Timeo/Capitolo XXXIII

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Capitolo XXXIII

../Capitolo XXXII ../Capitolo XXXIV IncludiIntestazione 31 luglio 2010 75% Filosofia

Platone - Timeo (ovvero Della natura) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
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Il viscere che è appresso al fegato, allogato a sinistra, fatto è in suo servigio, cioè per serbarlo lucido e terso: come apparecchiata e pronta spugna, che posta è allato a uno specchio. E però se immondizia alcuna si raccoglie nel fegato per alcuno morbo del corpo, la milza, la quale è rara, la riceve; e cosí lo monda, essendo ella una cotale tessitura cava, senza sangue. Onde, ripiena essa del raccolto fastidio, laidisce e gonfia; e purgato di nuovo che sia il corpo, umiliandosi, torna come di prima.

Il nostro ragionamento su l’anima, cioè su quanto ella ha di mortale e quanto di divino, e come, con quali organi, per quali cagioni sono le due parti albergate in due ostelli, allora, come detto è innanzi, affermeremmo ch’egli è vero, quando Iddio acconsentisse; ma che abbiamo noi detto ciò che è verisimile, si può affermare sin da ora; e tanto piú, quanto piú ci penso.

Per simigliante modo è da cercare quello che segue, cioè come è generato l’altro corpo. Par che generato sia specialmente secondo questa ragione.

La nostra intemperanza futura in mangiare e bere conoscevano assai coloro che ci composero, e che noi ci saremmo per avidità riempiti oltre al bisogno, fuor di misura. Perché adunque repente morte non c’incogliesse, e per cagion di morbi non finisse subitamente la generazione umana ancora imperfetta1, provvedendo a ciò, posero il cosí detto alvo a ricettacolo del soverchio della vivanda e bevanda, e avvolsero spiralmente gli interiori quivi entro; acciocché il rovinoso passare del cibo tosto non necessitasse il corpo ad aver bisogno novamente di altro cibo, e, per lo diluviare a cagion dello sfondato ventre, tutta la specie umana selvaggia non divenisse di filosofia e di muse, e disubbidiente a quello che entro noi è piú divino.

Ella è cosí poi la cosa delle ossa e carni e ogni simigliante natura. Il principio loro è nella generata midolla; perocché, legandosi l’anima col corpo, i vincoli della vita annodati entro dalla midolla radici furono alla specie mortale. La midolla poi si generò di altre cose; imperocché Iddio, scelto de’ triangoli quelli primarii, regolati e puliti e assai adatti a fare a perfezione fuoco, acqua, aria; e spartito quelli dalle loro singolari specie, e mischiatoli insieme sí che fossero misurati fra loro, ebbe in siffatto modo apparecchiato la universale semenza a tutta la generazione mortale. Iddio lavorò la midolla, e in essa piantando le tre specie di anime, quivi le fermò; e in sul principio, in quello che distribuiva le cose, in tante e cotali forme figurò la midolla, quante e quali facea mestieri che ella ne avesse. E quella parte di midolla, la quale cosí come se un campo ella fosse accoglier dovea entro di sé il divino seme, fe’ tutta ritonda, e le pose nome di encefalo, cioè di midolla serbata entro il capo; imperocché, compiuto ciascun animale, il capo avea a esser vasello deputato a riceverla. La midolla poi che avea ad accoglier l’altra parte dell’anima, quella ch’è mortale, distinse in figure tonde e lunghe, e le chiamò tutte midolla; e da essa gittò, cosí come da ancore, i ligami di tutta l’anima, e attorno a essa fabbricò tutto il nostro corpo, poi che le ebbe fatto un coprimento di osso. E fa l’osso cosí: vagliato pura terra e polita, mischiala con midolla e la intenerisce; dopo ciò la pone a fuoco; e poi tuffala in acqua; poi novamente a fuoco, e novamente in acqua; e cosí traslatandola molte volte da fuoco in acqua, e da acqua in fuoco, la fe’ tale, che stemperar non la possa niuno dei due. E Iddio, giovandosi di questa materia, tornisce attorno al cerebro una sfera di osso, nella quale lasciò uno stretto forame: e poi intorno alla midolla cervicale e dorsale distese le vertebre, fabbricandole della medesima materia; e distesele come cardini, dalla testa giú giú per tutto il cavo, una sotto l’altra. E cosí, per sicurare tutto il seme, riparollo di una recinta petrosa; e quivi pose articolazioni per cagion del movimento e pieghevolezza, usando egli della potenza dell’altro, la quale pose nel mezzo delle articolazioni medesime. Poi avvisando che l’osso di natura sua è piú secco e rigido che non è di bisogno; e che in affocarsi e poi freddare si sarebbe guasto, e corrotto prestamente il seme di dentro; per questo ordinò i nervi e la carne: quelli, acciocché, essendo legate tutte le membra, per il loro distendersi e rilassare attorno le vertebre curvassero o raddirizzassero il corpo; e questa, acciocché fosse schermo e riparo dai caldi e dai freddi ed eziandio dalle cadute, da poi che, simile ad arnese di lana pigiata, la carne mollemente e soavemente sé umilia ai corpi, e dentro sé avendo un cotale umor caldo, il quale di state geme e irrora, sí sparge per tutto il corpo sua frescura, e di verno per lo suo fuoco misuratamente respinge il gelo che ci assale e si appiglia. Il nostro Fabbro considerando queste cose, mischiato avendo e contemperato terra con acqua e fuoco, e fattone un fermento acido e salso, sí ne dedusse la carne molle e succosa. I nervi fece d’una mischianza d’osso e carne non fermentata, sí che riuscissero le due nature a una la quale avesse media possanza, usando d’un cotal colore giallo: e però i nervi son piú consistenti e tegnenti che le carni, e piú morbidi che le ossa e piú umidi. E Iddio, con la carne e i nervi avvolgendo ossa e midolla, fra loro legò le ossa co’ nervi; poi adombrolle di carni. E quelle ossa avvolge di pochissime carni, le quali erano molto animate; e, per lo contrario, quelle al tutto inanimate di dentro, di moltissime e fittissime: e fa crescere alle commessure delle ossa poche carni, salvo dove ragione mostrò essere bisogno che ce ne fosse, perché non facessero tardi i corpi per la difficoltà del movimento impacciandone la pieghevolezza; ed eziandio perché molte essendo, spesse e fra loro pigiate forte, istupidendo il sentimento per la durezza, avrebbero ingrossato la memorativa e la intellettiva. E però le cosce e le gambe e il torno delle anche e le ossa delle braccia e delle antibraccia e le altre nostre ossa private di articolazioni, e tutte quelle che sono vacue di mente a cagione della poca anima che è nella midolla, tutte queste furono affoltate di carni; non cosí quelle ossa le quali sono vaselli della mente. E, salvoché appositamente Iddio non abbia fatto di carne alcuno organo per lo ministerio del senso, come la lingua, la cosa bene sta a quel modo: imperocché natura niuna la quale nasca e si svolga secondo necessità, non consente per niuno modo di avere fitto osso e molta carne, insieme con sentimento acuto. Veramente ciò, piú che per alcun altro organo, si sarebbe fatto per il capo; e se gli uomini aveano carnuto il capo e nerboruto e forte, godevano vita due volte anzi molte volte piú lunga e sana e franca di dolori, che non com’ella è al presente. Ma i nostri Fabbri, pensando nel cuore loro se e’ convenisse fare noi di vita piú lunga ma piú cattivi, ovvero piú buoni e di vita piú breve, avvisarono che a una vita lunga e mala fosse per ogni ragione da porre innanzi una vita breve e buona. E però eglino copersero il capo di raro osso, ma non di carni e nervi, non avendo il capo a piegare niuna sua parte. E per le dette ragioni annestato è al corpo di ogni uomo il capo, fatto sí di senso e di mente piú vivace, ma piú debole molto. E però pose Iddio nervi giú allo estremo del capo, avvolgendone il collo, e ivi li saldò per virtú di lor somiglianza, e legò con essi le chiavi delle mascelle sotto alla faccia, e gli altri nervi disseminò per tutte le membra, articolazione adattando ad articolazione.

