Sopra le vie del nuovo impero/In pellegrinaggio a Psithos

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In pellegrinaggio a Psithos

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Sopra la città Kos e Kalimno
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In pellegrinaggio a Psithos.


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Rodi, Luglio.

La battaglia di Psithos, se fu piccola come battaglia, fu grande come manovra, direbbero i militari. E noi diciamo azione. E fu bella, fu anzi tipica per la semplicità, per la purezza, quasi direi, delle linee, per la corrispondenza perfetta tra il disegno e l’esecuzione, per il pieno effetto che ebbe.

Come spazio neppure fu vasta, ma fu vasta come natura di terreno montuoso e per la difficoltà di superarlo e per la novità dei due sbarchi notturni. Bisogna questo terreno conoscerlo per sapere quale fu la resistenza del nostro soldato in 52 ore di marcia, di combattimento, di ritorno. Fu, più che resistenza fisica, resistenza morale. Accennai nella lettera precedente alla stanchezza degli stessi alpini assuefatti alle escursioni sulla montagna e dissi, seguendo il [p. 124 modifica]racconto degli ufficiali, che anche quelli che restavano indietro, raggiunsero sempre i compagni e furon tutti presenti sulle linee del fuoco. C’è uno stato sublime dell’uomo ed è quello in cui l’uomo, nel compiere il suo dovere essendo giunto al termine delle sue forze, fa dello stesso sentimento del dovere la sua forza, va avanti e tocca il fine. Sulle alte rocce che cerchiano il villaggio di Psithos, si operò in questo stato di sublimità che fu dei soldati, degli ufficiali e dello stesso generale Ameglio. — Quando la sera del 17 smontai di cavallo, egli stesso mi confessò, mi tremavano le gambe. — Egli pure aveva fatto ciò che aveva comandato, ed aveva comandato ciò che era necessario fare.

Per questo, Psithos, nonostante la piccolezza del combattimento e il numero dei combattenti, dei vincitori e dei vinti, è glorioso, è militarmente e moralmente esemplare, avrà sempre per gli italiani una straordinaria efficacia d’educazione morale. Le battaglie sarebbero orridi carnai, se non fossero capaci di emanare questa virtù che le rende belle, sopra ogni altra opera umana: la virtù che insegna agli uomini a superare se medesimi non soltanto oltre la morte, ma oltre il patire, il che è ben più grave. Psithos, la piccola Psithos, il bianco [p. 125 modifica]villaggio greco, nella conca di rocce che vedemmo, è radiosa di tale virtù, come la pura atmosfera di sole. È tavola della legge per i soldati italiani e per tutti gli italiani.

La vedemmo qualche giorno fa andandovi non tanto per conoscere i luoghi quanto in pellegrinaggio, Giulio De Frenzi, Giuseppe Bevione, Ernesto Vassallo ed io. Ci fu di guida il capitano De Gugis dello stato maggiore del generale, una guida cortese e illuminata. Ci portammo a Psithos seguendo lo stesso cammino della colonna Ameglio per Kalitea ed Aphandos.

Partiti da Rodi la mattina, passato Asguro e il colle di Koskino, scendemmo nella baia di Kalitea, bassa, contornata da un arco di colline petrose, coltivata a fichi, viti, olivi piuttosto radamente, rigata di torrentelli. Pel mare che si apriva alla nostra sinistra, non una vela, e anche lungo la nostra strada solitudine, e soltanto a una casipola, sotto una tettoia di frasche, incontrammo due donne e due ragazzi con due preti greci che alla vista dell’ufficiale italiano s’alzarono e salutarono. Uno strano, nuovo, profondo sentimento faceva a noi il vedere quel luogo dove era avvenuto lo sbarco del 4 Maggio, perchè ci appariva di già il suo sacro carattere storico nel futuro. E noi lo vedevamo pochi giorni soltanto dopo gli avvenimenti. [p. 126 modifica]C’era una solitudine che ci parlava come quella dei luoghi antichi, e se con la immaginazione la popolavamo quale al momento dello sbarco, vedevamo quello stesso Ameglio metter piede a terra, e distendersi per il piano e guadagnare le colline quelli stessi soldati, quelli stessi alpini, quelli stessi bersaglieri, quelli stessi fucilieri del 34.° e 57.° di fanteria, che avevamo lasciati a Rodi brev’ora prima.

