Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano/47

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CAPITOLO XLVII

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CAPITOLO XLVII.

Storia Teologica della dottrina dell'Incarnazione. Natura umana e divina di Gesù Cristo. Inimicizia tra i Patriarchi d'Alessandria e di Costantinopoli, S. Cirillo e Nestorio. Terzo Concilio generale tenuto in Efeso. Eresia d'Eutiche. Quarto Concilio generale tenuto in Calcedonia. Discordia civile ed ecclesiastica. Intolleranza di Giustiniano. I tre Capitoli. Controversia dei Monoteliti. Sette dell'Oriente: prima i Nestoriani, seconda i Giacobiti, terza i Maroniti, quarta gli Arminiani, quinta i Cofti e gli Abissini.

Dopo avere i Cristiani distrutto il Paganesimo ben poteano godersi in santa pace un trionfo che liberati li avea da tutti gli avversari; ma un seme di discordia germogliava nel loro seno1; quindi furono [p. 6 modifica]più ardenti a cercar la natura del Fondator della Religione, che a porne in pratica le leggi2. Ho di già osservato che alle dispute sulla Trinità tennero dietro quelle dell’Incarnazione, scandalose del pari per la Chiesa; del pari funeste allo Stato, ma più minuziose ancora in origine e più durevoli negli effetti. Questo capitolo narrerà una guerra religiosa di dugento cinquant’anni, ed ho intenzione di esporre qual fu lo scisma ecclesiastico e politico delle Sette [p. 7 modifica]d'Oriente, e di preparare la storia delle contese loro tanto romorose e sanguinarie, premettendo brevi ricerche sulla dottrina della Chiesa primitiva3. [p. 8 modifica]

I. Zelanti, com’era ben giusto, dell’onore dei primi proseliti della lor religione, furono i Cristiani4 inclinati a credere a seconda del desiderio e [p. 9 modifica]della speranza loro, che gli Ebioniti, o per lo meno i Nazarei non si fossero segnalati in altro che nella ostinata lor perseveranza a praticare il culto di Mosè. Disparvero le loro Chiese; non son più ricordati i loro libri; la loro oscura libertà ha lasciato aperto un vasto campo alle opinioni in questo proposito, e somministrato allo zelo e alla prudenza del terzo secolo il modo d’esporre diversamente il loro Simbolo flessibile e mal certo; ma la critica più caritatevole dee negare in questi Settari ogni nozione della [p. 10 modifica]pura e vera Divinità di Cristo. Ammaestrati alla scuola de’ Giudei, imbevuti delle profezie, e dei pregiudizi loro, non avevano appreso giammai a sollevare le speranze più alto che ad un Messia umano e temporale5. Se osavano salutare il lor Re quando compariva in abito plebeo non potevano da grossolani, siccome essi erano, discernere il loro Dio, che nascondea la celeste natura sotto il nome e la persona d’un uomo6 . Gesù Nazareno s’intertenea famigliarmente co’ suoi compagni, li trattava come amico, e in tutte le azioni della vita ragionevole, o della vita animale, compariva un uomo della stessa loro specie. Al pari degli altri uomini passò dall’infanzia alla gioventù e alla virilità con un graduato incremento di statura e di sapienza, e spirò sulla Croce dopo una penosa agonìa di spirito e di corpo. Visse e morì per servigio degli uomini; ma Socrate anco[p. 11 modifica]ra7 consacrata avea la vita sua e la sua morte alla causa della religione e della giustizia; e quantunque lo stoico o l’eroe possano sdegnare le umili virtù di Gesù Cristo, pure le lagrime che questi versò sopra il suo paese, e sul discepolo ch’egli amava, sono la più pura, non che la più incontrastabile prova della sua Umanità. Non doveano i miracoli dell’Evangelo recare maraviglia ad un popolo che intrepidamente credeva i prodigi anche più strepitosi della legge di Mosè. Già i Profeti aveano prima di lui sanato infermi, risuscitato morti, fermato il Sole, erano saliti al cielo su carri di fuoco, e di leggieri poteva lo stile metaforico degli Ebrei retribuire ad un Santo e ad un Martire il titolo adottivo di Figlio di Dio. Tuttavolta, e nel Simbolo de’ Nazarei, e in quello degli Ebioniti, non si scorgono che lievi tracce di separazione da quegli eretici, i quali dicevano essere stato generato il Cristo secondo l’ordine generale della natura, e da quegli scismatici che ammettevano la Verginità di sua Madre escludendo l’intervento d’un padre terreno. Pareva autenticata la miscredenza de’ primi dalle circostanze visibili della sua nascita, dal matrimonio di Giuseppe, suo padre putativo, che aveva adempiute le formalità tutte della legge, e così da’ dritti che per discendenza diretta [p. 12 modifica]egli aveva sul Regno di David, e su l’eredità di Giuda; ma la storia secreta ed autentica se ne conservò in molte copie dell’Evangelo secondo S. Matteo8, che que’ Settari custodirono per lungo tempo nell’originale ebraico9 come unica pruova della [p. 13 modifica]loro credenza. Giuseppe, ben certo della propria castità, formò sospetti assai naturali nel caso; ma poi avvisato in sogno essere la gravidanza della sposa un'opera dello Spirito Santo, sgombrò dall'animo ogni inquietudine: e poichè non aveva potuto lo Storico osservare co' propri occhi quel miracolo domestico, convien credere che ascoltato egli abbia in tal occasione la voce, che dettò ad Isaia il vaticinio della futura concezione d'una Vergine. Il figlio di una Vergine generata per l'ineffabile opera dello Spirito Santo era un Ente di cui non s'avea mai conosciuto il simile10, nè si poteva a cosa veruna paragonare, poichè in tutte le facoltà della mente e del corpo era superiore a' figli d'Adamo. Dopo che si fu introdotta la filosofia greca, o caldea11, cre[p. 14 modifica]devano i Giudei12 alla preesistenza, alla trasmigrazione, all’immortalità dell’anima; e per giustificare la Provvidenza supponevano che l’anima fosse condannata ad un carcere corporeo per espiare le colpe commesse in uno stato anteriore13; ma quasi incommensurabili sono i gradi della purità e della corruttela. Fu agevole il credere che eletto fosse il più sublime e il più virtuoso tra gli spiriti ad animare quell’Essere nato da Maria, e dallo Spirito Santo14; essere stata sua elezione il suo stato abietto, e il fine della sua missione quello d’espiare i suoi peccati non già, ma quelli del Mondo. Tornando [p. 15 modifica]nel cielo, da cui discese, ricevè Gesù Cristo un premio infinito della sua obbedienza, mediante quel Regno interminabile del Messia già predetto oscuramente dai Profeti sotto le immagini materiali di pace, di conquisto, di dominio terreno. Poteva Iddio adeguare le facoltà umane di Cristo all’ampiezza delle sue operazioni celesti. Nel linguaggio dell’antichità, non era esclusivamente riservato il titolo di Dio all’Ente da cui emana ogni cosa; quindi l’impareggiabile suo Ministro, l’unico suo figlio, poteva senza presunzione domandare al Mondo, ch’era suo regno, un culto religioso, comunque secondario.

II. Que’ semi della fede che lentamente soltanto aveano pullulato nel suolo duro ed ingrato della Giudea, trapiantati furono ben maturi in climi assai migliori, in que’ de’ Gentili; nè gli stranieri che non aveano potuto in Roma e nell’Asia vedere le forme umane di Gesù Cristo furono perciò men pronti a vedere solamente un Dio nella sua persona. Il Politeista, e il Filosofo, il Greco, e il Barbaro erano del pari assuefatti ad ammettere una lunga eternità, un’infinita serie d’angeli, o di demoni, di deità, o d’eoni, ovvero di emanazioni derivanti dal trono di luce; nè trovavano incredibile o strano per nulla il caso, che il primo di questi eoni, il logos o Verbo di Dio, della stessa sostanza del padre, discendesse su la terra per liberare dal vizio e dall’errore il genere umano, e per inviarlo sul sentiero della vita e della immortalità; ma il domma dell’eternità e le idee di corruzione inerenti alla materia, infettarono le prime Chiese d’Oriente. Gran numero di proseliti pagani era ritroso a credere che uno Spirito celeste, una porzione indivisa della prima Essenza, si [p. 16 modifica]fosse personalmente incorporata ad una massa di carne impura e corrotta; il perchè pieni di zelo per la Divinità di Gesù Cristo furono dalla devozione indotti a negarne l’umanità. Fumava ancora sul monte Calvario il suo sangue15, quando i doceti, Setta asiatica assai numerosa, e dotta, inventarono il sistema fantastico propagato poscia dai Marcioniti, da’ Manichei, e da’ Gnostici d’ogni denominazione16. Non vollero ammettere la verità e autenticità degli Evangeli nella parte che riguarda la concezion di Maria, la nascita di Gesù Cristo, e i trent’anni che precedettero l’esercizio del suo ministero. Sulle sponde del Giordano era egli comparso da prima in tutta la perfezione della forma umana, ma non era, diceano quegli Eresiarchi, se non se una forma, non già una sostanza; era una semplice figura umana creata dal Dio onnipotente ad imitare la facoltà e le azioni d’un uomo, ed a fare continua illusione ai sensi de’ suoi amici e nemici. Da suoni articolati erano penetrate le orecchie dei [p. 17 modifica]Discepoli; ma l’immagine che s’imprimeva sul loro nervo ottico ricusava la prova più positiva del fatto, e godeano della presenza spirituale, non della corporale del figlio di Dio. Invano sfogarono i Giudei la rabbia sopra un fantasma impassibile, e le mistiche scene della passione e morte, della risurrezione e ascensione di Gesù Cristo, furono rappresentate sul teatro di Gerusalemme a pro del genere umano. Se si rispondeva ai Doceti, che così fatta farsa, che una soperchieria sì continuata indegne erano del Dio di verità, essi s’andavano giustificando colla dottrina delle pie frodi ammessa da sì gran numero di fratelli ortodossi. Nel sistema dei Gnostici, il Jehovah d’Israele, il Creatore di questo Mondo sublunare, fu uno spirito rivoltoso, o per lo meno ignorante. Il figlio di Dio è venuto sulla Terra per abolire il tempio e la legge di Jehovah, e per ottenere questo intento salutare si è bravamente prevalso delle speranze e delle predizioni d’un Messia temporale.

Uno de’ più acuti Maestri della scuola manichea ha messo in campo il pericolo e l’indecenza d’una supposizione, per la quale il Dio de’ Cristiani da principio sotto la forma d’un feto sarebbe uscito dell’utero d’una donna dopo nove mesi di gravidanza. Presi d’orrore i suoi avversari a questa temeraria proposizione furono indotti facilmente a negare tutte le circostanze carnali della concezione e del parto, ed a sostenere, che la Divinità penetrò nel seno di Maria, come raggio di Sole attraverso al cristallo, e che la verginità della Madre rimase intatta anche al momento in cui partorì Gesù Cristo. Ma l’ardimento di queste asserzioni promosse [p. 18 modifica]una sentenza più moderata: hanno insegnato alcuni Doceti, che Gesù Cristo non fosse già un fantasma, ma bensì vestisse un corpo impassibile ed incorruttibile. Tal è diffatto nel più ortodosso sistema quel corpo ch’egli possede dopo la Risurrezione, e tale è quello che debbe aver posseduto sempre per essere atto a penetrare senza ostacolo e senza offesa una materia intermedia. Dotato delle proprietà più essenziali della carne dovea quel corpo andar esente dagli attributi e dalle infermità di questa: un feto che da un punto invisibile passasse all’intera maturità, un bambino che giugnesse alla statura d’uom fatto senza trar nodrimento alcuno dalle sorgenti ordinarie, potrebbe continuare a vivere senza riparare col cibo giornaliero le perdite giornaliere; potea dunque Gesù partecipare alla mensa de’ suoi Discepoli senza provar fame o sete, nè poi la virginale sua purità ricevette macchia giammai dai movimenti involontari della concupiscenza. Se si chiedeva in quai modi, e di qual materia avesse potuto essere primitivamente formato un corpo d’una costituzione tanto singolare, rispondevano i Gnostici ed altri Settari, che la forma e la sostanza provenivano dall’Essenza divina; risposta che fa stupore alla nostra teologia più ragionevole, e che non era già particolare di loro soli. L’idea dello spirito puro ed assoluto è un sottile concetto della moderna filosofia. Dall’Essenza spirituale, alle anime umane, agli Esseri celesti, e a Dio medesimo attribuita dagli antichi, non resta esclusa la nozione d’uno spazio esteso, e la fantasia loro s’appigliava all’idea d’una natura, simile all’aria, al fuoco, all’etere, sostanze incomparabilmente più perfette che i grossolani materiali del nostro Universo. [p. 19 modifica]Volendo determinare il sito occupato dalla Divinità, ci è forza fare una specie di descrizione della sua figura. Secondo la nostra esperienza, e forse la vanità nostra, sotto umana forma si rappresenta a noi la potenza della ragione e della virtù. Gli Antropomorfiti, che molti ve n’era tra i monaci dell’Egitto, e i Cattolici dell’Africa, citar potrebbero quella formal dichiarazione della Scrittura che insegna aver Dio fatto l’uomo ad immagine sua17. Il venerabile Serapione, un de’ Santi de’ deserti di Nitria rinunciò, piangendo, ad una credenza che gli era cara, e a guisa d’un fanciullo gemette per una conversione, che gli toglieva il suo Dio, e lasciava il suo spirito manchevole d’ogni oggetto visibile di fede, e di devozione18. [p. 20 modifica]

III. Tai furono i vaghi e indecisi sistemi che composero l’eresia dei Doceti. Cerinto d’Asia19, che osò combattere l’ultimo degli Apostoli, immaginò un’ipotesi più sostanziale, e più complicata. Situato ai confini del Mondo giudeo e del Mondo gentile pose ogni opera a riconciliare i Gnostici e gli Ebioniti; riconoscendo nel Messia la congiunzione soprannaturale dell’uomo e della Divinità; Carpocrate, Basilide, Valentino20 e gli eretici della scuola egiziana accettarono questa dottrina mistica, alla quale molte particolarità aggiunsero di loro invenzione. Nella sentenza loro, non era Gesù di Nazaret che un semplice mortale, figlio legittimo di Giuseppe e di Ma[p. 21 modifica]ria; ma il migliore e il più saggio fra gli uomini, eletto come degno istrumento a ristabilir sulla Terra il culto del vero Iddio. All’atto del suo battesimo entro il Giordano, il Cristo, il primo degli Eoni, figlio di Dio pur esso, discese sopra Gesù in forma di colomba per empierne lo spirito, e dirigerne le azioni durante il periodo del suo ministero. Quando il Messia fu consegnato ai Giudei, il Cristo, Essere immortale e impassibile, abbandonò la sua dimora terrena, ritornò nel Pleroma ossia Mondo degli spiriti, e lasciò Gesù solo a soffrire, a lamentarsi e a morire. Ma si può contestare la giustizia e la generosità di questa diserzione; la sorte d’un innocente martire da prima esaltato, poscia abbandonato dallo spirito divino che l’accompagnava, dovè svegliar ne’ profani la pietà e lo sdegno. Dai Settari, che abbracciarono e modificarono il doppio sistema di Cerinto, furono in vari modi acchetate le mormorazioni, eccitate da questi pensamenti. Si disse, che quando Gesù era stato attaccato alla Croce avea sentita in sè una miracolosa apatia di spirito, e di corpo mercè della quale non provava i dolori che in apparenza soffriva. Altri asserirono che dal regno temporale di mille anni, riservato al Messia nel suo regno della nuova Gerusalemme, sarebbe ampiamente compensato delle sue angosce reali, ma passaggiere. Finalmente lasciarono trapelare questo pensiero21, [p. 22 modifica]che, se sofferse, avea meritato di soffrire; che l’umana natura non è mai al tutto perfetta; e che giovar poterono la Croce e la Passione ad espiare le colpe veniali del figlio di Giuseppe prima della sua misteriosa unione col figlio di Dio.

IV. Tutti coloro che tengono la nobile e seducente idea della spiritualità dell’anima deggiono colla guida dell’esperienza confessare l’incomprensibile unione dello spirito e del corpo. Agevol cosa è il concepire che il corpo può stare unito ad uno spirito che ha facoltà intellettuali assai maggiori, od anche possiede queste facoltà nel più alto grado possibile; e l’incarnazion d’un Eone, o d’un Arcangelo, il più perfetto degli spiriti creati, non è nè contraddittoria nè assurda. Nei tempi della libertà religiosa, alla quale pose limiti il Concilio di Nicea, ogni individuo misurava la Divinità di Cristo col regolo indefinito della Scrittura, della ragione, o della tradizione; ma quando s’ebbe fondata la sua Divinità sulle ruine dell’Arianismo, si vide la fede dei Cattolici in riva d’un precipizio, da cui non potea dilungarsi, ove era gran rischio il reggersi, e presso il quale un passo falso dovea sbigottire. Il sublime carattere della lor teologia aggravava ancora i diversi inconvenienti del loro Simbolo22. Esitavano a [p. 23 modifica]pronunciare, che Dio stesso, la seconda persona d’una Trinità, uguale e consustanziale, si fosse manifestato nella carne23: che un Ente, che riempie l’Universo fosse stato imprigionato nel grembo di Maria; che avessero i giorni, i mesi e gli anni dell’esistenza umana segnato l’epoche della sua eterna durata; che fosse stato l’Onnipossente battuto colle verghe e crocifisso; che la sua Essenza impassibile avesse provato il dolore e le angosce; che quest’Ente, che [p. 24 modifica]tutto sa, non fosse scevero da ignoranza; e che il principio della vita e dell’immortalità fosse mancato sul monte Calvario. Sì fatte conseguenze moleste non isbigottivano punto l’inalterabile semplicità di S. Apollinare24 vescovo di Laodicea, e uno dei luminari della Chiesa. Figlio d’un dotto grammatico, era versato in tutte le scienze della Grecia; egli umilmente dedicò al servigio della religione l’eloquenza [p. 25 modifica]e la filosofia commessa alle sue opere. Degno amico di S. Atanasio, e degno avversario di Giuliano, lottò coraggiosamente contro gli Ariani e i Politeisti; e comunque affettasse il rigore delle dimostrazioni geometriche, espose ne’ suoi commentari il senso letterale e l’allegorico delle Scritture. Le sue cure funeste ridussero ad una forma tecnica un Mistero ch’avea fluttuato lungo tempo nell’onda dell’opinion popolare, e pubblicò per la prima volta queste memorande parole. „Una sola Natura incarnata in Gesù Cristo„; parole che risuonano ancora come un grido di guerra nelle Chiese d’Asia d’Egitto e d’Etiopia. Insegnò che la Divinità s’era unita o mescolata col corpo d’un uomo, e che il Logos o l’eterna Sapienza avea in Gesù tenuto luogo e adempiuto le voci dell’animo umano; ma quasi fosse atterrito esso stesso dalla sua temerità fu inteso mormorar qualche parola di scusa e di spiegazione. Ammise la distinzione antica, che posta aveano i filosofi Greci tra l’anima ragionevole, e l’anima sensitiva dell’uomo; così riservava il Logos per le operazioni intellettuali, ed impiegava il principio umano, subordinato a quello, nelle funzioni meno rilevanti della vita animale. Coi più moderati dei Doceti riveriva Maria, come la madre spirituale, anzi che la madre carnale di Gesù Cristo, il Corpo del quale era venuto dal Cielo impassibile ed incorruttibile, ovveramente era stato assorto e trasformato nell’Essenza di Dio. Il sistema d’Apollinare fu vivamente combattuto dai Teologi d’Asia e di Siria, la cui scuola si gloria dei nomi di S. Basilio, di S. Gregorio e di S. Grisostomo, e arrossisce di quelli di Diodoro, di Teodoro e di Nestorio, ma non si [p. 26 modifica]punse la persona, la riputazione, o la dignità del Vescovo di Laodicea; forse i suoi rivali, di cui non lece sospettare che abbiano avuto il difetto della tolleranza, furono ammirati della novità de’ suoi argomenti, e temevano la decisione che finalmente sarebbe per pronunciare la Chiesa cattolica. La quale si determinò poscia a favor loro; l’eresia d’Apollinare fu condannata, e le leggi imperiali proscrissero le varie congreghe de’ suoi discepoli; ma continuarono i monasteri dell’Egitto a seguirne segretamente le massime, e i suoi nemici provarono l’odio di Teofilo e di S. Cirillo, che si succedettero l’uno all’altro nella sede patriarcale d’Alessandria.

V. La dottrina materiale degli Ebioniti, e i dommi fantastici dei Doceti erano proscritti e dimenticati; quando lo zelo, mostrato dai Cattolici, contro gli errori d’Apollinare, li forzò ad accostarsi in apparenza alla duplice natura di Cerinto. Ma invece di una alleanza momentanea, essi stabilirono, e noi crediamo ancora, l’unione sostanziale indissolubile ed immutabile d’un Dio perfetto con un uom perfetto, della persona seconda della Trinità con un’anima ragionevole ed un corpo umano. L’unità delle due Nature era sul principio del quinto secolo la dottrina dominante della Chiesa. Dalle due parti si confessava non potere le nostre menti, nelle lingue nostre, rappresentare, ed esprimere il modo di tale coesistenza; covava tuttavia una secreta animosità, ma implacabile, contro coloro che più temevano di confondere, e contro gli altri che più temevano di separare, la Divinità e l’Umanità di Gesù Cristo. Una religiosa frenesia da ambe le parti col sentimento dell’avversione ributtava [p. 27 modifica]l’errore a cui pendea la parte contraria, creduto il più funesto alla verità, non che alla salute. Uguale era l’inquietudine nelle due parti, uguale l’ardore a sostenere e a propugnare l’unione e la distinzione delle due Nature, e ad inventare formole e simboli di dottrina meno suscettivi di dubitazione o d’equivoco. Inceppati dalla povertà delle idee e del linguaggio, metteano a contribuzione arte e natura per trarne tutte le possibili comparazioni, e ciascuna di queste, usata a rappresentar un Mistero incomparabile, diveniva per la mente loro fonte di nuovo errore. Sotto il microscopio polemico, un atomo prende la statura d’un mostro, e le due Sette erano molto abili ad esagerare le assurde o empie conseguenze che dai principii degli avversari dedur si potevano. Per isfuggire gli uni agli altri, si gittavano in vie oscure e rimote sin a tanto che scoprirono con orrore i terribili fantasmi di Cerinto e d’Apollinare, che custodivano le opposte uscite del labirinto teologico. Non così tosto travedeano la luce ancor dubbia d’una spiegazione che li conduceva all’eresia, essi trepidavano e volgevano subito addietro il passo, precipitando nuovamente nelle tenebre d’un’impenetrabile ortodossia. Per discolparsi dal delitto o dall’accusa d’un orrore riprovevole, veniano spiegando le loro massime fondamentali, ne niegavano le conseguenze, si scusavano delle loro imprudenti proposizioni, e con grido unanime pronunciavano le parole di concordia e di fede. Ma sotto la cenere della controversia stava celata una scintilla quasi impercettibile, dalla quale i pregiudizi e la passione suscitarono in breve una fiamma divoratrice, e le di[p. 28 modifica]spute delle Sette d’Oriente, sulle espressioni25, di cui si valevano ad esporre i lor domini, scossero le fondamenta della Chiesa e dello Stato.

[A. D. 412] Sta famoso nella Storia della controversia il nome di Cirillo Alessandrino, e dal suo titolo di Santo si apprende, che col trionfo finirono le sue opinioni e la sua Setta. Educato nella casa dell’Arcivescovo Teofilo, suo zio, avea contratta in questo alunnato ortodosso l’abitudine dello zelo, e l’amore della dominazione, e passati utilmente cinque anni di gioventù nei monasteri della Nitria, vicini alla sua residenza. Sotto la tutela dell’abate Serapione, s’era dato agli studi ecclesiastici con tanto ardore, che lesse in una notte i quattro Evangeli, le Epistole cattoliche, e l’Epistola ai Romani. Detestava Origene, ma svolgeva continuamente gli scritti di S. Clemente, di S. Dionigi, di S. Atanasio, di S. Basilio. Nella teorica, e nella pratica della disputa, la sua fede si rassodava, e si assottigliava l’ingegno; e già cominciava a tessere intorno la sua cella la fina e fragile tela della teologia scolastica, apparecchiando quelle opere d’allegoria e di metafisica, gli avanzi delle quali raccolti in sette verbosi e prolissi tomi in fo[p. 29 modifica]glio, posano in pace al fianco dei lor rivali26. S. Cirillo predicava e digiunava nel deserto; ma, giusta il rimprovero fattogli da un suo amico27, i suoi pensieri stavano sempre fissi sul Mondo, e l’ambizioso eremita non fu che troppo sollecito ad obbedire alla voce di Teofilo, che lo chiamava alla vita fragorosa delle città, e dei Sinodi. Coll’assenso dello zio attese alla predicazione, e presto ottenne il favor popolare. La sua bella figura adornava il pulpito, la sua voce armoniosa rimbombava nella cattedrale. Stavano i suoi amici in un posto, da cui diriger potevano, e assecondare gli applausi della Congregazione28, e vari scrivani raccoglievano rapidamente i suoi discorsi, i quali per l’effetto, non per la composizione, ponno paragonarsi a quelli degli Oratori d’Atene. Colla morte di Teofilo crebbero, e s’avverarono le speranze del nipote. Era diviso d’opinione il Clero di Alessandria: i soldati e il generale favoreggiavano l’Ar[p. 30 modifica]cidiacono; ma dal clamore e dalla violenza della moltitudine fu nominato quegli che ella prediligeva, e S. Cirillo salì sulla sede occupata già trentanov’anni prima da S. Atanagio29.

[A. D. 413 414 415 ec.] Non era indegna della sua ambizione la ricompensa. Lungi dalla Corte, Capo dell’immensa Metropoli, il patriarca d’Alessandria, che così era nomato, aveva a poco a poco usurpata l’autorità ed il grado d’un magistrato civile. Era egli il dispensatore delle pubbliche e private elemosine della città. La sua voce suscitava, o calmava le passioni del popolo. Gran numero di fanatici Parabolani30 addimesticati nelle loro giornaliere azioni agli spettacoli di morte, ciecamente obbedivano ai suoi comandi, e la potenza temporale di questi Pontefici cristiani mettea paura ed astio ai prefetti d’Egitto. Tutto ardore contro gli eretici, cominciò Cirillo il suo pontificato, oppri[p. 31 modifica]mendo i Novaziani, che pur erano i più innocenti e pacifici fra tutti i Settari. Parvegli un atto giusto e meritorio l’interdirne il culto religioso, e non si avvisò d’incorrere la taccia di sacrilego, confiscandone i vasi sacri. Le leggi de’ Cesari e dei Tolomei, ed una prescrizione di sette secoli dalla fondazione d’Alessandria in poi, assicuravano la libertà del culto, e i privilegi ancora dei Giudei, già moltiplicati fino al numero di quarantamila. Senza veruna sentenza legale, senz’alcun ordine dell’imperatore, il patriarca, fattosi condottiero d’una plebe sediziosa, venne, sul far del giorno, ad investire le sinagoghe. Inermi gli Ebrei, ed assaliti all’improvviso, non poterono fare resistenza: furono rasi i luoghi dove si congregavano ad orare, e il vescovo guerriero, dopo aver conceduto alle sue truppe il saccheggio degli averi, cacciò dalla città il resto di quella miscredente nazione. Forse egli allegò l’orgoglio che aveano della loro prosperità, e l’odio mortale che portavano ai Cristiani, dei quali aveano poco stante versato il sangue in una sommossa eccitata a caso o a bella posta. Simili delitti meritavano la correzione del Magistrato, ma in quest’aggressione furono confusi gl’innocenti coi rei, e perdette Alessandria una colonia ricca ed industriosa. Lo zelo di S. Cirillo lo condannava alle pene della legge Giulia; ma in un governo debole, in un secolo superstizioso, era egli sicuro dell’impunità, e poteva anche aspettarsi elogi. Si dolse Oreste, prefetto dell’Egitto; ma i ministri di Teodosio posero troppo presto in dimenticanza le sue giuste lagnanze, e non se ne risovvenne che troppo un sacerdote, che simulando con affettazione di perdonargli, non ces[p. 32 modifica]sava d’odiarlo. Un giorno, mentre passava quegli per la strada, un drappello di cinquecento monaci della Nitria dieder l’assalto al suo carro; alla vista di quelle bestie feroci del deserto, le sue guardie si diedero alla fuga; ebbe egli un bel protestare d’essere Cristiano e Cattolico; gli fu fatta risposta con una grandine di sassi, che gli copersero di sangue la faccia. Corsero in aiuto alcuni buoni cittadini; quegli sacrificò subito alla giustizia e alla propria vendetta il monaco che l’avea ferito, e Ammonio (così nomavasi il monaco) spirò sotto le verghe dei littori. Fece S. Cirillo levare il corpo d’Ammonio e trasportarlo solennemente in processione alla cattedrale: fu cangiato il suo nome in quello di Taumasio ossia Mirabile. Se ne ornò la tomba coi simboli del martirio, e il patriarca ascese il pergamo per celebrare la magnanimità d’un sicario e d’un ribelle. Onori di tal fatta dovettero di leggieri infiammare i Cristiani a combattere ed a morire sotto le bandiere del Santo; e S. Cirillo31 volle ben tosto, o ac[p. 33 modifica]cettò il sagrifizio d’una vergine che professava la religione dei Greci, e avea legami d’amicizia con Oreste. Ipazia, figlia del matematico Teone32 era [p. 34 modifica]dotta nelle scienze coltivate dal padre; i suoi bei commentari hanno rischiarata la geometria d’Apollonio e di Diofante, ed ella pubblicamente in Atene ed in Alessandria insegnava la filosofia di Platone e d’Aristotele. Congiungendo a tutta la freschezza dell’avvenenza, la maturità della sapienza, era ritrosa alle preghiere degli amanti, e si contentava d’istruire i suoi discepoli. Era corteggiata continuamente dalle persone per grado e per merito le più illustri, e S. Cirillo scorgeva con occhio di gelosia il pomposo codazzo di schiavi e di cavalli che attorniava la porta dell’Accademia di quella giovine. Si divulgò tra i Cristiani la voce, che il solo ostacolo alla riconciliazione del Prefetto e dell’Arcivescovo fosse la figlia di Teone, e quest’ostacolo fu ben presto levato. In uno dei santi giorni di quaresima, Ipazia, tornando a casa, fu svelta a forza dal suo carro, spogliata degli abiti, trascinata alla chiesa, e trucidata da Pietro il Lettore, e da una turba di spietati fanatici; fu tagliuzzato il suo corpo colle scaglie di ostrica33, e abbandonate alle fiamme le sue membra ancor palpitanti. Con denari sparsi a tempo fu impedita l’informazione giuridica incominciata su questo delitto; ma l’assassinio d’Ipazia ha posto [p. 35 modifica]una macchia indelebile al carattere ed alla religione di S. Cirillo Alessandrino3435.

[A. D. 428] Più facilmente la superstizione perdonerà forse l’assassinio d’una giovanetta, che l’esilio d’un Santo. Avea S. Cirillo accompagnato il suo zio all’odioso Sinodo della Quercia. Quando fu rimessa in onore, e consacrata la memoria di S. Grisostomo, il nepote di Teofilo, che presedeva una fazion moribonda, s’ostinò ad asserire che giusta era stata la condanna di quel prelato; e solamente dopo lunga dilazione, e una pertinace resistenza, si sottomise in fine al decreto della Chiesa cattolica36. Non per passione, ma per interesse egli si mostrava il nemico dei Pontefici di Bi[p. 36 modifica]zanzio37. Invidiava la fortuna che avevano di brillare fra il grande splendore della Corte imperiale; ne temeva l’ambizione potente ad opprimere i metropolitani dell’Europa e dell’Asia, a soperchiare le province d’Alessandria e d’Antiochia, ed a portare le loro diocesi ai confini dell’Impero. La costante moderazion d’Attico, il quale faceva uso assai mite della dignità usurpata a San Grisostomo, sospese l’animosità dei Patriarchi dell’Oriente. Ma San Cirillo fu desto alla per fine dalla esaltazion d’un rivale più degno della sua stima e dell’odio suo. Dopo il breve e procelloso pontificato di Sisinnio, l’elezione dell’Imperatore il qual in tal circostanza consultò l’opinion pubblica, e gli nominò per successore uno straniero, attutò le fazioni del clero e del popolo, e concedette il principe l’arcivescovado della sua capitale a Nestorio38, nativo di Germanicia e monaco d’Antiochia, ragguardevole per l’austerità della vita, e l’eloquenza de’ suoi sermoni; ma la prima volta che predicò al cospetto del pio Teodosio lasciò trapelare l’acrimonia e l’impazienza del suo zelo. „O Cesare, esclamò, dammi la Terra monda di Eretici, e io ti darò in cambio il regno del Cielo. Estermina con me gli Eretici, ed io con te esterminerò i persiani„. Nel quinto giorno del suo pontificato, quasi [p. 37 modifica]fosse stata sottoscritta anche dall’Imperatore questa convenzione, il Patriarca scoperse, sorprese ed assalì una segreta combricola d’Ariani, i quali vollero piuttosto morire che cedere. Le fiamme, ch’essi accesero per disperazione, passarono alle case vicine, e il trionfo di Nestorio fu disonorato dal soprannome d’Incendiario. Impose egli sulle due rive dell’Elesponto un rigoroso formolario di fede e di disciplina, e punì come una colpa contro la Chiesa e lo Stato uno sbaglio cronologico sulla festa di Pasqua. Purificò la Lidia e la Caria, Sardi e Mileto, col sangue degli ostinati Quarto-decimani, e l’editto dell’Imperatore, o più veramente del Patriarca, indica sotto ventitrè denominazioni diverse ventitrè gradi d’eresia tutti degni di punizione39. La spada della persecuzione maneggiata con tanta violenza da Nestorio si ritorse ben presto a suo danno; ma se si presta fede ad un Santo, allora vivente, fu l’ambizione il vero fomite delle guerre episcopali, e la religione solamente il pretesto40.

