Sotto il velame/L'altro viaggio/VII

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L'altro viaggio - VII

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VII.


Or questo “no„ degli spregiatori di Dio e delle sue cose, è ira, il peccato d’ira. Tutti i motivi d’ira [p. 356 modifica]si riducono, abbiamo detto, alla parvipensio. Perchè questa operi, è necessaria l’illusione della propria grandezza. Dice il Dottore: “Quanto alcuno è più eccellente, con più ingiustizia si dispregia (parvipenditur) in ciò in cui egli eccelle„.1 Or bene Capaneo è detto “grande„, ed è dei “regi che assiser Tebe„;2 i sodomiti sono “cherci e letterati grandi e di gran fama„,3 e altri, d’altra masnada che Brunetto, sono pur tali che hanno “fama„ tennero grado alto e fecero “col senno assai e con la spada„, e la lor voce “nel mondo su dovria esser gradita„ e i lor nomi sono “onorati„;4 gli usurieri hanno una tasca stemmata,5 e tra loro ha da venire un “cavalier sovrano„. Tutti nobili, cotesti usurieri. Sono dunque tutti quanti, quelli del terzo girone, mostrati eccellenti in alcunchè; e non è caso o preferenza solo di poeta o di giustiziere, che dei bestemmiatori ci sia mostrato sol un eroe e re, e degli usurieri nessuno che non sia nobile. Dante vuol dire che la parvipensio poteva in loro.

E se il motivo all’ira c’è, c’è l’ira a chiare note. Capaneo giace dispettoso e torto, e parla del cruccio di Giove e della vendetta di lui; ha la rabbia per maggior martirio ed è compreso di furore; disdegna e dispregia e dispetta.6 Pecca col cuore, e al suo petto sono fregio i suoi dispetti.7 Brunetto parla con indignazione di Fiorenza, chiamando ingrato il suo popolo e duro come macigno, dicendo quei cittadini lazzi sorbi e orbi e gente avara, invidiosa e [p. 357 modifica]superba, di laidi costumi, bestie fiesolane giacenti in lor letame; e la città proclamando nido di malizia.8 Le tre ombre già da lungi gridano alcunchè della lor terra prava, e poi si dichiarano crucciati.9 L’usuriere dalla scrofa azzurra e grossa mostra ira dicendo subito:10

                         che fai tu in questa fossa?
               or te ne va!

con quel che segue e con quell’atto di trarre la lingua, che Benvenuto dichiara come di spregio dopo aver avuto che dire con alcuno.

L’ira ben si mostra come l’abito di tutti. E sono puniti col fuoco. Or qui bisogna notare che Dante, dove la corrispondenza tra inferno e purgatorio è chiara, perchè esso adopera lo stesso nome della colpa nell’un regno e nell’altro, nelle pene non osserva alcuna somiglianza. I lussuriosi son qua portati dal vento, là affinati dal fuoco; i golosi qua pestati dalla pioggia, là emaciati dal digiuno; gli avari qua voltano pesi, là aderiscono alla terra; gli accidiosi qua sono nel brago vischioso, là corrono con acuto fervore. Ma nei tre peccati d’amor del male e di malizia sono analogie evidenti nelle pene. L’ira nel purgatorio è mondata nel fumo, nell’inferno è punita sotto il fuoco. Tra fuoco e fumo è la relazione che tra colpa e macchia. Della colpa resta la macchia, come del fuoco il fumo. Del resto egli pur dice: “in foco di ira„.11 Or nell’inferno c’è il fuoco, oltre che nel terzo girone, anche nel primo; [p. 358 modifica]chè la riviera è di sangue che bolle. Non è nel secondo... Eppure! Oh! si rischia, interpretando il Poeta, di passare a ogni tratto per dottori sottili; eppure quanta sottigliezza non si deve invero a Dante! La selva dei suicidi risuona di guai di ogni parte. Sono le Arpie che pascono di quelle foglie e lacerano la buccia delle piante. Ebbene quei guai sono come il soffiar di stizzi verdi messi al fuoco, che da una parte bruciano e dall’altra gemono.12 La selva sbuffa e stride e cricchia e cigola tutta come per un incendio invisibile. Ecco il bello di Dante! E bisogna essere sottili per trovarlo, e poi, anche a essere grossi, si riconosce! Chè sotto il velame io vedo a mano a mano che si nasconde tanto di bellezza quanto di verità. Onde ogni volta che scopriamo il verace intendimento del filosofo, il poeta ci splende di luce nuova. Ubbidiamogli dunque, e aguzziamo, o lettore, gli occhi.

