Timeo/Capitolo XLIII

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Capitolo XLIII

../Capitolo XLII ../Capitolo XLIV IncludiIntestazione 31 luglio 2010 75% Filosofia

Platone - Timeo (ovvero Della natura) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
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E, ragionando noi di tutto l’animale e del corpo suo, basta ciò che detto è quanto al modo come l’uomo governando sé e da sé governato viverebbe perfettamente secondo ragione. Ma convien prima che si apparecchi secondo potere la parte che ha a donneggiare acciocché ella sia bellissima e molto buona al governamento. Ma e’ sarebbe tema sufficiente a un’opera di per sé, a voler ragionare di ciò con cura; nientedimeno se mai alcuno fosse vago di parlarne incidentalmente seguendo ciò che detto è di sopra, egli potrebbe non isconvenientemente porre fine con questa considerazione: cioè, da poi che, come abbiamo detto assai volte, furono albergate in noi tre specie di anime, in tre ostelli, e da poi che ciascuna ha movimenti suoi, cosí in breve è a dire che qual di loro impigrisce e i movimenti suoi fa quetare, necessità è che divenga debole molto; e, per contrario, quella che li adopera, molto forte. E però è a badare che tutte e tre le anime si muovano insieme, misuratamente una in verso all’altra. E conviene pensare cosí della gentilissima specie di anima che è dentro noi, che Iddio l’ha data a ciascuno di noi come demone; e diciamo ch’ella abita in su la sommità del corpo, e leva noi da terra per la parentela ch’ella ha con il cielo: imperocché non siamo noi piante terrene, ma sí celesti; e ciò noi diciamo molto dirittamente. E per fermo là sospese Iddio il nostro capo o radice, e dirizzò tutto il corpo, di dove trasse l’anima suo principio. A chi dunque s’involge in sensuali desiderii, e si gitta in irose contenzioni e fieramente vi si travaglia, necessità è che ogni credenza sua nasca mortale, e che, tanto quanto può essere, egli divenga mortale, tutto, tutto, come colui che proprio questa parte sua mortale ebbe messo in rigoglio; e a colui, per contrario, che pone l’amore suo nella sapienza e studia nell’intendimento della verità, e in ciò egli piú si è adoperato che in altra sua cosa, ponghiamo che abbia giunta la verità, allora è necessario che letizii la mente sua in immortali cose divine, e che, quanto esser può la umana natura vasello d’immortalità, bene si riempia di quella; e che, siccome colui che ha sempre coltivato il divino e dentro sé alberga un demone molto bellissimo, beato sia sovra a tutti. Adunque la cura che dee avere ogni uomo di ogni specie di anima, si è darle nutrimenti e movimenti proprii di lei. E al divino che è in noi cognati movimenti sono i pensamenti e volgimenti dell’universo; e però ciascun uomo quelli dee seguitare, e i giri che si fanno nel nostro capo, guasti in sul nascimento, dee raddirizzare per la considerazione delle armonie e giri dell’universo; acciocché egli renda sé contemplante simile alla cosa contemplata conformemente alla sua antica natura, e, simile fatto, giunga il fine proposto dagli Iddii agli uomini, quello di una vita bonissima e presentemente e nel tempo futuro.