Trattato dell'imbrigliare, atteggiare e ferrare cavalli/Narratione ai lettori

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Narratione ai lettori.

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NARRATIONE

AI LETTORI

HAvend’io a ragionar di più cose, che s’appartengono saper a’ Cavalieri, si per beneficio loro, come per quello de’ cavalli, mi par bene di raccontar prima d’ogn’altra cosa la cagione onde fui spinto a spendere parte de’ miei giovanili anni in apprendere questa virtù di cavaleria. Per tanto dico, che ritrovandomi io nella città di Ferrara mia patria, ove si costumano far feste, tornei, & varie sorti di cavalerie, nelle quali ciascuno cavaliere secondo il poter suo, & con ogni accurata diligentia si sforza d’haver de’ più eletti, & migliori cavalli, che si trovino; & dovendosi per la memoria della creatione del nostro Illustrissimo, & Eccellentissimo Prencipe fare cosa magnifica, & sontuosa festa, per maggior gaudio, & spasso de’ gentili huomini fu preparato uno honorato torneo; nel quale comparsero cavalieri tanto riccamente armati, & così leggiadramente vestiti maneggiando con tanta agevolezza, & cosi maestrevolmente li cavalli loro, che certamente, meglio in altro luogo non si saria potuto vedere; la quale cosa si come di stupor tutti li risguardanti riempiva, così fece, ch’io, ch’ero tra essi cavalieri, raccordandomi il fine a che messo ero, & conoscendo di poter malamente stare al paragone dell’honorata, & nobil cavaleria, fui spento dal zelo dell’honor mio fuor d’essi ritirarmi, per non rimanere fra li valorosi cavalieri arrossito, con ferma mente di non mai più vestir arme per pormi tra simili cavalieri, se prima io non mi conoscessi degno di tal consortio. Et così per essequire la determinatione del mio pensiero incominciai a non stimar fatica, sommettendomi a qualunque cavaliere, & ad ogn’altro che fusse sì in armi, come nel cavalcare prattico, & esperto, & finalmente ad ogniuno, ch’io conoscessi potermi giovare nelle cose appartenenti al buon cavaliere, acciò, ch’io potessi per questi mezi, & col continuo essercitio in tal virtù perfettamente ammaestrarmi. Et perche in questa arte, nella quale molti anni essercitatomi sono, conosco haver imparato molte cose degne d’esser sapute, per utilità di chi d’essa si diletta, ho deliberato scriverne, & farne tre trattati. Il primo de’ quali sarà dell’imbrigliare cavalli, conoscendo io, che’l guadagnare, & perdere un cavallo consiste nel bene, et nel male imbrigliarlo, con alcuni avertimenti sopra le nature d’essi; le quali sono tanto differenti, che alcuna ricerca essere battuta, a certi tempi però, altra minaccie, & altra lusinghe, & carezze. Il secondo del modo, che s’ha a tenere in meneggiarli, & giustarli nel maneggio, cosa veramente da non essere fatta alla cieca, come da molti hoggidì si vede fare. Il terzo sarà del modo, che si dee tenere in ferrare essi cavalli secondo le nature dell’unghie, conoscendosi da chi sà, che nel ferrare bene, & male [p. iv modifica]cònsiste la salvatione, & perditione loro. Oltramodo m’incresce, & sin’al vivo cuore mi preme di non poter dire del modo, che si dee tenere in sanare li cavalli quando sono infermi, cosa pur appartenente a tal professione, ma essendo esso d’importantia grande, & che molto tempo porterebbe seco a volerne scrivere perfettamente, sì come l’animo mio farebbe per essere sì corretto, & confuso da magnani, fabri, manescalchi, & incantatori, che non potrebbe essere più; però non mi ha dato l’animo scriverne, ne darebbe ancora, se non trovassi di lei prima il vero con lunghi studi, notomie, & isperientie. La onde mi persuado, che per hora sarò havuto per iscusato, sì come parimente deono essere li sopranominati, che bene ogni suo ingegno, & forza per imparare mettono; ma per la povertà loro non possono a cognitione d’alcuna buona cosa venire; però sarebbe necessario, che tal virtù per più condegni rispetti fusse posta ne’ nobili & potenti, & non in pari loro. Et con sopportatione di gran riprensione son stati degni quei Prencipi, che l’hanno così dall’ignorantia, & necessità d’essi poveri lasciata assassinare; che oltre che non se le trova più forma, ne modello, per essere tanto vilmente, da i predetti poveri artefici posta, i cavalieri, ricchi gentilhuomini, & cittadini la sdegnano, & sprezzano, ne per alcun modo imparar la vogliono, non havendo considerazione alcuna alla nobiltà d’essa; la dove (per mio giudicio) doverebbe essere da quello fatto ogni possibile, per sapere, & imparare li segni, che mostrano i mali, per conoscere quelle, vedendo se da humor colerico, sanguineo, flemmatico, ò melanconico; overo da indigestione, ventosità, ò da simili accidenti lor vengono; & se richiedono medicamento frigido, calido, temperato, diseccativo, ò humettativo; procurando anco di conoscere se quelli fussero lubrici, stitici, overo adusti, per potere con veraci ragioni, & proprii medicamenti giovarli, essend’essi animali, che non sanno ne dire, ne mostrare il suo bisogno. Et tanto più se ne devria havere gran cura, & consideratione, quanto più sono d’ogn’altro animale, che si sia, all’huomo più necessarii. Però per sapere l’infermità sue, fa di mestieri d’una scientia accompagnata da una buona prattica; la quale non si può senza molto tempo, & fatica acquistare; & vuole essere in huomini non poveri, si perche essi havriano maggior commodità di far delle cose a tal virtù convenevoli, come etiandio fariano più stima della bona fama, che ne fariano per trarre; che della particolare utilità, cosa, che non possono i poveri.