Bene: anche tra la pena dell’invidia nel purgatorio, e quella della frode semplice (che è invidia, come dimostrerò) nell’inferno, è una grande somiglianza proporzionale. Ecco la cornice del purgatorio:13

               par sì la ripa e par sì la via schietta
               col livido color della petraia.

Ciascuno è “lungo la grotta assiso„: sono14

                                                ombre con manti
               al color della pietra non diversi.

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E tutte hanno il ciglio forato da un fil di ferro, sicchè non possono vedere.15 Ora Malebolge è16

               tutto di pietra di color ferrigno.

Là pietra livida, qua ferrigna. I peccatori, che sono a capo di tutti i frodolenti, i peccatori che hanno tra loro, anzi sotto loro, Caifas, i peccatori che sono i primi nominati nel novero di Virgilio, e che sono significati nella faccia di uom giusto del serpe Gerione; hanno17

                              cappe con cappucci bassi
               dinanzi agli occhi...
               
               Di fuor dorate son, sì ch’egli abbaglia;
               ma dentro tutto piombo, e gravi tanto...

Là vil cilicio e manti di color di pietra; qua cappe di piombo e d’oro abbagliante. Inoltre quelli tra i peccatori di frode, avanti cui deve morir la pietà, e dopo i quali è ricordata la luna tonda della prudenza; sono così travolti che ad ognuno conveniva venire indietro18

               perchè il veder dinanzi era lor tolto.

E così la pena della superbia nel purgatorio somiglia a quella del tradimento nell’inferno. Già il luogo, là è di “marmo candido„,19 qua è un lago20

                                               che per gelo
               avea di vetro e non d’acqua sembiante.

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I peccatori... Ma prima s’oda questa esclamazione:21

               O superbi cristian miseri lassi,
               che della vista della mente infermi,
               fidanza avete ne’ ritrosi passi;

ossia nell’aversio da Dio, nel “mal sentiero„, nella “via torta„;

               non v’accorgete voi che noi siam vermi
               nati a formar l’angelica farfalla?
               . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
               di che l’animo vostro in alto galla?

E quest’altra:22

               O sopra tutte mal creata plebe,
               che stai nel loco, onde parlare è duro,
               me’ foste state qui pecore e zebe!

Noi siamo vermi, dice il Poeta a proposito della superbia, nel purgatorio; spregevoli, bassi, nulli nella vita presente. Non c’è da insuperbire di tal condizione. Ma questi vermi si mutano in farfalle che volano a Dio, dopo la morte. Vogliam restare vermi in eterno? E, a proposito del tradimento, se avesse adoperata la stessa comparazion del verme, avrebbe detto: O vermi (invero Lucifero è il vermo reo), che voleste rimaner vermi! Meglio davvero che foste stati vermi e non uomini! E i superbi cristiani e la plebe sopra tutte mal creata sono puniti in modo analogo. Quelli23 [p. 361 modifica]

                                              la grave condizione
               di lor tormento a terra li rannicchia,

sì che non paion persone; sono sotto il peso di sassi, e piangono e sembrano dire: Più non posso. E gli altri? Con due parole Dante interpreta la pena degli altri, quando fa dir di Lucifero:24

               Principio del cader fu il maledetto
               superbir di colui che tu vedesti
               da tutti i pesi del mondo costretto.

Basta questo, senza ricordare come i traditori siano rannicchiati tra il gelo, quali i superbi al marmo candido; come quelli e questi piangano continuamente.

