Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/79

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parte prima. 71

qua e in là, e rigirarsi per l’aria, — quando la lodoletta, svagata per l’azzurra ampiezza del cielo, canta la sua garrula canzone; quando l’aquila con l’ali dilatate va rotando sugli acuti vertici dei pini che coronano i monti; e la grua, trasvolando su piagge e so mari, muove desiderosa verso il sito natale.

Vagner. Ho avuto anch’io qualche volta i miei ghiribizzi, ma di simili in verità non me ne sono mai andati pel capo. I boschi e i campi vengono leggermente in noia; nè io invidierò mai le ali degli uccelli. Ben altrimenti gode il nostro spirito quando va svolazzando di libro in libro e di pagina in pagina. Le notti del verno son fatte dolci e dilettevoli; ci sentiam andare per la persona non so che tepore pieno di vita; ed oh! se tu giugni a svolgere una preziosa pergamena, egli par proprio che ti si spalanchi innanzi il paradiso.

Fausto. Tu conosci sol uno degl’impulsi del cuore, ed oh, non imparare mai a conoscere l’altro! Misero! due anime albergano nel mio petto, e vi si guerreggiano continuamente, e l’una vorrebbe pure svilupparsi dall’altra. L’una con intenso, indomabile amore si tiene alla terra, e vi si aggrappa duramente cogli organi del corpo; l’altra si leva impetuosa su questo oscuro soggiorno verso le sedi dove abitano gli alti nostri progenitori. Oh, se vi sono spiriti al governo dell’aria, i quali errino fra il cielo e la terra, — deh uscite dall’auree vostre nubi, e calate a rapirmi seco voi nel giubilo di una nuova esistenza. Sì in vero! fossi io pur possessore di un mantello fatato che potesse trasportarmi in regioni