Sotto il velame/L'altro viaggio/VIII

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L'altro viaggio - VIII

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VIII.


Ma insomma, sono superbi i peccatori della gelata e invidi quelli delle bolgie? [p. 368 modifica]

Il concetto Dantesco dobbiamo ricavarlo dai due terzetti del Purgatorio:1

               È chi per esser suo vicin soppresso,
               spera eccellenza, e sol per questo brama
               ch’ei sia di sua grandezza in basso messo.
               
               È chi podere, grazia, onore e fama
               teme di perder perch’altri sormonti,
               onde s’attrista sì che il contrario ama.

Sono rei di quella prima speranza e di quella prima brama i traditori? Sono rei di quell’altra tema e tristezza e amore i fraudolenti? Sì. Cioè; se i traditori e i fraudolenti si fossero convertiti, avrebbero quella macchia dello appetito da mondare: quella speranza e quel timore, con quel desiderio. Ma conversi non sono: sono aversi. Con la volontà sono aversi perchè ciò per cui l’uomo si torce da Dio, è la volontà.2 Nei conversi del purgatorio la volontà è volta a Dio; dunque non hanno a mondare che appetito, il quale non è mai contro sè e contro Dio. La volontà, sì, può essere; ed è invero in tutti i peccatori dell’inferno, contro sè, che si dannarono, e contro Dio, perchè sono da lui ritorti; ma più in questi ultimi, che offesero più Dio; più in questi di Dite; e tra loro, più in quelli dei due ultimi cerchietti, in cui non fu sopraffazione alcuna dell’appetito, ma volontà illuminata dall’intelletto; e tra costoro più in quelli dell’ultimo, in cui l’intelletto più peccò.

Vediamo, invero. Ai due terzetti sopra citati si pongano vicini questi altri:3 [p. 369 modifica]

               La frode, ond’ogni coscienza è morsa,
               può l’uomo usare in colui che ’n lui fida,
               e in quello che fidanza non imborsa.
               
               Questo modo di retro par che uccida
               pur lo vinco d’amor che fa natura...
               
               Per l’altro modo quell’amor s’oblia
               che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto
               di che la fede spezial si cria.

Ricordiamo, prima di tutto, che la prima coppia di peccati è di amor del male, e la seconda è di malizia; e che ambedue sono unite a un terzo: ira e violenza, cioè ira questa e quella. Osserviamo, poi, la somiglianza delle due coppie di definizioni in questo, che in ogni coppia l’un peccato assomiglia all’altro. Cioè, si ha una proporzione: la superbia sta alla invidia, come la frode in chi si fida sta a quella in chi non si fida. Invero, là il superbo vuole il suo vicino messo in basso di sua grandezza, e l’invido vuole che altri non sormonti. Tanto il superbo che l’invido, vogliono che il vicino o altri venga giù o non vada su. Qual divario è tra l’uno e l’altro? Questo solo: che il superbo vede il vicino sopra sè e l’invido a pari di sè o, poniamo, sotto sè. Il primo vuole che l’altro scenda, il secondo non vuole che l’altro salga. E qua, nell’inferno? Il frodolento in chi non si fida, uccide il vincolo d’amor naturale; il frodolento in chi si fida, oblia quello e poi un vincolo aggiunto d’amore speciale: offendono insomma, queste due specie dell’unico genere di frodolenti (notiamo!), persone meno e più a loro legate, meno e più a loro vicine. La proporzione è innegabile.

E non è sola teorica. Guardate le anime del [p. 370 modifica]purgatorio, che mondano la superbia e l’invidia: come assomigliano! Dice Omberto:4

               ogni uomo ebbi in dispetto tanto avante,
               ch’io ne morii...

Dice Guido del Duca:5

               Fu il sangue mio d’invidia sì scarso
               che se veduto avessi uom farsi lieto,
               visto m’avresti di livore riarso.

