Storia delle scienze agrarie/II/II

Da Wikisource.
Volume secondo
Nel primo trattato di parassitologia la dissoluzione dei dogmi della biologia antica

../I ../III IncludiIntestazione 13 gennaio 2009 25% Da definire

Volume secondo
Nel primo trattato di parassitologia la dissoluzione dei dogmi della biologia antica
II - I II - III


Le esperienze anatomiche di un medico di corte

Ho ricordato il contributo che alla nascita della biologia moderna prestano, nel corso del Diciassettesimo secolo, due naturalisti italiani, il bolognese Malpighi e l’aretino Redi. La dipendenza logica del sapere agrario dai principi della biologia impongono l’opera dei due medici italiani tra le premesse del rinnovamento degli studi sulle produzioni della terra e sull’allevamento degli animali: premesse di rilievo equivalente alle scoperte di Galileo per il progresso delle arti meccaniche.

Pure dovendosi identificare, nell’opera dei due scienziati, piuttosto un presupposto delle conquiste future dell’agronomia che la proposta di tecniche agrarie nuove, la considerazione delle loro ricerche non può essere assente dal panorama che stiamo delineando, nel quale vanta titoli inequivocabili all’inclusione un volume che Redi pubblica a Firenze nel 1684 con un ricco corredo di tavole, le Osservazioni intorno agli animali viventi che si trovano negli animali viventi. Sono appunti raccolti senza ordine sistematico, ma con straordinaria efficacia letteraria: oltre che scienziato Redi è poeta raffinato e dotto umanista. Nelle 201 pagine in quarto il medico aretino espone i risultati di esperienze di anatomia, osservazioni di parassitologia, esperimenti di vivisezione eseguiti su un numero inverosimile di specie animali: mammiferi, uccelli, rettili, pesci, invertebrati.

Medico di corte, Francesco Redi gode dell’opportunità di sezionare lupi e cervi, martore e tassi che gli procurano i guardiacaccia ducali, ai quali può commissionare la cattura di acceggie e colombacci, gabbiani, gufi, aquile, tartarughe e vipere: le tartarughe per controllarne le capacità di sopravvivenza dopo aver loro asportato il cervello, le vipere per verificare, dopo averle uccise, a spese di colombi e pollastri, la durata delle proprietà letali del contenuto nelle ghiandole dentali.

È ancora usufruendo del proprio ruolo ufficiale che può procurarsi dai pescatori di Livorno tutte le specie degli esseri viventi nelle acque e sui fondali del Tirreno, dai delfini ai dentici, dal pesce martello alle sogliole, dalle torpedini alle piccole anguille che in primavera risalgono la corrente dell’Arno verso gli specchi d’acqua in cui si insedieranno. Oltre all’intero universo dei crostacei, dei molluschi, degli echinodermi. Per sottoporre animali imponenti e minuscoli ai propri esami anatomici, rilevando e descrivendo forma e dimensioni degli apparati interni, cuori, polmoni, fegati, intestini e testicoli, e ricercando con cura meticolosa, in tutti gli organi che seziona, la presenza di lombrichi, i vermi parassiti che costituiscono la prima ragione del suo interesse, un mondo molteplice di forme e dimensioni la cui prima ricognizione costituirà il lascito più significativo del medico di Cosimo III alla biologia moderna.

Un iconoclasta di credenze e superstizioni

Nella colorita commistione di esperienze sulla riproduzione delle lumache, di dissezioni di orsi e leoni morti nel Serraglio del Granduca, di prove sulla sopravvivenza di cani e polli lasciati senza cibo, inatteso e fulmineo balena nelle pagine delle Osservazioni il lampo del sarcasmo toscano verso credenze e convinzioni di cui l’evidenza del tavolo anatomico provi l’incongruenza. E l’ironia del medico aretino non è meno impietosa per la credenza volgare che per le tesi dello scienziato famoso.