Ci ornarono la bocca, quelli che ci ornarono, di denti, lingua e labbra, a cagion di cose necessarie e di cose bonissime, al modo com’ella è presentemente; ordinando la entrata per lo ministerio delle cose necessarie, e la uscita per quello delle cose bonissime. E veramente è necessario tutto ciò che entra, porgendo nutrimento al corpo; ma fuori il ruscello ne scaturisce della parola, per lo ministerio della sapienza, il quale è piú bello e buono di tutt’i ruscelli.

Il capo non si convenia lasciare schietto osso ignudo, per lo trasmodar delle stagioni per un verso o per l’altro; né ingombrato cosí, che stupido e disensato ne divenisse per lo soperchio delle carni. E però si fu sceverato il maggiore avanzo della carne non seccata, ciò che pelle s’addimanda presentemente; la quale, per l’umore del cerebro costringendosi e germinando, sí coperse il capo tutto d’intorno; e quell’umore, gemendo di sotto le cuciture dell’osso, irrigolla, e chiusela in sul cocuzzolo in forma di nodo. Le cosí svariate forme di cuciture vennero per virtú dei giri dell’anima, e per lo nutrimento: piú molte, quando piú coteste due forze tenzonano fra loro; quando meno, piú poche. E Iddio punzecchia in giro tutta questa pelle, con fuoco; e punta che è, l’umor surge su fuori per i foruzzi, e tutto l’umido e il caldo sincero ne va via: ma quella parte ch’è mista delle stesse sostanze che la pelle, tratta su per lo commovimento suo medesimo, si stese in fuori, lunga, sottile quanto il foruzzo; e, per la sua lentezza, dall’aria d’intorno risospinta dentro novamente e costretta sotto la pelle, sí vi messe radice. E per lo effetto di queste cagioni venner su i capelli, a modo come corregiuoli, di natura simiglianti alla pelle, ma piú duri e fitti dalla pressura del raffreddamento, per la quale ciascun capello, slungandosi fuor dalla pelle, raffreddato ebbe ad affittire. E cosí il Fabbro fe’ irsuto il capo, usando i modi mentovati da noi; perocché pensò che facendo i capelli ufficio di carne, sarebbero essi coprimento leggiero al cervello per salvezza sua, e molto gli farebbero ombra di state, e riparo di verno, senza esser d’impedimento alla sottilità del senso.

Una parte dello intrecciamento di nervo, pelle e osso, ch’è nelle dita, mista anch’essa di tutte queste cose, si disseccò e sí divenne sola una cosa, cioè pelle dura; la quale è fatta per queste secondarie cagioni, ma lavorata è dalla Mente, che è cagione primaria, specialmente a contemplazione delle cose future. Che dagli uomini s’aveano a generare quandochessia femmine e altri animali, i nostri Componitori ciò conoscevano, e intendevano eziandio che a molti animali erano di bisogno le unghie per molti usi; e però agli uomini, appena nati, abbozzaron le unghie. Per questa cagione e con questi intendimenti gl’Iddii lasciarono crescere pelle, capelli e unghie, in su le estremità delle membra.


Note

  1. Non avendo conseguito suo fine.