E i peccatori della Ghiaccia e di Malebolge? che differenza è tra Giuda e Caifas? In che modo Caino, l’invido, dà il nome a una circuizione di quella ghiaccia, dove, secondo me, è punita la superbia, se non perchè l’invidia è affine alla superbia? Che differenza c’è tra un barattiere, come Frate Gomita, e un traditore di suo signore? E non è consiglio di tradire quello che dà Guido di Montefeltro a Bonifazio? E molt’altro si potrebbe aggiungere. E dovremmo concludere che ci sono due peccati che si chiamano superbia e invidia, che hanno molto di comune tra loro, e due altri, tradimento e frode, che molto tra loro assomigliano. E questa conclusione ci dovrebbe portare a riconoscere che tale proprietà di somiglianza, tale possesso d’elementi comuni, c’è in quelle due coppie di peccati, perchè l’una coppia è, col digradar da reato a macchia, ciò che l’altra.

Tanto più, che la frode e il tradimento sono il sesto e il settimo dei peccati d’inferno, come l’invidia e la superbia sono il sesto e il settimo dei peccati [p. 371 modifica]di purgatorio. Tanto più che la frode e il tradimento hanno, per la loro somiglianza, lo stesso diavolo per simbolo; ma per il loro divario, la prima il diavolo nella forma che assunse nella sua invidia verso il genere umano, il secondo il diavolo nella sua propria forma di superbo contro Dio.

Ma c’è altro. La superbia è contro Dio e a Dio direttamente s’oppone ed è l’apostatare da lui e il non volersi a lui sottomettere e lo alzar le ciglia contro il sommo bene e il torcere il viso dal bene immutabile. Si dovrebbe dubitare di ciò che superbia fosse la superbia del Purgatorio, più che di ciò che superbia sia il tradimento dell’inferno. Ora si avrebbe torto a dubitare del primo punto; nè solo perchè espressamente il Poeta dice che è superbia, ma perchè la sua definizione non contraddice al concetto di superbia quale è presso tutti i padri e dottori e catechisti. La definizione di Virgilio ha di mira la macchia, ripeto, dell’appetito: la qual macchia è amor del male del prossimo, ossia cupidità, complicato con una speranza di eccellenza. La cupidità si liqua in volontà ingiusta. Si liquò nei peccatori del purgatorio? O sì o no, la reità del volere, la reità d’ingiustizia, è cancellata: o non ci fu o non c’è più. Ma o c’era o poteva ingenerarvisi. E allora? I passi del superbo sono, dice Dante, ritrosi; la via torta; malo il sentiero. Egli si ritrae, cioè, dal bene, da Dio. Così il superbo, specialmente; ma con lui anche l’invido e l’irato. L’accidioso è tristo, infastidito, disanimato: anch’esso sta per voltarsi. Ma per la via torta come cammina il superbo? qual differenza è tra lui e gli altri che vanno per il medesimo mal sentiero? Dante li dichiara, una volta, infermi della [p. 372 modifica]vista della mente.6 Essi, mal vedendo, credono che lo arretrare sia un avanzare. Un’altra volta esclama:7

               Or superbite e via col viso altiero,
               figliuoli d’Eva, e non chinate il volto,
               sì che veggiate il vostro mal sentiero!

E qui non vedono il mal sentiero, perchè tengono gli occhi in alto. O non alzò le ciglia Lucifero? O non è tutta la superbia nell’extollentia oculorum?8

Orbene, dove li avrebbe condotti il mal sentiero, la via torta per la quale si avviavano con ritrosi passi?

È di marmo candido il duro pavimento; non è il gelo di Cocito, ma assomiglia. Guardate. Eccovi Lucifero, Briareo, i Giganti, Nembrotte. Ma son traditori codesti! Traditori, cioè superbi. Nè gli altri esempi contradicono. Aragne e Niobe sono pur colpevoli contro Dio. E che dice l’esempio di Saul? “Dominus recessit a me„.9 E che dice l’esempio di Roboam? Dice che “aversatus fuerat eum Dominus„.10

La superbia di Sennacherib punito dai figli mediante un parricidio, si esplica nell’avere alzata la sua voce e i suoi occhi contro il santo d’Israele.11 E Oloferne è superbo perchè volle mostrare che non c’era altro Dio che Nabucodonosor.12 E il superbum Ilium era certo dal Poeta interpretato nel senso che per gli antichi spergiuri era inviso agli Dei. Non vi sono tra quelli esempi, se non quelli di Ciro e di [p. 373 modifica]Erifile, che paiono contrastare a questo concetto che la superbia sia l’apostatar da Dio. Ma a ogni modo Ciro uccise a tradimento, Erifile tradì il suo marito: sono più traditori che superbi; cioè, sono superbi perchè traditori.

