Una politica agraria nel segno di Pulcinella/II

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Tra Balanzone e Pulcinella il governo della patria agricoltura

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Tra Balanzone e Pulcinella il governo della patria agricoltura
I III

L’opinione collettiva del Bel Paese è stata pervasa dalla passione costituzionale: a Roma è stata creata la Commissione bicamerale, le cui riunioni si propagano nel colorito chiacchierio che la mattina gli speaker radiofonici animano tra casalinghe e pensionati. Si immaginano riforme costituzionali che faranno dell’Italia paese dalla solidità istituzionale francese, dalle capacità decisionali americane: intanto un ministero dell’agricoltura due volte soppresso e due volte ricostituito è incapace delle incombenze essenziali, che sono state delegato a un ente sommerso dagli scandali, il pretesto che il chiassoso pollaio regionale invoca per ottenere la gestione diretta dei finanziamenti di cui vive l’agricoltura italiana, imponendo il proprio arbitrio sui quali assessori e burocrati di Palermo e della Valle d’Aosta realizzerebbero la più viscerale delle aspirazioni.


Dispiegando, la mattina, il quotidiano, volto pagina rapidamente, confesso, alla vista di un titolo sui lavori della Bicamerale. Non mi reputo indifferente ai temi delle pubbliche istituzioni: preferisco la lettura di una pagina del barone di Montesquieu, o del conte di Tocqueville, a quella di molti romanzi. Ma non credo, debbo riconoscere, alla serietà delle esercitazioni istituzionali degli inquilini di Montecitorio. Che amano profondersi, nel salotto di Santoro, nell'analisi degli ordinamenti nazionali, scoprire le ragioni per le quali non assicurano la felicità degli italiani, immaginare i palliativi: un sistema elettorale che ci avvicini alla Germania, l'attribuzione al presidente della Repubblica di poteri che lo assimilino a quello americano, la modifica delle competenze del Parlamento per farne copia di quello francese. La discussione è appassionante, gli alfieri delle ipotesi contrapposte si scontrano con argomenti inoppugnabili, dopo il confronto televisivo i conduttori delle trasmissioni mattutine interpellano le casalinghe, che si schierano con civile passione. Ma sopra ogni confronto impera il patto, sottinteso e inviolabile, che governa la società nazionale: che, chiunque trionfi nell'agone oratorio, nessuno sarà obbligato a fare nulla, ciascuno sarà libero, come pretende ogni cittadino italiano, di seguire comodi e capricci, purché non dia fastidio a chi segua capricci e comodi diversi. A chi fa i comodi propri senza disturbare, le istituzioni nuove non dovranno imporre obblighi né oneri: se lo facessero violerebbero il contratto posto alla base della convivenza italica: ciascuno faccia quello che gli dettano l’estro e l’utile.

Sono travolto dallo scetticismo istituzionale riflettendo sulle notizie che un amico più informato di me sulle cose romane mi propone in tema di Aima, l'azienda per gli interventi sul mercato agricolo, che è stata investita, nei mesi recenti, da due fortunali: il primo, la polemica parlamentare sulla congruità del bilancio, il secondo, il rilievo, da parte dei funzionari dell'Unione Europea, di carenze tali da impedire il regolare trasferimento, dalle casse comunitarie, dei fondi che l’ente dovrebbe distribuire agli agricoltori secondo i regolamenti che prevedono “compensazioni di reddito” per cereali e oleaginose.

Quelle compensazioni, sottolinea l'amico informato, non sono voci secondarie del bilancio degli agricoltori, che ne avrebbero potuto fare a meno quando i prezzo di mais e soia erano più alti: avvicinandosi i prezzi alle quotazioni internazionali, i premi sono assurti a elementi capitali del bilancio di aziende grandi e piccole. La riforma di Mc Sherry fu varata, tutti ricordano, per uniformare le quotazioni della Comunità a quelle internazionali, compensando con aiuti diretti i minori ricavi realizzati sul mercato. Per oltre un lustro le quotazioni sono rimaste vicine a quelle dei tempi del sostegno ai prezzi: l'aiuto europeo ha costituito un guadagno felice. Ora che l'adeguamento ai corsi internazionali è realtà, gli aiuti sono indispensabili al bilancio di tutti gli agricoltori. E' necessario, perciò, che l’apparato statale li eroghi nei tempi previsti, che dovrebbero essere i tempi del raccolto: occorrerebbe un’Aima efficiente.

Ma quale organismo di erogazione efficiente può esistere in un paese che ha abolito il Ministero dell'agricoltura, a furore di popolo, nel 1993, che, abolito il ministero, ne ha istituito uno diverso poche settimane più tardi, che dopo quattro anni ha abolito il ministero resuscitato per istituirne uno del tutto nuovo, seppure dotato del palazzo, del personale e delle competenze di quello precedente? E affidato la responsabilità dei dicasteri che si succedevano a un turbine di signori e signore che, fossero stati dotati della saggezza di Licurgo, non hanno mai avuto il tempo di capire quali fossero le proprie competenze? Senza certezza di guida, l'ente erogatore, che del Ministero costituiva il braccio operativo è stato affidato alla fortuna, o alla sfortuna, che ha infierito con scandali, denunce, arresti di funzionari. Tanto che ci si deve meravigliare della meraviglia della signora Poli Bortone che, sorpresa delle disfunzioni, ha dimesso il direttore sostituendolo con un commissario.

L'amico che conosce le cose segrete mi spiega che tre ipotesi si confrontano nelle sfere politiche che studiano la prossima riforma dell'Aima, che si prevede non sarà operata per legge ma per decreto. La prima propone di rifare, migliorata, l'Aima del passato, la seconda vorrebbe sottrarle l’istruttoria delle pratiche di pagamento, che dovrebbero essere affidate alle regioni, la terza immagina un’Aima con il minimo di competenze, e l’affidamento alle regioni di tutta la materia. Le regioni, dalle origini pollaio variopinto e chiassoso, rumoreggiano pretendendo di sostituirsi a Roma, facendo la loro Aima, emiliana o campana, lucana o valdostana. Accontentiamole, suggerisce l'amico a conoscenza delle cose ministeriali, affidiamo l'amministrazione dei contributi per cereali e oleaginose a Isernia e a Potenza, stabilendo che gli agricoltori che non ricevessero i sussidi nei tempi di legge potrebbero fare causa ai presidenti delle giunte e agli assessori, pignorando l’appartamento e la berlina.

Deprecare l'inconsistenza delle proprie istituzioni, dissolverle, crearne di nuove, gettarle in balia dei marosi della storia senza alcuna preoccupazione perché tra quei marosi le nuove creature istituzionali possano navigare. Rimescolando le tre ipotesi il Governo farà la nuova Aima, che senza un ministero funzionale, e una politica agraria coerente, sarà l’antica vaporiera soggetta all'umore del fuochista di turno, che dovrà arrestare la corsa quando i binari saranno invasi dalle bufale in rivolta contro l’assessore all’agricoltura della Campania, o dalle pecore in sommossa contro quello della Sicilia. Ma siamo il paese di Balanzone, il gran dottore bolognese di leggi che nessuno applica, e di Pulcinella, il virtuoso del mandolino che di leggi ne conosce una sola: quella di arrangiarsi.

Terra e vita n. 49, 13 dicembre 1997