Una sfida al Polo/IV

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Capitolo IV - I due colpi di coltello

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Capitolo IV - I due colpi di coltello
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CAPITOLO IV.


I due colpi di coltello.


Gli americani, popolo eccessivamente frettoloso, che non ama perdere tempo nemmeno nel mangiare, vanno per le spiccie nel definire le loro questioni d’onore.

Le regole della cavalleria sono affatto sconosciute presso di loro ed i maestri di scherma, così di spada come di sciabola, hanno fatto sempre magrissima fortuna presso quel popolo il quale preferisce impiegare qualche minuto che può rubare agli affari, a qualche lezione di boxe.

Il tempo è moneta: ecco la loro divisa. Quindi niente tempo da perdere nelle sale di scherma.

Nondimeno, al pari di tutti gli altri popoli, si battono anche i yankee, ed i duelli sono tutt’altro che rari anche negli Stati dell’Unione.

Per lo più preferiscono una buona partita di boxe, ma quando si tratta di cose gravissime si mandano all’altro mondo senza costole fracassate o denti rotti o teste peste in modo spaventevole.

Allora, per essere più sicuri, ricorrono alle armi da fuoco ed al bowie-knife, contando più sulla fortuna che sull’abilità personale, che di rado posseggono.

Negli Stati dell’Ovest i duellanti montano a cavallo armati d’un buon winchester a dodici colpi, si portano nella foresta più vicina, lanciano i loro destrieri a corsa sfrenata e si

[p. 42 modifica]fucilano reciprocamente, nè cessano finchè l’uno o l’altro non vuoti l’arcione morto o moribondo.

Negli Stati dell’Est, vanno più per le spiccie. Si prendono due pistole esattamente eguali, se ne carica una sola, si fa scegliere ai due avversari in una stanza oscura ed ognuno è obbligato a puntarsela al cuore od alla tempia e far scattare il grilletto.

Tanto peggio per quel disgraziato che ha avuta la sfortuna di scegliere quella contenente la palla che lo manderà diritto a fare la conoscenza con messer Caronte.

Più terribile, più emozionante invece è il duello col bowie-knife, quantunque di esito più incerto.

I due rivali entrano per due diverse porte, a piedi nudi, in una stanza perfettamente oscura, armati del loro terribile coltellaccio, si cercano brancolando silenziosamente fra le tenebre e quando s’incontrano si accoltellano all’impazzata.

Tanto peggio per quello che ne prende di più o a cui arriva una puntata al cuore od alla gola, che tronchi la carotide.

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Come abbiamo detto, il canadese era uscito dalla porta di sinistra assieme al suo maestro di boxe, entrando in una stanza che sembrava piuttosto un gabinetto per fumatori e che era ancora illuminata, poi aveva subito disposto su un tavolino laccato alla giapponese il suo cronometro d’oro per contare i cinque minuti.

Quantunque potesse trovarsi sull’orlo della tomba, non ignorando d’aver da fare con un avversario risoluto e coraggioso, appariva tranquillissimo.

Il suo partner gli aveva preso subito il polso della mano destra, tenendo gli occhi fissi sulle lancette dell’orologio.

— Bene, — disse, facendo schioccare la lingua. — Batte

[p. 43 modifica]regolarmente ed anche il vostro cuore deve funzionare come al solito.

Sono soddisfatto del mio allievo.

— Ne dubitavate? — chiese il canadese, sorridendo leggiermente.

— Oh no, ma questi duelli americani, impegnati fra una profonda oscurità, devono produrre una grande impressione anche sugli animi più risoluti.

— Forse, — rispose il canadese, il quale stava togliendosi le scarpe.

— Volete un buon consiglio, signor di Montcalm?

— Dite pure.

— Appena entrate, appoggiatevi alla parete e lasciate che l’avversario vi cerchi.

— E se mister Torpon facesse altrettanto?

— Allora marciate, come meglio potete, verso il centro della sala e là aspettate che il vostro avversario si tradisca o con un respiro, o con uno strofinìo.

Non seguite le pareti, ve lo raccomando. Sareste costretto ad appoggiarvi con una mano, e quel rumore, per quanto lieve, potrebbe allarmare l’avversario.

— Grazie dei vostri consigli.

— Avvolgete ora il vostro braccio sinistro colla vostra giacca e vibrate il colpo dall’alto in basso, essendo voi più alto di mister Torpon.

Se non lo ucciderete sul colpo, gli produrrete una ferita tale da metterlo subito fuori di combattimento.

Mi avete capito?

— Sì, maestro, — rispose il canadese.

Il partner lanciò un altro sguardo sul cronometro.