I frodolenti sono certo rei d’invidia, e i traditori, di superbia. Lucifero è il simbolo di questo peccato, come Gerione di quello. Si può dire: Lucifero è il peccato in generale! Ma si può soggiungere: E Gerione? Ma si può replicare: E sia il peccato in generale: qual è il peccato in generale, se non la superbia? È la superbia, o l’aversio da Dio. E l’aversio predomina nei tre peccati spirituali. Or come i tre peccati che sono dentro la città roggia e sono sotto la dizione particolare di Dite, non sono quei tre peccati? Sono; e perciò si chiamano, per essere i tre peccati d’aversione, superbia tutti e tre in certo modo. Superbia invero è l’ira di Capaneo, superbia l’invidia di Vanni Fucci, come superbia quella di Giuda.

Oh! e come? Che cosa è la superbia? È un [p. 362 modifica]opporsi direttamente a Dio, è un apostatare a Deo.25 “Apostatare da Dio si dice essere l’inizio della superbia dalla parte dell’aversione: chè da ciò che l’uomo non vuole assoggettarsi a Dio, segue che egli voglia, fuor dell’ordine, la propria eccellenza nelle cose temporali; e così l’apostasia da Dio non è ivi presa come speciale peccato, ma piuttosto come una cotal condizione generale d’ogni peccato, che è l’aversione dal bene immutabile. O si può dire che apostatare da Dio si dice essere l’inizio della superbia, perchè è la prima specie di superbia...„ E Giuda è nella bocca di mezzo di Lucifero, e qualunque sia il suo fallo, è certo il pessimo e il primo. Ma Giuda è reo d’apostasia. Dunque è reo della prima specie di superbia, dunque di superbia peccato speciale, non che di superbia o apostasia peccato generale.

È apostata. Non importerebbe recar testi: ognun lo sa. Tuttavia leggiamo.26 “Che più dovete temere? Un peccato solo, il più grave, quel di Giuda, peccato di apostasia„. Ora Giuda non solo dà nome al più basso loco dell’inferno, ma empie di sè tutta la ghiaccia; la quale in tal modo si dimostra essere di apostati, cioè di superbi. Dante subito nel cominciare la sua via per la gelata si sente dire:27

                                           guarda come passi;
               fa sì che tu non calchi con le piante
               le teste dei fratei miseri lassi!

Qui, nella Caina, Dante non calca alcuna testa; ma [p. 363 modifica]potrebbe, se volesse. Nella seconda, sì, vuole, o vorrebbe aver voluto. Nell’Antenora28

                                      passeggiando tra le teste,
               forte percosse il piè nel viso ad una.

Il peccatore grida piangendo: Perchè mi pesti? Or bene questo calcare e pestare con le piante e col piede richiama qui l’apostasia di Giuda. Perchè?29 “Egli avea eletto dodici, ma vi era un diavolo, Giuda Iscarioth, il quale contro il Signore levò il calcagno: del quale egli disse, Affinchè si adempia la scrittura che chi mangia il mio pane levò contro me il calcagno suo. O Giuda infelice, tu mangi il pane del Signore e contro il Signore levi il calcagno? Oh quanti sono i Giuda i quali mangiano il pane del Signore e nelle opere loro percuotono d’un calcio il Signore... Cotesti sono i Giuda Iscarioth i quali se non si mutano in meglio, oh! non fossero nati!„. Oltre che quest’ultima esclamazione risuona nelle parole di Dante “Me’ foste state qui pecore e zebe„, è, per il resto, chiaro che il passeggiar di Dante tra le teste e il pestarle col piede è infliggere il contrappasso di ciò che quei Giuda fecero a imitazione del primo: levare il calcagno contro il Signore.

E ciò è tanto esatto, in quanto il piede di Dante non calca veramente una testa se non nell’Antenora in cui cominciano a essere i peccatori diretti contro Dio; mentre nella Caina il peccato non è contro il principio generale ma contro il principio particolare [p. 364 modifica]dell’essere. E tuttavia nella Caina c’è la minaccia, il rischio, il timore di quel santo calcio.

