Sotto il velame/Le rovine e il gran veglio/II

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Le rovine e il gran veglio - II

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Le rovine e il gran veglio - II
Il corto andare - I Le rovine e il gran veglio - III
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II.


Il camminare, dunque, per lo scarco delle pietre, significa quel che entrar dalla porta aperta, per un [p. 191 modifica]vivente: avere come salvarsi; salvarsi da ciò appunto che è punito, senza più redenzione possibile, in quelli che vedono quel pendìo per cui non è possibile più riascendere, come non è più permesso uscire dalla porta aperta, una volta che si è morti. Ora, prima di tutto, è chiaro che più la salvazione, per il vivente, è facile, più la disperazione, per il morto, è grave. E così vediamo che gli sciaurati piangono più dei peccatori carnali; o almeno che il poeta significa il pianto di quelli con maggior menzione e più forti parole che il pianto di questi; mentre poi non parla affatto di pianti in faccia alle altre due rovine, sebbene per l’ultima egli noti che non è via per i morti.1 In secondo luogo Dante fa vedere che, per il vivente, la salvazione è a mano a mano più difficile. In vero dalla porta aperta si entra senz’altro; per la prima rovina si scende così agevolmente, che Minos grida: Non t’inganni codesta ampiezza: come a dire codesta agevolezza; per la seconda rovina i sassi movevansi per lo nuovo carco; per la terza, oltre che Dante fatica sì che quasi è vinto, per la terza, Dante non scende, ma sale. Ora la porta aperta significa la liberazione della volontà, significa la redenzione in generale dal peccato in generale. E la prima rovina è a capo dell’incontinenza e più particolarmente della concupiscenza; e la seconda a capo della malizia con forza e senza intelletto; e la terza nella bolgia degl’ipocriti, cioè [p. 192 modifica]a capo della malizia con frode ossia con intelletto. E così la salvazione dalla servitù del volere è tanto facile, or che la porta è aperta, che non si capisce come in tanti non avvenga; al modo che non si intende come alcuno desideroso di uscire non esca pur essendo aperto l’uscio. E così la salvazione dalla concupiscenza è più facile che quella dalla malizia con forza, e questa più che quella dalla malizia con frode: salvazione, quest’ultima, difficilissima. In verità, essendo il salire opposto allo scendere, se lo scendere significa una maggiore o minore agevolezza, il salire significherà una maggiore o minore difficoltà, nel salvarsi.

E qui Dante è mirabile. Come ha posto due discese, una più comoda, una meno; così pone due salite, meno e più disagiate. Questa, per la rovina della bolgia di Caifas e del regno di Gerione, è la meno disagiata; la più, è per i peli di Lucifero, del maciullatore di Giuda, del primo superbo.2

               Quando noi fummo là dove la coscia
               si volge appunto in sul grosso dell’anche,
               lo duca con fatica e con angoscia,
               
               volse la testa ov’egli avea le zanche
               ed aggrappossi al pel come uom che sale,
               sì che in inferno io credea tornar anche.
               
               Attienti ben, che per sì fatte scale,
               disse il maestro ansando com’uom lasso,
               conviensi dipartir da tanto male.

Da tanto male, con tanto ansimare; con meno, da minore. E così per i ronchioni della sesta bolgia [p. 193 modifica]Dante è aiutato da Virgilio, qui è a dirittura in collo al maestro. E se il salire qui è preceduto da uno scendere:3

               Come a lui piacque, il collo gli avvinghiai;
               ed ei prese di tempo e loco poste,
               e quando l’ale furo aperte assai,
               
               appigliò sè alle vellute coste:
               di vello in vello giù discese poscia
               tra il folto pelo e le gelate croste:

così, in Malebolge, discendono i due (nè già in tutte le bolgie discendono), e sdrucciolano giù, Dante sopra il petto di Virgilio, fuggendo la caccia dei diavoli:4

               Lo duca mio di subito mi prese,
               . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
               
               e giù dal collo della ripa dura
               supin si diede alla pendente roccia,
               che l’un dei lati all’altra bolgia tura.