— Otto ore e trentacinque minuti meno tre secondi. È il momento d’entrare.

[p. 44 modifica]— Sono pronto: spegnete la lampada elettrica ed apritemi la porta senza far rumore.

— Qua una buona stretta di mano, signor di Montcalm, — disse il maestro, con voce vivamente commossa. — Sangue freddo e colpo sicuro. —

Si strinsero la mano, la porta fu aperta, poi la lampada spenta, ed il canadese entro nella tenebrosa sala, in punta dei piedi, impugnando solidamente il bowie-knife e riparandosi il petto col braccio sinistro difeso dalla giacca strettamente avvolta.

Era già entrato l’americano e si era già messo in agguato? Ecco due terribili, angosciose domande, che non potevano avere per il momento nessuna risposta.

Il canadese, come l’aveva consigliato il suo maestro, fece tre o quattro passi seguendo la parete, poi si fermò, avendo trovato un ostacolo.

Doveva essere il pianoforte, l’unico mobile che ingombrava quella vasta sala che pareva fatta appositamente per i duelli americani.

— Aspettiamolo, — mormorò fra sè il signor di Montcalm.

Si appoggiò alla parete senza produrre il menomo rumore, raccogliendosi su se stesso come una tigre che si prepara ad avventarsi sulla preda, e si mise in ascolto, trattenendo il respiro.

Dov’era mister Torpon? Chi poteva dirlo? S’avanzava cautamente attraverso la sala, col coltello alzato, pronto a vibrare il colpo o stava seguendo le pareti? Quanto avrebbe dato per saperlo.

Invano i suoi occhi cercavano di forare le tenebre, colla speranza di scoprire, almeno vagamente, l’ombra del suo avversario; invano concentrava tutti i suoi sensi nell’udito, colla [p. 45 modifica]speranza di sorprendere uno strofinìo, un sospiro, un qualche rumore che lo tradisse.

Il suo cuore cominciava a battere forte forte e così pure battevano, febbrilmente, le sue tempie. L’ansietà del pericolo che non sapeva da quale parte potesse giungere, lo vinceva, eppure quel canadese più di cento volte aveva affrontato gli orsi neri e bruno-giallastri delle immense foreste circondanti i laghi e le formidabili corna dei caribou, senza tremare.

È noto già che le tenebre esercitano un’azione deprimente anche sugli animi più audaci. Degli uomini che in pieno giorno montavano all’assalto, sfidando intrepidamente la morte, si sono mostrati sovente vili durante i combattimenti notturni.

Perfino un generale inglese, che nelle guerre dell’India si era acquistata una fama immensa di uomo coraggioso e sprezzante d’ogni pericolo, fu sorpreso una notte, durante un attacco, rannicchiato dietro un albero, più tremante dell’ultimo dei suoi cipai. Eppure aveva guadagnati i suoi galloni, tutti, sui campi di battaglia e l’avevano chiamato il leone!... L’ansietà che divorava il canadese, abbandonato fra quella profonda tenebrìa, in procinto di sentirsi, da un istante all’altro, spaccare il cuore senza avere alcuna possibilità di parare il colpo, era quindi scusabile.

Sempre rannicchiato presso il pianoforte, col braccio destro armato, teso, pronto a tentare una parata disperata, come abbiamo detto, ascoltava sempre, cercando di sorprendere un qualunque rumore.

Si trovava là da qualche minuto, sempre in attesa d’un colpo di coltello, quando uno scricchiolìo secco lo fece trasalire.

Che cosa poteva essere stato? Si sarebbe detto che qualcuno aveva fatto scattare a vuoto il cane di una grossa rivoltella.

[p. 46 modifica]Il canadese si era raddrizzato, dilatando spaventosamente le pupille. Cercava, cercava nell’oscurità che si stendeva dinanzi a lui, implacabile, impenetrabile.

— Sarà stato il legname, — mormorò, dopo alcuni istanti d’angosciosa attesa. — Vi sono delle travi sul soffitto. —

Si terse colla sinistra la fronte, copertasi subito d’un freddo sudore, poi tornò a rannicchiarsi a lato del pianoforte.

Nell’abbassarsi però, la punta del coltello urtò sulla tastiera ed una nota ruppe bruscamente il profondo silenzio che regnava nella sala.

Quel suono, un do profondo, aveva fatto vibrare l’aria tenebrosa, ripercuotendosi lungamente sotto il soffitto e negli angoli della sala.

Il canadese ebbe un sussulto.

— Mi sono tradito, — mormorò.

Pronto come un lampo si gettò sul tappeto e scivolò silenziosamente verso il centro, almeno così credeva, della sala, poi si raddrizzò.