E si deve notare che anche per questo rispetto delle figurazioni del vizio punito, il Poeta si contiene diversamente, secondo che tratta dei peccati di amor del bene o di amor del male; così, come riguardo la pena che è proporzionalmente uguale o simile in questi, e in quelli è affatto indipendente. Ed è ragione. Bisogna ricordare lo Stige che diviene Flegetonte e Cocito, e la lonza che sparisce avanti il leone, come il leone avanti la lupa, e la corda che se alcun si scinge,13 divien preda del diavolo della malizia, e simili concetti. La lussuria, gola e avarizia sono, sì, mali in sè, ma peggiori ne generano. Quindi gli esempi nelle cornici di quei peccati sono piuttosto di questi mali peggiori, che di quelli minori. Ma oltre Cocito più non si dismonta, o meglio, dopo Dite, si hanno di quei peccati che possono poco più crescere e differir l’un dall’altro e che sono quasi ugualmente insanabili, perchè hanno il Gorgon. Ebbene gli esempi in queste cornici sono del proprio male d’ognun de’ tre peccati. Abbiamo visto per la [p. 374 modifica]superbia. Vediamo per l’invidia. Gli esempi sono due: Caino, che ognuno avrebbe ucciso; Aglauro che divenne sasso: un esempio sacro e uno profano;14 e tutti e due d’invidia vera e propria, sebbene il primo sia della più grave forma. Ed è curioso notare che tanto è gravissimo il peccato di Caino, quanto lievissimo quello d’Aglauro, se non s’interpreti misticamente. A ogni modo sono due peccati di invidia. Ora gli esempi dell’ira quali sono?15 L’empiezza di Progne, l’ira di Haman:

               un crocifisso dispettoso e fiero
               nella sua vista, e cotal si morìa:

il suicidio di Amata. E questi sono peccati di ira? Pare. E perchè allora dubitar di chiamare ira l’empiezza di coloro che sono figurati nel Minotauro; la bestialità tipica di coloro che Dante leggeva in Aristotele dilettarsi di carni umane? la contumacia e, se volete, la superbia di Capaneo, che giace dispettoso, come quel crocifisso, e qual fu vivo tale è morto, come quel crocifisso che “cotal si moria„? il disdegnoso gusto di Pier della Vigna, cui l’animo fece commettere un’ingiustizia contro sè giusto, un’irragionevole vendetta, un atto assurdo e di effetto vano e contrario? Come quello d’Amata, che Lavina esprime così:

               Ancisa t’hai per non perder Lavina;
               or m’hai perduta...

Note

  1. Purg. XVII 115 segg.
  2. Summa 1a 2ae 77, 6. e altrove.
  3. Inf. XI 52 segg.
  4. Purg. XI 64 seg.
  5. Purg. XIV 82 segg.
  6. Purg. X 122.
  7. Purg. XII 70 segg.
  8. D. Bern. de nat. Dom. Sermo III et al.
  9. Reg. I 28.
  10. Reg. III 12.
  11. Reg. IV 19.
  12. Iud. VI.
  13. Il nodo che Virgilio fa, può aver riscontro nel «vincolo ferreo» di Rich. de S. Victore de er. hom. int. 25: «quando la mente depravata comincia a piegarsi a tali infimi beni... avviene che non possa più frenar l’appetito dell’amor di quelli». Perciò la mente depravata è legata tra l’erba della terra da una specie di «vincolo di ferro». Il medesimo (29) ha: «il dominio dei vizii a poco a poco ammollisce l’anima e via via la spinge al peggio». Vedi più su a pag. 141 segg.
  14. Purg. XIV 133, 139.
  15. Purg. XVII 19 segg.