[A. D. 429-431] Imparato avea Nestorio nella scuola di Siria a [p. 38 modifica]detestare la mescolanza delle due Nature, e sapea separare bravamente l’umanità del Cristo, suo padrone, dalla divinità di Gesù, suo Signore41. Rispettava la Santa Vergine come la Madre del Cristo, ma erano ferite le sue orecchie dal recente e inconsiderato titolo di Madre di Dio42, ammesso insensibilmente dopo l’origine della controversia di Ario. Un amico del patriarca, e poi il patriarca esso stesso, dall’alto della cattedra di Costantinopoli in più riprese predicarono contro l’uso e l’abuso d’una parola43 [p. 39 modifica]ignota44 agli Apostoli, non approvata<ref|>Se, come abbiamo veduto in altra nota, S. Pietro riconobbe la divinità di Gesù Cristo affermandolo figlio di Dio, e se l’Evangelo dice che Gesù Cristo è nato da Maria non per opera d’uomo, ma dello Spirito Santo, ne viene la chiara conseguenza, che S. Pietro, e gli altri Apostoli con lui, abbiano riconosciuto Maria per Madre di Dio, essendo seguita l’incarnazione della divina Natura, sebben l’identiche parole Madre di Dio, non sian nell’Evangelo. (Nota di N. N.)</ref> dalla Chiesa, atta a spaventare i fedeli timorati, a traviare i semplici, a divertire i profani, a giustificare, con una somiglianza apparente, la genealogia degli Dei dell’Olimpo45. Nelle sue ore di calma confessava [p. 40 modifica]Nestorio, che tollerarla si poteva e scusarla per l’union delle due Nature, e la communicazione delle proprietà loro46. Ma poi adontato dalla contraddizione, si condusse a rigettare il culto d’un Dio neonato; d’una Divinità infante, a ricavare dalle associazioni coniugali e civili dell’umana vita le similitudini imperfette, di cui si valeva per dichiarare le sue opinioni, ed a rappresentare l’Umanità del Cristo, come l’abito, lo strumento, ed il tempio della sua Divinità. Al primo suono di queste bestemmie si scossero le colonne del santuario. Quei pochi che avean veduto a terra le loro speranze per l’esaltazion di Nestorio, s’abbandonarono all’astio ispirato nel lor cuore dalla religione, o dall’invidia; il Clero di Bizanzio vedea di mal occhio uno straniero che lo dominava; tutto ciò che porta l’impronta della superstizione, o dell’assurdo ha diritto alla protezione dei Monaci, e il popolo era infervorato per la gloria della Santa Vergine, sua protettrice47. Da sediziosi schiamazzi furono interrotte le prediche [p. 41 modifica]dell'Arcivescovo, e gli offici divini; in congreghe particolari fu abiurata l’autorità e la dottrina di lui; in breve propagò il soffio delle fazioni da tutti i lati sino alla estremità dell’impero il contagio della controversia, e dall’arena fragorosa su cui s’agitavano i combattenti; rintronò la lor voce entro le celle della Palestina, e dell’Egitto. Era debito di San Cirillo l’illuminare lo zelo e l’ignoranza dei monaci innumerevoli alla sua episcopale autorità sottoposti: dalla scuola d’Alessandria gli era stato insegnata l’incarnazione d’una Natura, ed egli l’aveva ammessa; ma armandosi contro un secondo Ario, che più terribile e più reo del primo occupava il secondo trono della Gerarchia ecclesiastica, il successore di San Atanasio, non prese consiglio che dall’orgoglio, e dall’ambizione. Dopo un carteggio non lungo, in cui palliarono i Prelati rivali il loro rancore sotto il perfido linguaggio del rispetto e della carità, il Patriarca d’Alessandria denunziò al principe ed al popolo, all’Oriente e all’Occidente, i colpevoli errori del Prelato di Bizanzio. I vescovi d’Oriente, e particolarmente quello d’Antiochia, che favoreggiava la causa di Nestorio, consigliarono alle due Sette moderazione e silenzio; ma il Vaticano ricevè a braccia aperte i deputati dell’Egitto. Si compiacque Celestino d’esserne eletto giudice; e l’infedele versione d’un monaco fermò l’opinione del Papa, il quale, al pari del suo clero Latino, non conosceva nè la lingua, nè le arti, nè la teologia dei Greci. Presiedendo un Concilio di Vescovi italiani, esaminò Celestino gli argomenti di San Cirillo, ne approvò il Simbolo, e dannò la persona e le opinioni di Nestorio. Privò quest’Eretico della dignità episcopale, assegnogli dieci giorni [p. 42 modifica]per ritrattarsi e dimostrare pentimento, e di questo decreto48 illegale e precipitato, commise l’esecuzione al suo avversario. Ma nel mentre che il patriarca d’Alessandria scagliava i fulmini celesti, lasciava travedere gli errori e le passioni d’un mortale; ed oggi ancora i suoi dodici anatemi49 mettono a tortura la scrupolosa sommessione degli Ortodossi, i quali vogliono serbar venerazione alla memoria d’un Santo, senza mancare alla fedeltà dovuta ai decreti del Concilio di Calcedonia. Quelle ardite proposizioni mantengono una tinta indelebile dell’eresia degli Apolinaristi, mentre le dichiarazioni serie e per avventura sincere di Nestorio hanno satisfatto a quei teologi del tempo nostro, che sono per sapere e per imparzialità i più segnalati50. [p. 43 modifica] [A. D. 431] Nè all’Imperatore, nè al primate dell’Oriente talentava di sottomettersi al decreto d’un Prete dell’Italia, e da ogni parte si chiedeva un Concilio della Chiesa cattolica, o piuttosto della Chiesa greca, come l’unico espediente ad acchetare od a finire questa disputa ecclesiastica51. Efeso, a cui agevolmente si giugnea per mare e per terra, fu scelta per luogo dell’Assemblea, la quale fu aggiornata per le feste della Pentecoste. Furono spedite a tutti i Metropolitani lettere di convocazione, e si collocò intorno alla sala dell’adunanza una guardia, che dovea proteggere e tener sequestrati i Padri del Sinodo, fin a tanto che determinati avessero i Misteri del Cielo, e la credenza degli uomini. Vi comparve Nestorio non come delinquente, ma come giudice; il quale affidavasi sulla riputazione più che sul numero de’ suoi Prelati; i suoi gagliardi schiavi dei bagni di Zeusippo stavano armati e presti a difenderlo, o ad assalirne i nemici. Ma dal lato di S. Cirillo, suo avversario, stava la prevalenza dell’armi temporali e spirituali. [p. 44 modifica]Disubbediente questi alla lettera, o almeno al senso dell’ordine imperiale, s’aveva tirato dietro il seguito di cinquanta Vescovi egiziani, i quali da un cenno del lor Patriarca attendeano il soffio dello Spirito Santo. Avea contratta stretta alleanza con Mennone vescovo d’Efeso, primate delle chiese d’Asia da lui con assoluto potere governate, il quale disponeva a suo senno dei voti di trenta o quaranta vescovi: una truppa di paesani, schiavi della Chiesa, era stata distribuita per la città a sostenere colle grida e colle violenze gli argomenti metafisici del lor Signore; ed il popolo difendeva zelantemente l’onor della Vergine Maria, il corpo della quale riposava nelle mura d’Efeso52. Andava carico delle ricchezze dell’Egitto il navile che condotto avea S. Cirillo; e sbarcò una gran ciurma di marinai, di schiavi e di fanatici, arruolati sotto le bandiere di S. Marco e della Madre di Dio, parati e presti alla più cieca obbe[p. 45 modifica]dienza. Questa turba guerriera sbigottì i Padri, ed anche le guardie del Concilio. Gli avversari di S. Cirillo e di Maria furono insultati nelle strade, o minacciati in casa. Ogni giorno l’eloquenza e la liberalità del Prelato egiziano crescevangli il numero degli aderenti; e potè egli ben presto vedersi arbitro di duecento vescovi, pronti a seguirlo, e a sostenerlo53. Ma l’autore dei dodici anatemi ben presagiva e temeva l’opposizion di Giovanni d’Antiochia, che con un corteggio poco numeroso, ma ragguardevole, di Metropolitani e di Teologi, arrivava a picciole giornate dalla capitale dell’Oriente. S. Cirillo, che s’adirava d’una dilazione da lui creduta volontaria e colpevole54, aggiornò l’apertura del Concilio al sedicesimo giorno dopo la Pentecoste. Sperando Nestorio nell’arrivo prossimo de’ suoi amici [p. 46 modifica]dall’Oriente, persistette, come S. Grisostomo suo predecessore, a declinare dalla giurisdizione de’ suoi nemici, e a ricusare obbedienza alle loro intimazioni: questi accelerarono la sentenza, e presedette al tribunale il suo accusatore. Sessant’otto vescovi, ventidue de’ quali avean grado di metropolitani, lo difesero con una protesta decente e moderata; ma furono esclusi dalle deliberazioni. Candidiano domandò da parte dell’Imperatore una dilazione di quattro giorni, e questo magistrato profano fu insultato ed espulso dall’assemblea de’ Santi.

Sì grande affare venne intieramente compiuto nello spazio d’un giorno estivo: scrissero i Vescovi separatamente la loro opinione; ma dall’uniformità dello stile, s’argomenta la dettatura, o la mano di un Capo accusato d’avere falsificati gli Atti e le sottoscrizioni55. Dichiararono con voto unanime che le epistole di San Cirillo conteneano i dommi del Concilio di Nicea, e la dottrina de’ Padri; la lettura dell’estratto infedele, che s’era fatto delle Lettere e delle Omelie di Nestorio, fu interrotta da imprecazioni e da anatemi. Fu questi deposto dal grado di Vescovo, e privato delle sue dignità ecclesiastiche. Il decreto, in cui era malignamente qualificato per un nuovo Giuda, fu pubblicato ed affisso in tutti gli [p. 47 modifica]angoli della città d’Efeso. Quando gli stanchi Prelati uscirono della Chiesa della Madre di Dio, furono salutati come suoi difensori, e per tutta la notte ne fu tumultuariamente con illuminazioni e con canti celebrata la vittoria.

Ma nel quinto giorno, fu sconcertato questo trionfo dall’arrivo e dalla indignazione dei Vescovi d’Oriente. In una stanza dell’osteria, ov’era smontato Giovanni d’Antiochia, e prima d’avere, per così dire, scossa da’ calzari la polvere, diede egli udienza a Candidiano, ministro dell’Imperatore, il quale gli raccontò, come invano s’era adoperato a prevenire od impedire le violenze precipitose di San Cirillo. Con ugual precipitazione e violenza un Sinodo di Oriente56 spogliò San Cirillo e Mennone della dignità di Vescovi; dichiarò che i dodici anatemi racchiudevano il più sottile veleno dell’eresia degli Apollinaristi, e dipinse il Primate d’Alessandria come un mostro nato e nudrito a distruzion della Chiesa57. Remota ed inaccessibile era la sua sede, ma fu deciso di compartire immediatamente al popolo di [p. 48 modifica]Efeso il beneficio d’essere governato da un pastore fedele. Per ordine di Mennone furono serrate le Chiese, e posta grossa guernigione nella cattedrale. Le soldatesche andarono all’assalto, guidate da Candidiano; le guardie prime furono sbaragliate e passate a fil di spada; ma i posti erano insuperabili, e gli assedianti si ritirarono; allora inseguiti dai soldati che stavano nella cattedrale, perdettero i cavalli, e molti furono gravemente feriti a colpi di mazze, e a sassate. Schiamazzi forsennati, atti furibondi, la sedizione e il sangue macchiarono la città della Santa Vergine. I Sinodi rivali si scagliarono a vicenda anatemi e scomuniche; e le relazioni contraddittorie delle fazioni di Siria e d’Egitto imbrogliarono il Consiglio di Teodosio. Il quale, volendo calmare questa lite teologica, per tre mesi pose tutto in opera, eccetto il rimedio più efficace, quello cioè dell’indifferenza, e del disprezzo. S’avvisò d’allontanare o intimorire i Capi con una sentenza che avrebbe del pari soddisfatto o condannato gli uni e gli altri; diede la plenipotenza a’ suoi rappresentanti in Efeso, e li munì di forze militari, bastevoli a sostenerli; chiamò otto deputati delle due parti per conferire legalmente, e con libertà, nei contorni della capitale, lungi dalla popolar frenesia, ch’è sempre contagiosa. Ma ricusavano gli Orientali d’obbedire a quest’ordine, e i Cattolici, insuperbiti pel numero loro, e pel favor dei Latini, ributtarono ogni sorta d’unione o di tolleranza. Posta al cimento la pazienza del mite Teodosio, s’indusse egli a pronunciare irritato la dissoluzione di quel Sinodo tumultuoso, che nella distanza di tredici secoli ora a noi si presenta col nome rispettabile di terzo Concilio ecume[p. 49 modifica]nico58. „Iddio m’è testimonio, disse quel religioso principe, che di questo disordine io non ho colpa in veruna maniera. La Provvidenza scernerà e punirà i colpevoli; tornate alle vostre province; possano le vostre virtù private riparare i mali e gli scandali della vostra adunanza„. Se ne tornarono difatto i Vescovi alle loro diocesi; ma le passioni che aveano sconvolto il Concilio d’Efeso si disseminarono pur tutto l’Oriente. Giovanni d’Antiochia, e San Cirillo d’Alessandria, dopo tre campagne, in cui si batterono con ostinazione, e con pari successo, vollero in fine spiegarsi e far pace; ma si debbe attribuire la loro riconciliazione apparente alla prudenza piuttosto che alla ragione, alla stanchezza di entrambi piuttosto che alla carità cristiana.

[A. D. 431-435] Il Pontefice di Bizanzio avea già informato l’Imperatore sinistramente del carattere e del contegno del Prelato egiziano, suo rivale; coll’ordine di ritornarsene ad Efeso, ricevè S. Cirillo una lettera piena zeppa di minacce e d’invettive59, nella quale [p. 50 modifica]era trattato da prete imbroglione, insolente, invidioso, le cui opinioni agitavano la Chiesa e lo Stato, e che con un procedere artificioso verso la sorella e la moglie dell’Imperatore, alle quali s’era diretto separatamente, palesava la temeraria intenzione di suscitare, o di trovare nella famiglia imperiale i semi della disunione e della discordia. Adempiendo Cirillo a quel comando imperioso, s’era trasferito ad Efeso; i Magistrati partigiani di Nestorio e dei Vescovi di Oriente si opposero ai suoi anatemi, e minacciarono e lo chiusero in carcere. Poscia radunarono le soldatesche della Lidia e della Ionia per tener a freno il seguito fanatico e turbolento di quel patriarca. Senz’attender la risposta dell’Imperatore alle sue doglianze, fuggì Cirillo dalle mani delle guardie, s’imbarcò in gran fretta, abbandonò il Sinodo che non era ancora chiuso, e riparò in Alessandria, asilo tutelare della sua independenza e sicurezza. Ai suoi scaltri emissari, sparsi nella Corte e nella capitale, venne fatto di calmare lo sdegno dell’Imperatore, e di rimettere in grazia Cirillo. Il debole figlio d’Arcadio era alternativamente dominato dalla moglie, dalla sorella, dagli eunuchi, dalle donne del palazzo; superstizione e avarizia erano le loro passioni favorite; ed ai Capi ortodossi stava a cuore d’intimorire l’una, e di contentare l’altra. Costantinopoli [p. 51 modifica]ed i sobborghi erano santificati da numerosi monasteri, e i Santi Abati Dalmazio ed Eutiche60 con intrepido zelo s’erano consacrati alla causa di Cirillo, al culto della Vergine, ed all’unità di Cristo. Dopo aver abbracciata la vita monastica, non erano più comparsi nel Mondo, nè sul suolo profano della capitale. Ma nel terribile momento del pericolo della Chiesa, un dover più sublime e più indispensabile fece loro dimenticare il voto: escirono del convento, corsero al palazzo, precedendo una lunga fila di Monaci e d’eremiti, che tenevano in mano fiaccole ardenti, e cantavano le litanie della Madre di Dio. Da questo straordinario spettacolo fu edificato e riscaldato il popolo di modo che il monarca atterrito prestò orecchio alle preci e alle suppliche di quei santi personaggi, i quali ad alta voce gridarono; non esservi speranza di salute per coloro, che non aderissero alla persona, ed al Simbolo del successore ortodosso di S. Atanasio. Nel tempo medesimo si profuse l’oro per tutte le vie che conduceano al trono. Sotto i nomi decorosi di eulogie e benedizioni, furon regalati i cortigiani de’ due sessi, secondo la misura del potere o della capacità di ciascheduno. Le nuove domande che faceano ogni giorno avrebbero in poco tempo spogliati i santuari delle Chiese di Costantinopoli e d’Alessandria; nè potè l’autorità [p. 52 modifica]del Patriarca imporre silenzio alle mormorazioni del suo Clero, sdegnato pel debito che s’era già contratto di sessantamila lire sterline per supplire alle spese di sì scandalosa subornazione61. Pulcheria, che alleviava al fratello la somma del governo, era la più salda colonna della Fede ortodossa; ed i fulmini del Sinodo venivano secondati sì fattamente dai secreti maneggi, che S. Cirillo fu sicuro di riuscire a bene, se potea rimovere l’Eunuco favorito, e sostituirgli un altro. Non potè per altro vantarsi d’un trionfo glorioso e decisivo. Palesava l’Imperatore in quell’occasione una fermezza straordinaria; avea promesso di protegger l’innocenza dei Vescovi d’Oriente e mantenea la parola; fu ridotto Cirillo a temperare i suoi anatemi, e prima di godere la compiacenza di soddisfar la vendetta contro l’infelice Nestorio, fu giuocoforza che confessasse in una maniera equivoca, e a suo malgrado la doppia Natura di Gesù Cristo62. [p. 53 modifica] [A. D. 435] L’imprudente e ostinato Nestorio, prima che finisse il Sinodo fu oppresso da S. Cirillo, tradito dalla Corte, e malamente difeso da suoi amici dell’Oriente. Fosse paura o rabbia, s’indusse, fin ch’era tempo, a farsi merito d’un’abdicazione che parer potea volontaria63: prontamente si assecondarono i suoi desiderii, o per lo meno la sua domanda; fu guidato in una maniera decorosa da Efeso al monastero di Antiochia, da cui l’avea tratto l’Imperatore, e poco dopo furono riconosciuti i suoi successori, Massimiano e Proculo, per legittimi Vescovi di Costantinopoli. Ma non potè il deposto Patriarca ritrovare nella sua placida cella l’innocenza e la quiete d’un monaco semplice. Pensava al passato, si dolea del presente, e dovea poi temer l’avvenire. A poco a poco i Vescovi d’Oriente abbandonavano la causa d’un uomo dalla pubblica opinion condannato, ed ogni giorno scemava il numero degli scismatici, che come confessor della Fede avevano riverito Nestorio. Stava egli da quattro anni in Antiochia, quando l’Imperatore segnò un editto64, che lo paragonava [p. 54 modifica]a Simone il Mago, che proscriveva le sue opinioni ed i suoi settari, condannava alle fiamme i suoi scritti; quanto a lui fu da prima confinato a Petra in Arabia, poscia all’Oasi, una dell’isole del deserto della Libia65. Colà segregato dalla Chiesa e dal Mondo ebbe ancora a soffrire le persecuzioni del fanatismo, e i furori della guerra. Da una tribù errante di Blemii o di Nubiani fu invasa la sua solitudine; e Nestorio rimase nel numero dei prigionieri inutili, cui lasciarono poscia in libertà, ritirandosi. Ma trovandosi sulle sponde del Nilo, e presso una città romana ed ortodossa, desiderò senz’altro di essere piuttosto rimaso schiavo dei Selvaggi. Come nuovo delitto fu punita la sua fuga; lo spirito di Cirillo animava tutte le autorità civili ed ecclesiastiche dell’Egitto; magistrati, soldati, monaci [p. 55 modifica]tormentarono il nemico di Cristo e di S. Cirillo; e l’eretico ora fu trascinato sui confini dell’Etiopia ora richiamato da quel nuovo esilio, sino a tanto che, sfinito già dalla vecchiezza, non potè più resistere alle fatiche, e agli accidenti di tanti viaggi. Nondimeno il suo spirito si serbava tuttavia fermo e independente: le sue lettere pastorali intimorirono il presidente della Tebaide; sopravvisse al Tiranno cattolico d’Alessandria; e già il Concilio di Calcedonia, sentendo pietà d’un esilio di sedici anni, stava per rimetterlo negli onori, o nella comunione almeno della Chiesa. Era chiamato colà, e con gioia s’apparecchiava ad obbedire, quando il prevenne la morte66. Dalla qualità della sua malattia nacque l’odiosa ciancia, che la sua lingua, organo delle sue bestemmie, fosse mangiata dai vermi. Fu sepolto in una città dell’Alto Egitto, conosciuta sotto il nome di Chemnis, o Panopoli, o Akmim67; ma non cessò [p. 56 modifica]l’accanimento dei Giacobiti dall’insidiarne per più generazioni il sepolcro, e dal pubblicare scioccamente che la pioggia del Cielo, che cade tanto sui fedeli come sugli empi68, non bagnava mai il luogo della sua sepoltura. Può l’umanità donare una lagrima alla sorte di Nestorio; ma per esser giusti bisogna osservare, che se fu vittima della persecuzione, ciò non avvenne, che dopo averla esso stesso autenticata colla sua approvazione e coll’esempio69.

[A. D. 448] La morte del primate d’Alessandria, dopo un pontificato di trentadue anni, lasciò i Cattolici in balìa d’uno zelo intemperante, che abusò della vittoria70. La dottrina monofisita, cioè una sola Natura incarnata, fu rigorosamente predicata nelle chiese dell’Egitto, e ne’ monasteri dell’Oriente. Dalla santità di S. Cirillo prendea vigore il Simbolo primitivo d’Apollinare; ed Eutiche, suo illustre amico, ha dato [p. 57 modifica]il nome alla Setta la più contraria all’eresia di Nestorio. Eutiche era abate, o archimandrita, cioè superiore di trecento monaci; ma le opinioni d’un Solitario, poco versato nelle lettere, non avrebbero mai varcato i confini della celletta, ove avea dormicchiato più di settant’anni, se il risentimento o l’imprudenza di Flaviano, Pontefice bizantino, non le avesse esposte al Mondo cristiano. Questi radunò immediatamente un Sinodo domestico; i clamori e gli artificii disonorarono quanto si fece, e vi fu condannato l’Eretico, già debole per la vecchiezza, a cui carpirono per sorpresa una dichiarazione, colla quale parea che confessasse, non avere il Cristo tolto il suo corpo dalla sostanza della Vergine Maria. S’appellò Eutiche del decreto ad un Concilio generale, e fu gagliardamente propugnata la sua causa da Crisafio, l’eunuco dominante del Palazzo, il quale era stato da lui tenuto al Sagro Fonte, e da Dioscoro suo complice, succeduto nella sede, nel Simbolo, nei talenti, nei vizi al nipote di Teofilo.  [A. D. 449] Teodosio volle a buon dritto, e specialmente ordinò, che il secondo Sinodo d’Efeso fosse formato da dieci Metropolitani, e da dieci Vescovi di ciascheduna delle sei diocesi dell’Oriente; alcune eccezioni, date al favore o al merito, portarono a cento trentacinque il numero de’ Padri del Concilio, ed il Siro Barsuma, come Capo e rappresentante de’ monaci, fu invitato a sedere e a votare coi successori degli Apostoli. Ma dalla prepotenza del Patriarca d’Alessandria venne di bel nuovo violata la libertà delle discussioni; di nuovo gli arsenali dell’Egitto somministrarono armi materiali e spirituali. Una masnada d’arcieri veterani dell’Asia serviva agli ordini di Dioscoro, e i monaci, [p. 58 modifica]più terribili ancora, sordi alla ragione ed alla pietà, assediavano le porte della cattedrale. Il Generale, e i Padri, che dovean esser liberi nelle opinioni, sottoscrissero il Simbolo ed anche gli anatemi di San Cirillo, e l’eresia delle due Nature fu condannata in modo formale nella persona e negli scritti dei più dotti uomini dell’Oriente. „Possano quelli che dividon Gesù Cristo essere divisi dalla spada; sieno messi in pezzi ed arsi vivi!„ Tal fu il voto caritatevole d’un Concilio cristiano71. Si riconobbe senza esitazione l’innocenza e la santità di Eutiche; ma i Prelati, e più d’ogni altro quei della Tracia e dell’Asia non volean deporre il lor Patriarca pel motivo, che avrebbe usato od anche abusato della sua giurisdizione legittima. Abbracciarono le ginocchia di Dioscoro, nel momento che si stava con aspetto, minaccioso sui gradini della sua cattedra, e lo scongiurarono di perdonare al suo fratello, e di rispettarne la dignità. „Volete voi suscitar una sedizione?„ rispose l’inesorabil prelato; „dove son gli ufficiali?„ A queste parole una turba furiosa di monaci e di soldati forniti di bastoni, di spade e di catene, piombò nella chiesa: i Vescovi spaventati si nasco[p. 59 modifica]sero dietro l’altare, o sotto i banchi, e non avendo troppa brama di martirio segnarono tutti ad uno ad uno una carta bianca, dove poi fu scritta la condanna del pontefice di Bizanzio. Nel punto stesso fu Flaviano dato in preda alle bestie feroci di quella arena ecclesiastica72. Dalla voce e dall’esempio di Barsuma furono attizzati i monaci a vendicar l’ingiuria di Gesù Cristo. Si dice, che il Patriarca di Alessandria, oltraggiò, schiaffeggiò, e si pose sotto i piedi il suo confratello, il Vescovo di Costantinopoli73. È cosa certa che prima di giugnere al luogo [p. 60 modifica]del suo esilio, la vittima spirò nel terzo giorno per le ferite e pei colpi in Efeso ricevuti. Questo secondo Sinodo d’Efeso è stato a ragione detestato come adunanza d’una geldra di ladri e d’assassini. Eppure han dovuto gli accusatori di Dioscoro esagerare la sua violenza per iscusare la viltà, o l’incostanza del loro procedere.

[A. D. 451] La Fede dell’Egitto avea vinta la prova; ma la parte soccombente era assistita da quel Papa medesimo, che senza timore aveva affrontato la collera, e l’armi d’Attila e di Genserico. Il Sinodo d’Efeso non avea posto mente alla dottrina insegnata da Leone nel suo famoso tomo, o epistola intorno al Mistero dell’Incarnazione; la sua autorità e quella della Chiesa latina erano state insultate nella persona dei suoi Legati, che, scampati a stento dalla schiavitù e dalla morte, vennero a raccontare la tirannia di Dioscoro e il martirio di Flaviano. Convocato il suo Sinodo provinciale, il Papa annullò gli Atti irregolari di quello d’Efeso; ma questo passo essendo pure irregolare domandò egli la convocazione d’un Concilio generale nelle province libere ed ortodosse dell’Italia. Dall’alto del suo trono, omai independente dalla Corte di Costantinopoli, parlava ed operava il Pontefice di Roma senza pericolo, come Capo dei cristiani. Placidia e suo figlio Valentiniano non erano che i docili strumenti de’ suoi voleri: chiesero al principe che governava l’Oriente di ristabilire la pace e l’unità della Chiesa; ma il fantoccio che dava legge a quella parte dell’impero era menato con pari scaltrezza dall’Eunuco che allora dominava; rispose Teodosio, senza esitazione, che la Chiesa era già pacifica e trionfante, e che le giuste pene in[p. 61 modifica]flitte ai Nestoriani aveano spento l’incendio, di cui si temevano i guasti. Erano forse i Greci in preda per sempre all’eresia dei Monofisiti, se il cavallo dell’Imperatore non avesse per avventura incespato. Morì Teodosio; Pulcheria, sua sorella, zelante della Fede ortodossa, succedette al trono con uno sposo che tale non era se non di nome. Grisafio fu arso vivo; Dioscoro cadde in disgrazia; furono richiamati gli esuli, e i Vescovi d’Oriente segnarono il tomo di Leone. Al Papa tutta volta rincrebbe, che fosse ita a vuoto la sua intenzion favorita di ragunare un Concilio di Vescovi latini. Non degnò presedere al Sinodo greco frettolosamente raccolto in Nicea di Bitinia; con un tuono perentorio pretesero i suoi Legati che presente assistesse l’Imperatore, e i Padri, già stanchi, furono tratti a Calcedonia, sotto gli occhi di Marciano e del senato di Costantinopoli. Si adunarono nella Chiesa di Sant’Eufemia, situata a un quarto di miglio dal Bosforo di Tracia in vetta ad una collina d’un dolce pendìo, ma elevata; vantavasi come un prodigio dell’arte la sua architettura a tre piani, e l’immensa veduta di cui godeva dalla parte di terra, come del mare, era atta ad esaltare alla contemplazione del Dio dell’Universo l’anima d’un Settario. Seicentotrenta Vescovi si posero ordinatamente nella navata; i Patriarchi d’Oriente cedettero la mano ai Legati, il terzo dei quali non era per altro che un semplice prete; e le sedi primarie furono riservate a venti laici che avean la dignità di senatori o di consoli. Fu esposto con pompa l’Evangelo in mezzo all’assemblea; ma i ministri del Papa, non che quelli dell’Imperatore, che padroneggiarono le tredici sessioni del Concilio di Calcedonia, statui[p. 62 modifica]rono la regola di fede74. La lor determinazione, ben combinata a favore d’una delle parti fu almeno da tanto che impose silenzio a schiamazzi e ad imprecazioni sconvenevoli alla gravità episcopale; ma, in forza d’un’accusa formale de’ Legati, fu astretto Dioscoro a discendere dal suo posto, e a far la figura d’un reo già condannato nella opinione dei suoi giudici. Gli Orientali, meno avversi a Nestorio che a San Cirillo, accolsero i Romani come liberatori: la Tracia, il Ponto e l’Asia fremevano contro l’uccisor di Flaviano, e i nuovi Patriarchi di Costantinopoli e d’Antiochia si assicurarono la propria sede sacrificando il lor benefattore. Alla dottrina di San Cirillo aderivano i Vescovi della Palestina, della Macedonia e della Grecia; ma in mezzo alle assemblee del Sinodo, nel bollore della disputa passarono i Capi col lor seguito obbediente dall’ala destra alla sinistra, e colla loro diffalta decisero la vittoria. Di diciassette suffraganei venuti d’Alessandria, quattro s’indussero a mancar di fede al lor patriarca; e gli altri tredici prostratisi colla faccia a terra, implora[p. 63 modifica]rono la clemenza del Concilio coi singhiozzi e coi pianti, dichiarando in tuono patetico, che se cedevano, il popolo infuriato li truciderebbe quando fossero tornati in Egitto. Si acconsentì ad accettare il tardo pentimento dei complici di Dioscoro, come una riparazione degli errori o del delitto loro, e sopra la sua testa furono accumulati tutti i torti: non chiese egli perdono, che non ne sperava, e la moderazione di coloro che sollecitavano una generale amnistia, dalle grida di vittoria e di vendetta fu soffocata. Per salvare la reputazione di coloro, che abbracciata aveano la causa di Dioscoro si rivelarono bravamente molte offese, di cui esso solo era colpevole, la scomunica temeraria e illegale, ch’egli avea lanciata al papa, e il suo criminoso rifiuto di comparire davanti al Sinodo, quando era tenuto prigione. Parecchi testimoni vennero raccontando molti fatti che provavano il suo orgoglio, l’avarizia e la crudeltà sua; ed appresero con orrore i Prelati, che le elemosine della chiesa erano state profuse alle ballerine, che le prostitute d’Alessandria entravano nel suo palagio, ed anche ne’ suoi bagni, e che l’infame Pansofia o Irene era pubblicamente concubina del patriarca75. [p. 64 modifica]Per questi delitti scandalosi Dioscoro fu deposto dal Concilio, e sbandito dall’Imperatore; ma fu dichiarata pura la sua fede al cospetto dei Padri, e colla tacita loro approvazione. Supposero, piuttosto che pronunciare, l’eresia d’Eutiche, il quale non fu mai citato al loro tribunale, e stettero confusi e silenziosi, quando un ardito Monofisita, gettato ai lor piedi un volume di San Cirillo, osò eccitarli a lanciar contro di quello un anatema, che necessariamente involgerebbe la dottrina del Santo. Leggendo imparzialmente gli Atti del Concilio di Calcedonia, quali dalla parte ortodossa son riferiti76, si riscontrerà, [p. 65 modifica]che da una maggioranza considerabile di Vescovi fu approvata la semplice unità di Cristo; e potea l’equivoca confessione, esser lui stato formato, o procedere da due Nature, supporne l’esistenza anteriore, o in susseguente mischianza, o veramente un intervallo pericoloso ad ammettersi fra l’istante in cui era stato concepito l’uomo, e l’altro in cui gli era stata infusa la Natura divina77. I Teologi di Roma più esatti e precisi statuirono la formola che feriva di più le orecchie dogli Egiziani; dichiararono che il Cristo esisteva in due Nature, e questa importante particola78, che più facilmente si stampa nella memoria che nell’intelletto, ebbe quasi a produrre fra i Vescovi latini uno scisma. Essi aveano sottoscritto rispettosamente, e forse sinceramente il tomo di Leone; ma in due deliberazioni successive spiegarono, non essere nè spediente, nè legittima cosa trapassare i santi limiti assegnati dai Concilii di Nicea, di [p. 66 modifica]Costantinopoli e d’Efeso conformemente alla Scrittura ed alla tradizione. Cessero finalmente alle importunità dei loro padroni; ma il lor decreto infallibile, dopo essere stato in guisa solenne ratificato, e con grandi acclamazioni accolto, fu distratto nella session seguente per l’opposizion dei Legati e degli Orientali lor partigiani. Invano gran numero di Vescovi esclamò: „La decision de’ Padri è ortodossa e inalterabile; ora gli eretici sono smascherati; anatema ai Nestoriani! fuori dalle assemblee del Concilio! vadano a Roma!„79 I Legati minacciarono; l’Imperatore parlava con tuono assoluto, ed una commissione di diciotto vescovi preparò un nuovo decreto, che i Padri sottoscrissero a lor dispetto. In nome del quarto Concilio generale si annunziò al Mondo cattolico, il Cristo in una persona, ma in due Nature. Si tirò una linea impercettibile fra l’eresia di Apollinare e la dottrina di San Cirillo; e col tagliente d’un rasoio ben affilato, la sottigliezza teologica formò un ponte, che, sospeso sopra un abisso, diveniva l’unica strada al paradiso. Per dieci secoli d’ignoranza e di servitù, ha ricevuto l’Europa le sue opinioni religiose dall’oracolo del Vaticano; e questa dottrina, già coperta della ruggine dell’antichità, è stata senza contrasto ammessa nel Simbolo [p. 67 modifica]dei riformatori del sedicesimo secolo, che hanno abiurato la primazia del Pontefice romano. Il Concilio di Calcedonia trionfa sempre nelle chiese protestanti; ma non fermenta più il lievito della controversia; e i Cristiani più religiosi dei nostri giorni non sanno80 quel che si credono intorno al Mistero dell’Incarnazione, e poco si curano di saperlo.