«i... polmoni, per così rozzamente dirlo -leggiamo a pagina 44 nel resoconto della dissezione di una lumaca-, sono in foggia di una vescica situata all’imboccatura di questo forame, e occupa tutto il luogo, che è coperto da quell’osso bianco, il quale dal volgo comunemente vien chiamato pietra della testa de’ Lumaconi, e quest’osso, o pietra, ha luogo sott’al mezzo del cappuccio, o pezza, che cuopre il collo del Lumacone, e stassi in una sua propria cavità della pelle, ed è convessa da una banda, e concava dall’altra... Gli Autori antichi, e moderni scrivono gran cose delle virtù di questa pietra. Lasciamole credere a coloro, che godono d’ingannare, e di essere ingannati. Jo al più al più mi lascerò solamente persuadere, che nella medicina questa pietra produca gli stessi effetti delle perle, e delle pietre de’ granchi, e de’ gusci delle Conchiglie marine; il che modernamente è stato accennato da Martin Lister accuratissimo e gentilissimo Scrittore Inglese... ed in vero... la pietra de’ Lumaconi polverizzata produce con lo Spirito di Vitriuolo quello stesso ribollimento, che soglion produrre le perle, le madreperle, e tutte le razze di Conchiglie marine, i gusci d’uovo, il corno del Cervo...Ma non sarebbe una solenne finissima ciurmeria, il far correr tutto giorno i poveri Cristiani infermi alla caccia de’ Lumaconi per adoperarne in medicina le pietre, che son di si poco peso, che a voler metterne insieme una sola oncia ci voglion tanti, e tanti Lumaconi? quando con uguale effetto possiamo valerci de’ gusci dell’Ostriche, e di altre Conchiglie... delle quali ad ogni nostro piacimento, senza scomodo, e senza veruna difficultà, possiamo trovarne le centinaia delle some?»

«Unsi quattro Lombrichi con Olio contro veleni -scrive il naturalista toscano a pagina 102-, quattr’altri gli unsi con Olio da Bachi, e quattro con quello de’ Monaci Cassinensi, e subito unti gli riposi in vasi di vetro separati, che pur erano unti co’ medesimi Olj; e vi aggiunsi la necessaria quantità di terra, e di più spruzzai sopra la medesima terra alcune goccioline di quegli Olj. In capo a ventiquattr’ore non ne era morto veruno; onde di nuovo vi spruzzai altre gocciole de’ medesimi Olj. E pur di nuovo il giorno seguente eran tutti vivi... La stessa esperienza, e nella stessa maniera per appunto la rifeci con Olio d’Ipericon delle spezierie preparato, e tinto con replicate infusioni de’ fiori del medesimo Ipericon, e l’esperienza ebbe lo stesso avvenimento di quella, tentata co’ sovraddetti tre Olj. E pure quel Paracelso, che da molti è tanto stimato, e riverito, nel suo Libro de’ Lombrichi, volle con lo scriverlo dar a credere, che l’Ipericon sia un potentissimo medicamento contra i Lombrichi; anzi, che applicato esternamente sopra ’l ventre inferiore faccia loro mutar luogo, e fuggire. Ma con qual’occhiale si vede tal mutazione di luogo, e tal fuga nella riposta cavità degl’intestini? Chi è quel Linceo, che con l’acutezza della vista possa arrivar colà entro? Baie, baie, per non dir ciurmerie. Ma che! queste delle applicazioni esterne sono almeno baie per lo più innocenti... Più criminali son quelle de’ medicamenti, che si fanno prender per bocca.»

Epitaffio più caustico non potrebbe essere vergato alla memoria di Philipp Theofrast von Hohenheim, il più famoso tra i medici-maghi del Cinquecento, per la scienza ufficiale del Diciassettesimo secolo maestro dall’autorità incontestabile.

«Or se questo è vero -prosegue, irridente, lo scienziato aretino due pagine oltre-, come è verissimo, qual giovamento può portare a’ fanciulli il far prender loro, a furia di ceffate, e di strapazzi una piccola porzioncella, o di Olio contro veleni, o di Triaca, o di Mitridato, o di Orvietano? Ma se questo non può giovare, tanto meno gioveranno quegli impiastri di Triaca, che si applicano al cuore, ed all’ombelico. Jo non voglio già negare, che a fare una poltiglia di Triaca, o di Mitridato, o di Orvietano stemperata con un tantin d’acqua, o di vino, i Lombrichi messivi non se ne muoiano prestamente. Ma come è egli possibile far prender per bocca tanta quantità di Triaca, che i vermi dello stomaco, e degli intestini vi si possano impantanar dentro?»