Nella terza circuizione la presenza morale di Giuda è ancor più evidente. Quelli che tradirono a mensa, hanno subito dopo il tradimento il corpo invaso da un diavolo; a somiglianza di Giuda nel quale, dopo che Gesù gli porse il pane intinto, entrò Satana.30 Sono dunque più che mai apostati e perciò superbi questi peccatori. Ma Dante non si è contentato di darcene questi chiari indizi, e ce ne ha offerto un altro chiarissimo. Chè, interpretando forse a modo suo questo entrar di Satana, egli fa che nel tempo stesso l’anima del peccatore rovini nella cisterna dell’abisso, come Lucifero stesso dopo il suo peccato di superbia.31 “Egli non fece nulla, non operò nulla, solamente pensò la superbia; e in un momento, in un batter d’occhio, fu irreparabilmente precipitato„. Nella cisterna rovina il peccatore di Dante; nel lago il Lucifero di Isaia. Superbi tutti e due.32

Nella ghiaccia Lucifero e i giganti da una parte, e dall’altra Giuda affermano il concetto di aversione, di apostasia, di superbia. In Malebolge la sozza immagine di frode riassume il concetto d’invidia. Anche i dieci passi che fanno Virgilio e Dante verso la bestia malvagia, mostrano ch’ella comprende le dieci bolgie e i dieci peccati, cominciando, per un rispetto, dai seduttori, e, per un altro, dagli ipocriti. Invero Gerione è il serpente, in cui si mutò il diavolo per tentar Eva: onde il serpente fu poi [p. 365 modifica]maledetto da Dio"33 “Sopra il tuo petto camminerai, e mangerai terra tutti i giorni della tua vita„. Non è opportuno qui ricordar quella che fu dipartita dall’invidia? la lupa che ciba terra, come non il veltro?34 Non è opportuno richiamare l’occhio dell’invido “che pure a terra mira„?35 Questo serpente dalla faccia di uom giusto commise tutti dieci i peccati di Malebolge, essendo l’invidia. È quei dieci peccati ed è l’invidia. E facile sarebbe trovarli tutti e dieci, in quella tentazione; ma si rischierebbe di prestare a Dante: noi poverelli al signor dell’altissimo canto. Appaghiamoci di ciò che è manifesto della intenzione sua. Egli cominciando la visita e l’esposizione dei peccati dalla bolgia dei seduttori e da quella dei lusingatori, dimostra che ha in mente il serpe che andò alla donna e la lusingò e sedusse. Facendo, delle dieci, principale la sesta bolgia, dimostra che ricorda il diavolo che mentisce e copre il suo malvolere e fa vedere la faccia d’uom giusto; il diavolo di cui l’ipocrisia fu il primo strumento.36 Con la trasformazione dei ladri in serpenti, dimostra d’aver di mira quel primo ladrone che si mutò in serpente, e rubò per mano d’Eva il pomo. Rubò: così Dante s’esprime:37 [p. 366 modifica]

                                                      la pianta
               ch’è or due volte dirubata quivi.
               
               Qualunque ruba quella o quella schianta
               con bestemmia di fatto offende Dio...

Per la prima volta la pianta fu derubata da Adamo, ossia dal diavolo che lo consigliò. E quando il Poeta nascose nel fuoco i consiglieri del male, ricordò certo il primo consigliere del male, che vive nella Geenna. E del resto questo medesimo adulterò le cose di Dio, fece del no ita, rese Dio e l’uomo in sè rubelli, falsificò sè in altrui forma; e sopra tutto fu falso profeta e malo indovino, quando disse: “Non morrete, no: sarete come Iddii, sapendo il bene e il male„; e ciò quando la sua invidia38 portava nel mondo la morte, e quando faceva cadere l’uomo in quello stato di servaggio e di oscurità, per cui non doveva discernere più il bene dal male, fin che non venne il Redentore.

Ora come Lucifero è simbolo della superbia, anzi è la superbia stessa, peccato generale e speciale, apostasia in genere e in ispecie; così Gerione è simbolo della invidia e comprende tutte le dieci manifestazioni di frode, che sono in Malebolge; di frode che si potrà così ragionevolmente chiamare invidia, come invidia è essa imagine di frode. Ma come nella Ghiaccia è un peccatore umano, Giuda, oltre che un peccatore diabolico, Lucifero, a esprimere il medesimo [p. 367 modifica]pensiero di apostasia generale e speciale, ossia di superbia; abbiamo anche in Malebolge un peccatore, istessamente umano e istessamente espressivo? Pare: Caifas, il crocifisso in terra. Già, è crocifisso, e così bene esprime l’invidia che mira a terra, e viene ad assomigliarsi al Perverso costretto da tutti i pesi del mondo. Ed è poi in così vil condizione, perchè39

               consigliò i Farisei che convenia
               porre un uom per lo popolo ai martiri.