Ora è evidente perchè Dante, per certi peccati, la facilità di salvarsi esprima con lo scendere, e per certi altri, esprima la difficoltà, col salire o col risalire. Ci sono peccati che hanno in sè precipua la conversione al bene commutevole, e altri che hanno precipua l’aversione da Dio, bene immutabile. Ora il peccatore che va morto all’inferno entra e scende per una porta e per rovine, per le quali, entrando e scendendo, il peccatore vivo si salva, come l’altro si perde. Invero il cammino dell’uno e dell’altro, perdendosi e salvandosi, fu ed è converso, ugualmente, al bene; ma dell’uno al bene commutevole, [p. 194 modifica]dell’altro al bene immutabile. Quindi è uno scendere. Ma ciò solamente per il peccatore, vivo o morto, d’un peccato di conversione al bene; chè quelli che si perdono o si salvano di peccati di aversione da Dio, devono tenere via differente, secondo che sono vivi o morti, secondo che si salvano o si perdono. Quelli che muoiono di quel peccato, restano aversi, cioè con la faccia torta da Dio e volta al male; quelli che se ne salvano devono fare il contrario di quelli che si perdono; e salire come quelli scendono, e mettere la testa dove il diavolo ha le zanche, e dipartirsi così da tanto male. Ora poichè aversione da Dio vale quanto conversione al male, e questa vale quanto malizia, e i peccatori di malizia sono in tre cerchietti, come mai per la rovina della violenza, cioè della prima specie di malizia, Dante scende e non sale? cioè scende soltanto e non ancora risale? Che se avesse voluto per un suo fine dottrinale, avrebbe, il mirabile domatore della materia, anche potuto.

Oh! considera, lettore, e di’, se il seguire il consiglio di Dante, di aguzzar bene gli occhi al vero, non porta poi alcun frutto!

Ecco:5

          in su la punta della rotta lacca
          l’infamia di Creti era distesa.

Che sta fare il Minotauro colà? Quella rovina “è guardata„ da lui, da quell’ira bestiale. La guarda per impedire i morti, che non risalgano? Non ce [p. 195 modifica]n’è bisogno: per loro, come per gli sciaurati e per i peccatori carnali e per i vestiti da cappa e per tutti, basta “l’alta providenza„. O dunque? Dunque, per impedire i vivi, sì che non trovino facile la scesa. E dunque Dante non risale per questa, come per l’ultima delle rovine e per i peli di Lucifero; ma trova, significata da quella guardia, una difficoltà pur grave a scendere; più grave che a entrare, più grave che nella prima discesa, sebbene anche lì sia chi lo ammonisce, se non, chi lo impedisca; chi lo ammonisce appunto della soverchia facilità:6

               Guarda com’entri e di cui tu ti fide:
               non t’inganni l’ampiezza dell’entrare!

Ma non è detto pur con ciò che Dante risalga, e qualche dubbio può rimanere sulla mia spiegazione intorno a questo risalire analogo alla aversione la quale è in certi peccati più che in certi altri. Ebbene vedremo anche questo perchè, il quale ora accenno, dicendo che la violenza, pur essendo malizia, come quella che ha un fine d’ingiuria, assomiglia molto alla disposizione di coloro che seguono “come bestie lo appetito„. Nel fatto, è bestialità.

Note

  1. Inf. XXIII 55. Il divieto o l’impossibilità è implicito in queste parole, che riguardano i diavoli e a più forte ragione i dannati:

                   Chè l’alta providenza che lor volle
                   porre ministri della fossa quinta,
                   poder di partirs’indi a tutti tolle.

  2. Inf. XXXIV 76 segg.
  3. Inf. XXXIV 70 segg.
  4. Inf. XXIII 37 segg.
  5. Inf. XII 11 seg. 32 seg.
  6. Inf. V 19 seg.