[A. D. 451-482] Si palesarono in modo ben differente le disposizioni dei Greci e degli Egiziani sotto il regno ortodosso di Leone e di Marciano. Questi devoti Imperatori, colla forza dell’armi e degli editti, sostennero il Simbolo della lor Fede81; e cinquecento Vescovi dichiararono sulla lor coscienza e sull’onor loro, ch’era permesso di difendere anche cogli omicidii i decreti del Concilio calcedonese. Videro i Cattolici con piacere, che lo stesso Concilio era odioso ai Nestoriani, ed ai Monofisiti82; ma i Nesto[p. 68 modifica]riani erano meno irritati, o men potenti; e fu lacerato l’Oriente dal pertinace e sanguinario fanatismo dei Monofisiti. Gerusalemme fu assalita da un esercito di Monaci che la posero a sacco; arsero, trucidarono in nome d’una Natura incarnata; fu bagnato di sangue il sepolcro di Gesù Cristo, e pochi ribelli tumultuariamente raccolti, chiusero le porte della città all’esercito imperiale. Dopo la condanna e l’esilio di Dioscoro, dolenti gli Egiziani della perdita del lor Padre spirituale, videro con ribrezzo l’usurpazione del suo successore costituito dai Padri del Concilio di Calcedonia. Costui, di nome Proterio, non potè sostenersi che col soccorso d’una guardia di duemila soldati; fece guerra cinque anni al popolo d’Alessandria; e il primo sentore della morte di Marciano divenne pei fanatici Egiziani il segnale della vendetta. Tre giorni prima della festa di Pasqua, il Patriarca fu assediato nella sua cattedrale, e ucciso nel battistero. Fu dato alle fiamme l’avanzo del suo cadavere e se ne gettarono al vento le ceneri; questo assassinio fu inspirato dall’apparizione d’un preteso Angelo, furberia inventata da un monaco ambizioso, che, sotto il nome di Timoteo, [p. 69 modifica]il Gatto83, succedette alla dignità e alle opinioni di Dioscoro. Colle rappresaglie delle due parti s’inciprignirono gli animi in questa crudel superstizione; una disputa metafisica costò la vita a migliaia di uomini84; e i Cristiani d’ogni classe furono privati dei godimenti della vita sociale, e dei doni invisibili del Battesimo, e della santa Comunione. Ci resta di quel tempo una novella stravagante, che contiene forse una pittura allegorica dei fanatici, che si tormentavano e straziavano a vicenda. „Sotto il consolato di Venanzio e di Celere, dice un Vescovo autorevole, gli abitatori d’Alessandria, e di tutto l’Egitto furono presi da una strana e diabolica frenesia; i grandi e i piccioli, gli schiavi e gli uomini liberi, i Monaci ed il Clero, quanti in somma si opponevano al Concilio di Calcedonia perdettero l’uso della parola, e della ragione; abbaiavano come cani, e si laceravano le mani e le braccia coi denti„85.

[A. D. 482] Trenta anni di disordini originarono alla fine il celebre Henoticon86 dell’Imperatore Zenone, for[p. 70 modifica]molario che, sotto il regno di costui e di Anastasio, fu segnato da tutti i Vescovi dell’Oriente, minacciati della degradazione e dell’esilio, se rigettavano o se violavano questa legge fondamentale. Può il Clero sorridere o gemere della presunzione d’un laico che osa determinare Articoli di Fede; ma se il magistrato secolare non isdegna d’abbassarsi a questa cura umiliante per un sovrano, il suo spirito per altro è meno traviato dal pregiudizio, o dalle mire d’interesse; e quell’autorità ch’egli esercitò in ordine a questo, non ha il suo appoggio che nel consenso del popolo. Nella storia ecclesiastica appunto comparisce Zenone meno spregevole, nè so scorgere veleno d’eresia manichea, o eutichiana nelle generose parole d’Anastasio, il quale considerava per cosa indegna d’un Imperatore il perseguitare gli adoratori del Cristo, e i cittadini di Roma. Ottenne l’Ennotico l’approvazione specialmente degli Egiziani; non di meno l’inquieto ed anche pregiudicato sguardo dei nostri teologi ortodossi non vi scorse la più picciola macchia; quivi in una maniera esattissima viene esposta la dottrina cattolica intorno l’Incarnazione, senz’ammettere, o senza rifiutare i termini particolari, o le opinioni delle Sette avversarie. V’è pronunciato un anatema solenne contro Nestorio ed Eutiche, contro tutti gli eretici, che dividono, o confondono il Cristo, o il riducono a un vano fantasma. Senza [p. 71 modifica]determinare se la parola Natura debba usarsi in singolare o in plurale, vi è rispettosamente confermato il sistema di S. Cirillo, la dottrina dei Concilii di Nicea, di Costantinopoli e d’Efeso; ma in vece di inginocchiarsi davanti i decreti del quarto Concilio generale, si sfugge la quistione, riprovando tutte le dottrine contrarie, se ve ne ha d’insegnate sia in Calcedonia, sia altrove. Questa frase equivoca poteva con tacito accordo conciliare gli amici e i nemici del Sinodo di Calcedonia. Dai Cristiani i più ragionevoli si approvò questo espediente di tolleranza, ma debole ed incostante ne era l’intelletto, e lo zelo veemente delle Sette diverse in questa sommessione non vide che una servile timidità. Era ben difficile il rimanersi al tutto neutrali in un argomento che riscaldava i pensieri e i discorsi degli uomini: un libro, una predica, un’orazione riaccendevano il fuoco della controversia, e le particolari animosità dei Vescovi rompevano e rannodavano alternativamente i legami della comunione. Mille picciole varietà di vocaboli e d’opinioni empievano lo spazio che divideva Nestorio ed Eutiche: gli Acefali87 d’Egitto, e i Pontefici di Roma forniti d’ugual valore, ma di forza ineguale, stavano alle due estremità della scala teologica. Gli Acefali senza re, e senza vescovi furono separati per più di trecent’anni dai Patriarchi [p. 72 modifica]d’Alessandria che aveano aderito alla comunion di Costantinopoli, senza esigere una condanna formale dal Concilio calcedonese. I Papi scomunicarono i Patriarchi di Costantinopoli per aver accettata la comunione Alessandrina, senza approvare formalmente lo stesso Concilio: l’inflessibile loro despotismo, inviluppò in quel contagio spirituale le Chiese greche più ortodosse; negò, o contestò la validità dei lor Sacramenti88; per trentacinque anni fomentò lo scisma dell’Oriente e dell’Occidente sino all’epoca, in cui condannarono questi la memoria di quattro prelati di Bizanzio, che osato aveano di opporsi alla primazia di S. Pietro89. Prima di quel tempo era stata dallo zelo dei Prelati rivali violata la mal ferma tregua di Costantinopoli e dell’Egitto. Macedonio, sospetto già d’una segreta adesione all’eresia di Nestorio, difese nella sua disgra[p. 73 modifica]zia, e nell’esilio, il Sinodo di Calcedonia, mentre il successore di S. Cirillo avrebbe desiderato di poterne comperare la condanna al prezzo di duemila libre d’oro.

[A. D. 508-518] In mezzo all’effervescenza di quel secolo bastava il senso, anzi il suono d’una sillaba a turbar la quiete dell’imperio. S’opposero i Greci, che il Trisagion90 (tre volte santo) santo, santo, santo, il Dio Signor degli eserciti fosse identicamente quell’Inno che da tutta l’eternità ripetono gli Angeli e i Cherubini davanti il trono di Dio, e che in maniera miracolosa fu rivelato alla Chiesa di Costantinopoli verso la metà del quinto secolo. La divozione degli abitanti di Antiochia poco dopo vi aggiunse: „che fu crocifisso per noi„; questo indirizzo al solo Cristo, e alle tre Persone della Trinità può giustificarsi secondo le regole della Teologia, e fu insensibilmente adottato dai Cattolici dell’Oriente e dell’Occidente. Ma era stato immaginato da un Vescovo monofisita91. Questo regalo d’un nemico fu da prima, come orribile e pericolosa bestemmia, ributtato, [p. 74 modifica]e poco mancò, che all’Imperatore Anastasio ne costasse la corona e la vita92. Non avea il popolo di Costantinopoli alcuna ragionevole idea di libertà, ma il color d’una livrea nelle corse, e una picciola discordanza per un Mistero nelle scuole parevagli un motivo legittimo di ribellione. Il Trisagion, con l’aggiunta o senza l’aggiunta da noi accennata, fu nella cattedrale cantato da due Cori nemici, e dopo avere sfinita tutta la forza del polmone, dieder mano ai sassi e ai randelli, argomenti più sodi: l’Imperatore punì gli aggressori; il Patriarca li difese, e questa gran lite portò un crollo alla corona e alla mitra. In un momento le strade furono piene d’una moltitudine innumerevole d’uomini, di donne, di fanciulli. Legioni di monaci schierati in ordine di battaglia li dirigevano al combattimento gridando: „Cristiani, questo è giorno di martirio; non si abbandoni il nostro Padre spirituale; anatema al Tiranno manicheo! non è degno di regnare„. Tali erano le grida dei Cattolici93. Le galere d’Anastasio stavano sui remi davanti il palazzo, pronte ad accorrere: finalmente il Patriarca diede il perdono al suo penitente, e sedò i flutti d’una plebe irritata. Ma del suo trionfo non gioì lungamente Macedonio, poichè po[p. 75 modifica]chi giorni dopo fu cacciato in esilio; ben presto però si riaccese lo zelo della sua greggia sulla medesima quistione: „Se una persona della Trinità sia spirata in croce„. Per questo rilevante affare fu sospesa la discordia in Costantinopoli tra le fazioni degli Azzurri e dei Verdi, le quali, unite insieme le loro forze, rendettero impotenti quelle della civile e militare autorità. Le chiavi della capitale, e gli stendardi delle guardie furon depositate nel Foro di Costantino, che era il posto ed il campo principale dei Fedeli. Questi spendeano i giorni e le notti a cantar Inni in onore del loro Dio, o a saccheggiare e ad ammazzare i servi del loro Principe. Fu portata per le strade in punta ad un’asta la testa d’un monaco, amato da Anastasio, e, secondo il linguaggio dei fanatici, l’amico del nimico della Santa Trinità; e le torce ardenti scagliate contro le case degli eretici, portarono indistintamente l’incendio sugli edifici dei più ortodossi. Furon messe in pezzi le statue dell’Imperatore; Anastasio corse a celarsi in un sobborgo, sino a tanto che finalmente dopo tre giorni prese coraggio ad implorare la clemenza dei sudditi. Comparve egli sul trono del Circo senza diadema, e in figura di supplicante. I Cattolici recitarono alla sua presenza il Trisagion primitivo ed originale; ed accolsero con grida di trionfo la proposta che per la voce d’un Araldo fece ai medesimi d’abdicare la porpora: si arresero nondimeno alla osservazione con cui furono avvertiti, che non potendo tutti regnare, doveano prima di quella abdicazione accordarsi per la scelta d’un sovrano; ed intanto accettarono il sangue di due ministri abborriti dal popolo, che dal lor padrone vennero senza esitanza condannati ai leo[p. 76 modifica]ni. Queste furiose, ma momentanee sedizioni prendean vigore dalle vittorie di Vitaliano, che con un esercito di Unni e di Bulgari, per la maggior parte idolatri, si fece campione della Fede cattolica: conseguenze di questa pia ribellione furono lo spopolamento della Tracia, l’assedio di Costantinopoli, e la strage di sessantacinquemila Cristiani. Continuò Vitaliano le devastazioni sino al tempo in cui ottenne, che fossero richiamati i Vescovi, ratificato il Concilio di Calcedonia, e data al Papa quella soddisfazione che domandava. In punto di morte Anastasio sottoscrisse suo malgrado questo Trattato ortodosso, e lo zio di Giustiniano ne adempiè fedelmente le condizioni. Tale fu l’esito della prima guerra religiosa94 intrapresa sotto il nome del Dio di Pace dai suoi discepoli95. [p. 77 modifica]

[A. D. 514 519 565] Abbiamo già mostrato Giustiniano come principe, conquistatore, e legislatore: ci rimane di delinearne il ritratto come teologo96; e ciò che anticipatamente ne dà un’idea sfavorevole, il suo ardore per le materie teologiche, forma uno de’ tratti più marcati del suo carattere. Al pari de’ suoi sudditi, nutriva in cuore una gran venerazione pe’ Santi viventi, e morti. Il suo Codice, e particolarmente le sue Novelle, confermano ed estendono i privilegi del clero, ed ogni volta che nasceva un dibattimento tra un monaco o un laico, propendeva a decidere che dal lato della Chiesa stava mai sempre la giustizia, la verità, l’innocenza. Nelle sue divozioni pubbliche e private assiduo ed esemplare, uguagliava nelle orazioni, nelle vigilie, ne’ digiuni le austerità monastiche: ne’ sogni della sua fantasia credeva o sperava d’essere inspirato: si tenea sicuro della protezione della Santa Vergine, e di San Michele Arcangelo, e attribuì all’aiuto de’ SS. Martiri Cosimo e Damiano la sua guarigione da una malattia pericolosa. Empiè di monumenti della sua religione la capitale e le province97; e quantunque al suo gusto per le arti, ed alla sua ostentazione riferire si possa la maggior parte di [p. 78 modifica]que’ sontuosi edificii, probabilmente il suo zelo era animato da un sentimento naturale d’amore e di gratitudine verso i suoi invisibili benefattori. Fra i titoli delle sue dignità, quello che più gli piaceva era il soprannome di Pio. La cura degl’interessi temporali e spirituali della Chiesa fu la più seria occupazione della sua vita, e spesso sagrificò i doveri di padre del popolo a quelli di difensore della Fede. Le controversie del suo tempo erano analoghe al suo naturale, e al suo animo, e ben doveano i professori di teologia ridersi in lor secreto d’un principe che faceva l’ufficio loro, e trascurava il suo. „Che potete voi temere da un tiranno che è schiavo della sua divozione? diceva a’ suoi colleghi un ardito cospiratore; egli passa le intere notti disarmato nel suo gabinetto a discutere con vecchioni venerandi, e a confrontare le pagine de’ volumi ecclesiastici„98. Egli espose il frutto delle sue vigilie in molte conferenze, ove fece gran figura ugualmente per forza di pulmoni, per sottigliezza d’argomenti, e in molti sermoni ancora che, sotto il nome d’editti e d’epistole, annunciavano all’impero la dottrina teologica del Padrone. Nel mentre che i Barbari invadevano le province, o le legioni vittoriose marciavano sotto le insegne di Belisario e di Narsete, il successore di Traiano, ignoto a’ suoi eserciti, era contento di trion[p. 79 modifica]fare presedendo ad un Sinodo. Se avesse invitato a quelle adunanze un uom ragionevole e disinteressato, avrebbe potuto imparare „che le controversie religiose derivano dall’arroganza e dalla stoltezza; che la vera pietà meglio si manifesta col silenzio e colla sommessione: che l’uomo che non conosce la natura propria, non debbe essere ardito di scandagliare la natura del suo Dio, e che a noi basta il sapere che la bontà, e la possanza sono le attribuzioni della Divinità„99.

La tolleranza non era la virtù del suo secolo, nè frequente virtù de’ Principi è l’indulgenza verso i ribelli; ma quando si digrada un sovrano ad avere le basse mire e le passioni irascibili d’un teologo polemico, agevolmente è solleticato a supplire coll’autorità alla mancanza de’ suoi argomenti, e a punire senza pietà il perverso accecamento di coloro che chiudono gli occhi alla luce delle sue dimostrazioni. Nel regno di Giustiniano veggiamo una scena uniforme, benchè variata, di persecuzione, e per questa pare che abbia superati i suoi indolenti predecessori, sia nella invenzione delle leggi penali, sia nella severità della esecuzione. Egli non assegnò che tre mesi per la conversione o per l’esilio di tutti gli eretici100, e se costantemente dissimulò l’infra[p. 80 modifica]zione di questa legge, erano però sotto il suo giogo di ferro privati non solo di tutti i vantaggi sociali, ma di tutti i diritti di nascita che poteano pretendere come uomini e come cristiani. Dopo quattro secoli, i Montanisti della Frigia101 respiravano tuttavia quel salvatico entusiasmo di perfezione, e quel foco profetico, ond’erano stati infiammati da’ loro Apostoli, maschi o femmine102, particolari strumenti dello Spirito Santo. Essi all’avvicinarsi de’ sacerdoti, e de’ soldati cattolici coglievan con trasporto la corona del martirio; perivano nelle fiamme il Conciliabolo, e li congregati; ma l’anima dei primi fanatici viveva ancora la stessa trecent’anni dopo la morte del lor tiranno. A Costantinopoli non aveva la chiesa degli Ariani protetta dai Goti, temuto il rigor delle leggi: in ricchezza e in magnificenza non cedevano i loro preti al senato, e poteano benissimo l’oro e l’argento che loro tolse Giustiniano essere rivendicati come i trofei delle province, e le prede dei [p. 81 modifica]Barbari. Un picciol numero di Pagani, tuttavia nascosti tanto nelle classi più costumate, quanto nelle più rozze della società erano odiati dai Cristiani, ai quali forse non piaceva, che veruno straniero fosse testimonio delle lor liti intestine. Fu nominato Inquisitor della fede un Vescovo, il quale non tardò a svelare alla Corte, ed alla città magistrati, giureconsulti, medici, sofisti, sempre adetti alla superstizione dei Greci. Venne loro intimato positivamente di eleggere, senza indugio, o di spiacere a Giove od a Giustiniano, poichè non sarebbe più permesso ai medesimi di celare l’avversione che avevano per l’Evangelo sotto la scandalosa maschera dell’indifferenza, o della pietà. Il patrizio Fozio fu probabilmente il solo, che si mostrasse fermo di vivere e di morire come i suoi antenati; con un colpo di pugnale si tolse alla servitù, e lasciò al Tiranno il miserabile piacere di esporre ignominiosamente agli sguardi del Pubblico il cadavere di colui, che avea saputo fuggirgli di mano. Gli altri suoi fratelli, meno coraggiosi, si sottomisero al Monarca temporale. Ricevettero il Battesimo, e s’ingegnarono con uno zelo straordinario di cancellare il sospetto, o d’espiare il delitto della loro idolatria. Nella patria d’Omero, e nel teatro della guerra troiana covavano le ultime faville della greca mitologia: per opera del Vescovo stesso, o sia Inquisitore, di cui ragionammo testè, si trovarono, e furono convertiti settantamila Pagani nell’Asia, nella Frigia, nella Lidia, e nella Caria. Si fabbricarono novantasei chiese per li Neofiti; e la pia munificenza di Giustiniano somministrò i lini, le Bibbie, le liturgie, e i vasi d’oro e d’argen[p. 82 modifica]to103. Gli Ebrei, a poco a poco spogliati delle loro immunità, furono obbligati da una legge tirannica a celebrare la Pasqua nel giorno medesimo dei Cristiani104. Ebbero motivo di lagnarsene con più ragione, poichè i Cattolici stessi non andavan d’accordo sui calcoli astronomici del sovrano. Erano avvezzi gli abitanti di Costantinopoli a cominciare la quaresima una settimana dopo l’epoca determinata dall’Imperatore, e quindi avevano il piacere di digiunar sette giorni, nei quali per ordine dell’Imperatore eran pieni di carne i mercati. I Samaritani della Palestina105 formavano una razza bastarda, una Setta equivoca; i Pagani li trattavano da Giudei, i Giudei da Scismatici, e i Cristiani da Idolatri. La croce che da quelli si risguardava come una abbominazione stava già piantata sopra la santa montagna di Gari[p. 83 modifica]zim106; ma per la persecuzione di Giustiniano, non rimase loro che l’alternativa tra il Battesimo, o la ribellione; elessero l’ultimo partito: comparvero in armi sotto le bandiere d’un Capo disperato, e col sangue d’un popolo senza difesa, co’ suoi beni, co’ suoi templi pagarono i mali che avevano dovuto soffrire. Finalmente furono soggiogati dalle milizie dell’Oriente: se ne contarono di trucidati ventimila, altri ventimila furon venduti dagli Arabi agl’Infedeli della Persia e dell’India, e gli avanzi di questa sciagurata nazione meschiarono col peccato dell’ipocrisia il delitto della ribellione. Si è fatto il conto, che la guerra dei Samaritani costò la vita a centomila sudditi dell’impero107, e coperse di ceneri una provincia ubertosa che fu cangiata in un orrido deserto. Ma nel Simbolo di Giustiniano si potea senza taccia scannare i miscredenti, ed egli piamente adoperò il ferro ed il fuoco per rassodare l’unità della Fede cristiana108. [p. 84 modifica]

Con tai sentimenti era almeno mestieri aver sempre ragione. Ne’ primi anni del suo regno segnalò il suo zelo, come discepolo e protettore della Fede ortodossa. Nel riconciliarsi dei Greci e dei Latini il tomo di San Leone divenne il Simbolo dell’Imperatore e dell’Impero; i Nestoriani e gli Eutichiani erano dalle due parti investiti dalla spada a due tagli della persecuzione, e i quattro Concilii di Nicea, di Costantinopoli, d’Efeso e di Calcedonia furono ratificati dal codice d’un legislatore cattolico109; ma nel mentre che Giustiniano non lasciava cosa intentata per mantener l’uniformità della Fede e del Culto, sua moglie Teodora, i cui vizi non si consideravano incompatibili colla divozione, aveva dato orecchia alle prediche monofisite; quindi sotto la protezione dell’Imperatrice ripreser coraggio, e si moltiplicarono i pubblici o secreti nemici della Chiesa. Un dissidio spirituale metteva a soqquadro la capitale, il palazzo, ed il talamo; ma tanto era dubbia la sincerità di Giustiniano e di Teodora, che assai persone accagionavano dell’apparente loro dissensione una clandestina lega malefica contro la religione e la felicità del popolo110.

[A. D. 532-698] La famosa disputa dei tre </ref> [p. 85 modifica]li111 che ha empiuto più volumi, quando bastavano poche linee, dimostra assai questo spirito d’astuzia e di mala fede. Volgevano tre secoli da che il corpo di Origene112 era pasto dei vermi, l’anima sua, della quale egli aveva insegnato la preesistenza, era in mano del suo creatore; ma i monaci della Palestina avidamente ne leggevano i libri. L’occhio acuto di Giustiniano vi scorse dentro più di dieci errori di metafisica, e perì il dottore della prima Chiesa in compagnia di Pittagora e di Platone, e fu dannato dal Clero all’eterno fuoco infernale, poichè aveva osato negare l’esistenza dell’inferno. Sotto questa condanna stava celato un perfido assalto contro il Concilio di [p. 86 modifica]Calcedonia. Aveano i Padri udito senza inquietarsi l’elogio di Teodoro di Mopsuesta113; e la lor giustizia o indulgenza aveva restituito alla comunion de’ Fedeli Teodoreto di Cirra e Ibasso di Edessa; ma questi Vescovi d’Oriente erano tacciati d’eresia; maestro fu il primo di Nestorio, amici di quell’eretico gli altri due; i passi i più sospetti de’ loro scritti furono denunciati sotto il titolo dei tre Capitoli; e con questa macchia impressa sulla loro memoria era per necessità messo a repentaglio l’onor d’un Concilio che dal Mondo cattolico era nominato con venerazione, almeno in apparenza. Nondimeno, se questi Vescovi o innocenti, o colpevoli erano sepolti nella notte eterna, non poteano svegliarli i clamori che si faceano sulla lor tomba un secolo dopo la lor morte; se in un’altra supposizione stavano già in balìa del demonio, non potea più l’uomo nè aggravarne, nè mitigarne i tormenti; e finalmente, se godevano in compagnia dei Santi e degli Angeli la ricompensa dovuta alla lor pietà, dovean ridere del vano furore degli insetti teologici, che strisciavano ancora sulla faccia della terra. L’Imperator de’ Romani, ch’era di quegli insetti il più arrabbiato, vibrava il suo pungiglione, e scagliava il veleno senza avvedersi probabilmente dei veri moventi di Teodora e degli ecclesiastici che l’assecondavano. Non eran [p. 87 modifica]più soggette le vittime al suo potere, e i suoi editti con tutta la lor veemenza non valevano che a pubblicarne la dannazione, e ad invitare il clero dell’Oriente ad unirsi con lui per caricarli d’imprecazioni e di anatemi. Stettero esitanti i Prelati orientali nel congiungersi per questo oggetto col loro sovrano; fu tenuto a Costantinopoli il quinto Concilio generale, ove intervennero tre Patriarchi, e cento sessantacinque Vescovi, e gli autori, come pure i difensori dei tre Capitoli, furono separati dalla comunione de’ Santi, e consegnati solennemente al principe dello tenebre. Le Chiese latine aveano più zelo per l’onor di Leone e del Concilio di Calcedonia; e se, come erano solite, avessero combattuto sotto lo stendardo di Roma, avrebbero forse fatto sì che trionfasse la causa della ragione e della umanità; ma il loro Capo era prigioniero, e in mano del nemico; il trono di San Pietro deturpato dalla simonìa fu tradito dalla viltà di Vigilio, il quale dopo una lunga e strana lotta, si sottomise al despotismo di Giustiniano e ai sofismi dei Greci. Per la sua apostasia s’adontarono i Latini tutti, nè vi furono che due Vescovi, che volessero conferire gli Ordini sacri a Pelagio, suo diacono e successore. Pure la perseveranza dei Papi trasferì a poco a poca nei loro avversari il titolo di scismatici: la potenza civile del pari che l’ecclesiastica sostenute dalla forza militare, venivano opprimendo, benchè con fatica, le Chiese dell’Illiria, dell’Affrica, e dell’Italia114: i Barbari, lontani dalla sede dell’im[p. 88 modifica]pero, si attenevano alla dottrina del Vaticano; e in men d’un secolo lo scisma dei tre Capitoli morì in un cantone oscuro della provincia veneta115; ma pel mal’umore degli Italiani irritati da quella disputa religiosa s’erano agevolate le conquiste dei Lombardi, e già gli stessi Romani erano avvezzi a sospettare della Fede, come a detestar l’amministrazione del tiranno regnante in Bizanzio.

Non seppe Giustiniano star fermo nè consentaneo a sè nelle risoluzioni difficili che volle usare per determinare l’incertezza delle sue opinioni e di quelle dei sudditi: era malmenato in gioventù quando non s’allontanava poco nè punto dalla linea ortodossa; in vecchiezza trascorse egli stesso al di là della linea d’una moderata eresia, ed i Giacobiti, come i Cattolici furono scandalezzati; udendolo dichiarare che il corpo di Cristo era incorruttibile, e che la sua umanità non avea mai provato alcun bisogno, o infermità della nostra vita mortale. Questa fantastica opinione sta registrata ne’ suoi ultimi editti: alla [p. 89 modifica]sua morte, che succedette veramente a tempo; aveva il Clero ricusato di sottoscriverla, e già il principe s’apparecchiava a cominciare una persecuzione; e il popolo era apparecchiato a soffrirla o farle resistenza. Un Vescovo di Treveri, che si vedeva sicuro per la sua situazione dai colpi del monarca dell’Oriente, gli diresse alcune osservazioni collo stile dell’affetto e dell’autorità. „Graziosissimo Giustiniano, gli disse, sovvengati del tuo Battesimo, e del Simbolo della tua Fede, e non disonorare i tuoi crini bianchi con una eresia. Richiama dall’esiglio i Padri e rimovi i tuoi aderenti dalla via di perdizione. Tu non puoi ignorare, che già l’Italia e la Gallia, la Spagna e l’Affrica piangono la tua caduta, e vomitano anatemi sul tuo nome. Se non ritratti immantinente quello ch’hai insegnato, se non dichiari ad alta voce: sono caduto in errore, ho peccato; anatema a Nestorio, anatema ad Eutiche: tu ti condanni a quelle fiamme, che ti consumeranno in eterno„116. Egli morì senza dar segno di ritrattazione. Colla sua morte ritornò in qualche modo la pace alla Chiesa; e, cosa rara e felice, i suoi quattro successori, Giustino, Tiberio, Maurizio e Foca non figurano punto nella storia ecclesiastica dell’Oriente117. [p. 90 modifica]

[A. D. 629] Le facoltà del senso e del raziocinio son poco capaci di operare sopra se medesime; l’occhio nostro è il più inaccessibile di tutti gli oggetti per la nostra vista, e nulla sfugge tanto al nostro pensiero, quanto le operazioni dell’animo nostro; tuttavolta pensiamo, ed anche sentiamo, che ad un ente ragionevole e consapevole della sua esistenza, compete essenzialmente una volontà, vale a dire un sol principio d’azione. Quando Eraclio tornò dalla guerra di Persia, quest’eroe ortodosso dimandò ai Vescovi se il Cristo ch’egli adorava in una sola persona, ma in due Nature, fosse mosso da una sola, o da una doppia volontà. Essi risposero, che una sola volontà animava il Cristo, e l’Imperatore sperò che questa dottrina, scevera certamente d’inconvenienti, e che sembrava la vera, poichè veniva insegnata dagli stessi Nestoriani118, richiamerebbe dall’errore i Giacobiti dell’Egitto e della Siria. Ne fu fatta la prova, [p. 91 modifica]ma inutilmente; e fosse zelo, fosse timore, non si credettero lecito i Cattolici di dar indietro neppure in apparenza davanti un nemico astuto ed audace. Allora gli Ortodossi ch’erano dominanti, nuove formole inventarono, nuovi argomenti, e nuove interpretazioni: supposero in ciascheduna delle due Nature di Cristo un’energia propria e distinta: la differenza divenne impercettibile, quando confessarono essere invariabilmente la stessa tanto la volontà umana che la divina119. Si palesò la malattia coi sintomi ordinari; ma i Sacerdoti greci, quasi fossero già sazi dell’interminabil controversia sopra l’Incarnazione, diedero al principe ed al popolo eccellenti consigli. Si dichiararono Monoteliti (difensori d’una sola volontà); ma risguardarono per nuovo il vocabolo, e per superflua la quistione, e raccomandarono un religioso silenzio, siccome la cosa più conforme alla prudenza ed alla carità evangelica.  [A. D. 648] In processo di tempo questa legge di silenzio venne statuita dall’Ectesi, o esposizione di Eraclio, e dal tipo o formolario della fede di Costanzo, suo nipote120; e i quattro Patriar[p. 92 modifica]chi di Roma, di Costantinopoli, d’Alessandria, e d’Antiochia sottoscrissero quegli editti del principe, gli uni con piacere, gli altri a malincuore. Ma il Vescovo, e i Monaci di Gerusalemme gridarono all’armi: le Chiese latine scorsero un errore celato nelle parole, o ben anche nel silenzio dei Greci, e dall’ignoranza più temeraria dei successori di Papa Onorio fu ritrattata, o censurata l’obbedienza da lui prestata agli ordini del suo sovrano. Condannarono l’esecrabile ed abbominevole eresia dei Monoteliti, che rinovavano gli errori di Manete, di Apollinare, d’Eutiche etc. Sopra la tomba di S. Pietro segnarono il decreto di scomunica; l’inchiostro fu mescolato al vino del sacramento, cioè, al Sangue di Cristo; nè fu dimenticata veruna cerimonia, che giovasse ad empiere d’orrore o di terrore gli spiriti superstiziosi. Come rappresentanti della Chiesa d’Occidente, papa Martino e il Concilio di Laterano scomunicarono il colpevole e perfido silenzio dei Greci: centocinque Vescovi d’Italia, quasi tutti sudditi di Costanzo, non temettero di rigettare il suo tipo odioso, l’empia Ectesi del suo avo, e di confondere gli autori, e i loro aderenti con ventuno eretici conosciuti disertori della Chiesa, e stromenti del demonio. Sotto un principe anche dei più sommessi alla Chiesa, non sarebbe rimasa impunita cotanta ingiuria. Papa Martino terminò la vita sulla costa deserta del Chersoneso Taurico, e l’Abate Massimo, ch’era il suo oracolo, fu crudelmente punito coll’amputazion della lingua, e della mano de- [p. 93 modifica]stra121. Ma trasmisero la propria ostinazione ai successori: il trionfo dei Latini li vendicò della sconfitta che avevano sofferta, e cancellò l’obbrobrio dei tre Capitoli. Furono raffermati i Sinodi di Roma dal sesto Concilio generale tenuto a Costantinopoli nel palazzo, e sotto gli occhi d’un nuovo Costantino discendente d’Eraclio.  [A. D. 680-681] La conversion del principe si trasse dietro quella del Pontefice di Bizanzio e del maggior numero dei Vescovi122; i dissidenti, dei quali era Capo Macario d’Antiochia furon condannati alle pene spirituali e temporali, sancite contro l’eresia; s’acconciò l’Oriente a ricevere lezione dall’Occidente, e fu in termini definitivi regolato il Simbolo della Fede, che insegna ai Cattolici di tutti i tempi, che la persona di Gesù Cristo univa in sè due volontà, o due energie, le quali operavano di accordo fra loro. Due Sacerdoti, un Diacono, e tre Vescovi rappresentarono la maestà del Papa, e del Sinodo romano; ma questi oscuri teologi dell’Italia non aveano nè soldati per sostenere le loro opinioni, nè tesori per comperare partigiani, nè eloquenza [p. 94 modifica]per attirare proseliti; e non so per qual’arte indurre potessero il superbo Imperatore dei Greci ad abiurare il cattechismo della sua infanzia ed a perseguitare la religione degli avi suoi. Forse, che i Monaci e il popolo di Costantinopolinota favoreggiavano la dottrina del Concilio di Laterano, che in fatti è delle due la men ragionevolenota; questo sospetto 123 124 [p. 95 modifica]viene avvalorato dalla considerazione che non era di naturale troppo moderato il Clero greco, il quale [p. 96 modifica]parve sentire in questa lite la sua debolezza. Mentre il Sinodo stava discutendo la questione, un fanatico propose per più breve espediente quello di risuscitare un morto; assistettero all’esperienza i Prelati, ma l’unanimità con cui si decise che il miracolo era mancato potè divenire una prova, che le passioni e i pregiudizi della moltitudine non sosteneano la parte dei Monoteliti. Nella generazion successiva, quando [p. 97 modifica]il figlio di Costantino fu deposto, e messo a morte dal discepolo di Macario, gustarono il piacere della vendetta e della dominazione: il simulacro, o il monumento dal sesto Concilio ecumenico fu tolto di mezzo, e gli Atti originali di quel tribunale ecclesiastico furon dati alle fiamme. Ma nel secondo anno di regno fu balzato dal trono il loro protettore; i Vescovi dell’Oriente furono liberati dalla legge di conformità, cui erano stati momentaneamente sottomessi; fu rimessa la fede della Chiesa romana sopra basi più salde dai successori ortodossi di Bardane; e la disputa più popolare, e più sensibile sul culto delle Immagini mandò in dimenticanza i bei problemi sull’Incarnazione125.