E i poteri della triaca, l’antidoto universale contro i veleni di cui abbiamo veduto Herrera e Soderini insegnare a trasfondere le virtù nelle piante di vite, per ottenere uve dalle proprietà antitossiche, si dissolvono come inafferrabili sogni della fantasia. Altrettanto irridente della demolizione delle elucubrazioni dei dotti famosi è la dimostrazione della sciocchezza dei convincimenti popolari, come quello, diffuso tra i cacciatori, sul sesso delle lepri:

«... nelle lepri -leggiamo a pagina 138- sotto le radici della coda è aperto il forame del podice, quindi poco più avanti verso il ventre si trovano le due cavernette, e nello spazio di mezzo tra l’una, e l’altra scappa fuora ne’ maschi il membro genitale; ma nelle femmine, nello stesso spazio di mezzo tra un cavernetta, e l’altra, vi è lo squarcio di una fessura lunghetta, la quale altro non è che la porta della natura. Da tal fessura s’innalza una massiccia Clitoride, soda, dura, acuta in punta, e quasi della stessa grossezza del membro genitale de’ maschi, ancorché non sia aperta, ne scanalata, come aperto, e scanalato si trova esso membro genitale. Questa così fatta Clitoride credo sia stata la cagione, che il volgo de’ Cacciatori vadasi ridicolosamente immaginando, che le Lepri sieno tutte Ermafrodite...»

Parassiti dei polmoni, dell’intestino, dei reni

Ma se risulta impossibile identificare, nel procedere disordinato delle Osservazioni, un filo conduttore che connetta i cento temi toccati dallo scienziato aretino, non è difficile fissare l’epicentro dei suoi interessi nello studio dei vermi parassiti. In tutti gli animali che sviscera, pesci o uccelli, rettili o molluschi, più ancora della configurazione anatomica degli organi che seziona, che pure fa oggetto di accurata descrizione, Redi ricerca, esamina, descrive i componenti del mondo multiforme degli esseri che si insediano nel corpo di altri esseri viventi per nutrirsi delle loro sostanze vitali.

«In una Faina ho veduto -leggiamo a pagina 23-, che i quattro lobi del Polmone, che stan situati nella parte destra del petto, ed i due lobi del medesimo polmone, che stan situati nella parte sinistra di esso petto, erano internamente tempestati di varj sacchetti, o vescichette di color nericcio di diverse grandezze, poste secondo l’ordine delle ramificazioni de’ bronchi dell’asperarteria. Ciascuna di queste vescichette, o sacchetti conteneva alcuni sottilissimi lombrichi.

In altre Faine non solamente ho trovato ne’ polmoni i sovraddetti sacchetti, o vescichette verminose; ma di più in una di esse Faine il Zirbo era tutto pieno di certe gallozzole trasparenti della grandezza delle vecce, alcune delle quali non contenevano altro, che un acqua purissima, ed altre, che non erano tanto trasparenti, contenevano tra quell’acqua un sottilissimo lombrichetto. In oltre tolta via la pelle, e scorticata, come si dice, la Faina, osservai, che tra’ muscoli, e gl’integumenti esterni, per tutta quanta l’estensione del corpo, stavano acquattati moltissimi vermini in figura di lombrichi; molti de’ quali penetravano nella sustanza, e tra gli spazj de’ musculi medesimi. Questi Lombrichi erano tutti bianchi, e lunghi da una spanna alle due, e grossi per lo più quanto l’ordinaria seta, che dicesi da impunture. Ne gli ho trovati solamente sotto la pelle di questa mentovata Faina, ma ancora in molte, e molte altre in differenti stagioni dell’anno, e talvolta così numerosi, che in una sola Faina son arrivato a numerarne fino a dugento, e in dugencinquanta tutti vivi...