Dopo Kalitea si sale per una roccia dove trovammo inciso Zito Italia. Certo da qualche contadino dei dintorni, non tanto per nostro amore, quanto per un odio di quattro secoli contro il turco. E ci apparve la baia d’Aphandos e la piana, simile a quella di Kalitea, con un arco di colline intorno. Poiché quasi tutta la costa dell’isola è così come frangiata di piane, ora dinanzi a baie, ora al mare continuo, tutte quante comprese da bracci di monti che si ramificano dal gran nodo centrale. Sono anfiteatri che hanno per apertura il mare, per cinta il semicerchio delle colline petrose, rocciose, cespugliose; nel mezzo, tra le colline e il mare, sta la piana, stentatamente coltivata dal contadino greco avvilito, e nell’avvilimento impoltronito, dall’usura e dall’esattore delle tasse turche. La civiltà plutocratica europea che tutela i suoi interessi turchi, ignora che in [p. 127 modifica]pieno Mediterraneo si trova un abitante simile, tolta la differenza di razza, a quello della costa d’Affrica. Il contadino greco delle isole ara la terra con l’aratro degli arabi e la sera, quando giunge a casa, non toglie il pesante basto alla sua cavalcatura per evitare la fatica di rimetterglielo il giorno dopo.

La piana d’Aphandos è ricca d’olivi. Giunti al paese facemmo colazione dai carabinieri italiani che ormai hanno stazioni in tutti i principali punti dell’isola. Visitammo il villaggio, un mucchio di catapecchie di pietra, parte annerite dal tempo, parte incalcinate e imbiancate di fresco, assai più lontano di Koskino dalla città pel tenore di vita e per la nettezza. Pure, vi trovammo una popolazione magra, con occhi vivacissimi, oltremodo caratteristica, e sono questi forse gli avanzi degli antichi rodii sì prodi navigatori e sì prodi guerrieri, e degli antichi coloni greci e dei fenicii che prima dei greci navigarono il Mediterraneo. Comunque, passando per uno di questi casolari di pietra chiusi tra colline di pietra, dall’aspetto montanino anche quando sono poco sopra al livello del mare, vi potete trasportare con l’immaginazione in qualunque più remota età vi piaccia. Tutti appariscono solitarii, segregati gli uni dagli altri, quali in realtà [p. 128 modifica]sono, come avanti che esistessero i primi scambii fra gli uomini. È curioso che noi possiamo avere notizie dall’America e dall’Oceania d’ora in ora, e ci siano in pieno Mediterraneo, tra l’Europa, l’Asia e l’Affrica, sotto gli occhi delle nazioni più civili, isole come Rodi, larghe una spanna, ma in cui stanno villaggi che quindici giorni dopo Psithos ignoravano ancora lo sbarco degli italiani a Kalitea!

Da Aphandos, seguendo la marcia fatta dal generale Ameglio con i due reggimenti, 34.° e 57.° di fanteria, la notte dal 15 al 16 Maggio, voltammo a destra verso l’interno e attraversato un letto sassoso di rio con un solo filo d’acqua, il Kutsuras potamos, e campi d’olivi, riprendemmo a salire per sentieri ed erte senza sentieri ripide e sassose avendo il mare alle spalle. A un certo punto, quasi per il presentimento, mi voltai con la faccia al mare. La piccola isola s’era aperta in linee grandiose tra mare, cielo e rocce. Stavo ormai sull’altipiano e avevo dinanzi la baia d’Aphandos, e il mare d’un divino azzurro sotto il sole raggiante. Il villaggetto bianco stava sotto due comignoli rocciosi che lo separavano e riparavano dal mare, e ai suoi piedi aveva il verde chiaro delle olivete e il verde cupo d’altra selva. Tutta la spiaggia era arida. [p. 129 modifica]Alla mia destra l’ultimo sperone dell’altipiano, dinanzi al Capo Vaghia che distingue la piana d’Aphandos da quella limitata dai monti Zambika, levava le sue rocce nel sole nette, taglienti, corruscanti.