Avanti la fine del settimo secolo, il domma dell’Incarnazione fu predicato sino nell’isola della Brettagna, e dell’Irlanda126 tal quale era stato deter[p. 98 modifica]minato in Roma e in Costantinopoli. Tutti i Cristiani, che avevano accettato per la liturgia la lingua greca o latina ammisero le istesse idee, o piuttosto ripeterono le parole medesime. Il numero loro e la fama che avevano a quei giorni davano ad essi una specie di diritto al soprannome di Cattolici; ma nell’Oriente erano distinti col nome meno onorevole di Melchisti o Realisti127, cioè d’uomini la Fede dei quali invece di posare sulla base della Scrittura, della ragione, o della tradizione, era stata fondata, ed era tuttavia mantenuta dal poter arbitrario d’un monarca temporale. Poteano i loro avversari citar le parole de’ Padri del Concilio di Costantinopoli, i [p. 99 modifica]quali si dichiararono schiavi del Re, e poteano raccontare con maligna compiacenza, come l’Imperatore Marciano e la sua casta sposa avevano sovente dettato i decreti del Concilio di Calcedonia. Una fazion dominante ricorda continuamente il dovere della sommissione, ed è poi naturale del pari che i dissidenti sentano, e vogliano le massime della libertà. Sotto la verga della persecuzione i Nestoriani ed i Monofisiti divennero ribelli e fuggiaschi, e gli alleati di Roma, i più antichi e più utili, impararono a considerar l’Imperatore non come il Capo, ma come il nemico dei Cristiani. La lingua, quel gran principio d’unione e di separazione tra le varie tribù del genere umano, ben presto distinse definitivamente i Settari dell’Oriente con un segno particolare, che annichilò ogni commercio ed ogni speranza di riconciliazione. Il lungo dominio dei Greci, le colonie, e più di tutto l’eloquenza loro, aveano disseminato un idioma indubitatamente il più perfetto di quanti furono inventati dagli uomini; ma il grosso del popolo nella Siria e nell’Egitto usava tuttavia la lingua nazionale, con questa differenza però, che il cofto non si adoperava che dagli ignoranti e rozzi paesani del Nilo, mentre dai monti dell’Assiria al mar Rosso era il siriaco128 la lingua della [p. 100 modifica]poesia e della dialettica. La favella depravata e il falso saper dei Greci infettavano l’Armenia e l’Abissinia; e i barbari idiomi di quelle contrade, che poi rivissero negli studii dell’Europa moderna, non erano intelligibili per gli abitanti dell’Impero romano. Il siriaco e il cofto, l’armeno e l’etiopico sono consecrati nelle liturgie delle Chiese rispettive; e la lor teologia possiede versioni speciali129, scritture ed opere di quei Padri, la cui dottrina fece maggior fortuna colà. Dopo uno spazio di mille trecento sessant’anni, l’incendio della controversia suscitato da prima con una predica da Nestorio, arde tuttavia in fondo all’Oriente, e le comunioni nemiche mantengono sempre la fede e la disciplina dei fondatori. Nella più abbietta condizione d’ignoranza, di povertà e di servitù, i Nestoriani, e i Monofisiti negano la primazia spirituale di Roma, e sanno buon grado alla tolleranza de’ Turchi, che permettono ad essi di scomunicare da un lato S. Cirillo e il Concilio d’Efeso, dall’altro Papa Leone e il Concilio di Calcedonia. L’aver essi contribuito al tracollo dell’Impero d’Oriente vuol pure qualche narrativa particolare. Il lettore potrà dare con piacere un’occhiata 1. ai Nestoriani, 2. ai Giacobiti130 3. ai Maroniti 4. agli Armeni 5. ai Cofti [p. 101 modifica]e 6. agli Abissinii. Le prime tre Sette parlano il siriaco, ma ognuna delle tre ultime usa l’idioma della sua nazione. Gli abitanti moderni per altro dell’Armenia e dell’Abissinia sermocinar non potrebbero coi lor antenati, e i Cristiani dell’Egitto e della Siria, che ricusano la religione degli Arabi ne hanno accettata la lingua. Il tempo ha secondati gli artifizi dei preti, e tanto in Oriente che in Occidente si parla colla Divinità una lingua morta, dal maggior numero dei Fedeli ignorata.

I. L’eresia dello sciagurato Nestorio andò presto dimenticata nella provincia che gli avea dato i natali, e nella sua diocesi ancora: que’ Vescovi d’Oriente che nel Concilio d’Efeso osarono attaccare apertamente l’arroganza di S. Cirillo si ammansarono tosto che il Prelato rinunciò di poi ad alcuna delle sue proposizioni. Questi Vescovi, o i successori loro sottoscrissero non senza mormorare i decreti del Concilio di Calcedonia. Potè l’autorità dei Monofisiti rappattumare i Nestoriani coi Cattolici e congiungere le due parti negli odii stessi, negli stessi interessi, e a poco a poco nei dommi medesimi, e la disputa dei tre Capitoli fu un momento in cui [p. 102 modifica]mandarono di mala voglia l’ultimo sospiro. Da leggi penali furono schiacciati que’ lor fratelli, che men moderati, o più leali non vollero far causa comune coi Cattolici, e sin dal tempo di Giustiniano era difficile rinvenire nei confini dell’Impero una chiesa di Nestoriani. Al di là di que’ confini scoperto avevano un nuovo Mondo, ove sperare libertà, e aspirare a conquiste. Con tutta la resistenza dei Magi aveva il Cristianesimo gettate in Persia radici profonde; e le nazioni dell’Oriente si riposavano alla sua ombra salutare. Il Cattolico o primate risedeva nella capitale; i suoi Metropolitani, i suoi Vescovi, il suo clero avevano nei Sinodi e nelle diocesi loro la pompa e l’ordinanza d’una gerarchia regolare; da gran numero di proseliti fu abbandonato lo Zendavesta per l’Evangelo, la vita secolare per la monastica; era avvivato il loro zelo dalla presenza d’un nemico scaltro, e terribile. Fondatori della Chiesa persiana erano stati alcuni missionari della Siria; quindi la lingua, la disciplina, la dottrina del lor paese erano già una parte inerente della sua costituzione. I primati erano eletti ed ordinati dai suffraganei; ma provano i Canoni della Chiesa d’Oriente la lor filiale dependenza verso i Patriarchi d’Antiochia131. Nuove genera[p. 103 modifica]zioni di fedeli s’andavan formando nella scuola persiana d’Edessa al loro idioma teologico132: studiavan esse nella versione siriaca i diecimila volumi di Teodoro di Mopsuste, e rispettavano la Fede apostolica, e il santo martirio del suo discepolo Nestorio, la persona e la lingua del quale erano sconosciute alle nazioni che abitavano al di là del Tigri. Alla prima lezione di Ibas, vescovo d’Edessa, s’impresse nell’animo loro un ribrezzo indelebile contro gli empi Egiziani, che nel lor Concilio d’Efeso aveano confuse le due Nature di Gesù Cristo. La fuga dei maestri e degli alunni, espulsi due volte dall’Atene della Siria, disperse una turba di missionari, spinti ad un tempo dallo zelo di religione, e dalla vendetta. Quella rigorosa unità sostenuta dai Monofisiti che, regnando Zenone ed Anastasio, invasi aveano i troni dell’Oriente, provocò i loro antagonisti a riconoscere in una terra libera piuttosto una union morale, che una union fisica nelle due Persone del Cristo. Dopo l’epoca in cui s’era predicato l’Evangelo alle nazioni, i Re sassaniesi vedean con inquietudine e con diffidenza una razza di stranieri e [p. 104 modifica]apostati, che poteano dar sospetto di favoreggiare la causa dei nemici naturali del lor paese, come ne aveano abbracciata la religione. Soventi volte s’era proibito per via d’editti il lor commercio col clero di Siria; piacquero gli avanzamenti dello scisma all’orgoglio geloso di Perozes, il quale porse orecchia ai discorsi d’uno scaltro Prelato, che dipingendogli Nestorio come amico della Persia, l’indusse ad assicurarsi della fedeltà dei sudditi cristiani, mostrandosi protettore delle vittime e dei nemici del despota romano. Erano i Nestoriani la parte più numerosa del clero e del popolo; presero coraggio dal favore del principe, e il despotismo mise in loro mano la sua spada; ma taluni, troppo deboli di spirito, furono sgomentati dall’idea di segregarsi dalla comunione del Mondo cristiano.  [A. D. 500] Il sangue di settemila settecento Monofisiti o Cattolici fissò l’uniformità della fede e della disciplina nelle Chiese di Persia133. Le loro instituzioni religiose si segnalavano con una massima di ragione, o almen di politica; s’era già rilassata l’autorità claustrale, e cadde a poco a poco; si dotarono case di carità, le quali ebbero cura dell’educazione degli orfani e degli esposti; il clero della Persia non volle la legge del celibato, tanto raccomandata ai Greci ed ai Latini, [p. 105 modifica]e i matrimonii approvati e reiterati dei sacerdoti, dei Vescovi, e del Patriarca medesimo crebbero notabilmente il numero degli eletti. Giunsero fuorusciti a migliaia da tutte le province dell’impero d’Oriente a quel paese, fatto asilo della libertà naturale e religiosa. La scrupolosa devozione di Giustiniano fu punita coll’emigrazione de’ suoi sudditi più industriosi, i quali trasportarono in Persia le arti guerresche e pacifiche, ed un accorto monarca innalzò alle cariche coloro che per merito erano raccomandati al suo favore. Quei disgraziati Settarii che stando sconosciuti aveano continuato a vivere nelle loro città native, coi consigli, col braccio, e cogli averi loro, diedero aiuto alle armi di Nuschirvan, e a quelle ancor più formidabili del suo nipote, e in guiderdone di tanto zelo ottennero le chiese dei Cattolici: ma quando ebbe Eraclio riconquistate quelle città e quelle chiese, conosciuti ormai per ribelli, e per eretici, non trovarono più altro rifugio, che gli Stati del loro alleato. In quel mentre la apparente tranquillità dei Nestoriani corse assai rischi, e fu turbata più volte; ed essi parteciparono alle disgrazie ch’erano necessarie conseguenze del dispotismo orientale. Non bastò sempre la nimicizia che portavano a Roma per espiare il loro attaccamento al Vangelo; ed una colonia di trecentomila Giacobiti fatti prigionieri in Apamea e in Antiochia ebbe la permissione d’innalzare i suoi altari nemici a veggente del Cattolico, e sotto la protezione della Corte. Nell’ultimo suo trattato inserì Giustiniano parecchi articoli diretti ad estendere e a rafforzare la tolleranza di cui godeva il Cristianesimo nella Persia. Mal informato l’Imperatore dei diritti di coscienza, non sen[p. 106 modifica]tiva nè pietà, nè stima per gli eretici che rifiutavano l’autorità dei santi Concilii; ma davasi a credere che potrebbero a poco a poco osservare i vantaggi temporali dell’unione coll’impero e colla chiesa di Roma; e se non gli venia fatto d’ottenerne gratitudine, sperava almeno di renderli al lor Sovrano sospetti. In un’epoca più recente s’è veduta la superstizione e la politica del Re cristianissimo condannare al fuoco i Luterani in Parigi e proteggerli in Alemagna.

[A. D. 500 1210] Il desiderio di guadagnare anime a Dio, e sudditi alla Chiesa, ha in ogni tempo solleticato lo zelo dei sacerdoti cristiani. Dopo il conquisto della Persia portarono le lor armi spirituali nell’Oriente, nel Settentrione, nel Mezzogiorno, e la semplicità dell’Evangelo prese le tinte della teologia siriaca. Se prestisi fede a un viaggiator nestoriano134, si pre[p. 107 modifica]dicò con frutto il Cristianesimo nel sesto secolo ai Battriani, agli Unni, ai Persiani, agli Indiani, ai Persameni, ai Medi e agli Elamiti; infinito era il numero delle chiese che si vedeano nei paesi dei Barbari dal golfo di Persia al mar Caspio, e diveniva notabile la nuova fede di costoro per la moltitudine e santità dei lor monaci e dei lor martiri. Venivan moltiplicandosi di giorno in giorno i Cristiani sulla costa del Malabar, sì fertile di pepe, e nelle isole di Socotora e di Ceylan: i Vescovi e il clero di quelle remote contrade ricevevano l’Ordinazione dal Cattolico di Babilonia. Un secolo dopo, lo zelo de’ Nestoriani passò i confini, ove s’erano fermati l’ambizione e la curiosità de’ Greci e de’ Persiani. I Missionari di Balch e di Samarcanda vennero animosi dietro i passi del Tartaro vagabondo, e s’introdussero nelle vallate dell’Imaus e nelle spiagge del Selinga. Andarono esponendo dommi metafisici a quei pastori ignoranti, e a que’ guerrieri sanguinari raccomandarono l’umanità e la quiete. Vuolsi per altro, che un Rhan, di cui si esagerò in guisa ridicola la potenza, ricevesse dalle mani loro il Battesimo ed anche gli Ordini sacri, e lungamente la fama del prete Gianni ha divertito la credulità europea135. Fu [p. 108 modifica]permesso a questo augusto Neofito di valersi d’un altar portatile; ma egli fece chiedere al Patriarca per mezzo d’ambasciatori come potrebbe mai nella quaresima astenersi de’ cibi animali, e come celebrar l’Eucaristia in un deserto che non produceva nè grano nè vino. I Nestoriani ne’ loro viaggi per mare e per terra penetrarono nella Cina pel porto di Canton e per la città di Sigan, più settentrionale, residenza del sovrano. Ben diversi dai Senatori romani, che faceano ridendo la parte di sacerdoti e di auguri, i Mandarini che affettano in pubblico la ragione dei Filosofi, si abbandonano in secreto ad ogni sorta di superstizion popolare. Confondevano essi nel proprio culto gli Dei della Palestina con quei dell’India; ma la propagazion del Cristianesimo destò inquietudine al governo, e dopo una breve vicenda di favore e di persecuzione smarrissi la Setta straniera nell’oscurità e nella dimenticanza136. Sotto il regno da’ Califi la Chiesa de’ Nestoriani si dilatò dalla Cina a Gerusalemme, e a Cipro, e si calcolò, che il numero delle Chiese nestoriane e giacobite supe- [p. 109 modifica]rava quello delle Chiese greche e latine137. Venticinque Metropolitani o arcivescovi ne componevano la gerarchia, ma per cagion della distanza e dei rischi del viaggio furono dispensati parecchi dall’obbligo di presentarsi in persona colla condizione, facile da adempirsi, che ogni sei anni darebbero un attestazione della lor fede ed obbedienza al Cattolico o patriarca di Babilonia, denominazione indeterminata, che successivamente si diede alle residenze reali di Seleucia, di Ctesifone e di Bagdad. Queste palme lontane son già disseccate da lungo tempo, e l’antico trono patriarcale138 oggi è diviso fra gli Elijah di Mosul, i quali quasi in linea retta figurano la discendenza dei Patriarchi della primitiva chiesa, fra i Gioseffi d’Amida, riconciliatisi colla Chiesa di Roma139, e i Simeoni di Van o di Ormia, che in numero di quarantamila famiglie nel sedicesimo secolo si ribellarono, e favoreggiati furono dai Sofì della Persia. Oggi si contano in tutto trecentomila Nestoriani, che mal si confusero nella denominazione [p. 110 modifica]di Caldei e di Assirii colla nazion la più istruita, e la più poderosa dell’Orientale antichità.

[A. D. 883] Stando alla leggenda dell’antichità, S. Tommaso predicò l’Evangelo nell’India140. Sulla fine del nono secolo, gli ambasciatori d’Alfredo fecero una devota visita alla sua tomba, situata forse nei dintorni di Madras, e il carico di perle e di spezie che ne riportarono compensò lo zelo del Monarca inglese, che aveva in mente i più vasti disegni di commercio e di scoperte141. Quando fu dai Portoghesi aperta la [p. 111 modifica]strada dell’India, già da due secoli aveano stanza i Cristiani di S. Tommaso sulla costa del Malabar; e la differenza di carattere e di colore, che li distingueva dagli abitatori del paese, era una prova della mescolanza d’una razza straniera. Essi superarono gli originarii dell’Indostan nell’armi, nell’arti della pace, e per avventura anche nelle virtù. Quelli che arricchivano coll’agricoltura coltivavano le palme, e il traffico del pepe facea doviziosi i mercadanti; i soldati precedeano i Nair o nobili del Malabar, e il re di Cochino, il Zamorino stesso, o per gratitudine, o per timore ne rispettavano i privilegi ereditari; obbedivano a un sovrano Gentù; ma il Vescovo di Angamala anche pel temporale n’era il governatore. Egli continuava a sostenere i diritti del suo antico titolo di metropolitano dell’Indie; ma era ristretta la sua giurisdizione di fatto a mille e quattrocento chiese e a dugentomila anime.  [A. D. 1500 ec.] Costoro per la religione che professavano, divenuti sarebbero i più fermi e più amorevoli alleati dei Portoghesi; ma ben presto scorsero gl’Inquisitori fra i Cristiani di S. Tommaso lo scisma e l’eresia, delitti imperdonabili per essi. Invece di sottomettersi al Pontefice di Roma, sovrano temporale e spirituale di tutto il Globo, i Cristiani dell’India, come i loro antenati, aderirono alla comunione del Patriarca nestoriano; e i Vescovi ch’egli ordinava a Mosul, si esponevano per mare e per terra ad infiniti pericoli per giungere alle loro diocesi sulla costa del Malabar. Nella lor liturgia in lingua siriaca eran devotamente rammentati i nomi di Teodoro e di Nestorio; univano nell’adorazione le due Persone del Cristo: il titolo di Madre di Dio feriva le loro orecchie, e con una scru[p. 112 modifica]polosa avarizia misuravano gli omaggi per la Vergine Maria, dalla superstizione de’ Latini elevata quasi al grado d’una Dea142. Quando la prima volta fu presentata la sua immagine ai Discepoli di S. Tommaso, sdegnosamente143 esclamarono: „Noi siam Cristiani e non idolatri!„ e la lor divozione più semplice si tenne alla venerazion della Croce. Segregati dall’Occidente, essi ignoravano, fra i migliora[p. 113 modifica]menti, ciò che la corruttela non avea potuto produrre per uno spazio di mille anni; e la lor conformità colla Fede e colle pratiche del quinto secolo debbe imbrogliare del pari i papisti ed i protestanti. Il primo pensiero dei ministri di Roma fu la cura d’interdire ad essi ogni commercio col Patriarca nestoriano, e parecchi di que’ Vescovi morirono nelle prigioni del S. Uffizio. La potenza dei Portoghesi, gli artificii dei Gesuiti, e lo zelo di Alessio di Menezes, Arcivescovo di Goa, andato a visitare la costa di Malabar, assalirono questa greggia, privata de’ suoi pastori. Dal Sinodo di Diamper, al quale Menezes presedette, fu adempiuta la santa opera dell’unione, e fu imposta ai Cristiani di S. Tommaso la dottrina e la disciplina della Chiesa romana, senza dimenticare la confessione auricolare, stromento il più potente della tirannide ecclesiastica144. Vi fu condannata la dottrina di Teodoro e di Nestorio, e fu ridotto il Malabar sotto il dominio del Papa, del Primate, e dei Gesuiti, che usurparono la cattedra vescovile di Angamala o Cranganor. Sostennero pazientemente i Nestoriani dodici lustri di servitù e d’ipocrisia; ma non così tosto l’industria e il coraggio delle Province [p. 114 modifica]Unite ebbero dato il crollo all’impero de’ Portoghesi, difesero quelli con energia e con frutto la religion dei lor padri. Divennero impotenti i Gesuiti a mantenere l’autorità, di che aveano fatto abuso; quarantamila Cristiani rivolsero l’armi contro oppressori arrivati nel punto della caduta di quelli; e l’Arcidiacono dell’India sostenne le incombenze episcopali sino a tanto che dal Patriarca di Babilonia venne mandata una nuova provvigione di Vescovi e di Missionari siriaci. Da che furono espulsi i Portoghesi liberamente si professa sulla costa di Malabar il Simbolo nestoriano. Le compagnie mercantili dell’Olanda e dell’Inghilterra amano la tolleranza; ma se l’oppressione non offende tanto quanto il disprezzo, han motivo i Cristiani di S. Tommaso di lagnarsi della fredda indifferenza degli Europei145.

II. La storia dei Monofisiti è meno lunga, e meno importante di quella de’ Nestoriani. Sotto i regni di Zenone e d’Anastasio, i loro Capi sorpresero la fiducia del principe, usurparono il trono ecclesiastico dell’Oriente, atterrarono la scuola di Siria nella sua terra natale. Severo, Patriarca d’Antiochia, colla più arguta sottigliezza determinò i dommi dei Monofisiti; nello stile dell’Ennotico, condannò le opposte eresie di Nestorio, e d’Eutiche; contro l’ultimo sostenne [p. 115 modifica]la realtà del corpo del Cristo, e forzò i Greci a considerarlo come un bugiardo che parlava il vero146. Ma l’approssimazion delle idee non valeva a mitigar la veemenza delle passioni: ogni Setta faceva le maggiori meraviglie del Mondo per la cecità, con che la contraria andava a disputare su differenze di sì poco momento; il tiranno della Siria ricorse alla forza per sostenere la sua credenza, e fu macchiato il suo regno dal sangue di trecento cinquanta monaci svenati sotto le mura di Apamea, i quali probabilmente aveano provocato i nemici, o per lo meno fatta resistenza147.  [A. D. 518] Il successor d’Anastasio piantò di nuovo in Oriente il vessillo dell’Ortodossia; fuggì Severo in Egitto, e l’eloquente Senaia148, suo amico, scampato di [p. 116 modifica]mano ai Nestoriani della Persia, fu soffocato nel suo esilio dai Melchiti della Paflagonia. Cinquantaquattro Vescovi furono rovesciati dalle loro sedi, e imprigionati ottocento ecclesiastici149; e, nonostante l’equivoco favore di Teodora, dovettero le chiese dell’Oriente orbate dei lor pastori perire a poco a poco per difetto d’istruzione, o per l’alterazione dei loro dommi. In mezzo a tanta angustia, ridestatasi la fazione moribonda, si riunì, e si perpetuò per opera d’un monaco; ed il nome di Giacomo Baradeo150 è rimasto nella denominazione comune di Giacobita, tanto aspra ad un orecchio inglese. Dai santi Vescovi incarcerati in Costantinopoli, ricevette l’autorità di Vescovo d’Edessa, e di apostolo dell’Oriente, e da quella fonte inesausta derivò l’Ordinazione di più d’ottantamila di vescovi, preti o diaconi. I più veloci dromedari d’un devoto Capo degli Arabi assecondavano con rapido scorrerie l’ardore del missionario zelante. La dottrina e la disciplina dei Giaco[p. 117 modifica]biti si radicarono secretamente nel dominii di Giustiniano, ed era un dovere d’ogni Giacobita violarne le leggi, e detestare il Legislatore. Appiattati dentro i conventi, e ne’ villaggi, costretti per salvare le lor teste proscritte a cercar asilo nelle caverne dei romiti, o nelle tende dei Saracini, sostenevano sempre, come oggi tuttavia i successori di Severo, il lor dritto al titolo, alla dignità, ed alle prerogative di Patriarca d’Antiochia. Sotto il giogo più lieve degli Infedeli risiedono, lungi una lega da Merdino, nel delizioso monastero di Zafaran, ch’essi hanno ornato di celle, d’acquedotti, e di piantagioni. Il Mafrian che soggiorna a Mosul, dova insulta il Cattolico o primate Nestoriano, a cui contende il primato dell’Oriente, tiene il secondo posto considerato tuttavia come assai decoroso. Ne’ diversi tempi della Chiesa giacobita si contarono sino a cencinquanta Arcivescovi o Vescovi sotto il Patriarca ed il Mafrian; ma l’ordine della gerarchia s’è guasto, o rotto, e i contorni dell’Eufrate e del Tigri forman la più gran parte delle loro diocesi. Si trovano ricchi mercadanti e bravi operai nelle città d’Aleppo e d’Amida, spesso visitate dal Patriarca; ma il popolo vive miserabilmente del lavoro giornaliero, e ha potuto la povertà non meno della superstizione contribuire alla imposizione volontaria di digiuni eccessivi; osservano ogni anno cinque quaresime, nel qual tempo e il clero e i laici non solo s’astengono dalla carne e dalle uova, ma ben anche dal vino, dall’olio e dal pesce. Si calcola la lor popolazione presente da cinquanta in ottantamila anime, misero avanzo d’una Chiesa numerosissima, scemata gradatamente sotto una tirannia di dodici secoli. Ma in sì lungo pe[p. 118 modifica]riodo da parecchi stranieri, uomini di merito, fu abbracciata la Setta dei Monofisiti, e Abulfaragio151, Primate dell’Oriente, tanto notabile per la vita e per la morte sua, era figlio di un Giudeo. Scriveva elegantemente il siriaco e l’arabo; fu poeta, medico, storico, filosofo sagace, e teologo moderato. Ai suoi funerali assistè il Patriarca nestoriano, suo rivale, con gran seguito di Greci e d’Armeni, i quali poste in non cale le dispute, vennero a mescer le loro lagrime sulle ceneri d’un nemico. Sembrava per altro che la Setta onorata dalle virtù d’Abulfaragio fosse riguardata come inferiore d’un grado a quella dei Nestoriani. È più abbietta la superstizione dei Giacobiti, più rigidi ne sono i digiuni152, più molteplici le divisioni intestine, e (per quanto si può misurare la scala dell’assurdità) più lontani dalla ragione dei loro dottori. A questa differenza contribuisce, senza dubbio, la severità della teologia dei Monofisiti; ma molto più probabilmente l’autorevole direzione dei monaci. Nella Siria, in Egitto, in Etiopia i Monaci giacobiti furono sempre singolari per austerità di mortificazioni e per la stravaganza delle loro leggende. In vita e in morte sono venerati [p. 119 modifica]come uomini favoriti della Divinità: il Pastorale di Vescovo e di Patriarca è riservato alla lor mano reverenda, e infetti ancora delle consuetudini e dei pregiudizi del chiostro, si prendono l’incarico di governare gli uomini153.

III. Nello stile de’ Cristiani dell’Oriente furono i Monoteliti in tutti i sensi dal nome contraddistinti di Maroniti154, nome che a poco a poco passò da un eremita a un monastero, da un monastero ad una nazione. La Siria fu il paese, ove Marone, santo o selvaggio del quinto secolo, espose la religiosa stravaganza; le città di Apamea e di Emesa se ne contesero le reliquie; su la sua tomba s’innalzò una magnifica Chiesa, e seicento de’ suoi discepoli congiunsero le loro celle sulle rive dell’Oronte. Nelle controversie dell’Incarnazione si tennero scrupolosamente sulla linea ortodossa tra le Sette di Nestorio e d’Eutiche; ma i loro ozii produssero la malnata quistione d’una volontà o d’una operazione nelle due Nature di Cristo. L’Imperatore Eraclio, loro proselita, respinto come Maronita dalle mura della [p. 120 modifica]città di Emesa, trovò un ricovero ne’ monasteri dei suoi fratelli, e ne premiò le lezioni teologiche col guiderdone di vasto e ricco demanio. Si propagò il nome e la dottrina di questa ragguardevole scuola fra i Greci ed i Sirii, e si può far giudizio del loro zelo dalla risoluzion di Macario, Patriarca antiocheno, il quale davanti il Concilio di Costantinopoli dichiarò, che si lascerebbe tagliare a pezzi, e gettare in mare, piuttosto che riconoscere due Volontà in Cristo155. Persecuzione di tal fatta, o altra più moderata, valse a convertire ben presto i sudditi della pianura, mentre i robusti popolani del monte Libano si gloriavano del titolo di Mardaiti o di ribelli156. Giovan Marone, di tutti i monaci il più dotto e il più amato dal popolo, si arrogò le facoltà del Patriarca d’Antiochia: Abramo, suo nipote, fattosi Capo dei Maroniti, ne difese la libertà civile e religiosa contro i tiranni dell’Oriente. Il figlio dell’ortodosso Costantino con un santo rancore perseguitò un popolo di soldati, che avrebbero potuto essere il baluardo del suo impero contro i nemici di Gesù Cristo e di Roma. Fu invasa la Siria da un [p. 121 modifica]esercito di Greci; consunsero le fiamme il monastero di San Marone; i più prodi capitani della Setta furono traditi e assassinati, e dodicimila dei loro partigiani furono tratti sulle frontiere dell’Armenia e della Tracia. Ciò nonostante l’umile Setta dei Maroniti ha sopravvissuto all’impero di Costantinopoli, e la loro coscienza sotto i Turchi è libera, moderata la servitù. Fra i loro Nobili antichi sono scelti i lor governatori particolari; dal fondo del suo monastero di Canobin, crede tuttavia il Patriarca d’essere assiso sulla sede d’Antiochia; nove Vescovi ne compongono il Sinodo, e centocinquanta sacerdoti, che hanno la facoltà di maritarsi, son destinati alla cura di centomil’anime. S’estende il lor paese dalla catena del monte Libano sino alle coste di Tripoli; e in questa angusta striscia di territorio, con una degradazione insensibile si offrono al guardo tutte le varietà del suolo e del clima, dai grandi cedri che non curvano il capo sotto il peso delle nevi157, sino ai vigneti, ai gelsi e agli olivi della [p. 122 modifica]fertile vallata. I Maroniti, dopo aver abiurato nel duodicesimo secolo l’error de’ Monoteliti si riconciliarono colle Chiese latine d’Antiochia e di Roma158, e soventi volte l’ambizione dei Papi, non che la miseria dei Cristiani della Siria rinnovellarono la stessa alleanza; ma è lecito dubitare, se questa riunione sia mai stata intera o leale, e indarno i dotti Maroniti del Collegio di Roma fecero il potere per assolvere i loro antenati dal delitto di scisma e di eresia159.