Da’ Cacciatori del Sereniss. Granduca fu pigliata alle Tagliuole una Martora: nell’osservar le sue viscere io vidi, che il rene destro era, secondo il solito, e naturale stato, non più grosso di una castagna, ma il rene sinistro a prima fronte mi apparve sfoggiatamente cresciuto in foggia di una grandissima borsa. Aperta questa borsa fatta dalle sole, e nude, e smunte sottilissime tuniche del rene, in vece del parenchima di esso rene, vi trovai raggruppato uno sterminatissimo Lombrico morto, lungo un braccio, e tre soldi di misura Fiorentina, e grosso quanto l’estremità del mio dito minore della mano...

Pochi giorni dopo nel rene sinistro di un Cane trovai un Lombrico di lunghezza totalmente simile a quello della Martora, ma un poco più sottile: anco questo era morto, e conservava un colore di scarlatto vivissimo, e stavasene rinchiuso nelle tuniche del rene di già consumato; e le tuniche erano diventate grosse polpute, e di sustanza per così dire, glandulosa.» È la descrizione del Dictophyma renale, un nematode che infesta canidi e mustelidi che vivono in prossimità di fiumi e paludi cibandosi degli animali acquatici che del parassita sono i portatori. Come la presenza di vermi parassiti risulta comune negli organi più diversi dei mammiferi, la stessa diffusione Redi rileva, nelle pagine successive, nel corpo dei rettili, degli uccelli e dei pesci.

Constatata la molteplicità delle forme dei parassiti e la loro diffusione in tutte le specie viventi, senza elaborare una compiuta classificazione, per la quale manca degli strumenti, il naturalista toscano si propone l’interrogativo preliminare per la composizione di qualsiasi tassonomia dei vermi: quale affinità e quali differenze sussistano tra le specie dei vermi parassiti e quelle terricole:

«Venutami dunque curiosità di osservare -scrive a pagina 29- le viscere di questi Lombrichi della Martora, de’ Cani, e di quelli ancora, che trovansi negli uomini, per rintracciare se veramente questi degli animali sieno della stessa razza de’ Lombrichi terrestri, che abitano nella terra grassa, e tra ’l letame, mi accorsi evidentemente, che i Lombrichi della terra son d’una spezie differente da quella de’ Lombrichi, i quali vivono tra le viscere degli uomini, e degli altri animali non ragionevoli. Quali, e quante, e come situate sieno le viscere de’ Lombrichi della terra, lo ha descritto diligentemente il dottissimo Tommaso Villis... Dico solamente per ora, che ne’ Lombrichi degli animali non si trova veruno di que’ corpi, o globi bianchi descritti ne’ Lombrichi terrestri da esso Villis... Dico altresì, che a mio credere i Lombrichi degli uomini, e de’ Bruti, per quanto ho potuto vedere, non anno lo stomaco diviso in tre grandi cavità, conforme il Villis afferma aver gli stomachi de’ Lombrichi terrestri, e di più dentro all’intestino de’ Lombrichi degli animali non serpeggia quell’altro canale, che dal Villis fu osservato nell’intestino de’ Lombrichi terrestri, e da lui creduto far le funzioni del fegato, e del mesenterio...»

L’esame anatomico rivela, cioè, che i vermi parassiti costituiscono entità peculiari dell’universo naturale: il loro organismo è costituito per installarsi in altri organismi, i loro processi vitali non possono svolgersi che nelle viscere di altri esseri viventi, sono, quindi, incapaci, come Redi proverà con esperienze inequivocabili, di vivere al di fuori del corpo dei propri ospiti.

Nella semplicità con cui è formulata, l’asserzione riveste uno straordinario rilievo scientifico: come rileva Felice Mondella nella Storia del pensiero filosofico e scientifico di Ludovico Geymonat, l’osservazione di Redi verrà tradotta in un argomento definitivo contro le tesi creazioniste da un altro grande naturalista italiano, Antonio Vallisnieri, il quale rileverà che ove si affermi che tutte le specie animali siano state create da Dio, si è costretti ad accettare che tutti i parassiti dell’uomo abbiano avuto origine insieme ad Adamo, il cui corpo sarebbe stato plasmato dal Creatore pullulante di vermi, acari, insetti. Un paradosso che dimostra la contraddittorietà delle tesi della creazione originaria di tutte le specie: se il primo uomo fosse stato affetto da infermità congenite si dovrebbe negare la perfezione dell’opera divina, cardine della stessa dottrina creazionista.