E quando ebbi ripreso il cammino e fui disceso un poco dal punto di quel panorama, vidi un fluttuare d’alture d’ogni lato, con profondi burroni, sino a perdita d’occhio. La piccola isola mi appariva di grande stile. Erano alture ora petrose, ora verdi, ora rocce addirittura, tutte spezzate da gole, precipitanti in burroni profondi come baratri. Era il gran nodo montagnoso, aggrovigliatissimo, che forma tutto l’interno dell’isola e quasi tutta l’isola. Era la pietrificazione e la solidificazione d’una catastrofe tellurica. Ma per quella strada senza sentiero, di notte, tendeva a Psithos la colonna Ameglio, mentre nella stessa notte, per strade uguali, tendevano allo stesso convegno anche le altre due colonne, da Kalavarda i bersaglieri e gli alpini da Malona. Vidi su quelle rocce, in quella notte, su quella isola di povera gente primitiva e decaduta, lo sforzo eroico della volontà italiana per tutte e tre le colonne che un uomo conduceva.

Poi da quelle vette ridiscendemmo in un altipiano sassoso e attraversammo un rio pieno d’oleandri e risalimmo e [p. 130 modifica]ridiscendemmo tra molto verde e fontanelle d’acqua e risalimmo ancora per sentieri petrosi, finchè due ore circa prima del tramonto avvistammo Psithos. Arrivammo sopra una gran forra, Psithos biancheggiava in fondo in fondo, giù in costa, alla nostra destra. Cavalcammo ancora e giungemmo al punto su cui il 16 Maggio le artiglierie della colonna Ameglio si misero la prima volta in batteria, a un tre chilometri dal paesello. Ormai eravamo sulla traccia visibile dell’azione, ci spingemmo avanti ancora per un chilometro e toccammo il punto su cui le artiglierie si misero in batteria la seconda volta. Non vidi mai paese alpestre meglio posto in un riparo d’alture. Psithos s’adagia in costa, tutto bianco, in una conca verde, piena d’alberi. Ormai con gli occhi della mente abbracciavo l’isola intera, vedevo le tre punte del triangolo Rodi-Kalavarda-Malona, le tre strade convergenti, le tre colonne marcianti. Qui s’erano collocate le batterie da montagna della colonna Ameglio, e questa bipartitasi, parte, il 34.°, procedeva sulla cresta delle alture stringendo e avvolgendo Psithos alla nostra destra; parte, il 57.°, era discesa nell’avvallamento e risalita sul rialzo di contro stringendo e avvolgendo Psithos alla nostra sinistra. E i bersaglieri venuti da Kalopetra stavano nell’arco di cerchio tra il 57.° e il [p. 131 modifica]34.°, proprio dinanzi a noi, dinanzi al punto delle batterie, dietro la costa stessa di Psithos. E gli alpini, un momento, erano spuntati dalle alture al disopra del 57.°, ma essendoci già qui il congiungimento tra il 57.° e i bersaglieri, s’eran portati nell’avvallamento a sinistra di cui sopra accennai. Era il cerchio di ferro serrato d’ogni parte. Da Rodi, da Malona, da Kalavarda, il triangolo era andato stringendosi sempre più, sempre più, finchè aveva fatto cerchio chiuso e la selvaggina era presa nel suo rifugio. Avevo visto in Tripolitania alla giornata d’Ain Zara come si cattura una preda; ma laggiù la preda era soltanto la terra, mentre qua era la terra e i turchi. Nè quel luogo del deserto era così adatto a dare un’idea di così magnifiche cacce, come Psithos nella sua conca. I turchi avevano tentato di rompere il cerchio buttandosi contro i bersaglieri, ma avevano trovato ferro.