IV. Dal secolo di Costantino in poi si segnalarono gli Armeni160 nell’affetto per la religione e [p. 123 modifica]l’impero dei Cristiani. Dai disordini del lor paese, e dall’ignoranza della lingua greca fu impedito il loro clero d’assistere al Concilio di Calcedonia, e per ottantaquattr’anni161 stettero fluttuanti nell’incertezza o nell’indifferenza sino al giorno in cui la lor Fede senza guida li diede in mano ai missionari di Giuliano d’Alicarnasso162, il quale in Egitto, dove era esiliato, come i Monofisiti, era stato vinto dagli argomenti e dalla riputazione di Severo, suo rivale, Patriarca monofisita d’Antiochia. Gli Armeni soli sono i puri discepoli d’Eutiche, padre infelice, rinnegato dalla maggior parte de’ suoi figli. Quei soli stanno perseveranti nella opinione, che l’Umanità di Gesù Cristo fosse creata, o formata senza creazione, d’una sostanza divina ed incorruttibile. Sono rimproverati i loro avversari d’adorare un fantasma, ed essi ritorcono l’accusa, mettendo in ridicolo, o caricando di maledizioni la bestemmia dei Giacobiti, che attribuiscono a Dio le vili infermità della carne, e fino gli effetti naturali del nutrimento e della digestione. Non potea la religion dell’Armenia menar gran vanto del sapere, o della potenza de’ suoi abitanti. Spirò il regno fra loro nel principio del loro scisma, e quelli dei loro Re cristiani, che nel tredi[p. 124 modifica]cesimo secolo sulle frontiere della Cilicia fondarono una Monarchia momentanea, erano i protetti de’ Latini, e i vassalli del Soldano turco che dava leggi in Iconio. Non si permise lungamente a questa nazione abbandonata di goder la quiete della servitù. Dai primi tempi della sua storia sino al giorno d’oggi è stata l’Armenia il teatro d’una guerra perpetua. La crudele politica dei Sofì ha spopolate le terre fra Tauride ed Erivan; e famiglie cristiane a migliaia furono trapiantate nelle province più rimote della Persia a perire o a moltiplicare colà. Sotto la verga dell’oppressione sta imperterrito e fervido lo zelo degli Armeni; sovente preferirono la corona del martirio al turbante di Maometto: piamente detestano l’errore e l’idolatria de’ Greci, ed è tanto vera la loro unione effimera coi Latini, quanto il computo di mille Vescovi dal lor Patriarca condotti al piede del Pontefice romano163. Il Cattolico o Patriarca degli Armeni risede del monastero di Ekmiasin, tre leghe lontano da Erivan. Son da lui ordinati quarantasette Arcivescovi, ognuno de’ quali ha quattro o cinque suffraganei, ma per la maggior parte non sono che prelati titolari, che colla presenza e col servigio danno risalto alla semplice pompa della sua Corte. Come hanno adempiuto agli uffici ecclesiastici attendono a coltivare il giardino, e farà meraviglia ai nostri Vescovi l’intendere, che in proporzione [p. 125 modifica]della sublimità del grado cresce l’austerità della loro vita. Nelle ottantamila città o villaggi di quel governo spirituale riceve il Patriarca da ogni persona, che abbia compiuti i quindici anni, una picciola tassa volontaria; ma i seicentomila scudi, che ne ricava ogni anno, non bastano ai continui bisogni de’ poveri, nè ai tributi che si esigono dai Bascià. Dal principio dell’ultimo secolo ottennero gli Armeni una porzion considerevole e lucrosa del traffico dell’Oriente. Tornando d’Europa, sogliono le lor caravane arrestarsi nei dintorni d’Erivan; tributano agli altari i frutti della loro industriosa pazienza, e la dottrina d’Eutiche vien predicata alle congregazioni, che hanno formato da poco in qua nella Barberia e nella Polonia164.

V. Nelle altre parti dell’imperio poteva il principe annichilare, o ridurre al silenzio i Settarii di una dottrina creduta pericolosa; ma i testardi Egiziani si opposero mai sempre al Concilio di Calcedonia, e la politica di Giustiniano degnò adattarsi ad aspettare il momento in cui potesse giovarsi della lor discordia. La Chiesa monofisita d’Alessandria165 [p. 126 modifica]era lacerata dalla disputa dei corruttibili e degli incorruttibili, e nella morte del Patriarca ognuna delle due fazioni presentò un candidato166.  [A. D. 537-568] Gaiano era discepolo di Giuliano, e Teodosio avea ricevuto lezioni da Severo: i monaci e i senatori, la capitale e la provincia favorivano il primo; confidava il secondo nell’anteriorità della sua Ordinazione, nella grazia dell’Imperatrice Teodora, e nell’armi dell’eunuco Narsete, che avrebbe potuto farne miglior uso in una guerra più gloriosa. Il candidato del popolo fu confinato in Cartagine ed in Sardegna, e questo esilio crebbe il fermento degli animi, e cento settant’anni dopo il cominciamento dello scisma veneravano ancora i Gaianiti la memoria e la dottrina del lor fondatore. In un furioso e sanguinolento conflitto si vide la forza del numero cozzare con quella della disciplina; i cadaveri de’ cittadini e de’ soldati ingombrarono le strade della metropoli; le devote salivano sul tetto delle case, e scagliavano sul capo dal nemico tutto quello che di pesante o di tagliente veniva loro alle mani; e in fine trionfò Narsete perchè mise a fuoco e fiamme la terza capitale del Mondo romano.  [A. D. 538] Ma non piacque al luogotenente di Giustiniano, che cogliesse un eretico i frutti della sua vittoria; guari non andò che Teodosio fu deposto, sebbene con modi umani, e Paolo di Tanis, monaco ortodosso, fu innalzato alla sede di Sant’Atanasio. Acciocchè potesse sostenersi, fu armato di tutte le forze del governo; aveva la facoltà di nominare [p. 127 modifica]o rimovere i duchi e i tribuni d’Egitto; soppresse le distribuzioni di pane, ordinate da Diocleziano, chiuse i templi de’ suoi rivali, e una nazione scismatica rimase ad un tratto senza alimento spirituale e corporale. Dall’altra parte il popolo sospinto da vendetta e da fanatismo scomunicò quel tiranno; nessuno, eccettuati i servili Melchiti, non volle più salutarlo nè per uomo, nè per cristiano, nè per Vescovo.

[A. D. 551] Ma tale è la cecità dell’ambizione; cacciato per un’accusa d’omicidio, esibì mille e quattrocento marchi d’oro per ricuperare il suo posto, ove non raccolse che odio ed affronti. Apollinare, suo successore, entrò in Alessandria con un corteggio militare, parato e presto all’orazione ed alla battaglia. Distribuì i suoi armati per tutta la strada; furon collocate le guardie alle porte della cattedrale, e una truppa eletta venne posta in mezzo al coro per difesa della persona del suo Capo. Stavasi Apollinare in piedi nella sua cattedra, e, levato l’abito guerresco, comparve di repente agli occhi della moltitudine colla veste di Patriarca d’Alessandria. Lo stupore per un istante produsse un gran silenzio; ma come tosto Apollinare ebbe cominciato a leggere il tomo di San Leone, fu da imprecazioni, da invettive e da sassi assalito quest’odioso ministro dell’Imperatore e del Sinodo. Subitamente il successor degli Apostoli diede l’ordine di combattere; vuolsi che i soldati marciassero dentro il sangue sino al ginocchio, e che vi rimanessero svenati dugentomila Cristiani; calcolo incredibile, quand’anche si facesse non per una giornata, ma per li diciott’anni del pontificato d’Apollinare.  [A. D. 580] I due Patriarchi che gli succe[p. 128 modifica]dettero, Eulogio167 e Giovanni168, s’adoperarono a convertire gli eretici con armi ed argomenti più degni del loro evangelico ministero. Eulogio pose in mostra il suo sapere teologico in molti volumi, che esageravano gli errori di Eutiche e di Severo, e cercavano di conciliare le asserzioni equivoche di San Cirillo, del Simbolo ortodosso di Papa Leone e de’ Padri del Concilio calcedonese.  [A. D. 606] Mosso da superstizione, da beneficenza, o da politica si segnalò Giovanni il Limosiniere con una munificenza caritatevole; manteneva a sue spese settemila e cinquecento poveri; trovò, quando fu eletto, sedicimila marchi d’oro nell’erario della Chiesa; n’ebbe ventimila dalla generosità dei fedeli; eppure potè vantarsi nel testamento di non lasciar più d’un terzo della più picciola moneta d’argento. Le Chiese d’Alessandria furon consegnate ai Cattolici; fu proscritta la religion dei Monofisiti in Egitto, e fu pubblicata [p. 129 modifica]una legge, che escludeva i nativi del paese dagli onori, e dagli impieghi lucrosi dello Stato.

Rimaneva da farsi una conquista più rilevante, quella del Patriarca, oracolo e Capo della Chiesa egiziana. Aveva resistito Teodosio alle minacce e alle promesse di Giustiniano col coraggio d’un Apostolo, ovveramente d’un entusiasta. „Non furono diverse, rispose il Patriarca, le offerte del tentatore quando mostrava i reami della terra; a me sta più a cuore l’anima che la vita o l’autorità. Stanno le Chiese nelle mani d’un principe, che può uccidere il corpo; ma la mia coscienza è mia, e nell’esilio, nella povertà, nei ceppi resterò costantemente fedele alla credenza de’ miei santi predecessori Atanasio, Cirillo e Dioscoro. Anatema al tomo di Leone, e al Concilio di Calcedonia! anatema a chi ammette la lor dottrina! e adesso e per sempre sieno caricati d’anatemi! Io sono uscito nudo del seno di mia madre, nudo discenderò nel sepolcro; mi seguano coloro che amano Iddio e cercano la salute„. Dopo aver consolato e rincorato i suoi fratelli, salpò alla volta di Costantinopoli; e in sei abboccamenti successivi sostenne senza vacillare l’assalto quasi irresistibile della presenza del sovrano. Le sue opinioni eran favoreggiate nel palazzo e nella capitale; il credito di Teodora lo francheggiava e gli promettea un congedo decoroso; egli terminò la sua carriera, non già sulla cattedra episcopale, ma nel suo paese nativo. Alla nuova della sua morte, Apollinare spinse l’indecenza sino a farne festa in un divertimento dato alla Nobiltà ed al clero; ma fu turbata la sua allegrezza dalle nuove che presto ricevette della dominazione del successor di Teodosio; e mentre si [p. 130 modifica]godea le ricchezze d’Alessandria, i suoi rivali davano la legge entro i monasteri della Tebaide, ove campavano di obblazioni spontanee del Popolo. Morto Teodosio si vide nascere dalle sue ceneri una serie non interrotta di Patriarchi, e le Chiese monofisite di Siria e d’Egitto vennero collegate in una stessa comunione, e nel nome di Giacobiti; ma la dottrina che s’era concentrata in una picciola Setta dei Sirii, si propagò nella nazione egiziana, o cofta, la quale con voto quasi unanime rigettò i decreti del Concilio calcedonese. Volgeano dieci secoli da che l’Egitto non era più un regno, e i vincitori dell’Asia e dell’Europa avevano assoggettato al giogo un popolo, la sapienza e la potenza del quale sono anteriori ai monumenti della Storia. La lotta del fanatismo e della persecuzione vi ridestò qualche scintilla d’intrepidezza nazionale. Nell’abiurare un’eresia straniera repudiarono gli Egiziani i costumi e la favella dei Greci; ogni Mulchita è riguardato come un forestiero, ogni Giacobita come un cittadino. Dichiaravano peccato mortale le alleanze di matrimonio coi lor nemici, e l’esercizio dei doveri dell’umanità verso i medesimi; spezzarono i vincoli della fedeltà giurata all’Imperatore, il quale non potea, lontano da Alessandria, fare colà eseguire i suoi ordini in altro modo che col braccio militare. Con uno sforzo generoso si sarebbe restaurata la religione e la libertà dell’Egitto, e i suoi seicento monasteri avrebbero mandate migliaia di santi guerrieri che tanto meno temevano la morte, quanto che non avea la vita per essi nè consolazioni, nè piaceri; ma l’esperienza ha provato la distinzione che passa tra il coraggio attivo, e il coraggio passivo; il fanatico che senza mandar un so[p. 131 modifica]spiro, sostiene le più crudeli torture, sarebbe tutto tremante, o si darebbe alla fuga in faccia a un nemico armato. Gli Egiziani pusillanimi, siccome essi erano, restrignean le speranze a quella di cangiar padrone; l’armi di Cosroe disertarono il paese, ma sotto il suo regno godettero i Giacobiti una tregua precaria e che durò poco.  [A. D. 625-661] Colla vittoria d’Eraclio si rinnovellò e crebbe la persecuzione e il Patriarca abbandonò di bel nuovo Alessandria per riparare nel deserto. Mentre egli se ne fuggiva credette Beniamino udir una voce, che gli comandava d’attendere dopo dieci anni il soccorso d’una nazion forestiera, soggetta come gli Egiziani, all’antica legge della Circoncisione. Si vedrà in processo di tempo chi fossero questi liberatori, e quale la liberazione, e qui trapasso l’intervallo d’undici secoli per dare un’occhiata alla miseria presente dei Giacobiti dell’Egitto. La popolosa città del Cairo è la sede o piuttosto l’asilo del loro indigente Patriarca, e dei dieci Vescovi che hanno conservati: quaranta monasteri hanno sopravvissuto alle scorribande degli Arabi; e la sempre crescente schiavitù, non che l’apostasia ha ridotto i Cofti al meschino numero di venticinque o trentamila famiglie169, genìa di pal[p. 132 modifica]toni ignoranti, che non hanno altra consolazione che la vista della miseria anche maggiore del Patriarca greco, e del suo picciolo ovile170.

VI. Il Patriarca cofto, ribelle ai Cesari, o schiavo dei Califfi, poteva sempre insuperbirsi dell’ubbidienza figliale dei Re della Nubia e dell’Etiopia; ne esagerava egli la grandezza per pagarne l’omaggio; osavano i suoi partigiani asserire che quei principi poteano mettere in armi centomila cavalieri, e altrettanti camelli171; ch’eran padroni di spandere, o di fermare le acque del Nilo172, e che dalla mediazione [p. 133 modifica]del Patriarca dependevano la pace e l’abbondanza dell’Egitto, anche trattandosi di perorare presso un sovrano del Mondo. Mentre stava in esilio a Costantinopoli raccomandò Teodosio alla sua protettrice, la conversione del popolo nero della Nubia173. Dal tropico del Cancro fino alle frontiere d’Abissinia, potè l’Imperatore indovinare l’intenzion di sua moglie, e più zelante di lei per la Fede ortodossa volle partecipare a questa gloria. Due missionari rivali, un Melchita e un Giacobita, partirono ad un tempo; ma, fosse amore o timore, Teodora fu meglio obbedita, e il presidente della Tebaide ritenne presso di se il sacerdote cattolico, mentre in gran fretta furono battezzati nella comunion di Dioscoro il Re di Nubia, e la sua Corte. Giunto troppo tardi l’Inviato di Giustiniano, venne accolto e rimandato onorevolmente; ma quando denunciò l’eresia, e il tradimento degli Egiziani, il Neofito negro era già stato ammaestrato a rispondere, che mai non abbandonerebbe i suoi fratelli, i veri credenti, ai ministri persecutori del Concilio di Calcedonia174. Pel corso di vari secoli nominò il Patriarca d’Alessandria, ed ordinò i [p. 134 modifica]Vescovi della Nubia; vi dominò il cristianesimo fino al secolo duodecimo, e si scorgono ancora cerimonie ed avanzi di questa religione nelle borgate di Sennaar e di Dongola175. Ma i Nubii alla lunga mandarono ad effetto le lor minacce di ritornare al culto degli idoli; voleva il clima una religione che permettesse la poligamia, e quindi preferirono il trionfo del Korano all’umiliazion della Croce. Forse una religion metafisica supera l’intendimento d’un Popolo nero; si può per altro avvezzare un Nero non altrimenti che un papagallo a ripetere le parole del Simbolo di Calcedonia o di quello dei Monofisiti.

[A. D. 550 ec.] Erasi già più profondamente radicato il cristianesimo nell’Impero d’Abissinia, e quantunque sia stata interrotta la corrispondenza per più di settanta o di cento anni, quella Chiesa sta sempre sotto la tutela della metropoli d’Alessandria. Di sette vescovi era composto per l’addietro il Sinodo etiopico; se fossero stati dieci costantemente, avrebbero potuto eleggersi un primato independente; venne in capo ad uno dei loro re di dare ad un suo fratello questo primato, ma si previde la cosa, e fu ricusata la fondazione di tre nuovi vescovadi; a poco le incumbenze epi[p. 135 modifica]scopali si sono concentrate nell’Abuna176 o Capo de’ sacerdoti dell’Abissinia ordinati da lui: vacando questo posto, il Patriarca d’Alessandria nomina ad occuparlo un monaco egiziano, avvegnacchè un forestiero investito di quella dignità sembra agli occhi del volgo più rispettabile, e meno pericoloso a quei del monarca. Quando nel sesto secolo si palesò apertamente lo scisma d’Egitto, i Capi rivali, coll’assistenza de’ lor protettori Giustiniano e Teodora, fecero ogni potere per rapire l’uno all’altro il conquisto di quella provincia remota ed independente. Anche questa volta la scaltrezza dell’Imperatrice vinse la pruova, e la pia Teodora stabilì in quella Chiesa lontana la fede e la disciplina de’ Giacobiti177. Circondati per ogni lato da’ nemici della loro religione, sonnecchiarono gli Etiopi quasi per dieci secoli, senza pensare al rimanente del Mondo, che non pensava a loro.  [A. D. 1525 1550 ec.] Furono svegliati da’ Portoghesi, che dopo avere superato il promontorio meridionale dell’Affrica comparvero nell’India, e sul mar Rosso come se discesi fossero da un pianeta lontano. A prima giunta i [p. 136 modifica]sudditi di Roma, e que’ d’Alessandria rimasero sorpresi più dalla conformità che dalle differenze della lor fede, e ognuna delle due nazioni sperò grandissimi vantaggi da un’alleanza con genti cristiane. Gli Etiopi disgiunti dagli altri popoli della terra erano quasi tornati alla vita selvaggia. I loro navili che un tempo approdavano a Ceilan, appena osavano tentare le riviere dell’Affrica: non più vedevansi abitatori in Axum già rovinata, la nazione era dispersa ne’ villaggi, e il gran personaggio, pomposamente decorato del titolo d’Imperatore, stava in pace ed in guerra contento d’un campo renduto immobile. Sentendo la lor miseria, avevano saggiamente avvisato gli Abissinii d’introdurre le arti, e l’industria europea178, e ordinarono a’ loro ambasciatori in Roma e in Lisbona di spedire colà una colonia, di fabbri ferrai, di carpentieri, di fornaciai, di muratori, di stampatori, di chirurghi, di medici; ma dal pericolo pubblico furono sollecitati a cercare un pronto soccorso d’armi e soldati per difesa d’un popolo pacifico contro i Barbari che portavano il guasto nel cuor del paese, e contro i Turchi o gli Arabi, che con formidabile apparecchio s’avanzavano dalle rive del mare. Fu salva l’Etiopia mercè dell’aiuto di quattrocento cinquanta Portoghesi i quali dimostrarono combattendo quel valore che è proprio degli Europei, e la potenza dell’archibugio e del cannone. In un accesso [p. 137 modifica]di spavento avea promesso l’Imperatore di riunirsi co’ sudditi alla Fede cattolica; un Patriarca latino rappresentò il Primato del Papa179: credevasi che quell’Impero supposto dieci volte più grande di quello che fosse, racchiudesse più oro che non le miniere d’America, e la cupidigia non che lo zelo religioso fondarono speranze stravaganti sopra la spontanea sommessione de’ Cristiani dell’Affrica.

[A. D. 1557] Ma riavutosi dal timore, non si sovvenne più dei giuramenti fatti coll’animo addolorato. Vietarono gli Abissinii con una costanza invitta la dottrina de’ Monofisiti: coll’esercizio della disputa si riscaldò la lor Fede alquanto intiepidita; infamarono co’ nomi d’Ariani, e di Nestoriani i Latini; e rimproverarono come adoratori di quattro Iddii coloro, che separavano le due Nature di Gesù Cristo. Fu assegnata a missionari gesuiti la borgata di Fremona per gli ufficii del loro culto, o piuttosto per un luogo d’esilio, nulla giovando a farli stimabili l’abilità che avevano nell’arti liberali e meccaniche, la loro dottrina nelle materie teologiche, la decenza de’ costumi: mancavano del dono de’ miracoli180, e mai non venne lor [p. 138 modifica]fatto d’ottenere un sussidio di soldatesche europee. Dopo quarant’anni di pazienza e di destrezza furono da tanto che trovarono chi prestò più facile orecchia, e valsero a persuadere a due Imperatori d’Abissinia che Roma poteva fare in questo Mondo e nell’altro la felicità de’ suoi aderenti. Il primo di que’ re neofiti perdè la corona e la vita, e fu santificato l’esercito ribelle dall’Abuna, il quale fulminò d’anatemi l’apostata, e sciolse i sudditi dal giuramento di fedeltà. Zadengher fu vendicato dal coraggio e dalla fortuna di Susneo, che salì al trono col nome di Segued, e che proseguì più vigorosamente la devota impresa del suo congiunto. L’Imperatore dopo essersi divertito in una lotta d’argomentazioni fra i gesuiti e i suoi sacerdoti inesperti, si dichiarò proselita del Concilio di Calcedonia; credendo che il suo clero, e il suo popolo avrebbero immediatamente abbracciata la religione del principe.  [A. D. 1626] Ordinò poco dopo sotto pena di morte che si credesse alle due Nature di Cristo: ingiunse agli Abissinii di passare la giornata del Sabato o in lavori, o in divertimenti; e Segued, al cospetto dell’Europa e dell’Affrica, rinunciò ad ogni vincolo che aveva colla Chiesa d’Alessandria. Un gesuita, Alfonso Mendez, Patriarca cattolico dell’Etiopia, ricevette in nome d’Urbano VIII l’omaggio e l’abiura del suo penitente. „Io confesso, disse l’Imperator ginocchione, confesso che il Papa è il vicario di Gesù Cristo, il successore di San Pietro, il sovrano del Mondo; gli giuro verace obbedienza, e [p. 139 modifica]pongo a’ suoi piedi la mia persona e il mio regno„. Suo figlio, suo fratello, il clero, i nobili, ed anche le donne della Corte, ripeterono lo stesso giuramento; vennero profusi al Patriarca latino onori e ricchezze, e i suoi missionari piantarono le loro chiese, o piuttosto cittadelle, nelle migliori situazioni dell’Impero. Da que’ gesuiti medesimi si deplora la funesta imprudenza del loro Capo, il quale non curando la mansuetudine Evangelica, e la politica del suo Ordine, con troppa violenza osò introdurre colà la liturgia di Roma, e l’inquisizione del Portogallo. Condannò egli la vecchia pratica della Circoncisione, instituita per motivi di salute piuttosto che di superstizione nel clima d’Etiopia181. Obbligò i nativi del paese ad un nuovo Battesimo ed a una nuova Ordinazione: inorridirono questi vedendo un prete estero che levava dalle tombe i più santi de’ loro morti, e scomunicava i più rispettabili de’ lor viventi. Diedero di piglio alle armi per difendere la propria religione e la libertà, e si segnalarono con un va[p. 140 modifica]da disperati, ma senza pro. Cinque ribellioni furono soffocate nel sangue de’ ribelli; due Abuna caddero morti in battaglia; intere legioni furono trucidate nel campo, o sepolte nelle loro caverne, e il merito, la dignità, il sesso non poterono sottrarre i nemici di Roma da una morte ignominiosa; ma finalmente il monarca vincitore si lasciò vincere dalla costanza della sua nazione, di sua madre, del figlio, degli amici più fedeli. Ascoltò Segued la voce della pietà, della ragione, e forse del timore, e l’editto che concedeva la libertà di coscienza svelò la tirannide a un’ora e la debolezza de’ Gesuiti. Basilide, morto che fu suo padre, cacciò il Patriarca latino, e ridonò al voto della nazione la Fede e la disciplina dell’Egitto.  [A. D. 1632] Le chiese monofisite ripeterono trionfando, „che la greggia d’Etiopia era finalmente ritolta alle iene dell’Occidente„; e da quel giorno le porte di quel Regno romito furono per sempre chiuse alle arti, alle scienza, e al fanatismo dell’Europa182.

Note

    Vergine Madre di Dio; erano Pagani, cioè Politeisti, e perciò non è maraviglia; ma che ha a fare Cibele, di cui vedesi la leggenda in tutti i Dizionari di Mitologia, Deità dei Politeisti e dei poeti, con Maria Vergine Madre di Dio? Queste due idee sono affatto incompatibili, ed il farne l’associazione è un assurdo del pari indegno, che insussistente. (Nota di N. N.)