Al di là del significato scientifico, l’identificazione, che ha inizio dalle Osservazioni di Redi, delle diverse specie di parassiti, apre un capitolo di straordinaria importanza della storia degli allevamenti animali: la conoscenza dei parassiti e dei loro cicli biologici costituisce, infatti, la premessa per la difesa degli animali allevati e delle loro produzioni. La scoperta della causa di una delle classi più numerose di malattie del bestiame sarà il fondamento dell’individuazione di rimedi efficaci, una meta che impegnerà la veterinaria e la farmacologia per altri due secoli. Irridendo le pozioni di Paracelso è Redi stesso a evidenziare la difficoltà di colpire esseri insediati all’interno dell’organismo: l’identificazione degli avversari da combattere, lo studio della loro anatomia, del loro ciclo vitale, delle vie attraverso le quali si introducono nei propri ospiti costituirà la condizione dei successi futuri della veterinaria.

La demolizione del dogma della generazione spontanea

Altrettanto significativa sul piano scientifico, foriera, su quello applicativo, di conseguenze destinate a manifestarsi in un arco di tempo più breve, è la seconda delle acquisizioni biologiche contenute nelle Osservazioni: la dimostrazione che ogni essere vivente deriva da un essere vivente della stessa specie, che non esiste vita animale al di fuori di un processo continuo di trasmissione della vita. È la confutazione del principio della generazione tramite la putrefazione, dogma indiscusso della scienza antica, sancito, sul fondamento delle teorie del maestro, da Teofrasto nelle pagine che abbiamo commentato Secondo lo Stagirita non sussisterebbe alcuna discontinuità sostanziale, infatti, tra mondo minerale e mondo vivente, uniti dal termine intermedio costituito dagli insetti, esseri privi di vertebre e di organi respiratori assimilabili a quelli degli animali superiori, quindi partecipi delle caratteristiche della materia inanimata e di quella vivente. Dalla collocazione mediana tra i viventi e la materia inanimata il filosofo greco avrebbe desunto la proprietà degli insetti di avere origine dalla decomposizione che segue la morte degli animali vertebrati: la supposizione che Teofrasto ha esteso all’intero mondo vegetale, definendo la dottrina cui abbiamo verificato l’ossequio di Virgilio e di Crescenzi, l’estremo riconoscimento da parte di Olivier de Serres.

Fondandosi sulla collocazione intermedia degli insetti tra mondo inorganico e mondo animale, e sul principio della generatio ex putri, Filippo Buonanni, teologo e naturalista, ha controbattuto le tesi sostenute da Redi in un volume precedente, le Esperienze intorno alla Generazione degl’Insetti: è muovendo dalla demolizione dei due antichi dogmi che, con l’ossequio formale dovuto all’autorevole religioso, appena velato da una vena di irridente ironia, Francesco Redi replica alle argomentazioni del proprio critico, dimostrando, con prove definitive, che non sussiste vita che non derivi da un essere in possesso della vita. «Il famoso eruditissimo Samuel Bociarto -leggiamo a pagina 62- ebbe una opinione similissima a questa del Padre Filippo Buonanni, mentre nel primo Libro della prima Parte degli Animali della Sacra Scrittura, favellando degl’Insetti s’indusse a dire: De caetero haec animalia maxime sunt imperfecta, quippe quae nec venas habent, neque sanguinem, neque cor, neque iecur, neque pulmonem, neque vesicam, neque ossa, neque spinam, neque adipem. Taceo quod in plerisque visus, auditus, olfactus aut nullus est, aut hebetior. Ma questo veramente grandissimo Litterato scrisse al tavolino, e scrisse quello, che in tal materia trovò scritto dagli altri Autori; ne si piccò, ne si prese pensiero di voler far da Filosofo esperimentatore, che non ha intenzione mai di affermar con certezza, se non quanto con gli occhi proprj, dopo molte prove, e riprove, ha osservato.