Giungemmo prima del tramonto.

Dove smontammo, scorre un ruscello e c’è una fontana sotto alberi. Donne del paese lavano panni nel ruscello, e donne e soldati del 34.° che sono rimasti di presidio lassù, attingono acqua alla fontana.

Salimmo, giungemmo alla chiesa che ha ancora una parete forata in alto da una granata. Quivi sotto un gran leccio e un [p. 132 modifica]cipresso, nel sacrato stesso, a destra della chiesa, dormono in fila, schierati come nel combattimento, otto bersaglieri che morirono il 16 Maggio. Sulle otto tombe ci sono otto ghirlande secche e altre più piccole intorno alle otto croci, e garofani freschi piantati nel terreno che una donna di Psithos annaffia tutti i giorni. Restammo lungamente con gli occhi fissi su quella breve linea silenziosa sentendo dentro di noi che avevamo toccato la meta del nostro pellegrinaggio. Giovani del nostro sangue e di sangue cristiano erano stati portati dal corso delle vicende umane a combattere contro quelli stessi infedeli che quattro secoli prima avevano cacciato dall’isola altri cristiani di sangue affine e nostro. E non erano giunti qui dalla patria, freschi degli amplessi del padre, della madre e dei cari fratelli, ma erano giunti da un’altra sponda dove anche avevano combattuto e poi avevano passato il mare interrompendo quella per questa guerra, e il perchè dell’una e dell’altra era rimasto a loro ignoto, come a tutti noi restano ignoti i decreti della provvidenza. Ma obbedienti avevano superato la resistenza delle loro forze, e forzando la marcia sulle alte rocce col respiro mozzo, pallidi sotto il sole rovente, erano giunti dove erano morti, fiore del reggimento, fiore di tutto l’esercito, [p. 133 modifica]bersaglieri d’Italia dalle belle piume, vendicatori dei cavalieri dopo quattro secoli. Gloria a voi per questo inno dell’anima che prorompe dalla pietà! Io rimanevo dinanzi a quell’angolo nel quale giacete, e mi pareva ben solitario, non ostante i segni di gratitudine del popolo liberato. Quell’angolo mi appariva più sacro del suolo stesso della patria, più sacro del suolo stesso del vostro paese natio, perchè in uno otto ne accoglieva, ma pensavo che nessuno di noi aveva pronunziato il nome del paesello che vi ospita sotto terra, prima della vostra morte. Io ed i miei compagni di pellegrinaggio non potevamo più distaccarci da voi, perchè non ostante tutto, vedevamo la vostra solitudine e il vostro abbandono. Ma ad un tratto risentii la virtù d’elevazione che emana da voi, primi della marcia italiana, primi del combattimento italiano nell’isola di Rodi.

Pernottammo a Psithos accolti dal capitano Rigoni che comanda il presidio. Psithos è un villaggetto dalle 300 alle 500 anime, caprai e contadini grami che fanno un po’ di grano e miele. È già il villaggetto di montagna con l’aria, l’acqua, la pietra di montagna e con un aspetto tanto più rustico e misero di Aphandos, quanto Aphandos di Koskino.

La mattina dopo ripartimmo per Rodi, [p. 134 modifica]per la via di Maritza, per quella stessa via che fece nel ritorno il generale Ameglio. Arrivammo a Maritza prima di mezzogiorno, a Rodi nelle ore pomeridiane.

Scendendo vedevamo e il mare che bagna l’isola ad oriente, e il mare che la bagna ad occidente. E le coste d’Asia che allungano il gran braccio a circondarla. E tutto era sotto il sole raggiante.

Il nostro pensiero tornava ancora a quelli che dormono a Psithos, per la nuova virtù che sentivamo dentro di noi. Trasformati in questa che è la più pura essenza in cui l’uomo possa sopravvivere, sopravvivevano, e noi li riportavamo con noi.