  1. S’introdusse fra seguaci di Cristo la discordia perchè molti fra loro, cioè i primi eretici, s’allontanarono dalla retta credenza, contenuta nel Nuovo Testamento, onde vennero appunto le denominazioni, Ortodossi ed Eterodossi, Cattolici ed Eretici. Le decisioni de’ Concilii generali determinanti l’Ortodossia, vale a dire il sistema dei retti giudizii, intorno la divinità di Gesù Cristo, non discordarono fra loro, e spiegando rettamente e di pien diritto l’Evangelo fissarono le cose dogmatiche, che il popolo doveva credere al sorgere che facevano le torte opinioni particolari, vale a dire, le eresie di alcuni Vescovi, e preti, adunati anche in Concilii detti Conciliaboli per distinguerli dai Concilii legittimi ed Ortodossi (Nota di N. N.).
  2. Era naturale, che i seguaci d’una religione, fondata da Gesù Cristo, dal Verbo incarnato, vale a dire dalla divina Intelligenza fatta Uomo, facessero intorno la natura del loro Fondatore ricerche, e ragionamenti, dei quali l’autorità de’ Concilii generali, definitivamente decise. Ma se i Cristiani occupavansi da una parte de’ dogmi (greco vocabolo che sebbene significhi opinationes, placita, i teologi prendono quali cose rivelate, e dai Concilii definite) fondamentali della religione, non trasandavano mai le leggi, ed i precetti del Fondatore intorno la morale, poichè sappiamo dalla storia che lo stesso Imperatore Giuliano, il quale circa la metà del quarto secolo nel brevissimo suo regno si studiò molto di abbattere il Cristianesimo, cui era avverso, siccome ad una innovazione religiosa, proponeva tuttavia i Vescovi siccome modelli di buona morale a’ Sacerdoti del Politeismo. (Nota di N. N.).
  3. D'onde comincierò io per dimostrare la giustezza e l'esattezza di queste ricerche preliminari che mi sono ingegnato di circoscrivere ed abbreviare per quanto si potea? Se proseguo a citare dopo ciascun fatto, e dopo ogni riflessione, quel documento che me ne attesta la verità, sarà d'uopo che ad ogni linea io riporti una lista di testimonianze, ed ogni nota diventerà una dissertazione; ma Petavio, Le Clerc, Beausobre e Mosemio compilarono, esposero, schiarirono quei passi innumerabili degli antichi autori, che io pure ho letto in originale. Mi contenterò a fortificare la mia narrazione col nome e col credito di scorte sì rispettabili, e qualora si tratterà di cosa che difficilmente si possa diciferare, o che sia troppo rimota da noi, non avrò rossore di chiamare in aiuto altri occhi più penetranti de' miei: 1. i Dogmata Theologica di Petavio stordiscono la mente nostra per l'immensità del disegno dell'opera non che della fatica che gli costò. Solamente i volumi che trattano dell'Incarnazione (due in foglio, il quinto ed il sesto, di 837 pagine) son divisi in sedici libri; il primo è storico, gli altri espongono la controversia e la dottrina. Vastissima e sicura è l'erudizione, pura la latinità, chiaro il metodo, gli argomenti trattati con profondità e connessione di ragionamento; ma l'autore è ligio ai Padri della Chiesa, è il persecutore degli Eretici, il nimico della verità e del candore ogni qual volta queste qualità nuocono agli interessi della parte cattolica. 2. L'Arminiano Le Clerc, che ha pubblicato un volume in quarto (Amsterdam 1716) sull'istoria ecclesiastica dei due primi secoli, pel suo carattere e per la condizione è scevero d'ogni servitù; il suo ingegno è limpido, ma poco estese ne sono le forze; egli riduce la ragione, o la stoltezza dei secoli ai confini del proprio giudizio; qualche volta ha potuto la sua opposizione ai sentimenti dei Padri sostenere, ma spesso ancora traviare la sua imparzialità. Veggasi quello che dice dei Cerintii (LXXX), degli Ebioniti (CIII), dei Basilidiani (CXXIII), dei Marcioniti (CXLI), etc. 3. L’Istoria critica del Manicheismo (Amsterdam, 1734-1739, in due volumi in quarto con una dissertazione postuma sopra i Nazarei; Losanna 1745) contiene cose preziosissime intorno alla filosofia e alla teologia degli antichi. Con un’arte mirabile viene svolgendo quel dotto Storico il filo sistematico della opinione, e veste a quando a quando le sembianze d’un Santo, d’un saggio o d’un eretico, ma sovente eccessive ne sono le acutezze, e pare trascinato da un sentimento di generosità a favorire la parte più debole: mentre si premunisce con tanta cura contro la calunnia, non valuta abbastanza gli effetti della superstizione e del fanatismo. Coll’indice curiosissimo di quel libro potranno i lettori investigare quegli articoli che loro piaccia d’esaminare. 4. Lo storico Mosemio, meno profondo di Petavio, meno independente di Le Clerc, meno ingegnoso di Beausobre, non manca di nulla, è ragionevole, preciso e moderato. Veggasi nella sua dotta opera (De rebus Christianis ante Constantinum; Helmstadt, 1753, in quarto) come parli dei Nazarei, e degli Ebioniti (p. 172-179, 328-332), dei Gnostici in generale (p. 179, etc.), di Cirinto (p. 196-202), di Basilide (p. 552-361), di Carpocrate (p. 363-367), di Valentino (p. 371-389), di Marcione (p. 404-410), de’ Manichei (pag. 829-837, etc.).
  4. Il nome Nazareni fu dato sulle prime a’ seguaci di Cristo, e divenne poco dopo quello di una Setta particolare di Ebrei, la quale voleva, che si osservasse la legge di Mosè, e nello stesso tempo si onorasse Gesù Cristo come Uomo giusto, e come il maggiore di tutti i Profeti, nato secondo alcuni di loro da una Vergine, e secondo altri da Giuseppe nello stesso modo onde nascono gli altri uomini; erano seguaci di Cristo in un modo ereticale, e questi conciliatori furono condannati dai veri credenti cristiani per la loro falsa opinione, e poi anche dagli Ebrei perchè muovevano dubbii sulla autenticità dei libri di Mosè, di cui per altro riconoscevano la divina missione. Il nome Ebioniti in ebraico significa poveri, e fu dato ad una specie di primitivi cristiani eretici, che adottavano i sentimenti de’ Nazareni aggiungendo alcuni errori, ed alcune pratiche. Origene, scrittore antico ecclesiastico, distinse due specie di Ebioniti. La pura, e vera divinità di Gesù Cristo era stata riconosciuta da S. Pietro alla presenza dei discepoli. Gesù Cristo li interrogò per sapere che dicessero gli uomini di lui; ed i discepoli gli risposero, che alcuni lo stimavano Giovanni Battista, alcuni Elia, altri Geremia, o alcun altro de’ Profeti: al che soggiunse Gesù Cristo: chi poi mi credete voi? Allora Simon Pietro rispose: tu sei Cristo figlio di Dio vivo: e allora Cristo gli disse: sei fortunato assai, o Simone, poichè il sangue e la carne non ti rivelarono ciò, ma mio Padre ch’è ne’ Cieli (S. Matteo c. 16). Questa credenza espressa da S. Pietro, e confermata dalla sanzione dell’Uomo-Dio, rimase, e si conservò sempre nei discepoli, che ne vedevano nuove prove ne’ miracoli: essi la sparsero, e ne venne il dogma principale de’ veri credenti; quindi tanto i Nazareni che gli Ebioniti furono condannati; ciò forma una prova, che anche in quel tempo primitivo la vera società cristiana credeva la Divinità del suo Fondatore, e riguardava questo dogma come un articolo fondamentale della sua religione (Nota di N. N.).
  5. Και γαρ παντες ημεις τον χριστον ανθρωπον εξ ανθρωπων προσδοκωμεν γενησεσθαι, imperocchè tutti noi speriamo che il Cristo nascerà mortale da mortali, dice Trifone Ebreo (Giustino, Dialog., p. 207) in nome de’ suoi concittadini; e quegli Ebrei moderni, che rinunciano ai pensieri di ricchezza per attendere alle cose della religione, serban tuttavia lo stesso linguaggio, e allegano il senso letterale dei Profeti.
  6. S. Grisostomo (Basnagio, Hist. des Juifs t. V, c. 9, p. 183) e S. Atanasio (Petavio, Dogm. Teolog. t. V, l. I, c. 2, p. 3) son ridotti a confessare che Cristo esso stesso o i suoi Apostoli rare volte parlano della sua Divinitàa.
    1. La divina natura di Gesù Cristo era appunto nella persona di un Uomo, che perciò era un Uomo-Dio: tale è il modo ammirabile che forma un mistero venerando, onde Dio volle operare la redenzione de’ credenti: ma d’altra parte Gesù Cristo co’ miracoli mostrava, lui esser Dio, e gli Ebrei dovevano convincersene. (Nota di N. N.)
  7. In Socrate si vede un grande Filosofo, che, quasi quattro secoli prima di Gesù Cristo, conosceva e mostrava alla greca gioventù gli errori della religione del suo tempo, e del suo Paese, e ad un’ora l’esistenza di un solo Essere Supremo colla sola ragione, senza rivelazione, onde fu da sacerdoti politeisti accusato, e messo a morte, malgrado la buona morale che insegnava: ma in Gesù Cristo forz’è riconoscere a chiari caratteri un Uomo-Dio. (Nota di N. N.)
  8. Non esistevano negli esemplari degli Ebioniti i due primi capitoli di S. Matteo (Sant’Epifanio, Haeres., XXX, 13); e la concezion miracolosa è uno degli ultimi articoli che il Dottor Priestley ha esclusi dalla sua profession di fede già senz’altro assai breve.
  9. È molto verosimile, che fosse in ebraico e in siriaco il primo degli Evangeli fatto per gli Ebrei che abbracciavano il cristianesimo. Papia, Ireneo, Origene, S. Girolamo e altri Padri attestano questa cosa. I Cattolici non osano dubitarne, e fra i Protestanti Casaubono, Grozio, ed Isacco Vossio opinano così. Ma è certo altrettanto che questo Evangelo ebraico di S. Matteo non sussiste più,a e si può darne colpa allo zelo e alla fedeltà delle primitive Chiese, che preferirono la versione, quantunque non autorevolmente approvata, d’un greco anonimo. Erasmo e i suoi discepoli, che s’attengono al testo greco che ne rimane, come ad Evangelo originale, si privano da se stessi della testimonianza che lo dichiara opera d’un Apostolo. Vedasi Simon (Hist. critique, t. III, c. 5-9, p. 47-101) e i Prolegomeni di Mill e di Werstein sul Nuovo Testamento.
    1. L’autenticità dei libri che abbiamo del Nuovo Testamento, riconosciuta dalla Chiesa, che li distinse dagli apocrifi, è sostenuta, contro le infondate, e vane critiche degli Increduli, dei Deisti e dei Scettici, dagli Apologisti della religione, e rimandiamo ad essi il lettore che volesse conoscere questa materia. I Nazareni avevano il loro Evangelo scritto in ebraico volgare, denominato ora l’Evangelo de’ dodici Apostoli, ora degli Ebrei, ed ora di S. Matteo; ciò è notissimo; e S. Girolamo dice (catalogus script. eccl. c. 2) d’aver tradotto quest’Evangelo in lingua greca ed in lingua latina; non è dunque anonimo il traduttore. (Nota di N. N.)
  10. Certamente l'Uomo-Dio, Gesù Cristo, venuto al mondo per salvar gli uomini, era un Essere da non potersi paragonare con nessun altro, e dava un'idea sublime. Gli Ebrei ed i loro dottori leggevano, ed intendevano materialmente l'Antico Testamento, stavano attaccati al senso letterale, non si elevavano al senso figurato; ecco il loro errore, per cui non potevano riconoscere, nelle divine antiche scritture, le predizioni intorno il futuro divin Redentore, ed i misteri dell'Incarnazione, e dalla Redenzione. Questa ostinazione loro impedì di ravvisare a chiari caratteri il divin Salvatore già predetto da quei libri dei quali erano i depositari, e da quei stessi Profeti ch'essi veneravano; non vollero ciecamente intendere ciò che disse S. Agostino, e dichiararono i Concilii, ed i Teologi, che Novum Testamentum in vetere est figuratum; massima ch'è il fondamento del Cristianesimo. (Nota di N. N.)
  11. Cicerone (Tuscul., l. 1) e Massimo Tirio (Dissert. 16) hanno distrigata la metafisica dell'anima dal guazzabuglio del dialogo talvolta dilettevole, ma spesso imbrogliato, del Fedro, del Fedone, e delle leggi di Platone.
  12. I discepoli di Gesù credevano che un uomo avesse peccato prima che venisse al Mondo (San Giovanni, IX, 2). Dagli Ebrei si ammetteva la trasmigrazion dell’anime virtuose (Gioseffo De bell. judaic. l. II, c. 7 ): e da un Rabbino moderno si asserisce modestamente, aver Ermete, Pitagora, Platone, ecc. ricavata la lor metafisica dagli scritti, o da’ sistemi de’ suoi illustri concittadini.
  13. Si sostennero quattro diverse opinioni sull’origine delle anime; 1. furono considerate come eterne e divine; 2. come create separatamente prima della loro unione col corpo; 3. si pensò che traessero origine dallo stipite primitivo d’Adamo, ove stava racchiuso il germe spirituale e corporale della sua posterità; 4. che nel punto del concepimento Iddio creasse l’anima d’ogn’individuo, e la destinasse al corpo di cui si era formato l’embrione. Pare che sia prevalsa l’ultima sentenza presso i moderni, e n’è divenuta meno sublime, ma non per questo più intelligibile, la nostra storia spirituale.
  14. Οτι η του Σωτηροε ψυχη η του Αδαμ ην, poichè l’anima del Salvatore era quella d’Adamo, è una delle quindici eresie imputate ad Origene, e contestate dal suo Apologista (Photius, Biblioth. Cod. 117, p. 296). Alcuni Rabbini assegnano la stessa anima ad Adamo, a David, e al Messia.
  15. Apostolis adhuc in seculo superstitibus, apud Judaeam Christi sanguina recente, phantasma Domini, corpus asserebatur, etc. (S. Girolamo Advers. Lucifer., c. 8). L’epistola di S. Ignazio agli abitanti di Smirne ed anche l’Evangelo secondo S. Giovanni ebbero la mira di distruggere l’errore dei Doceti, che s’andava propagando, e s’era già troppo accreditato nel Mondo (1. Giovanni, IV, 1, 5).
  16. Verso l’anno dugento dell’Era cristiana S. Ireneo ed Ippolito confutarono le trentadue Sette της ψενδωνομου γνωσεως della falsa dottrina, già moltiplicatesi nel tempo di S. Epifanio sino al numero di ottanta (Phot. Bibl. Cod. 120, 121, 122). I cinque libri d’Ireneo non sussiston più che in latino barbaro, ma forse si troverebbe l’originale in qualche monastero della Grecia.
  17. Il pellegrino Cassiano che girò l’Egitto al principio del quinto secolo osserva e deplora il regno dell’antropomorfismo tra i Monaci che non sapevano di seguire il sistema d’Epicuro (Cicerone De nat. deorum, l. I, c. 18-34). Ab universo prope modum genere monachorum, qui per totam provinciam Aegyptum morabantur per simplicitatis errorem susceptum est, ut a contrario memoratum pontificem (Theophilum) velut haeresi gravissima depravatum, pars maxima seniorum ab universo fraternitatis corpore deceraeret detestandum. (Cassiano, Collation., X, 2). Finchè S. Agostino aderì al Manicheismo manifestò lo scandalo che gli dava l’antropomorfismo dei Cattolici vulgari.
  18. Ita est in oratione senex mente confusus eo quod illam ανθρωπομορφον imaginem deitatis, quam proponere sibi in oratione consuerat aboleri, de suo corde sentiret, ut in amarissimos fletus, crebrosque singultus repente prorumpens, in terram prostratus cum ejulatu validissimo proclamaret „heu me miserum! tulerunt a me Deum meum, et quem nunc teneam non habeo, vel quem adorem, aut interpellem jam nescio„.. (Cassiano, Collation. X, 2).
  19. S. Giovanni e Cerinto (A. D. 80, Le Clerc, Hist. eccl. p. 493) s’incontrarono a caso nei bagni pubblici d’Efeso; ma l’Apostolo si scostò dall’eretico per tema che gli cadesse in capo l’edificio. Questa goffa storiella, rigettata dal dottor Middleton (Miscellaneous Works, vol. 2), è narrata per altro da S. Ireneo (III, 3) sulla testimonianza di Policarpo, e probabilmente s’accordava colla notizia che avevasi dell’epoca in che visse Cerinto, e del luogo da lui abitato. La versione di S. Giovanni (IV, 3) Ο λυει τον Іησουν, caduta in disuso, benchè sembri la vera, allude alla doppia Natura insegnata dall’eretico Cerinto.
  20. Il sistema dei Valentiniani era assai complicato e quasi incoerente. 1. 1l Cristo e Gesù erano Eoni, ma la virtù non era in essi allo stesso grado; uno agiva come l’anima ragionevole, e l’altro come lo spirito divino del Salvatore. 2. Nel momento della passione si ritirarono amendue, e non lasciarono che un’anima sensitiva e un corpo umano. 3. Questo corpo medesimo era etereo, e forse soltanto apparente. Queste sono le conseguenze che deduce Mosemio dopo molto studio; ma dubito assai, che il traduttore latino non abbia inteso S. Ireneo, o che S. Ireneo e i Valentiniani non si capissero bene fra loro.
  21. Gli eretici abusarono di quella esclamazione dolorosa di Gesù Cristo „Dio mio! Dio mio! perchè m’hai tu abbandonato?„ Rousseau che ha fatto un paragone eloquente, ma sconvenevole, tra Gesù Cristo e Socrate, si dimentica, che il filosofo moribondo non si lascia fuggir di bocca parola d’ impazienza, e di disperazione. Questo sentimento può non essere apparente che nel Messia; e si è detto a ragione, che queste parole mal sonanti altro non erano che l’applicazione d’un salmo o d’una profezia.
  22. L’Autore doveva ommettere il termine improprio inconvenienti, e porne un altro che esprimesse la fiacchezza della mente umana, che non può giungere a comprendere il Mistero, che ha tutti i motivi di credibilità, presentatici dalla teologia, per essere creduto.
      L’incomprensibile Mistero dell’Incarnazione copre d’un velo i così detti inconvenienti dell’Autore, e non presenta al vero credente che l’opera dell’amore misericordioso di Dio per salvare gli Uomini, la quale è sì grande, e sì maravigliosa da essere da teologi considerata maggiore di quella della stessa Creazione. Ciò che dopo dice il dotto Autore non è che l’esposizione esatta, e ragionata delle eresie, ossia opinioni condannate successivamente dai quattro primi Concilii generali di Nicea, di Costantinopoli, d’Efeso, e di Calcedonia, nel quarto e quinto secolo, i quali interpretando rettamente le espressioni degli Evangelici, e combinandole, (Vedi Acta Conc. Nic. I, Conc. Constan. I, Ephes. et Chalc., I in Labbè Collectio Magna, et amplissima Conciliorum etc.) determinarono, distendendo il Credo, o condannando le eresie, quella credenza, che dovevasi avere contro le torte opinioni, e partiti furiosi, che scompigliarono, e continuarono lungo tempo a trambustare, anche dopo le decisioni, la Chiesa, e lo Stato perfino con grandi massacri: il tempo la cui azione non cessa, mai, i decreti, e la forza degli Imperatori cattolici vennero in soccorso della pronunciata ortodossia, e posero fine a’ mali delle controversie teologiche, che laceravano le province del romano Impero. (Nota di N.N.)
  23. Questa frase energica può giustificarsi con un passo di S, Paolo (I Tim. III, 16); ma le Bibbie moderne c’ ingannanoa. La parola (il quale) fu cangiata in Costantinopoli, sul cominciar del secolo decimosesto, in θεος (Dio). La verace ed evidente versione secondo i testi latino e siriaco sussiste tuttavia nei raziocini dei Padri greci e de’ Padri latini; ed Isacco Newton ha benissimo scoperto questa frode non che quella dei tre testimoni di S. Giovanni (Vedi le sue due lettere, tradotte dal Signor di Missy, nel Giornale Britannico tom. XV, p. 148-190; 35-390). Esaminai le ragioni allegate dall’una parte e dall’altra, e mi sono sottoscritto all’autorità del primo tra i filosofi, versatissimo nelle discussioni teologiche e critiche.
    1. Se l’Autore dice d’essere persuaso di ciò che scrisse il Newton, che non ha nelle materie ecclesiastiche autorità, ciò non prova che la frode sia vera: è vero che non sarebbe facile il provare non esservi mai state le così dette pie frodi in cose per altro di non grande momento, e non intrinseche alla religione; ma bisognava in particolare provare questa. (Nota di N. N.)
  24. Vedi intorno Apolinare e la sua Setta, Socrate (l. II, c. 46: l. III, c. 16), Sozomeno (l. V, c. 18; l. VI, c. 25-27), Teodoreto (l. V, 3, 10, 11 ), Tillemont (Mém. eccl. tom. VII, p. 602-638, not. p. 789-794, in 4. Venise 1732). I Santi che vissero ai suoi giorni parlavano sempre del vescovo di Laodicea come di un amico e d’un fratello; lo stile degli storici più recenti ha l’impronta dell’acrimonia e dell’inimicizia. Filostorgio lo paragona (l. VIII, c. 11-15) a S. Basilio e a S. Gregorio.
  25. Due prelati dell’Oriente, Gregorio Abulfaragio, primo Giacobita di quella parte del Mondo, ed Elia, metropolitano di Damasco, addetto alla Setta di Nestorio (Vedi Asseman, Bibl. orient., t. II, p. 291; t. III, p. 514, ec.) confessano, che i Melchiti, i Giacobiti, i Nestoriani ec. andavan d’accordo sulla dottrina, e non differivan che sull’espressione. Basnagio, Le Clerc, Beausobre, La Croze, Mosemio e Jablonski sono inclinati a questa caritatevole opinione, ma lo zelo di Petavio è veemente ed adiroso, e appena Dupin lascia traspirare la sua moderazione.
  26. La Croze (Hist. du Christianisme des Indes, t. I. p. 24) confessa la poca stima che fa dell’ingegno e degli scritti di S. Cirillo. „Fra tutte l’opere degli antichi, egli dice, poche se ne leggono di meno profittevoli„. E Dupin (Bibl. eccl., t. IV, p. 42-52) c’insegna a sprezzarle, quantunque ne parli con rispetto.
  27. Chi gli fa questo rimbrotto è Isidoro di Pelusio (l. I, epist. 25, p. 8). Non essendo troppo autentica la lettera, Tillemont, men sincero dei Bollandisti, affetta il dubbio, se questo Cirillo fosse il nipote di Teofilo (Mémoires ecclés., t. XIV, p. 268).
  28. Socrate (lib. VII, 13) chiama un grammatico διαπυρος δε ακροατης του επισκοπου κυριλλου καθεστως, και περι το κροτους εν ταις διοδασκαλιαις αυτου εγειρειν ην σπουδαιοτατος, un uditore del vescovo Cirillo che assisteva con fervore alle sue prediche, ed era tutto intento a suscitargli applausi.
  29. Socrate (l. VII, c. 7) e Renaudot (Hist. patriarch. Alexand., p. 106-108) parlano della gioventù di S. Cirillo e della sua nomina alla sede d’Alessandria. L’abate Renaudot trasse i suoi materiali dalla Storia araba di Severo, vescovo di Ermopoli Magna od Ashmunein, nel secolo decimo, autore cui non si può mai prestar fede, quando non abbiano i fatti in se stessi il carattere dell’evidenza.
  30. I Parabolani d’Alessandria erano una Compagnia di carità, fondata nel tempo della peste sotto Gallieno, per visitare i malati e sotterrare i morti. A poco a poco si moltiplicarono; fecero abuso e traffico dei loro privilegi. L’insolenza da essi manifestata sotto il pontificato di S. Cirillo determinò l’imperatore a privare il patriarca del diritto di eleggerli, e a restringerne il numero a cinque o seicento; ma sì fatte restrizioni furono passaggere ed inefficaci (Vedi il Cod. Teodos., l. XVI, t. II; e Tillemont, Mém. ecclés., t. XIV, p. 276-278.)
  31. S. Cirillo non può dirsi esente de’ difetti come scrittore, e come Patriarca d’Alessandria; aveva uno spirito così sottile nelle controversie, ed era tanto facondo, che spesse volte non s’intende ciò ch’egli scrisse. Non può negarsi essere egli stato altiero, ed impetuoso specialmente nella sua controversia con Nestorio Patriarca eretico di Costantinopoli, e Capo dei Vescovi, preti, e secolari detti da lui Nestoriani, de’ quali un picciolo resto trovasi ancora in qualche provincia d’Europa, ed in qualche borgata della Persia, e dell’Armenia, malgrado le persecuzioni de’ Cattolici; ma S. Cirillo sosteneva la retta dottrina intorno a Gesù Cristo; perciò il suo procedere per giungere al suo fine, che il Concilio d’Efeso I condannasse Nestorio, che negava la Divinità di Cristo colla distinzione delle persone divina ed umana, asserendo che Maria aveva partorito Cristo Uomo, e non Cristo Dio, cioè la persona umana, e non la persona divina, devesi chiamare non ambizioso, ed impetuoso, ma zelante dell’Ortodossia, secondo il sano linguaggio de’ teologi; altrimenti la maggior parte dei sostenitori di essa diventano uomini impetuosi, ed ambiziosi. Non può negarsi aver S. Cirillo posto mano francamente nelle cose civili, e governative d’Alessandria, onde ne vennero i forti risentimenti di Oreste governatore per l’Imperatore romano, ed avvenne il fatto terribile dei Monaci di Nitria; ma non consta che la morte lagrimevole, d’Ipazia, tanto celebrata dagli storici per il suo sapere, ed accusata di avere attraversato la riconciliazione fra Oreste, e Cirillo, possa a questo essere attribuita: quel fatto orribile, che tolse dalla cattedra una dottissima donna, è avvenuto per la furia dei due partiti di Oreste, e di Cirillo, che non avrà neppur esso potuto impedire il male. Bisogna dimenticarsi quei difetti, che poteva avere Cirillo a cagione della sua animosa difesa della Ortodossia, e devesi considerare da ogni buon credente, per essere stato fatto Santo dalla chiesa, pienamente da ogni colpa giustificato. (Nota di N. N.)
  32. Vedi intorno a Teone, e sua figlia Ipazia, il Fabricio (Bibl., t. VIII, p. 210, 211). Il suo articolo nel Lessico di Suida è assai curioso e originale. Esichio (Meursii opera, t. VII. p. 295, 296) nota che quella figlia fu perseguitata δια την υπερβαλλουσαν σοφιαν, per l’eminente sapienza: ed un epigramma dell’antologia greca (l. I, c. 76, p. 159, edit. Brodaei) ne vanta il sapere e l’eloquenza. Il vescovo filosofo Sinesio, suo amico e discepolo, ne parla in modo onorevole (Epist. 10, 15, 16, 33, 80, 124, 135, 153).
  33. Οςρακοις ανειλον, και μεληδον διασωπασαντες, etc. ne straziarono le carni con cocci d’ostriche, e scerpandone a brani le membra, ec. Le scaglie d’ostriche erano sparse abbondevolmente sulle rive del mare rimpetto a Cesarea. Piacemi adunque di attenermi qui al senso letterale, senza rifiutar la version metaforica di tegolae, tegole, seguìta dal Sig. de Valois; non so, se Ipazia fosse ancor viva, ed è probabile che gli assassini non si pigliassero pensiero di questo.
  34. Da Socrate (l. VII, c. 13, 14, 15) son raccontate sì belle geste di S. Cirillo, ed è obbligato il fanatismo, tuttochè con ripugnanza, a copiare le parole d’uno storico, il quale chiama freddamente i sicari d’Ipazia Ανδρες το φρονημα ενθερμοι uomini caldi di testa. Noto con piacere, che quel nome tanto vilipeso fa arrossire lo stesso Baronio (A. D. 415, n. 48).
  35. Quand’anche per supposizione avesse avuto colpa S. Cirillo della morte orribile della povera Ipazia, non essendo la religione cristiana per sua essenza sanguinaria, come evidentemente consta dall’Evangelo, non le verrebbe alcuna macchia per la colpa di S. Cirillo, e se non è provato, che questi ne abbia avuto, e quindi fu egli fatto Santo, molto meno può dirsi, che la religione sia macchiata pel massacro d’Ipazia. (Nota di N. N.)
  36. Non volle ascoltare le preghiere d’Attico di Costantinopoli, e d’Isidoro di Pelusio; e se si crede a Niceforo (l. XIV c. 18) cedette soltanto all’interposizion della Vergine. Negli ultimi anni per altro andava pur susurrando che Gian Grisostomo era stato giustamente condannato (Tillemont, Mém. ecclés. t. XIV, p. 278-282; Baronio, Annal. eccles. A. D. 412, n. 46-64).
  37. Vedi le particolarità intorno ai loro caratteri nella Storia di Socrate (l. VII, c. 25-28), e intorno alla loro autorità e alle pretensioni, nella voluminosa compilazione del Tomassino (Discipl. de l’Eglise, t. I, p. 80-91)
  38. Racconta Socrate la Storia del suo avvenimento alla sede episcopale di Costantinopoli, e ne descrive le azioni (l. VII, c. 29-31), e sembra che Marcellino gli adatti le parole di Sallustio, loquentiae satis, sapientiae parum.
  39. Cod. Theod., l. XVI, tit. 5, leg. 65, cogli schiarimenti del Baronio (A. D. 428, n. 25, etc.); (Gotofredo (ad locum), e Pagi (Critica, t. II, p. 208).
  40. S. Isidoro di Pelusio (l. IV, epist. 57). Le sue espressioni sono energiche o scandalose: τι θανμαζεις ει και νυν περι πραγμα θειον και λογου κρειττον διαφωνειν προσποιουντ αι υπο φιλαρχιας εκβακχευομενοι, perchè ti maravigli se anche adesso preferiscono di disputare sulle cose divine e sul miglior senso delle parole, accesi dalla smania di dominare. Isidoro è un Santo, ma non fu mai vescovo; e sono tentato a credere che l’orgoglio di Diogene si ponesse sotto i piedi l’orgoglio di Platone.
  41. La Croze (Christianisme des Indes, t. I, pag. 44-53, Thesaur. epist. t. III, p. 276-480) ha scoperto l’uso delle parole ὸ δεσποτης e ὸ κυριος Іησους, il padrone e il Signore Gesù, le quali nel quarto, quinto e sesto secolo distinsero la scuola di Diodoro di Tarso da quella dei suoi discepoli Nestoriani.
  42. Θεοτοκος, Deipara, come, nella zoologia si dice degli animali ovipari o vivipari. Non è facile il decidere in quale epoca s’inventasse quella parola che La Croze (Christian. des Indes, t. I, p. 16 ) attribuisce ad Eusebio di Cesarea, ed agli Ariani. S. Cirillo e Petavio arrecano testimonianze ortodosse (Dogmat. theolog. t. V, c. 15, p. 254 etc.); ma si può contrastare sulla veracità di S. Cirillo; e l’epiteto θεοτοκος facilmente ha potuto dal margine passar nel testo d’un manuscritto cattolico.
  43. Basnagio nella sua storia della Chiesa, opera di controversia. (t. I, p. 505 ) giustifica la Madre di Dio pel sangue (Atti, XX, 28, colle varie lezioni di Mill); ma i manoscritti greci son ben altro che concordi; e l’espression primitiva del sangue del Cristo si è conservata nella version siriaca, anche nelle copie di cui si valgono, i Cristiani di S. Tommaso sulla costa del Malabar (La Croze, Christian. des Indes, t. 1, p. 347). La gelosia fra i Nestoriani e Monofisiti ha mantenuta la purezza del loro testo.
  44. Il Credo, disteso nel Concilio generale II di Costantinopoli l’anno 381 ha l’espressione natus ex Maria Virgine, e ciò è lo stesso, che Deipara cioè partoriente Dio, o Madre di Dio; ed avendo prima il Concilio generale I di Nicea l’anno 325 fissato definitivamente contro gli Ariani essere Gesù Cristo della stessa sostanza del Padre, consubstantialem, cioè essere Dio, ne viene che al tempo, cioè l’anno 429-431, del Patriarca di Costantinopoli Nestorio, che negò fermamente essere Maria Madre di Dio, ed affermò essere essa soltanto Madre di Gesù Cristo uomo, era già stata sanzionata e autorizzata dalla Chiesa, cioè dal Concilio ortodosso generale II di Costantinopoli, l’espressione Madre di Dio. Nestorio poi fu condannato, deposto, ed esiliato dal Concilio generale III, e d’Efeso I l’anno 431, la quale condanna, deposizione, ed esilio con zelo promosse, e sollecitò l’altro Patriarca d’Alessandria S. Cirillo mentovato di sopra. (Nota di N. N.)
  45. Di già i Pagani dell’Egitto si facean beffe della nuova Cibelea dei Cristiani (Isidoro, l. I, epist. 54). Si formò in nome d’Ipazia una lettera che volgeva in ridicolo la teologia del suo assassino (Synodicon, c. 216, nel quarto t. concil. p. 484). All’articolo Nestorio, Bayle espone sul culto della Vergine Maria qualche massima d’una filosofia alquanto rilassata.
    1. Sarà vero che i Pagani si burlassero di Maria Vergine Madre di Dio; erano Pagani, cioè Politeisti, e perciò non è maraviglia; ma che ha a fare Cibele, di cui vedesi la leggenda in tutti i Dizionari di Mitologia, Deità dei Politeisti e dei poeti, con Maria Vergine Madre di Dio? Queste due idee sono affatto incompatibili, ed il farne l’associazione è un assurdo del pari indegno, che insussistente. (Nota di N. N.)
  46. L’αντιδοσις dei Greci, vale a dire un prestito, od una traslazione reciproca degli idiomi, o delle proprietà d’una natura all’altra, dell’infedeltà all’uomo, della passibilità a Dio ec. Petavio pone dodici regole su questa materia sommamente delicata (Dogmat. theolog., t. V, l. IV, c. 14, 15, p. 209, etc.).
  47. Vedi Ducange, C. P. Christiana, l. I, p. 30 etc.
  48. Il decreto del Papa Celestino non fu illegale, perchè poteva assumere il giudizio intorno a un domma (che se non rimanesse fermo, non esisterebbe più rivelazione, nè religione cristiana, nella parte dommatica), e poi giudicò unitamente al suo Concilio provinciale de’ Vescovi; e cotale giudizio non fece che combinare con quello che poco dopo diede il Concilio generale III, e d’Efeso I; non fu neppure precipitato, perchè Celestino esaminò la materia, e nel giudicare concorse il suo Concilio provinciale di cui era particolarmente il Capo. (Nota di N. N.)
  49. Concil., t. III, p. 943. Mai non furono approvati direttamente dalla Chiesa; (Tillemont, Mém. ecclés., XIV, 368-372) e quasi mi fan compassione le convulsioni di rabbia e di sofisma, da cui sembra agitato Petavio nel sesto libro dei suoi Dogmata theologica.
  50. Posso citare il giudizioso Basnagio (ad. t. I, Variar. Lection. Canisii in praefat., c. 2, p. 11-23) e La Croze, dotto universale (Christianisme des Indes, t. I, p. 16-20, de l’Ethiopie, p. 26, 27; Thesaur. epist. p. 176, ec., 283‐ 285). Il suo libero parere su questo punto è confermato da quello de’ suoi amici, Iablonski (Thesaur. epist. t. I, p. 193-201), Mosemio (id. p. 304, Nestorium crimine caruisse est et mea sententia); e non sarebbe agevol cosa trovare tre giudici più rispettabili. Assemani, pieno di sapere, ma ligio modestamente alle autorità, a gran pena può scoprire (Bibliot. orient. t. IV, p. 190-224) il delitto e l’errore dei Nestoriani.
  51. Sull’origine, e sui progressi della controversia di Nestorio fino al Concilio d’Efeso si trovano alcune particolarità in Socrate (l. VII. c. 32), in Evagrio (l. I, c. 1, 2), in Liberato (Brev., c. 1-4), negli Atti originali (Concil., t. III, p. 551-591, ediz. di Venezia, 1728), negli Annali di Baronio e di Pagi, e nelle fedeli Raccolte di Tillemont (Mém. eccles., t. XIV, p. 280-577).
  52. I Cristiani de’ quattro primi secoli ignoravano come il luogo della morte, così quello della Sepoltura di Maria. Il Concilio, di cui qui favelliamo conferma la tradizione d’Efeso, che si credea posseditrice del suo corpo. ( Ενθα ὸ θεολογος Іωαννης, και η θεοτοκος παρθενος η αγια Μαρια, quivi giace il teologo Giovanni, e la Vergine Deipara Santa Maria. Concil. t. III, p. 1102). Avendo però Gerusalemme le stesse pretensioni, ha mandate in dimenticanza quelle di Efeso; colà si mostrava ai pellegrini la vota sepoltura della Vergine; e di là è venuta la storia della sua risurrezione, e della sua assunzione, piamente credute dalle Chiese greche e latinea. Vedi Baronio (Annal. ecclés. A. D. 48, n. 6, ec.) e Tillemont (Mém. ecclés. t. I, p. 467-477).
    1. Non è meraviglia che l’Autore così si esprima intorno l’assunzione di Maria: egli era cristiano-protestante. La credenza, poi de’ cattolici intorno a ciò è assai ben fondata sullo storico Eusebio, Vescovo di Cesarea del quarto secolo: Maria Virgo Christi Mater ad filium in Coelum assumitur, ita quidam fuisse sibi revelatum scribunt. Eusebio in Chronico. Vedi Baronio, Annali an. 48 n. 6, e Tillemont, T. I, p. 467. (Nota di N. N.)
  53. Gli Atti del Concilio di Calcedonia (Concil. t. IV, pag. 1405-1408) ne mostrano abbastanza quanto cieca fosse e pertinace l’adesione dei Vescovi d’Egitto ai lor patriarchi.
  54. Diversi affari civili od ecclesiastici ritennero i vescovi in Antiochia fino al 18 maggio. Da Antiochia ad Efeso si calcolavano trenta giornate; e non è troppo il supporre che per accidenti, o per riposare dovessero perdere dieci giorni. Senofonte, che fece la stessa strada, numera più di ducento sessanta parasanghe, o leghe; io potrei determinare questa misura consultando gli itinerari antichi e moderni, se conoscessi abbastanza la proporzion di velocità di un esercito, d’un Concilio, e d’una caravana. Tillemont medesimo, con qualche ripugnanza però, giustifica Giovanni d’Antiochia (Mém. ecclés. t. XIV, p. 386-389).
  55. Μεμφομενον μη κατα το δεοντα εν Εφεσω συντεθηναι υπομνηματα πανουργια δε και τινι αθεσμω καινοτομια κυριλλιου τεχναζοντος, accusato mentre Cirillo inonestamente, con fraudolenza e con certe illegali mutilazioni s’ingegnava a falsificare in Efeso gli Atti. (Evagrio l. I, c. 7). La medesima imputazione gli era data dal conte Ireneo; (t. III, p. 1249), e li critici ortodossi fanno un po’ di fatica a difendere la purità delle copie greche e latine di quel Concilio.
  56. Fu questo un Conciliabolo, e non un Concilio che non fu approvato dal Papa; colla distinzione di Concilio da Conciliabolo cessa ogni scandalo, ed ogni meraviglia; bisogna usare le distinzioni, il che sanno fare assai bene i teologi. (Nota di N. N.)
  57. Ο δε επ’ ολεθρω των εηκλεσιων τοχθεις και τραφεις, nato e cresciuto per la rovina delle Chiese. Dopo la coalizione di S. Giovanni e di S. Cirillo, furono le invettive reciprocamente dimenticate. Per vane declamazioni non conviene illudersi intorno all’opinione, che da rispettabili nemici può essere inspirata per riguardo al loro merito scambievole (Con. t. III, p. 1244).
  58. Vedi gli Atti del Sinodo d’Efeso nell’originale greco, e in una versione latina, che pubblicossi quasi nel medesimo tempo (Conc., t. III, p. 991-1339) col Synodicon adversus tragoediam Irenaei, t. IV, p. 235-497. Vedi anche l’Ist. eccl. di Socrate (l. VII, c. 34), Evagrio (l. I, c. 3, 4, 5), il Breviario di Liberato (in Concil., t. VI, p. 419-459, c. 5, 6), e les Mém. ecclés. di Tillemont (t. XIV, p. 377-487).
  59. Ταραχλν (dice Teodosio in frasi interrotte) το γε επι σαυτω, και χωρισμον ταις εκκλησιαις εμβεβληκας .... ως θρασυτερας ορμης πρέπουσης μαλλον η ακριβειας .... και ποικιλιας μαλλον τουτων ημιν αρκουσης ηπερ απλοτητος .... παντος μαλλον η ιερεως .... τα τε των εκκλησιων, τα τε των βασιλεων μελλειν χωριζειν βουλεσθαι, ως ουκ ουσης αφορμης ετερας ευδοκιμησεως, così ti sei cacciato in cuore la discordia, e fra le chiese la dissensione .... con un impeto temerario, piuttosto che con zelo .... e con un procedere versatile, che ci ributta più in tali cose, in vece della schiettezza .... in modo più conveniente a tutt’altri, che ad un vescovo .... voler mettere a soqquadro gli affari della chiesa e dei re, quasi non ci fosse altra maniera d’acquistar gloria. Vorrei sapere quanto abbia pagato Nestorio espressioni tanto pel suo rivale ingiuriose.
  60. S. Cirillo comparte ad Eutiche, a quell’eresiarca d’Eutiche, gli onorevoli nomi d’amico, di Santo e di zelante difensor della Fede. Suo fratello, Dalmazio, è parimenti impiegato a circonvenire l’Imperatore e tutti coloro che servivano la sua persona, terribili conjuratione. Synodicon (c. 203 in Concil. t. IV, p. 467).
  61. Clerici qui hic sunt contristantur, quod ecclesia Alexandrina nudata sit hujus causa turbelae: et debet praeter illa quae hinc transmissa sint auri libras mille quingentas. Et nunc ei scriptum est ut proestet; sed de tua ecclesia proesta avaritiae quorum nostri etc. Per qual caso non si sa, questa lettera originale e curiosa dell’arcidiacono S. Cirillo al nuovo vescovo di Costantinopoli, sua creatura, si è conservata in un’antica version latina (Synodicon, c. 203 Concil. t. IV, p. 465-468). Qui è quasi caduta la maschera, e i Santi parlano il linguaggio dell’interesse e del raggiro.
  62. I noiosi negoziati che succedettero al Sinodo d’Efeso sono raccontati alla lunga negli Atti originali (Concil. t. III, p. 1339-1771 ad fin. vol. e nel Synodicon, in t. IV), in Socrate (l. VII, c. 28, 35, 40, 41), in Evagrio (l. I. c. 6, 7, 8-12), in Liberato (c. 7-10), in Tillemont (Mém. ecclés. t. XIV, pag. 487-676). Il lettore il più paziente mi saprà grado se ho ristretto in poche linee tante cose false e poco ragionevoli.
  63. Αυτου τε αυδεηθεντος, επετραπη κατα το οικειον επαναζευσαι μοναστηριον, dopo ch’ebbe parlato, gli fu permesso di tornarsene al suo monastero. Evagrio (l. I, c. 7). Dalle lettere originali che si scontrano nel Synodicon (c. 15-24, 25, 26) si raccoglie, che la sua abdicazione, almeno in apparenza, fu volontaria, come Ebed-Gesù, scrittore Nestoriano, afferma che lo fosse difatto. (Ap. Assemani, Bibl. orient. t. III, p. 299-302).
  64. Vedi le lettere dell’Imperatore negli Atti del Sinodo d’Efeso. (Concil. t. III, p. 1730-1735). L’odioso nome di Simoniani dato ai discepoli di questa τερατωδους διδασκαλιας, prodigiosa scuola era indicato ως αν ονειδεσι προβληθεντες σιωνιον υπομενοιεν τιμ ωριαν αμαρτηματων, και μητε ζωντας τιμωριας μητε θανοντας ατιμιας εκτοι υπαρχειν, acciocchè colpiti dalle maledizioni sempre soffrano la pena degli errori, e non possano nè vivi sfuggire il gastigo, nè morti l’infamia. E così si trattavano a vicenda i Cristiani, e Cristiani che non eran differenti fra loro che per alcune parole e picciole distinzioni.
  65. I gravi giureconsulti (Pandette l. XLVIII, tit. 22 leg. 7), diedero questo nome metaforico d’isole a quelle picciole porzioni dei deserti della Libia, nelle quali si trova acqua e verdura; tre se ne distinguono sotto la denominazione comune di Oasi o d’Alvahat. l. Il tempio di Giove Ammone. 2. L’Oasi del mezzo, distante tre giornate all’occidente da Licopoli. 3. L’Oasi meridionale, dove fu esiliato Nestorio, tre sole giornate lontano dai confini della Nubia. Vedi una nota giudiziosa di Michaelis (ad Descr. Aegypt. Abulfedae, p. 21-54).
  66. L’invito che chiamava Nestorio al Sinodo di Calcedonia, è riportato da Zaccaria, vescovo di Malta (Evagr. l. II, c. 2. Assemani, Bibl. orient. t. II, p. 55), e dal famoso Senaia o Filosseno, vescovo di Ieropoli (Asseman, Bibl. orient. t. II, p. 40 ec.), negato poi da Evagrio ed Assemani, o fortemente sostenuto da La Croze (Thesaur. Epist. tom. III, p. 181, ec.). Il fatto non è inverosimile; ma importava ai Monofisiti a spargere questa voce ingiuriosa. Eutichio (t. II, pag. 12) ne assicura, che Nestorio morì dopo un esilio di sett’anni, e per conseguente dieci anni prima del Concilio di Calcedonia.
  67. Si consulti d’Anville (Mém. sur l’Egypte, p. 191), Pocock (Description de l’Orient, vol. I, p. 76), Abulfeda (Descriptio Aegypt., p. 14). Vedasi pure Michaelis, suo commentatore (Not. p. 78-83), e il Geografo di Nubia (p. 42), il quale cita nel dodicesimo secolo le ruine e le canne da zucchero di Akmim.
  68. Eutichio (Annal. t. II. p. 12), e Gregorio Bar-Ebreo, o Abulfaragio (Assemano t. II, p. 316), ci danno un sentore della credulità del decimo o tredicesimo secolo.
  69. Siam debitori ad Evagrio (l. I, c. 7) di alcuni estratti di lettere di Nestorio; ma questo fanatico duro, e stupido non fa che ingiuriare i patimenti, di cui fanno una dipintura sì compassionevole.
  70. Dixi Cyrillum dum viveret, auctoritate sua effecisse, ne eutychianismus et monophysitarum error in nervum erumperet: idaque verum puto ... alique ... honesto modo παλινωδιαν (la ritrattazione) cecinerat. Il dotto ma circospetto Jablonski non sempre ha detta tutta intera la verità. Cum Cyrillo lenius omnino egi, quam si tecum aut cum aliis rei hujus probe gnaris et aequis rerum aestimatoribus sermones privatos conferrem. (Thesaurus epist., La Croze t. I, p. 197, 198). Da questo passo ricevono molta luce le sue dissertazioni sopra la controversia suscitata da Nestorio.
  71. Η αγια συυοδος ειπεν, αρον, καυσον Ευσεβιον, ουτος ζων καη, ουτος εις δυο γενηται, ω εμερισε μερισθη .... ει τις λεγει δυο, αναθεμα, disse il santo Sinodo: si scacci, si abbruci Eusebio, sia arso vivo, sia fatto in due, sia diviso come egli ha diviso .... a chi dice due Nature, anatema. Alla domanda di Dioscoro quelli che non poterono gridare ( βοςσαι) alzaron le mani. Nel Concilio di Calcedonia sursero gli Orientali contro queste esclamazioni, ma gli Egiziani dichiararono in un modo più conseguente ταυτα και τοτε ειπομεν και νον λεγομεν, questo e allora dicemmo, ed ora ripetiamo (Con. t. IV, p. 1012).
  72. Questo Concilio II d’Efeso fu pure un Conciliabolo, e non è da meravigliarsi, che in cotale assemblea, e nelle simili, i Vescovi, e specialmente Dioscoro Patriarca d’Alessandria succeduto a S. Cirillo, si sieno dati ad eccessi, che la ragione, e l’Evangelo disapprovano altamente. Il Papa Leone I nel suo Concilio provinciale di Roma condannò questo Conciliabolo, e disapprovò il suo procedere. I disordini ed eccessi avvenuti ne’ Conciliaboli altro non provano se non che i Vescovi sono uomini come tutti sanno. Il Cattolico deve badare alle decisioni, ed al procedere dei Concilii regolari, ed approvati dal Papa o direttamente o per mezzo de’ suoi Legati, o Procuratori.
  73. Ελεγε δε (Eusebio, vescovo di Dorilea) τον φλαβιανον και αναιρεθηναι προς Διοσκορω αθουμενον τε και λακτιζομενον, disse che Flaviano fu maltrattato da Dioscoro, percosso e respinto a calci, e questa relazione d’Evagrio (l. II, c. 2) viene rafforzata dallo storico Zonara (t. II, l. XIII, p. 44), che afferma, esser uso Dioscoro a dar calci come un mulo. Ma il linguaggio di Liberato è più circospetto (Brev. c. 12, in Concil. t. VI, p. 438), e gli Atti del Concilio di Calcedonia, prodighi dei titoli d’omicida, di Caino ec., non giustificano un’accusa tanto speciale. Il monaco Barsuma è incolpato in particolare, εσφαξε τον μακαριον φλαυιανον αυτος εστηκε και ελεγε σφαξον, d’avere straziato il beato Flaviano il quale, senza moversi, dicea, strazia pure. (Concil. t. IV, p. 1413).
  74. Gli Atti del Concilio di Calcedonia (Conc. t. IV, p. 761-2071), comprendono quelli d’Efeso, (pag. 890-1189), nei quali è pure inserito il Sinodo di Costantinopoli sotto Flaviano (pag. 930-1072): fa d’uopo qualche attenzione per discernere questo doppio inesto. Tutto ciò che si riferisce ad Eutiche, a Flaviano, a Dioscoro vien raccontato da Evagrio (l. I, c. 9-12, e l. II, c. 1, 2, 3, 4), e da Liberato (Prev. c. 11, 12, 13, 14). Io rimando ancora questa volta, e forse per l’ultima alle esatte ricerche di Tillemont (Mém. ecclés. t. XV, p. 479-719). Gli annali del Baronio e del Pagi m’accompagneranno anco più in là nel lungo e penoso viaggio da me intrapreso.
  75. Μαλιςα η περιβοντος Πανσοφια η καλουμενη Ορεινη (forse Ειρηνη), περι ης και ο πολυανθροπος τησ Αλεξανδρεων δημος αφηκε φωνην αυτης τε και του εραςου μεμνημενος, soprattutto la famosa Pansofia denominata Orine (forse Irene) per la quale anche il numeroso popolo d’Alessandria abiurò la memoria di lei e del drudo (Concil. t. IV, p. 1276). Si trova un saggio dello spirito e della malizia del popolo nell’antologia greca (l. II, c. 5, p. 188 ed. Wechel); l’editor Brodeo non conobbe a chi fosse applicato. L’autor anonimo dell’epigramma forma un giuoco di parole assai frizzante sulla frase del saluto episcopale „La pace sia con tutti voi„ pari al nome vero o corrotto della concubina del vescovo, detta Irene (che in greco vuol dir pace).

