica, tanto che si possono produrre artificialmente per mezzi fisici».

Ignorante — In parte sì per quel misterioso commercio [p. 123 modifica]dell’anima col corpo, che i filosofi non sono ancora giunti a spiegare. Ma egli è un fatto constatato milioni di volte dall’esperienza, che l’animo si conserva il medesimo in istati totalmente diversi di organi a disposizione, p. e. sanità e malattia; e che gli stessi mezzi fisici operano in diversi soggetti, e spesso nel medesimo contrarii effetti. Che vuol dir ciò? Un malfattore all’aspetto del rogo arrabbia, o tramortisce, un martire della fede esulta: onde ciò? Forse dalla diversa conformazione del cervello? Forse si potrebbero cagionare questi diversi effetti con mezzi fisici, p. e. con bevande? Mi pare che voi dobbiate essere molto disposto a prestar fede agli incantesimi, ai filtri amorosi, ed alle stregonerie. Sono mezzi fisici per eccitare le passioni! Eh! Se ci fosse una bevanda che infondesse il senno!

Filosofo — Però non potete negare che «a certe mostruosità organiche degli animali non corrispondano delle mostruosità nelle loro manifestazioni psichiche... che non diversifichino... secondo lo sviluppo materiale dell’organo... e per non dir altro, come le funzioni di ciascheduna delle due metà simmetriche del cervello... il più spesso si sovrappongono e si immedesimano in un solo me, o in una sola coscienza, così qualche volta non si contrappongono in più me, o in più coscienze distinte e contrarie (p. 280)».

Ignorante — Poffar del mondo! Dunque possono essere in me due me, e fors’anco tre me! p. e. un me che crede essere un’anima spirituale, e questo me collocato nel lobo destro del cervello, e un altro me appiattato nell’altro lobo, che crede non esser altro che un poco di cervellino da far fritelle; un me che crede a Dio, un altro me che non crede che al pane che mangia e al vino che trangugia! Ma sappiate, signor filosofo, che questa è proprio dottrina tutta nuova! Lo so anch’io che non vi è che la filosofia positivista, che possa sciogliere tutte le questioni, dietro cui sudarono inutilmente fin qui i più valenti ingegni del mondo! Raccontano le favole che [p. 124 modifica]Gerione aveva tre corpi guidati da un’anima sola; ed io lo credo, perchè un buon cocchiere può guidare anche sei cavalli. Ma che in un corpo solo possono trovarsi tre me, cioè tre matti, è cosa che io non posso credere, quando non trattisi di tre filosofi positivisti. (1)

(Dal n. 23, 6 ottobre 1872, del giornale Il Vessillo Cattolico).


La psicologia positiva e il vescovo signor Rota.


Trovandosi nel suo quinto dialogo, di fronte al mio articolo quarto — che lo ha messo al muro su tutti i punti — che ha fatto Monsignor Rota?

Udite e imparate!

Perchè ha visto che gli era affatto impossibile di cavartela rispondendo, ha pensato bene di far uso, verso di esso, di un rispettoso silenzio, e di non dire — nemmeno una sillaba — ; come se io non l’avessi mai pubblicate e nessuno mai l’avesse letto. Ed è passato addirittura ad un altro argomento. [p. 125 modifica]È un esempio classico di lealtà. Dunque monsignore, in una polemica mossa, non da me, ma da lui, mancandogli la ragione per rispondere, ricorre alla marioleria di fare il sordo e di cambiare discorso!

Ma gli gioverà?

Gli prometto di no. Anche l’astuzia di fare il sordo e di cambiare discorso ha il suo rimedio.

Persisterà nel suo non rispondere? Ed io lo lascierò dire. Perchè chi ragiona sul serio e per la verità non tien dietro punto per punto alle parole incoerenti di uno che svia a bella posta il discorso per ingannare la moltitudine che non capisce. Ma a suo tempo lo castigherò, come si conviene, di nuovo, facendo, se ne varrà la pena, la rassegna retrospettiva dei meriti psicologici dei dialoghi vessilliani.

La quale rassegna, credo, sarà molto edificante; mentre nel quinto dialogo in discorso, Monsignor Rota ha avuto la prerogativa di affermare una decina di falsità insulse, di calunniar un morto, e di mettere in derisione il povero apostolo S. Paolo.

Prof. Roberto Ardigò


(La Provincia del giovedì 10 settembre 1872).


Note

  1. Perchè non si dica che la nostra penna è un po’ caustica censurando il nostro filosofo, vogliamo indicare le fonti da cui ha prese le prove del suo assunto, che possono darsi più me in un sol uomo. Lo credereste! Cita fatti desunti da relazioni di diversi fenomeni di pazzia, fatte s’intende, da scrittori materialisti, riportandole in francese, forse perchè facciano più autorità presso gli sciocchi. Ecco per saggio la conclusione d’una nota posta a pag. 280 e 281: della nota Psicologia. «Altre volte sembra che si formino parecchie masse poco coerenti fra loro d’idee (belle quelle masse di idee!), di cui ciascuno vuole rappresentare il me (povero me con quelle battaglie nel cervello!) e perciò anche l’unità di persona può scomparire completamente»; e poi tra parentesi: certain malades à folie systématisée, ou déments: (sic.), anche in quanto ad ortografia! Vedete a che arriva l’ingegno quando prende una cattiva via!