Avendo io qui incidentemente mentovato il sovraddetto erudito Padre Buonanni, sembrerebbe, che io fossi in obbligo di rispondere ad alcune esperimentali opposizioni, che egli difensore della Generazione ex putri, ha, per onorarmi, voluto fare alle mie Esperienze intorno alla Generazione degl’Insetti: e son quest’esse le sue parole nella Parte prima al Capitolo quinto. Non so come il Redi si opporrebbe alla sperienza da me fatta, allor che pigliai molti fiori detti Giacinti, e alquanto pestati gli posi in un vaso di vetro chiuso con coperchio di terra, aspettandone da quella massa infracidata qualche spontanea generazione; e dopo averlo tenuto per alcune settimane in un armario, vi trovai generati molti vermi di sostanza trasparente, e muccosa, che per il vetro sparsi scorrevano in quà, e là sempre inquieti... A questa Esperienza del Padre Filippo Buonanni io non voglio opporre cosa veruna: solamente voglio supplicar la gentil cortesia del medesimo Padre a ritentarla di nuovo; e ritentandola a serrar bene con accurata diligenza il vaso, in cui riporrà i fiori de’ Giacinti pestati; avvertendo, che il coperchio combaci colla bocca di esso vaso, e che ne meno per immaginazione vi rimanga spiraglio, o fessura veruna, con istuccar premurosamente tutto quanto il giro delle giunture; e di quello che sia per avvenire mi rimetto volentieri alla sincerità del suo giustissimo, ed incorruttibile giudizio, il quale son certissimo, che non vorrà mai farsi sofistico contra il vero; è però di buona voglia son contentissimo, che non presti mai al mio dire alcuna credenza, se non quanto la forza delle prove da lui medesimo attentissimamente fatte, ed esaminate lo convincerà a credere, ed a giudicare...» Si compiaccia dunque il reverendo Padre di chiudere bene i barattoli in cui ripone i propri giacinti pestati: si accorgerà che a dimostrare l’irrealtà della generatio ex putri non è Francesco Redi, ma l’esperienza, che gli mostrerà che i fiori pestati e rinchiusi imputridiscono senza che nella massa in fermentazione compaia un verme o si levi un solo moscerino.

Non è senza amabile ironia che solo dopo aver suggerito a Buonanni di ripetere con maggiore diligenza le proprie prove il naturalista toscano illustra la serie di esperienze che ha realizzato, nel corso di un anno, da febbraio ad ottobre, ponendo in vasetti fiori triturati di una molteplicità delle specie susseguentisi al procedere della stagione: dai giacinti alle primule, dai fiori di arancio a quelli di gelsomino, dalle ginestre alla mortella, dalla malva al girasole. Eseguendo le proprie prove si è sempre preoccupato, sottolinea, di procedere con doppie serie di vasi, la prima delle quali veniva sigillata immediatamente dopo l’immissione della poltiglia, la seconda era lasciata aperta per il tempo necessario perché fosse visitata da mosche e moscerini, veniva quindi anch’essa rinchiusa e conservata chiusa per confrontarne il contenuto, al termine della prova, con quello della prima serie.

Il risultato di tutte le esperienze è la costante presenza di larve, e la loro successiva trasformazione in insetti, nei vasi che sono stati lasciati aperti, mentre nessuna larva, né alcun insetto, lo scienziato aretino ha osservato nei vasi sigillati.