    Ειρηνη παντεσσιν επισκοπος ειπεν επελθων
    Πως δυναται πασιν ην μονος ενδος εχει;

    Comparando il vescovo disse: pace (Irene) a tutti; ma come a tutti, se l’ha in casa egli solo!

     Non so, se il Patriarca, che sembra essere stato un amante geloso sia il Cimone dell’epigramma precedente, di cui Priapo medesimo vedea con istupore ed invidia πεος εστεκος.a
    1. Non v’era bisogno di manifestare cose così dispiacevoli a’ credenti: si sa che vi furono, e vi saranno Vescovi peccatori; il tribunale della Penitenza è fatto anche per essi.
  76. Quelli che rispettano l’infallibilità dei Concilii dovrebbero provarsi a determinare il senso di quella decisione. I Vescovi che colla loro opinione dieder legge all’assemblea erano attorniati da scrivani infedeli o negligenti, che disseminarono le copie pel Mondo. Nei nostri MS. greci si trova quella versione falsa e proscritta di εκ τον φυσεων , dalle nature (Concil. t. III, p. 1460). Non pare che siasi mai avuta una traduzione autentica dello scritto di Papa Leone; e le antiche versioni latine sono essenzialmente differenti dalla vulgata attuale, secondo i migliori MS. degli Ακοιμητοι, Vigilanti, a Costantinopoli, (Ducange, C. P. Cristiana, l. IV, p. 151), che così era chiamato un celebre monastero di Latini, di Greci e di Sirii. (Vedi Concil. t. IV, p. 1959-2049, e Pagi, Critica, t. II, p. 326 ec.).
  77. Non si devono trattare con figure rettoriche, che racchiudono uno scherzo, materie per se stesse gravissime, e rispettabili; bisogna maneggiarle colla ragione teologica. (Nota di N. N.)
  78. Il microscopio di Petavio non rappresenta che oscuramente questa particella (t. V, l. III, c. 5); eppure quel sottil Teologo esso stesso n’è sbigottito, ne quis fortasse supervacaneam, et nimis anxiam putet hujusmodi vocularum inquisitionem, et ab instituti theologi gravitate alienam (p. 124).
  79. Εβοησαν η ο ορος κρατειτω η απερχομεθα .... οι αντιλεγοντες φανεροι γενωνται, οι αντιλεγοντες Νεςοριανοι εισιν, οι αντελεγοντες εις Ρωμην απελτοσιν, gridarono, o si assegni il termine, o andiamcene.... si palesino gli avversari, gli avversari sono Nestoriani, vadano gli avversari a Roma (Concil. t. IV, p. 1449). Evagrio e Liberato non mostrano questo Concilio che in un aspetto pacifico, e scorrono prudentemente su queste brage suppositos cineri doloso.
  80. I Cristiani de’ nostri giorni prudentemente alieni da controversie, e da turbolenze, credano ciecamente alle parole del Credo, e della buona dottrina teologica, le quali esprimano misterii, ch’essi riveriscono senza correre il pericolo dei ragionamenti. (Nota di N. N.)
  81. Vedi nell’Appendice agli Atti di Calcedonia, la conferma di questo Sinodo fatta da Marciano, (Concil. t. IV, pag. 1781, 1783), le sue lettere ai monaci d’Alessandria (p. 1791), a quei del monte Sinai, (p. 1793), a quei di Gerusalemme e di Palestina (pag. 1798), le sue leggi contro gli Eutichiani (p. 1809, 1811, 1831), il carteggio di Leone coi Sinodi provinciali intorno la rivoluzion d’Alessandria. (p. 1835-1930).
  82. Fozio (o più veramente Eulogio d’Alessandria) in un bel passo della sua opera confessa, che par ben fondata questa doppia accusa contro Papa Leone e il suo Concilio di Calcedonia (Bibl. cod. CCXXV, p. 768). Facea egli una doppia guerra ai nemici della Chiesa e feriva l’uno o l’altro di costoro cogli strali del suo avversario κατ’αλληλοις βελεσι τους αντιπαλους επετροσκε. Parea che stabilisse contro Nestorio συγχυσις, la confusione delle Nature dei Monofisiti; contro Eutiche confermasse υποσασεων διαφορα, la diversità di sostanze dei Nestoriani. Dice l’apologista, che bisogna interpretare con carità le azioni dei Santi: se si fosse proceduto così riguardo agli eretici le controversie si sarebbero terminate in vani schiamazzi esalati per l’aria.
  83. Era soprannominato Αιλουρος, il gatto, in grazia delle sue corse notturne. In mezzo all’oscurità, e mascherato girava attorno alle celle del monastero, e dirigeva ai suoi confratelli addormentati parole ch’erano credute rivelazioni (Theo. Lector. l. I).
  84. φο νους τε τολμηναι μυριους, αιματων πληθει μολυνθηναι μη μονον την γην αλλα και αυτον αερα, essersi sofferte stragi a migliaia, dalla piena di sangue essere stata contaminata, non la sola terra, ma l’aria stessa. Tal’è il linguaggio iperbolico dell’Ennotico.
  85. Vedi la Cronica di Vittore Tunninense, nelle Lezioni antiche di Canisio, ristampate da Basnagio (t. 1, p. 326.)
  86. L’Ennotico è stato trascritto da Evagrio, (l. III, c. 13) e tradotto da Liberato (Brev. c. 18). Pagi (Critica, t. II, p. 411), ed Assemani (Bibl. orient. t. I, p. 343), non ci vedeano eresia di sorta; ma Petavio (Dogm. Theolog. t. V, l. I, c. 13, p. 40) si è fatta lecita una assai strana asserzione, dicendo, Calcedonensem ascivit. Un suo nemico potrebbe dargli l’accusa di non aver mai letto l’Ennotico.
  87. Vedi Renaudot (Hist. Patriarch. Alex. p. 123, 131, 145, 195, 247). Furono riconciliati da Marco I (A. D. 799-819) il quale promosse i Capi ai vescovadi di Atribis e di Talba, forse Tava, (Vedi d’Anville p. 87) e supplì alla mancanza dei Sacramenti che non erano stati conferiti in una Ordinazione episcopale.
  88. De his quos baptisavit, quos ordinavit Acacius, maiorum traditione confectam et veram, praecipue religiosae sollicitudini congruam praebemus sine difficultate medicinam. (Gelasio in epist. 1 ad Euphemium. Conc. t. V, p. 286). La proferta d’una medicina prova la malattia, e molti saran periti, prima che arrivasse il medico Romano. Tillemont medesimo (Mém. ecclés. t. XVI, p. 372, 642, etc.) è nauseato dal naturale orgoglio e poco caritatevole dei Papi; presentemente son contenti, egli dice, d’invocar S. Flaviano d’Antiochia e S. Elia di Gerusalemme ec. a cui quando eran viventi ricusavan la comunione. Ma il cardinal Baronio sta saldo e duro come la rupe di S. Pietro.
  89. Se ne cancellarono i nomi dal dittico della Chiesa: ex venerabili diptycho, in quo piae memoriae transitum ad coelum habentium episcoporum vocabula continentur. (Concil. t. IV, p. 1846). Questo registro ecclesiastico equivaleva dunque al libro della vita.
  90. Petavio (Dogmat. Theolog. t. V, l. V, c. 2, 3, 4, p. 217-225), e Tillemont (Mém. ecclés. t. XIV, p. 713, etc. 799), ci danno la storia e la dottrina del Trisagion; nei dodici secoli che passarono fra Isaia e il giovanetto S. Proculo, che fu rapito in Cielo alla presenza del vescovo e del popolo di Costantinopoli, era stato ben perfezionato questo Inno. Intese il giovanetto queste parole dalla bocca degli angeli. „Santo Dio! Santo forte! Santo immortale!„
  91. Pietro Gnafeo, il Gualchieraio, (mestiere ch’egli facea nel suo monastero) patriarca d’Antiochia. La sua noiosa storia si discute lungamente negli annali di Pagi (A. D. 477-490), e in una dissertazione del signor di Valois sulla fine del suo Evagrio.
  92. I cenni che si riferiscono alle turbolenze accadute sotto il regno d’Anastasio si trovano sparsi qua e là nelle Croniche di Vittore, di Marcellino e di Teofane. L’ultima non era pubblicata al tempo di Baronio; il Pagi, suo censore, è più copioso e più esatto nelle citazioni.
  93. Tali erano i gridi di una truppa di Monaci tumultuanti, e sediziosi, disapprovati dai veri Cristiani, che amano la pace, e che sono obbedienti ai loro Sovrani. (Nota di N. N.)
  94. I veri seguaci di Cristo, Dio di Pace, disapprovano queste guerre, queste ribellioni, e questi massacri promossi da monaci, e da preti, che si scostarono intieramente dalle massime cristiane le quali insegnano doversi usare la persuasione, e non la forza, ed aver sempre tolleranza ed amore. (Nota di N. N.)
  95. I fatti generali della storia dal Concilio di Calcedonia sino alla morte d’Anastasio sono registrati nel Breviario di Liberato (c. 14-19), nel secondo e terzo libro di Evagrio, nell’estratto dei due libri di Teodoro Lettore, negli Atti dei Sinodi e nella Epistole de’ Papi (Concil. t. V). Le particolarità successive si trovano con qualche confusione nei tomi decimoquinto e decimosesto delle Mém. ecclés. del Tillemont. Io debbo qui prender commiato da questa guida impareggiabile, la quale fa dimenticare la sua cieca divozione coi pregi eruditi, colla cura che pone nelle sue ricerche, colla veracità ed esattezza scrupolosa che osserva. Gl’impedì la morte di terminare come aveva intenzione il sesto secolo della Chiesa e dell’Impero.
  96. Le accuse degli aneddotti di Procopio (c. 11, 13, 18, 27, 28), colle dotte annotazioni d’Alemanno son confermate, anzi che contraddette dagli Atti dei Concilii, dal quarto libro d’Evagrio, e dalle lagnanze dell’Africano Facondo in un duodecimo libro de tribus capitalis; cum videri doctus appetit importune .... spontaneis quaestionibus ecclesiam turbat. (Vedi Procopio de Bell. Goth. l. III, c. 35).
  97. Procopio, De Aedific. l. I, c. 6, 7, etc., passim.
  98. ’Ος δε καθηται αφυλακτος εςαει επι λεσχης τινος αωρι νυκτον ομου τοις των ιερεον γερουσιν ασχετον ανακυκλειν τα Χριστιανον λογια σπουδην εχων. (Procopio, De bell. goth. l. III, c. 32). L’autore della vita di S. Eutichio (apud. Alleman. ad Procop., Arcan. c. 18) fa la stessa pittura di Giustiniano, ma coll’intenzione di lodarlo.
  99. Procopio che espone questi sensi saggi e moderati (De Bell. goth. l. I, c. 3), è trattato per ciò duramente nella Prefazione di Alemanno, che lo mette nella lista de’ cristiani politici; sed longe verius haeresium omnium sentinas, prorsusque atheos: Atei abbominevoli, che raccomandavano d’imitare la bontà di Dio verso gli uomini (Ad. Hist. Arcan. c. 13).
  100. Quest’alternativa che merita attenzione è stata conservata da Giovanni Malala (t. II, p. 63, edit. di Ven. 1733), il quale è sempre più degno di fede verso la fine della sua opera: dopo aver fatto l’enumerazione dei Nestoriani e degli Eutichiani ec., ne expectent, dice Giustiniano, ut digni venia judicentur; jubemus enim ut ... convicti et aperti haeretici justae et idoneae animadversioni subjiciantur. Questo editto del codice è riferito con elogio da Baronio (A. D. 527, n. 39-40).
  101. Vedi il carattere e le massime dei Montanisti in Mosemio, (De rebus Christ. ante Costantinum, p. 410-424).
  102. Sono nati i Cristiani eretici detti Montanisti da Montano loro Capo, cui si unirono Priscilla, e Massimilla che abbandonarono i loro mariti; i Montanisti erano visionarii, e fanatici oltre modo. (Nota di N. N.)
  103. Teofane (Chronique p. 153). Da Giovanni il Monofisita, Vescovo asiatico, ci è data una delle più autentiche testimonianze che aver si possano in questo proposito, poichè impiegato all’uopo dall’Imperatore (Assemani, Bibl. orient. t. II, pag. 85).
  104. Si confronti Procopio (Hist. Arcan. c. 28 e le note d’Alemanno), con Teofane (Chron. p. 190). Il Concilio di Nicea aveva commessa al Patriarca, o piuttosto agli astronomi d’Alessandria, l’annua pubblicazione della Pasqua; ed ancora oggi noi leggiamo, o piuttosto non leggiamo mai, le lettere Pasquali di S. Cirillo, di cui ne rimane un buon numero. Dopo il regno del Monofisismo in Egitto, furono i Cattolici assai impacciati da un pregiudizio tanto irragionevole, quanto quello per cui i Protestanti non han voluto per lungo tempo accettare lo stile Gregoriano.
  105. Vedi su la Religione e la storia dei Samaritani, l’Histoire des Juifs, del Basnagio, opera dotta e imparziale.
  106. Sichem, Neapoli, Naplous, ch’è la residenza antica e moderna dei Samaritani, giace in una valle fra lo sterile Ebal, il monte delle Maledizioni al Nort, e il fertile Garizim, o sia monte delle Maledizioni al Sud, distante da Gerusalemme dieci od undici ore di viaggio. Vedi Maundrel, (Journey from Aleppo etc. p. 59-63).
  107. Procopio (Anecdot. c. II); Teofane, (Chron. pag. 152), Giovanni Malala, (t. II, pag. 62). Mi ricordo d’aver letto questa osservazione mezzo filosofica, e mezzo superstiziosa, cioè che la provincia devastata dal fanatismo di Giustiniano fu quella stessa, per cui i Musulmani entrarono nell’impero.
  108. Le espressioni di Procopio sono notabili: ου γαρ οι εδοκει φονος ανθρωπον ειναι, ην γε μη της αυτου δοξην οι τελευτωντες τυχοιεν οντες, „imperocchè non gli pareva che fosse un fare strage degli uomini, se gli uccisi non erano della sua fede„ (Anecdot. c. 13).
  109. Vedi la Cronaca di Vittore p. 328, e la testimonianza originale delle leggi di Giustiniano. Pei primi anni del regno di costui Baronio è molto di buon umore con esso, poichè accarezzò i Papi sino a tanto che li tenne soggetti alla sua volontà.
  110. Procopio Anecdot. c. 13. Evagrio l. IV, c. 10. Se l’ Istorico ecclesiastico non ha letto l’Istorico secreto, provano almeno i lor sospetti comuni, che l’odio del Pubblico era generale.
  111. Vedi sui tre Capitoli gli Atti originali del quinto Concilio generale tenuto a Costantinopoli; vi si trovano molti fatti autentici, ma inutili (Concil. t. VI, p. 1-419). Evagrio autor greco, è meno minuzioso e meno esatto (l. IV, c. 38) dei tre zelanti Affricani, Facondo (ne’ suoi dodici libri De tribus capitulis, pubblicati da Sirmond in modo correttissimo), Liberato (nel suo Breviarum, c. 22, 23, 24), e Vittorio Tunnunense (nella sua Chron. in t. I, antiq. Lect. Canisii, pag. 330-334). Il Liber pontificalis od Anastasio (in Vigilio, Pelagio, etc.), è una prova originale, ma tutta in favore degli Italiani. Potrà il lettor moderno ricavar qualche notizia dal Dupin (Bibl. ecclésiast. t. V, p. 189-207), e dal Basnagio (Hist. de l’Eglise, t. I, p. 519-541); ma il secondo disprezza troppo l’autorità e il carattere de’ Papi.
  112. Origene era di fatto assai propenso ad imitare la πλανη l’errore, e la δυσσεβεια l’empietà degli antichi Filosofi (Giustiniano ad Mennam, in Concil. t. VI, p. 356); mal s’accordavano collo zelo ecclesiastico le sue opinioni moderate, e fu trovato reo dell’eresia della ragione.
  113. Basnagio (Praefect. p. 11-14 ad tom I; Antiq. Lect. Canis.) ha benissimo pesato la colpa e l’innocenza di Teodoro di Mopsuesta: se compose diecimila volumi, vuole la carità che se gli perdonino diecimila errori. Egli è registrato, ma senza i suoi due confratelli nei cataloghi degli Eresiarchi, formati dopo di lui; ed Assemani (Bibl. orient. t. IV p. 203-207), manca al suo impegno di giustificare quel decreto.
  114. Vedi le doglianze di Liberato e di Vittore, e le esortazioni di Papa Pelagio al conquistatore ed all’Esarca d’Italia. Schisma.... per potestates pubblicas opprimatur. etc. (Concil. t. VI, p. 467, etc.). Si teneva un esercito a reprimere la sedizione in una città dell’Illiria. Vedi Procopio (De Bell. Goth. l. IV, c. 25) ων περ ενεκα σφισιν αυτοις οι Χριςιανοι διαμαχονται, per queste cagioni i Cristiani si facean guerra fra loro. Par che prometta una storia della Chiesa: sarebbe stata curiosa e imparziale.
  115. Papa Onorio riconciliò colla Chiesa, (A. D. 638), i Vescovi del patriarcato d’Aquileia; (Muratori, Annal. d’Ital. t. V, p. 376); ma ricaddero nello scisma, il quale non s’estinse al tutto che nel 698. Quattordici anni prima tacitamente non avea voluto la chiesa di Spagna sottomettersi al quinto Concilio generale (XIII Concil. Toletan. in Concil. t. VII, p. 487-494).
  116. Nicezio, vescovo di Treveri. (Concil, t. IV, pag. 511-513) pel suo rifiuto di condannare i tre Capitoli, fu separato dalla comunione dei quattro Patriarchi, non che la maggior parte dei prelati della Chiesa gallicana (San Gregor. epist. l. VII; epist. 5 in Concil. t. VI, p. 1007). Baronio quasi quasi pronuncia la dannazione di Giustiniano (A. D. 565, n. 6).
  117. Dopo avere Evagrio narrata l’ultima eresia di Giustiniano (l. IV, c. 39, 40, 41), e l’editto del suo successore, (l. V, c. 3), non mette più nella sua storia fatti ecclesiastici, ma solamente civili.
  118. La Croze (Christian. des Indes, t. I, p. 19, 20) ha notato questa straordinaria e forse inconseguente dottrina dei Nestoriani; vien’essa esposta più minutamente da Abulfaragio (Bibl. orient. t. II, 292; Hist. dynast., pag. 91, vers. lat., Pocock), e dall’istesso Assemani (t. IV, p. 218); pare che ignorino, ch’essi poteano allegare l’autorità positiva dell’Ectesi. Ο μιαρος Νεςοριος καιπερ διαιρων τη θειαν του Κυριου ενανθρωπησιν, και δυο εισαγων υιους δυο θεληματα τουτων ειπειν ουν ετολμησε, τουναντιον δε ταυτο βουλιαν των ... δωο προσωπων εδοξασε, l’iniquo Nestorio, benchè col dividere la divina Umanità del Signore e introdurre due Nature, (rimprovero ordinario dei Monofisiti) non ebbe coraggio di asserire due volontà in esse, e per l’opposito opinò esser una la volontà delle due Persone. (Concil. t. VII, p. 205).
  119. Vedi la dottrina ortodossa in Petavio: (Dogmata Theolog. t. V, l. IX, c. 6-10, p. 433-447). Tutte le profondità di queste controversie si scontrano nel dialogo greco tra Massimo e Pirro (ad calcem, tom. VIII Annal. Baron. pag. 755-794); e di fatto questo dialogo era stato tenuto in una conferenza che originò una conversione di poca durata.
  120. Impiissimam Ecthesim... scelerosum typum (Concil. t. VII, pag. 366), diabolicae operationis genimina (forse germina, o altrimenti secondo la greca parola γενεματα, frutti, produzioni, dell’originale), Concil. pag. 363-364. Parole son queste del XVIII anatema. L’epistola di Martino ad Amando, un de’ Vescovi della Gallia, maltratta con pari acerbità i Monoteliti, e la loro eresia. (p. 392).
  121. I mali di Martino e di Massimo son descritti con una semplicità patetica nelle lor lettere, e ne’ loro Atti originali. (Concil. t. VII, p. 63-68. Baron. Annal. eccles. A. D. 656 n. 2 et annos subsequent.) Il gastigo per altro della lor disubbidienza, εξορια e σωματος αικιςμος, l’esilio e i tormenti corporali, era minacciato nel tipo di Costanzo (Concil. t. VII, pag. 240).
  122. Eutichio (Annal. t. II, p. 368), malamente suppone, che i cento ventiquattro Vescovi del Sinodo romano si trasportassero a Costantinopoli; e aggiuntili ai cento sessant’otto Greci, viene così componendo di duecentonovantadue Padri il sesto Concilio ecumenico.
  123. Costanzo, attaccato alla dottrina dei Monoteliti, era odiato da tutti, δια τοι καυτα (dice Teofane, Chron. p. 292), εμισισθη σφαδρα παρα παντων. Quando il monaco monotelita non riuscì a fare il miracolo che aveva promesso, il Popolo fece alto schiamazzo, ο λαος ανεβοησε il popolo esclamò (Concil. t. VII, p. 1022). Ma questa fu un’emozion naturale e momentanea, e temo assai non sia stata quest’ultima un’anticipazione d’ortodossia nel buon popolo di Costantinopoli.
  124. È disapprovabile la franchezza dell’Autore nel dar torto (senza presentare lo stato della questione, e senza addurre le ragioni teologiche) ai Concilii di Roma, ed anche al Concilio generale VI tenuto in Costantinopoli contro i Monoteliti, ossia contro i sostenitori di una sola volontà in Gesù Cristo: questi Concilii hanno decretato, contro molti Vescovi ed ecclesiastici, essere in Gesù Cristo due volontà, concordanti per altro fra loro, e questo è ciò che si deve credere. Questa fede poi ha anche il motivo di credibilità. Era stato deciso prima dal Concilio generale III e d’Efeso I, anno 431, non essere in Gesù Cristo che una persona contro Nestorio Patriarca di Costantinopoli, e contra i Vescovi, e preti d’Oriente suoi compagni. Sosteneva egli l’Eretico, essere il Verbo (che vuol dire l’Intelligenza, o parola di Dio) e l’Uomo due persone, e quindi non poter dirsi che Maria fosse Madre di Dio, ma bensì soltanto Madre di Cristo: asseriva, che la Natura divina si è unita colla umana come un uomo che fa un’opera, è unito all’istromento di cui si serve per farla; che l’uomo a cui si unì il Verbo è un tempio nel quale abita il Verbo, il quale lo dirige, e lo anima, e non fa che un tutto con lui, e che questa era la sola unione possibile tra la Natura umana e la divina; non ammetteva che un’unione morale fra il Verbo, e la natura umana; asseriva non potersi ammettere tra la natura umana e la divina unione tale, che rendendo la Divinità soggetta alle passioni, e alle debolezze dell’umanità formi in Gesù Cristo una sola persona; negava in somma l’unione ipostatica del Verbo colla umana natura ossia l’Incarnazione, e diceva essere due persone in Gesù Cristo: soggiungeva che la frase Madre di Dio era un ostacolo alla conversione dei Gentili: imperciocchè, diceva, come si potranno impugnare le loro Divinità quando si ammetta un Dio ch’è nato, un Dio che ha sofferto, un Dio ch’è morto? L’errore di Nestorio, il quale non supponeva, che un’unione morale tra la Natura divina ed umana, asserendo essere due persone in Gesù Cristo, distruggeva tutta l’economia dalla religione cristiana, poichè egli è evidente, che in tal caso ne seguirebbe, che Gesù Cristo nostro Mediatore, e Redentore, non fosse che un semplice uomo, lo che distrugge il fondamento della religione cristiana. Il dogma dell’unione ipostatica vale a dire dell’Incarnazione, fu spiegato, e determinato dal Concilio generale III e d’Efeso I presieduto da S. Cirillo Patriarca d’Alessandria: cotal dogma non è una speculazione inutile come pretendono i liberi pensatori; serve a darci l’esempio di tutte le virtù, ad istruirci con autorità, ed a prevenire infiniti abusi, ne’ quali sarebbero caduti gli uomini, quando non avessero avuto per modello, e per mediatore, fra Dio ed essi, che un semplice uomo. In questa vista i S. S. Padri hanno mirato il dogma dell’Incarnazione: ma non è questo il luogo di trattare a lungo di ciò (Vedi S. Agostino De Doctr. Christ. S. Greg. Moral. l. 6, 7). Era stato deciso, secondo gli scritti de’ S. S. Padri, dal Concilio generale IV di Calcedonia l’anno 451, che in Gesù Cristo figlio di Dio perfetto nella sua Divinità, e perfetto nella sua Umanità, consustanziale al Padre secondo la Divinità, ed a noi secondo l’umanità, vi furono due Nature unite senza cangiamento, senza separazione, di modo, che le proprietà delle due Nature sussistono, e convengono ad una medesima sola persona, che non è in niun modo divisa in due, ma che è un solo Gesù Cristo figlio di Dio come era stato espresso nel Credo scritto nel Concilio generale I di Nicea, l’anno 325, e ciò contro il Monaco eretico Eutiche, Capo degli Eutichiani, il quale per fuggire l’errore del Nestorianismo delle due persone in Gesù Cristo figlio di Dio, perchè vi sono due Nature, sosteneva che le due Nature fossero talmente unite da non formarne che una sola, e confuse le due Nature in una sola spiegando ciò col dire, che la Natura umana era stata assorbita dalla divina, come una gocciola dal Mare; e così spogliava Gesù Cristo della qualità di Mediatore, e distruggeva i patimenti, la morte e la resurrezione, mentre tutte queste cose s’appartengono alla natura umana, ed alla esistenza di un’anima umana, e di un corpo umano uniti alla Persona del Verbo, e non appartengono in niun modo al solo Verbo. Se dunque era stato prima deciso dal Concilio generale IV di Calcedonia, nell’anno 451, esservi in Gesù Cristo due Nature unite, ma non confuse, ne veniva di conseguenza ch’egli dovesse avere due volontà siccome appunto decise il Concilio generale IV contro i Monoteliti, che sostenevano aver Cristo una sola volontà. Serva questa nota d’istruzione dogmatica a’ lettori per que’ luoghi tutti ove l’Autore fa parola della Natura, e della persona di Gesù Cristo. (Nota di N. N.)
  125. L’istoria del Monotelismo sta negli Atti dei Concilii di Roma (t. VII, pag. 77-395, 601-608), e di Costantinopoli (p. 609-1429). Baronio ha tratto alcuni documenti originali dalla Biblioteca vaticana, e le accurate ricerche del Pagi hanno retificata la sua cronologia. Dupin istesso (Bibliot. ecclés., t. VI, pag. 57-71), e Basnagio (Hist. de l’Eglise, t. I, p. 541-555) ne danno un compendio assai pregevole.
  126. Nel Concilio Lateranense nel 679, Wilfrido vescovo Anglo-sassone sottoscrisse pro omni Aquilonati parte Britanniae et Hiberniae, quae ab Anglorum et Brittonum, necnon Scotorum et Pictorum gentibus colebantur (Eddio, in vita S. Wifrido, c. 31 apud Pagi, Critica, t. III, p. 88). Teodoro (magnae insulae Britanniae archiepiscopus et philosophus) fu aspettato a Roma lungamente (Concil. tom. VII, p. 714); ma si contentò di tenere (A. D. 680) il suo Sinodo provinciale in Hatfield, ove ricevè i decreti di Papa Martino e del primo Concilio di Laterano contro i Monoteliti (Concil. t. VII, pag. 597 etc.), Teodoro, monaco di Tarso in Cilicia, era stato nominato da Papa Vitaliano primate della Brettagna (A. D. 668); Vedi Baronio e Pagi che ne lodano il suo sapere e la pietà, ma diffidano del suo carattere nazionale; ne quid contrarium veritatis fidei, graecorum more in Ecclesiam cui praeesset, introduceret. Il monaco di Cilicia fu mandato da Roma a Cantorbery accompagnato da una guida affricana (Beda, Hist. eccles. Anglorum, l. IV, c. 1). Egli aderì alla Dottrina romana; e lo stesso domma dell’Incarnazione si è trasmesso senza cangiamento da Teodoro ai primati dei tempi moderni, che dottati di più sodo giudizio, s’imbarazzano, cred’io, rare volte dei labirinti di quel astratto Mistero.
  127. Pare che questo nome ignoto, sino al decimo secolo, sia di origine siriaca. Fu inventato dai Giacobiti, e con ardore accolto dai Nestoriani e dai Musulmani; ma i Cattolici lo accettarono senza rossore, e sovente si trova negli Annali di Eutichio (Assemani, Biblioth. orient. t. II, p. 507, etc. t. III, pag. 355; Renaudot Hist. patriar. Alexan. pag. 119). °Hμεῖς δοῦλοι τοῦ βασιλέως, noi siam sudditi del re„, fu l’acclamazion dei Padri di Costantinopoli (Concil. t. VII, p. 765).