Per quanto pravo consigliere, non è tra i pravi consiglieri, ma tra quelli che sotto l’aspetto di santità mascherano la loro invidia. Chè invidia era. Lo dice la parola: un uomo. L’invidia del primo superbo fu cagione di tutti i mali al genere umano. La superbia sua fu contro Dio, l’invidia contro gli uomini. E così l’invidia è verso i pari, come la superbia verso i superiori. Il che dichiara Dante, dicendo, che il superbo spera eccellenza e l’invido teme che altri sormonti; l’uno vuol primeggiare, l’altro non vuole che altri primeggi:40 l’uno vuol salire sugli altri, l’altro vuole agli altri detrarre. Ora Caifas sarebbe reo come Giuda se non fosse che per Giuda l’uomo era Dio, e per Caifas il Dio era uomo. Solo per questo egli fu invido; come l’altro fu superbo.

Note

  1. Summa 1a 2ae 47, 3.
  2. Inf. XIV 46, 68 seg.
  3. Inf. XV 106 seg.
  4. Inf. XVI 31, 36, 39, 41 seg. 59.
  5. Inf. XVII 55 segg.
  6. Inf. XIV 47, 53, 60, 65, 66, 70, 71.
  7. Inf. XI 47, 51; XIV 72. Il petto è la sede dell’ira.
  8. Inf. XV 61 segg.
  9. Inf. XVI 9, 72.
  10. Inf. XVII 66 segg.
  11. Purg. XV 106.
  12. Inf. XIII 102, 40 segg.
  13. Purg. XIII 8 seg.
  14. ib. 46, ib. 47 seg.
  15. Purg. XIII 70 segg.
  16. Inf. XVIII 1 segg.
  17. Inf. XXIII 61 segg.
  18. Inf. XX 13 segg.
  19. Purg. X 31.
  20. Inf. XXXII 23 seg.
  21. Purg. X 121 segg. XII 72, X 3.
  22. Inf. XXXII 13 segg.
  23. Purg. X 115 seg. 143, 119, 136 segg.
  24. Par. XIX 55 segg,
  25. Summa 1a 2ae 84, 2.
  26. D. Bern. in psalm. qui habitat Sermo III.
  27. Inf. XXXII 19 segg.
  28. Inf. XXXII 77 segg.
  29. D. Bern. in coena Domini Sermo II. Ev. sec. Ioan. XIII 18; cfr. Ps. 40, 10.
  30. Ev. sec. Ioan. XIII: et post buccellam introivit in eum Satanas.
  31. D. Bern. de adv. Dom. Sermo I.
  32. Vedi Minerva Oscura XIV 40 segg.
  33. Gen. III.
  34. Vedi più su «Le tre fiere III» p. 121.
  35. Purg. XIV 150. Cfr. D. Bern. Hac peste (invidia) nullus moritur nisi qui terrena haec appetit. In die pur. Sermo.
  36. Vedi più su D. Bern. de int. dom. 61: Mentre è cattiva ogni invidia, pessima è tuttavia la specie di questo male, che esercita le sue ingiurie sotto aspetto di santità.
  37. Purg. XXXIII 56 segg. La bestemmia di fatto richiama la bestemmia di Vanni Fucci, col core e di fatto, e quella di Capaneo, col core. Quello è ladro, questo è folle.
  38. Concetto comunissimo. Per es. D. Bern. in die purif. Dopo la conversione niente più in noi possa l’invidia, per la quale la morte entrò nel mondo (Sap. II): chè il diavolo invidia all’uomo l’ascensione al luogo donde egli precipitò; e per questo lo tentò e lo uccise nell’anima.
  39. Inf. XXIII 116 segg.
  40. Purg. XVII 115 segg.