«Il giorno 4 di Marzo -leggiamo a pagina 70- pestata nel mortaio di marmo con pestello di legno una buona quantità di Giacinti turchini, la divisi in quattro parti: due parti ne riposi in due alberelli di vetro, e gli lasciai aperti senza coprirgli con cosa veruna. L’altre due parti le distribuij in due caraffe, e col cotone turata la bocca del loro collo, la ricopersi con carta, e la fermai con buona legatura di spago, e tutt’e quattro questi vasi gli collocai insieme in una stessa stanza voltata a mezzogiorno sopra una stessa tavola. Dentro le due caraffe serrate non ho mai veduto nascere alcun verme, ne alcuna farfalla, ne altro animaletto volante. Per non avere a replicarlo a volta per volta in tutte l’altre seguenti Esperienze di questo Diario, dico di nuovo, che lo stesso costantemente è sempre avvenuto in tutti gli altri fiori pesti, che ho tenuti in vasi di vetro serrati: ed ogni prova, che ho fatta, l’ho fatta sempre ugualmente a doppio, e in vasi serrati, e in vasi aperti. Ne’ due soprammentovati alberelli aperti, dove erano gli altri Giacinti turchini, posi mente, che il dì decimo di Marzo erano state depositate molte piccole uova di mosche; onde serrai subito con la carta; e da quell’uova poi cominciarono a nascere piccolissimi vermi, che parve, che un poco ingrossassero, ma non continuarono, anzi il dì 22. erano tutti morti... nel principio di Maggio gli apersi; e perchè quella poltiglia de’ Giacinti avea fatta nella superficie una crosta quasi rasciutta, la tolsi via, e continuando a tenere i vasi aperti, vi si posaron sopra frequentemente molti moscioni di quegli, che si aggirano intorno al vino, ed all’aceto, e perciò vi lasciarono le loro uova, dalle quali al tempo determinato uscirono altrettanti moscioni.»

È la rivoluzione copernicana della biologia: dissolte le correlazioni tra mondo inorganico e mondo organico della filosofia peripatetica, si impone l’esigenza di organizzare su fondamenta nuove le conoscenze sulla materia e sulla vita. Del nuovo edificio i primi elementi prendono forma, negli stessi anni in cui Redi ne postula l’esigenza, attraverso gli studi sugli esseri viventi che il perfezionamento del microscopio rende più appassionanti e più fecondi: nelle pagine delle Osservazioni troviamo la notizia della scoperta degli spermatozoi, realizzata da Leeuwenhoek tre anni prima.

Al compimento della rivoluzione di cui le Osservazioni costituiscono il manifesto, saranno necessari due secoli di ricerche: la costruzione di cui ha posto le fondamenta il medico di Cosimo III potrà dirsi compiuta quando la scienza avrà dimostrato che il principio per cui non c’è vita senza trasmissione della vita governa anche il mondo dei microrganismi, bacilli e miceti, la sfera dell’universo naturale più remota all’occhio umano, che l’indagine naturalistica riuscirà a penetrare solo a metà dell’Ottocento. Dimostrando che ogni fermentazione prende avvio da spore di microrganismi disperse nell’atmosfera, Louis Pasteur non farà che ricalcare il procedimento logico secondo il quale Francesco Redi ha realizzato le proprie esperienze sulla riproduzione degli insetti nelle poltiglie di fiori triturati. Il compimento della rivoluzione teorica iniziata dal medico aretino sarà lento e laborioso, né sarà meno laboriosa la correzione dei pregiudizi tradizionali e l’elaborazione di nuovi criteri applicativi. Abbiamo verificato, nel cammino delle dottrine agronomiche, il perpetuarsi della credenza della generazione spontanea delle api. Fino alla dimostrazione di Redi convincimenti analoghi sono diffusi sull’origine di tutti gli insetti parassiti, contro i quali l’uomo ritiene di non potersi affidare a rimedi diversi dai sortilegi contro la corruzione degli umori delle piante. Sancito il principio secondo il quale ogni essere vivente nasce da un altro essere vivente, si profila la possibilità di ostacolare la propagazione dei parassiti prevenendone la riproduzione. L’ancestrale senso di impotenza dell’uomo davanti alla distruzione dei raccolti si dissolve, la scienza può individuare gli accorgimenti con cui contrastare la moltiplicazione dei parassiti e diffonderli nelle campagne perché si convertano in norma di condotta degli agricoltori. Non sarà, tuttavia, prima di sette decenni dalle scoperte di Redi che, impiegando procedure ancora primitive, ma utilizzando l’efficacia della nuova metodologia d’indagine, l’entomologia potrà segnare le prime vittorie contro avversari che per millenni hanno vanificato le fatiche di agricoltori impotenti imponendo alle società umane il crudo dominio della carestia.

Rivista I tempi della terra