  128. Il siriaco tenuto per lingua primitiva dagli originarii della Siria avea tre dialetti: 1. l’arameo, che si parlava in Edessa, e nelle città della Mesopotamia; 2. il palestino, usato in Gerusalemme, in Damasco, e nel resto della Siria; 3. il nabateo, idioma rustico delle montagne dell’Assiria e de’ villaggi dell’Irak (Gregor. Abulfarag. Hist. dynast., pag. 11). Vedi sul siriaco, Ebed-Gesù (Assemani, t. III, pag. 326, etc.), il quale solamente per animo preoccupato ha potuto preferirlo all’arabo.
  129. Io non velerò la mia ignoranza sotto i manti di Simone, di Walton, di Mill, di Wetstein, d’Assemani, di Lodolfo, o di La Croze da me diligentemente consultati. Pare 1. non esser certo, che noi oggi abbiamo nella primiera integrità versione veruna di quelle decantate dai Padri della Chiesa; 2. la version siriaca esser quella, che sembra aver più titoli d’autenticità, e che per confession delle Sette d’Oriente è più antica del loro scisma.
  130. In ciò, che riguarda i Monofisiti e i Nestoriani io debbo moltissimo alla Bibliotheca orientalis Clementino-Vaticana di Giuseppe Simone Assemani. Questo dotto Maronita andò nel 1715, per ordine di Papa Clemente XI, a visitare i monasteri dell’Egitto e della Siria in cerca di MS. I quattro volumi in foglio da lui pubblicati a Roma nel 1719 non contengono che una parte dell’esecuzione del suo vasto disegno; ma forse è la più preziosa. Nato egli in Siria conosceva benissimo la letteratura siriaca, e si vede, che quantunque dependesse dalla Corte romana s’ingegna d’essere moderato e sincero.
  131. Vedi i Canoni arabi del Concilio di Nicea nella traduzione d’Abramo Ecchelense, n. 37, 38, 39, 40. Concil. t. II, p. 335, 336, ediz. di Venezia. Que’ titoli, conosciuti di Canoni di Nicea e di Canoni arabi sono ambedue apocrifi. Il Concilio di Nicea non fece più di venti Canoni (Theod. Hist. eccles. l. I, c. 8); i settanta o ottanta che vi si aggiunsero, furono estratti dai Sinodi della Chiesa greca. L’edizione siriaca di Maruta non sussiste più (Assemani, Bibl. orient. t. I, p. 195, t. III, p. 74); e nella version araba havvi diverse alterazioni recenti. Questo codice per altro racchiude preziosi avanzi della disciplina ecclesiastica; ed essendo stimato da tutte le comunioni dell’Oriente, è probabile ch’ei sia stato finito prima dello scisma dei Nestoriani e dei Giacobiti (Fabric., Bibliot. graec. t. XI, p. 363-367).
  132. Teodoro il Lettore (l. II, c. 5-49, ad calcem. Hist. ecclesiast.) ha fatto menzione di questa scuola persiana d’Edessa. Assemani (Bibliot. orient., t. II, p. 402, t. III, p. 376-378, t. IV, p. 70-924), discute con molta chiarezza ciò che riguarda il suo antico splendore, e le due epoche della sua caduta.
  133. Una dissertazione sullo stato dei Nestoriani è divenuta in mano d’Assemani un volume in foglio di 950 facciate, ove egli ha disposto in ordine chiarissimo le sue dotte ricerche. Oltre a questo quarto volume della Bibliotheca orientalis, gioverà consultare gli estratti che stanno nei tre primi tomi (t. I. p. 203, t. II, p. 321-463, t. III, p. 64-70, 378-395, ec. 403-408, 580-589).
  134. Vedi la Topographia christiana di Cosma, soprannominato Indicopleuste, ossia navigatore indiano l. III, p. 178, 179, l. XI, p. 337. L’intiera opera, della quale si trovano degli estratti curiosi in Fozio (cod. XXXVI, p. 6, 10; ediz. Hoeschel), in Thevenot, (prima parte delle sue Relations des voyages ec.), e in Fabrizio (Biblioth. graec., l. III, c. 25; t. II, p. 603-617), fu pubblicata dal padre Montfaucon, Parigi 1707, nella Nova collectio Patrum, (t. II, p. 113-346). Era intenzione dell’autore di confutar l’eresia di coloro, i quali sostengono che la Terra è un globo, e non una superficie piatta e bislunga, come è rappresentata dalla Scrittura (l. II, p. 138). Ma l’assurdità del monaco si trova mescolata colle cognizioni pratiche del viaggiatore, che partì, A. D. 522, e pubblicò un libro in Alessandria A. D. 547. (l. II, p. 140, 141; Montfaucon, Praefat. c. 2). Il Nestorianismo di Cosma, di cui non s’accorse il suo dotto editore, è stato scoperto dal La Croze (Christianisme des Indes, t. I, pag. 40-55), e questa cosa è confermata da Assemani (Bibl. orient., t. IV, p. 605, 606).
  135. L’Istoria del prete Gianni nel suo lungo cammino per Mosul, Gerusalemme, Roma, ec. divenne una mostruosa favola, alcuni passi della quale son tolti dal Lama del Thibet, (Hist. généalogique des Tartares, par. II, 42. Hist. de Gengis-Khan, p. 31 ec.), e che poi con un error madornale fu dai Portoghesi applicata all’imperator d’Abissinia. (Ludolfo Hist. Aethiop. Comment., l. II, c. 1). È per altro probabile, che nell’undecimo e duodecimo secolo la odra dei Cheraiti professasse il Cristianesimo secondo i dommi dei Nestoriani (D’Herbelot, p. 256, 915, 959. Assemani t. IV, p. 468-504).
  136. Il Cristianesimo della Cina fra il settimo e tredicesimo secolo, è provato in una maniera incontrastabile da documenti cinesi, arabi, siriaci e latini (Assemani Bibl. orient., t. IV, p. 502-552. Mem. da l’Accad. des inscript., t. XXX, p. 802-819). La Croze, Voltaire ec., sono stati ingannati dalla propria furberia, quando, per guardarsi da una frode gesuitica, han voluto considerar per supposta l’iscrizione del Sigan-Fu, la quale manifesta la gloria della Chiesa nestoriana dopo la prima missione (A. D. 636), sino all’anno 781, che è quello dell’iscrizione.
  137. Jacobitae et nestorianae plures quam graeci et latini. Giacomo di Vitry, Stor. Geros. l. II, c. 76 pag. 1093, nelle Gesta Dei per Francos. Ne segna il numero il Tomassino, Discipline de l’Eglise, t. I, p. 172.
  138. Si può tener dietro alla division del patriarcato nella Bibl. orient., d’Assemani, t. I, p. 523-549, t. II, p. 457 ec., t. III, pag. 603, 621-623, t. IV, pag. 164-169, 423, 622, 629, ec.
  139. Fra Paolo nel settimo libro elegantemente presenta il pomposo linguaggio, che dalla Corte di Roma si adopera, quando se le sottomette un Patriarca nestoriano. Ebbe cura il Papa di usare le grandi parole di Babilonia, di Ninive, d’Arbela, i trofei d’Alessandro, Tauride ed Ecbatana, il Tigri e l’Indo.
  140. S. Tommaso, che predicò nell’India, di cui parlano alcuni come d’un semplice missionario, altri come d’un manicheo, ed altri finalmente come d’un mercadante armeno (La Croze, Christian. des Indes, t. I, p. 57-70), era per altro celebre anche ai tempi di S. Girolamo (ad Marcellam, epist. 148). Marco Polo seppe colà, che S. Tommaso avea sofferto il martirio nella città di Maabar, ovvero di Meliapour, lontana una sola lega da Madras (D’Anville, Eclaircissemens sur l’Inde, p. 125), là dove i Portoghesi fondarono un vescovado sotto il nome di S. Thomé, e dove il Santo ha fatto ogni anno un miracolo, sino a tanto che non fu interrotto dalla profana vicinanza degl’Inglesi (La Croze, t. II, p. 7-16).
  141. Nè l’autor della cronaca sassone (A. D. 883), nè Guglielmo di Malmsbury (De gestis regum Angliae, l. II, c. 4, p. 44), non poteano inventare nel dodicesimo secolo questo fatto straordinario. Non seppero nemmeno spiegare i motivi e il procedere d’Alfredo, e quel che ne dicono di fuga non serve che a stuzzicar la nostra curiosità. Guglielmo di Malmsbury sente la difficoltà dell’impresa, quod quivis in hoc saeculo miretur; e son tentato a credere, che in Egitto prendessero gli ambasciatori inglesi quelle mercanzie e quella leggenda. Alfredo che nel suo Orosio narra un viaggio nella Scandinavia (Vedi Barrington’ s Miscellanies), non fa menzione d’un altro nell’India.
  142. Essendo stato deciso dai Concilii interpreti legittimi dell’Antico, e del Nuovo Testamento, che (come abbiamo veduto) Gesù Cristo Verbo umanizzato dalla stessa sostanza di Dio Padre, era nato dalla Vergine Maria per opera non d’uomo, ma dello Spirito Santo, terza persona della Santissima Trinità, e venendo da ciò chiaramente, che Maria era Madre di Dio, non furono superstiziosi i Latini, ossia i Cristiani d’Occidente, siccome non lo sono oggidì tutti i Cattolici, se prestarono, e prestano un Culto distinto a questa Vergine maravigliosa, che essendo stata il mezzo misterioso onde comparve in questa Terra la seconda Persona della Santissima Trinità, il Verbo fatto uomo, il Salvatore de’ credenti, era da considerarsi, siccome esclama con santo metaforico entusiasmo la Chiesa, felix Coeli porta. Il Culto dalla Vergine Maria non è dunque un atto superstizioso; è superstizioso quell’atto che non è stabilito ed approvato dai Concilii, cioè dalla Chiesa. È poi inconvenientissima, per lo meno, l’espressione dell’Autore, elevata quasi al grado di una Dea: questo nome Dea è proprio dalla religione politeistica, e non della Cristiana, e l’usarlo può far correre nel pericolo di avvicinare le due idee disgiuntissime di una Dea, e di Maria: bisogna usare molta circospezione nell’adoperar termini non determinati, o ricevuti dai Concilii, e da’ S. S. Padri, cioè dalla Chiesa. (Nota di N. N.).
  143. Non è idolatria il culto che i Cattolici prestano alle immagini di Cristo, di Maria, e dei Santi: vedi la nostra lunga nota, di sopra. (Nota di N. N.).
  144. Il Sacramento della Penitenza, della remissione dei peccati, fu stabilito da Gesù Cristo col noto fatto della Maddalena: la Chiesa andò riducendolo a forma, a discipline prudenziali, e prescrivendolo ad un certo tempo. L’istromento della riconciliazione degli uomini con Dio, come può essere l’istromento della tirannia ecclesiastica? ciò non può essere. Se poi alcuni preti ne hanno abusato, e ne abusano, ciò altro non vuol dire se non che gli uomini abusano perfino delle cose più reverende. (Nota di N. N.).
  145. Vedi intorno ai Cristiani di S. Tommaso, l’Assemani Bibl. orient. t. IV, p. 391–407, 435–451. Geddes’s Church, History of Malabar, e specialmente La Croze, Histoire du Christian. des Indes, in due volumi in 12. La Haye, 1758, opera dotta e piacevole. Questi attinsero alla medesima fonte, cioè dalle relazioni dei Portoghesi e degli Italiani; e i pregiudizi dei Gesuiti sono bastevolmente contrappesati da quelli dei Protestanti.
  146. Οἷον εἰπεῖν ψευδαληθής, come s’esprime Teodoro nel suo Trattato dell’Incarnazione, p. 245-247, e tale è la citazione che ne fa La Croze (Hist. du Christianisme d’Ethiopie et d’Arménie, p. 35), il quale forse un po’ sconsideratamente, esclama, „Che raziocinio miserabile!„ Renaudot (Hist. patriarch. Alexand., pag. 127-138), accenna le opinioni espresse da Severo nelle controversie dell’Oriente, e si può vedere la sua vera profession di Fede nell’Epistola da Giovanni il Giacobita, patriarca Antiochia, scriveva nel decimo secolo a Menna d’Alessandria, suo fratello (Assemani Bibl. orient., t. II, p. 132-141).
  147. Epistol. archimandritarum et monachorum Syriae secundae ad papam Hormisdam, Concil., t. V, p. 598-602. Il coraggio di S. Saba, ut leo animosus, darebbe a credere che non fossero poi sempre spirituali o difensive l’armi di quei monaci (Baronio A. D. 513, n. 7, ec.).
  148. Assemani (Biblioth. orient., t. II, p. 10-46), e La Croze (Christian. d’Ethiop., p. 36-40), ci danno l’istoria di Senaia o Filosseno, vescovo di Mabug, o Hierapoli, nella Siria. Egli possedea perfettamente la lingua siriaca, e fu l’autore, e l’editore d’una versione del Nuovo Testamento.
  149. Nella cronaca di Dionigi (ap. Assem., t. II, p. 54), si hanno i nomi ed i titoli di cinquantaquattro Vescovi esiliati da Giustino. Fu chiamato Severo a Costantinopoli per esservi sentenziato, dice Liberato (Brev. c. 19), per aver mozza la lingua, dice Evagrio (l. IV, c. 4); il prudente Patriarca non si fermò ad esaminare la differenza di queste due cose. Questa rivoluzione ecclesiastica è dal Pagi assegnata al mese di settembre 518 (Critica, t. II, p. 506).
  150. I particolari dell’oscura storia di Giacomo Baradeo, o Zanzalo, si leggono qua e là in Eutichio (Annal., t. II, p. 144, 147), in Renaudot (Hist. patriarch. Alex. p. 133), in Assemani (Bibl. orient., t. I, p. 424; t. II, p. 62-66, 324-222, 414; t. III, p. 385-388). Non pare che fosse noto ai Greci: i Giacobiti stessi volean piuttosto derivare il nome, e la genealogia loro dall’Apostolo S. Giacomo.
  151. Le particolarità relative alla sua persona e a’ suoi scritti formano per avventura l’articolo più curioso della Biblioteca d’Assemani (t. II, p. 244-321; ivi porta il nome di Gregorio Bar-Ebreo). La Croze (Christian. d’Ethiopie, p. 53-63), si fa beffe dal pregiudizio che hanno gli Spagnuoli contro il sangue giudaico, il quale secretamente macchia la loro chiesa e la loro nazione.
  152. La Croze (p. 352), e lo stesso Sirio Assemani (t. I, p. 226, t. II, p. 304, 305), fanno la critica di quella astinenza eccessiva.
  153. Una dissertazione di centoquarantadue pagine, che sta in principio del secondo volume d’Assemani, spiega perfettamente le circostanze dei Monofisiti. La Cronaca siriaca di Gregorio Bar-Ebreo o Abulfaragio (Bibliot. orient. tom. II, p. 321-463), ci dà la lista dei Cattolici o patriarchi Nestoriani, e quella dei Mafriani dei Giacobiti.
  154. Eutichio (Annal., t. II, pag. 191, 267, 332), e altri passi della Tavola metodica di Pocock provano, che fu indifferentemente usato il nome di Monoteliti e di Maroniti. Non aveva Eutichio alcun pregiudizio contro i Maroniti del secolo decimo; e possiam credere ad un Melchita, la cui testimonianza è confermata dai Giacobiti e dai Latini.
  155. Concil., t. VII, p. 780. Costantino, prete sirio d’Apamea, con intrepidezza e sottilmente difese la causa de’ Monoteliti (1040 ec.).
  156. Teofane (Chron. pag. 295, 296, 300, 306), e Cedreno (p. 437-440), narrano le glorie dei Mardaiti; il nome mard, che in siriaco significa rebellavit è spiegato da La Roque; (Voyage de la Syrie, t. II, p. 53); il Pagi ne fissa le date (A. D. 676, n. 4-14. A. D. 685 n. 3, 4), ed anche l’oscura istoria del patriarca Giovanni Marone (Assemani Biblioth. orient. t. I, p. 496-520), rischiara le turbolenze del monte Libano dall’anno 686 al 707.
  157. Nell’ultimo secolo si vedeano tuttavia sul monte Libano venti di quei cedri cotanto vantati dalla Storia sacra (Voyage de la Roque, t. I, p. 68-76); oggi non ve ne ha più di quattro o cinque (Viaggio di Volney t. I, pag. 264). La scomunica proteggeva quegli alberi così celebri nella Scrittura; se ne levava, ma con circospezione, qualche pezzo per farne crocette, ec: ogni anno sotto la lor ombra si cantava una Messa, e i Sirii supponevano in essi la facoltà di rialzare i loro rami contro la neve, alla quale non sembra che il Libano sia tanto fedele quanto dice Tacito: inter ardores opacum fidumque nivibus: ardita metafora (Hist. v. 6).
     (Dicasi piuttosto che fedele alle nevi, significa fedele ossia sicuro, difeso ec. per le nevi, nel senso anche di Plinio. V. Forcellini. N. del Trad.)
  158. La testimonianza di Guglielmo di Tiro (Hist. in gestis Dei per Francos, l. XXII, c. 8, p. 1022), è copiata, o confermata, da Giacomo di Vitry (Hist. Hierosolym., l. II, c. 77, p. 1093, 1094); ma col potere dei Franchi mancò questa lega poco naturale, e Abulfaragio morto nel 1286, considera i Maroniti come una Setta di Monoteliti (Bibl. orient. t. II, p. 292).
  159. Trovo una descrizione e una storia de’ Maroniti nel Viaggio in Siria e nel monte Libano, del La Roque, due volumi in 12 Amsterd., 1723; particolarmente nel t. I, p. 42-47, 174-84, t. II, p. 10-120; in ciò che si riferisce ai tempi antichi aderisce alle opinioni pregiudicate di Nairon e d’altri Maroniti di Roma, alle quali non sa rinunziare Assemani, ed ha poi vergogna di sostenerle. Si consulti Jablonski (Instit. Hist. Christ. t. III, p. 186), Niebur (Voyage de l’Arabie, etc. t. II, p. 346, 370-381), e soprattutto il giudizioso Volney (Voyage en Egypte et en Syrie, t. II, p. 8-31, Paris, 1787).
  160. La Croze (Hist. du Christianisme de l’Ethiopie et de l’Arménie, p. 269-402), descrive in pochi tratti la religion degli Armeni. Ci rimanda alla grand’istoria d’Armenia pubblicata da Galano, (tre volumi in foglio, Roma 1650-1661), e raccomanda l’esposizione che dello stato dell’Armenia si fa nel terzo volume delle Nouveaux Mémoires des Missions du Levant. Convien dire, che sia assai pregevole l’opera d’un Gesuita, quando è lodata da La Croze.
  161. Si pone l’epoca dello scisma degli Armeni ottantaquattr’anni dopo il Concilio di Calcedonia (Pagi, Critica, A. D. 535); terminò in uno spazio di anni diciassette; e coll’anno 552 si fissa la data dell’Era degli Armeni (l’Art de vérifier les dates, p. XXXV).
  162. Si ponno vedere i sentimenti e le azioni di Giuliano di Alicarnasso in Liberato (Brev. c. 19), in Renaudot, (Hist. patriarch. Alex. p. 132-303), e in Assemani (Bibl. orien. t. II, Dissert. de monophysitis, P. VIII, p. 286).
  163. Vedi un fatto notabile del dodicesimo secolo nell’istoria di Niceta Coniate (p. 258). Nonostante, tre secoli prima Fozio (epist. II, p. 49 edit. Montacul) s’era fatto una gloria della conversion degli Armeni λατρεύει σήμερον ὀρθοδοξως, oggi il culto è ortodosso.
  164. Tutti i viaggiatori s’incontrano in Armeni, che han la metropoli sulla strada maestra fra Costantinopoli ed Ispahan; Vedi sul loro stato odierno il Fabricio (Lux Evangelii, etc. c. XXXVIII, p. 40-51), l’Oleario (l. IV, c. 40), il Chardin (vol. II, p. 232), Tournefort, (Letter. XX), e principalmente Tavernier (t. I, p. 28-37, 510-518), quel gioielliere vagabondo, che non avea letto alcun libro, ma che avea veduto tante cose, e bene.
  165. L’istoria dei Patriarchi d’Alessandria da Dioscoro fino a Beniamino è tratta da Renaudot (p. 114-164), e dal secondo volume degli Annali di Eutichio.
  166. Liberato (Brev. c. 20, 23, Victor, Chron. p. 329, 330). Procopio (Anecd. c. 26, 27).
  167. Eulogio, ch’era stato monaco in Antiochia, valeva più nelle sottigliezze che nell’eloquenza. Egli vuol provare, che non si dee porre opera a riconciliare i nemici della Fede i Gaianiti e i Teodosiani; che la stessa proposizione può essere ortodossa in bocca di S. Cirillo ed ereticale in quella di Severo; che sono ugualmente vere le asserzioni contraddittorie di Leone. Non sussistono più i suoi scritti, se non se negli estratti di Fozio, che li avea letti attentamente, e con piacere. Cod. CCVIII, CCXXV, CCXXVI, CCXXVII, CCXXX, CCLXXX.
  168. Vedi la vita di Giovanni il Limosiniere scritta da Leonzio, vescovo di Napoli in Cipro, suo contemporaneo, il testo greco del quale, o perduto, o nascosto, si trova in parte nella version latina di Baronio (A. D. 610 n. 9, A. D. 620 n. 8). Il Pagi (Critica t. II, p. 763), e il Fabricio (l. V, c. 11, t. VII, p. 454), han fatto varie osservazioni critiche.
  169. Io ricavo questa notizia dalle Recherches sur les Egyptiens et les Chinois (t. II, (p. 192, 193), più verisimile di quella che ne dà Gemelli Carreri, di seicentomila Cofti antichi, e di quindicimila moderni. Cirillo Lucar, Patriarca protestante di Costantinopoli si dolse perchè questi eretici erano dieci volte più numerosi dei Greci ortodossi, adattando loro ingegnosamente il verso πολλαί κεν δεκάδες δευοίατο οἰνοχόοιο, a molte decine mancherebbe per avventura il coppiere, (Iliade II, 128), parole di gran disprezzo. (Fabric. lux Evangelii 740).
  170. Le cose relative all’istoria, alla religione, ai costumi ec. dei Cofti, si raccolgono dall’opera bizzarra dell’abate Renaudot, che non è nè traduzione, nè originale, dalla Chronicon orientale di Pietro il Giacobita dalle due versioni d’Abramo Ecchellense, Parigi 1651, e da Gian Simone Assemani, Venezia 1729. Questi annali non giungono che al decimoterzo secolo. Convien cercare notizie più recenti negli autori che hanno scritto i loro viaggi in Egitto, e nelle nuove Memorie delle missioni del Levante. Nel secolo passato (1600) Giuseppe Abudneno, nato al Cairo, pubblicò in Oxford una breve Historia Jacobitarum, in trenta pagine.
  171. Verso l’anno 737. Vedi Renaudot, Hist. patriarch. Alex., p. 221, 222; Elmacin Hist. Saracen. p. 99.
  172. Ludolfo Hist. Aetiop. et Comment., l. I, c. 8; Renaudot, Hist. patriarch. Alex., p. 480 etc. Quest’opinione introdotta in Egitto e in Europa dall’artifizio dei Cofti, dall’orgoglio degli Abissinii, dal timore, e dall’ignoranza dei Turchi e degli Arabi, non ha la menoma sembianza di verità. Sicuramente le piogge dell’Etiopia non consultano la volontà del monarca per ingrossar le acque del Nilo. Se il fiume s’accosta a Napata, distante tre giornate dal Mar Rosso (vedi le carte di D’Danville) la bocca d’un canale, capace a svolgerne il corso, esigerebbe tutta la potenza dei Cesari, e forse questa non sarebbe bastevole.
  173. Gli Abissinii che conservano ancora i delineamenti e il color olivastro degli Arabi, provano troppo che non bastan venti secoli a cangiare le tinte della razza umana. I Nubii, che son d’origine affricana non sono che veri Negri, e tanto neri quanto quelli del Senegal o del Congo; hanno egualmente il naso schiacciato, labbra grosse, e testa lanuta (Buff. Hist. Naturelle, t. V, p. 117, 143, 144, 166, 219, edit. in 12, Parigi 1769). Guardavano gli antichi con poca attenzione questo fenomeno straordinario, che ha tanto occupato i filosofi e teologi moderni.
  174. Assemani, Bibl. orient. t. I, p. 329.
  175. Il cristianesimo dei popoli della Nubia, (A. D. 1153), è attestato dal sceriffo Al-Edrisi, ed è stato in maniera falsa esposto sotto il nome del geografo di Nubia (p. 18), che li rappresenta come un popolo di Giacobiti. La luce istorica, che s’incontra nell’opera di Renaudot (p. 178, 220-224, 281-286, 405, 434, 451, 464), proviene da nozioni di fatti anteriori a quell’epoca. Vedi lo stato moderno di quel paese nelle Lettres Edifiantes (Raccolta IV), e in Busching (t. IX, p. 152-159, del Berenger).
  176. I Latini danno impropriamente all’Abuna, il titolo di patriarca: non riconoscono gli Abissinii che i quattro Patriarchi, e il lor Capo non è che un metropolitano, o un primato nazionale (Ludolfo, Hist. Aeth. et Comment. l. III, c. 7). Questo Storico non sapea nulla de’ sette vescovi di Renaudot (p. 511) esistenti A. D. 1131.
  177. Non capisco il perchè l’Assemani revochi in dubbio (Bibl. orient. t. II, p. 384) queste spedizioni tanto probabili fatte da Teodora alla Nubia e all’Etiopia. Renaudot (p. 336-341, 381, 382, 405-443, ec. 452, 456, 463, 475-480, 511-525, 559-564), attinse dagli scrittori cofti quel poco che potè sapere su l’Abissinia sino al 1500. Ludolfo è assolutamente ignaro di quel paese.
  178. Ludolfo, Hist. Aetiop., lib. IV, c. 5. Presentemente i Giudei vi esercitano le arti di prima necessità, e gli Armeni fanno il traffico esterno. L’industria europea (artes et opificia) era per Gregorio la cosa ch’egli ammirava ed invidiava più d’ogni altra.
  179. Giovanni Bermudez; la sua relazione stampata a Lisbona nel 1569 è stata tradotta in Inglese dal Purchas (Pilgrims, l. VII, c. 7, pag. 1149 ec.), e d’inglese in francese da La Croze (Christian. d’Etiop. p. 92-265); questo scritto è curioso, ma si può sospettare che l’autore abbia abbindolate l’Abissinia, Roma, e il Portogallo. È molto oscuro ed incerto il suo diritto al grado di patriarca (Ludolfo, Comment. n. 101, p. 473).
  180. Religio Romana.... nec precibus patrum, nec miraculis ab ipsis editis sufficiebatur, è l’asserzione non contraddetta dal devoto Imperatore Susneo a Mendez suo Patriarca (Ludolfo, Comment. n. 126; p. 529), e queste asserzioni debbono conservarsi come preziosi antidoti a tutte le leggende maravigliose.
  181. So quanto cautela sia necessaria nel trattare l’articolo della Circoncisione: affermerò tuttavolta, 1. che gli Etiopi aveano una ragione fisica per circoncidere i maschi ed anche le femmine (Recherches philosophiques sur les Americains, t. II); 2. che la Circoncisione era usitata in Etiopia gran tempo prima della introduzione del giudaismo o del cristianesimo (Erodoto; l. II, c. 104; Marsham, Canon. chron., pag. 72, 73), Infantes circumcidunt ob consuetudinem, non ob judaismum, dice Gregorio, prete abissinio (apud Fabric. lux christiana, p. 720). Nonostante, nel calor della disputa, si dà talvolta a’ Portoghesi il nome ingiurioso d’incirconcisi, (La Croze, pag. 80; Ludolfo, Hist. ad Comment., l. III, c. 1).
  182. I tre storici protestanti, Ludolfo (Hist. Aethiop. Francfort, 1681; Commentarius, 1691; Relatio nova, etc. 1693 in fol.), Geddes (Church History of Aetiopia, Londra, 1698, in 8°), e la Croze (Hist. du Christian. d’Ethiopie et d’Arménie, Aia, 1739, in 12), hanno ricavato le principali notizie da’ gesuiti, e specialmente dall’istoria generale di Tellez, pubblicata in portoghese a Coimbra, 1660. Può far maraviglia la lor franchezza, ma il peggiore de’ lor vizi, lo spirito di persecuzione, era per essi una virtù meritoria. Ludolfo ha tratto qualche vantaggio ma scarso assai dalla lingua etiopica, ch’egli intendeva, oppure dalle sue conversazioni con Gregorio, prete abissinio, uomo d’animo coraggioso, ch’egli chiamò da Roma, ove si trovava, alla Corte, di Saxe-Gotha. Vedi la Theologia Aetiopica di Gregorio, in Fabricio, lux Evangelii, p. 716-734.