Storia dei Mille/Allegati

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La calata a Palermo
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LA STORIA DEI MILLE


di G. C. ABBA



Estratto delle Relazioni della Commissione pel R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, pubblicate il 31 dicembre 1907.


Rilevato che l’opera non era stata presentata al Concorso, la relazione del prof. Michele Scherillo, dice:

L’opera che nell’ultimo decennio le (alla Commissione) è subito parsa degnissima d’esser raccomandata al nostro popolo come «il miglior libro di lettura» è la Storia dei Mille, scritta da uno dei superstiti valorosi, l’onorando G. C. Abba (Firenze, Bemporad, 1904). L’autore l’ha dedicata ai giovanetti italiani: ma più ancora esso è libro per gli adulti. Dacchè essa è una epopea vissuta, la quale può bensì esaltare le vergini fantasie giovanili, ma più profondamente vale a commuovere il cuore di chi è, anche per l’età e per il senno maturo, meglio in grado di apprezzare quanto costi e quanto sia raro in questo mondo l’eroismo vero, e quanto inestimabile sia il vantaggio che da quel singolare eroismo garibaldino è derivato alla patria. Nessun libro, è lecito asserirlo, ha potuto cogliere, ed ha colto, così al vivo quell’episodio memorabile, e rappresentarlo con tanta immediatezza d’impressioni, e con tanta sobrietà e vivacità di colori. Cominciatane la lettura, non si può interromperla se non si è giunti in fine; e allora rinasce il desiderio di riguardar le [p. ii modifica]pagine che più profonda impressione ci hanno lasciata nell’anima.

L’autore non ha voluto fare un libro di storia; così che non ha se non rapidamente toccato, dove il farlo non noceva ai suoi intenti artistici, dei precedenti e dei preparativi, anche diplomatici, dell’impresa. Vittorio Emanuele, Cavour, Mazzini sono figure appena accennate nello sfondo; e l’opera, nefasta o amica, dei Borboni di Napoli o del Governo inglese, si presume o s’indovina più che non si veda. All’artista preme il quadro, con la figura del suo eroe nel centro: e la sua è riuscita una bella opera d’arte. D’un’arte che, s’intende, non ha nulla, nemmeno il più piccolo particolare, falsato o svisato; dacchè l’artista, il quale conobbe e vide da vicino gli eroi e quegli eroici fatti, ha la serena convinzione che nessuna fantasia potrebbe aggiungere nulla nè alla grandezza degli uni nè alla schietta poesia degli altri.

La Commissione, proponendo il premio per questo eccellente volume, è lieta di potere così far partecipare, in qualche maniera, l’Istituto a quel tributo di grata ammirazione che in quest’anno, centenario della sua nascita, l’Italia e il mondo hanno pagato al baldo campione della libertà. E non è senza legittimo orgoglio che essa rileva che lo storico e partecipe di quella impresa audace e gloriosa è uno di quegli spiriti gentili in cui l’amor di patria nacque e divenne gagliardo con l'amore delle lettere; e che esso è figlio di quella terra generosa, che tante nobili vite consacrò alla più degna delle conquiste, quella della patria.


La Commissione, unanime, propone dunque che il premio triennale Ciani, sia dato a G. C. Abba per il suo volume La storia dei Mille.


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Scrisse G. A. CESAREO

nel Giornale d’Italia del 3 agosto 1904.


Giuseppe Cesare Abba ha creduto di scrivere la Storia dei Mille; invece ne canta le gesta. Non già che il suo libro fallisca alla verità storica; ma gli uomini e gli avvenimenti, rifolgorati della luce d’uno spirito di fanciullo e d’eroe, quello del narratore, tornano a fremere, a palpitare e a vivere: ciascun combattente si rizza, lui, col suo temperamento, con la sua volontà, col suo gesto, con la sua voce; ciascun fatto d’arme croscia e tumultua con la sua qualità, col suo tòno, col suo paesaggio, col suo colorito, con la sua anima. Nulla qui è letteratura, e tutto è poesia. L’immagine è realtà, la parola è visione, la prosa è ala. Qui non si rischia d’inciampare nel passaporto versificato di Bixio o nell’orazion piccola di Garibaldi al vento e al sole o sull’enumerazione delle stelle che vigilarono i morti sul campo di Calatafimi. Qui nulla d’ozioso, di distratto, d’accademico, di calcolato; ma la frase, vibrante come una lama, la figurazione sobria e ardente a guisa d’un lampo, il ritmo del periodo misurato come una marcia di trombe e di tamburi, tutto concorda allo scopo supremo di rievocare alla fantasia ciascuna sensazione e ciascun sentimento della prodigiosa avventura. Il narratore veramente riesce, appunto come i poeti di razza, a rapire il lettore a grado a grado riluttante, curioso, perplesso, attento, soggiogato, commosso, nella zona ideale delle sue gesta, di guisa che per più ore a noi non accada di pensare, di respirare, di palpitare e d’esistere se non appunto nell’esaltazione illusoria in cui ci ha rapiti. Eguale effetto dovevano produrre ne’ foschi castelli di Francia e d’Italia le lasse eroiche delle canzoni di gesta, quando l’ispirato trovèro s’accompagnava il canto con la viola monotona, e bella Doelta o bella Jolanda circondate dalle donzelle, dagli scudieri e da’ servi, ascoltavano trepidanti il clangore del gran corno d’Orlando o il magnanimo addio di Garin lorenese.

[p. iv modifica]Non credo che prima d’ora la massima impresa di Garibaldi sia stata detta, nè in prosa nè in verso, con più scrupolo riguardo alla verità storica e nel tempo stesso con più potenza di fantasia evocatrice, con più eroica gentilezza di commozione, con più svelta e nervosa efficacia d’atteggiamenti e di forme. Il libro, che con tanta evidenza rappresenta e riproduce, ha poi anche un’anima sua, un’anima di bontà e di poesia che solleva e isola la gloriosa avventura in un cielo di leggenda, ne coglie il significato indistruttibile e eterno, ne sveglia le segrete energie ammonitrici nei secoli. E quell’anima è del narratore, del narratore che ha operato e veduto, e in tutta la vita sua ha vissuto la vita inesauribile di que’ giorni d’eroismo e di fede.