L’americano, avvertito da quel suono non ancora del tutto spento, doveva ormai essersi diretto verso l’istrumento, per sorprendere l’avversario e forse inchiodarlo, con una tremenda coltellata, sulla tastiera.

Passò un altro minuto, lungo quanto un secolo. Le ultime vibrazioni del do si erano a poco a poco affievolite ed un silenzio di tomba era piombato nuovamente sulla vasta sala.

Ad un tratto l’udito piuttosto acuto del canadese, raccolse un rumore indistinto. Pareva ora che un piede nudo strisciasse sul soffice tappeto ed ora che invece fosse una mano che strisciasse lungo una parete.

Si era bruscamente voltato, aguzzando invano gli sguardi.

Proprio in quel momento nella via sottostante si udirono delle voci umane miste a scoppi di risa.

[p. 47 modifica]Una brigatella di persone allegre passava dinanzi all’albergo cantando l’yankee-dodle.

Quando quelle voci si perdettero in lontananza, lo stropiccìo che aveva allarmato il signor di Montcalm era cessato. Il silenzio era nuovamente piombato nella sala.

— Me l’hanno fatto perdere, — mormorò il canadese, mordendosi con rabbia le labbra. — Quegli ubbriaconi potevano passare di qui un po’ più tardi.

Dove sarà ora quel dannato yankee? Dove sorprenderlo? Che si sia fermato e che al pari di me tenti di raccogliere il rumore dei miei piedi? Ah no, può aspettarmi, perchè non mi muoverò così presto.

Il sole è ben lontano ed in dieci ore possono scannarsi anche diecimila uomini.... —

Si era bruscamente interrotto ed aveva fatto un mezzo giro su sè stesso, tornando a dilatare le pupille, poi si era lentamente abbassato stendendosi del tutto al suolo ed accostando un orecchio sul tappeto.

Aveva udito un altro fruscìo, ma che pareva provenisse dall’opposta direzione. L’americano, approfittando di quello schiamazzo, aveva fatto il giro della sala portandosi dall’altra parte?

Il canadese ascoltava sempre, premendo l’orecchio contro il tappeto.

Il suo udito raccoglieva, di quando in quando, dei crepitii appena percettibili. Dei piedi premevano, con precauzione, il pesante tessuto, diventando sempre più distinti.

Dunque il yankee si avvicinava, avanzandosi forse anche lui verso il centro della sala? Probabilmente, attratto da quella nota mandata dal pianoforte, aveva raggiunto l’istrumento e non avendo trovato l’avversario, doveva avere seguite le pareti per poi lasciarle.

[p. 48 modifica]Ora doveva cercare verso il centro, brancolando nel buio ed avanzandosi naturalmente a casaccio.

Il canadese lo udiva avvicinarsi sempre più, poichè i crepitii della stoffa, per quanto leggieri, giungevano più distinti al suo orecchio.

Dove sarebbe passato l’avversario? Dinanzi o di dietro? A destra od a sinistra? Ecco quello che chiedeva con una certa angoscia.

Non gli sarebbe invece caduto addosso, inciampando in quel lungo corpo disteso?

Il signor di Montcalm riflettè un istante, si compresse colla mano sinistra il petto come se volesse imporre silenzio ai forti battiti del cuore, poi lentamente si sollevò e si mise in ginocchio, girando intorno a sè la destra armata.

Sentiva il nemico, ma per quanti sforzi facesse per raccogliere meglio il rumore di quella marcia silenziosa, non riusciva a stabilire la direzione che teneva.

D’improvviso udì, a brevissima distanza, un lieve sospiro, ma nello stesso tempo il crepitìo del tappeto cessò.

Si era fermato il yankee? Si era accorto anche lui che il suo avversario gli stava così vicino? Lo aveva forse fiutato? Anche questo poteva, fra le tante cose, ammettersi.

Il canadese non fiatava più. Girava solamente, con lentezza, il bowie-knife intorno a sè, pauroso di agitare l’aria e di tradirsi.

Passarono parecchi secondi, forse invece parecchi minuti.

Un’angoscia estrema si era impadronita del canadese, angoscia che si tramutava in un vero supplizio assolutamente insopportabile.

Nessun uomo di certo avrebbe potuto mantenersi tranquillo dinanzi a quel pericolo che non poteva vedere, e che pure gli [p. 49 modifica]girava d’intorno, minacciando di sopprimerlo quando forse meno se l’aspettava.

Era meglio slanciarsi, cercarlo, assalirlo coll’impeto della disperazione, dovesse pure quello scatto riuscire fatale.

— Basta, — aveva mormorato fra sè il canadese. — Non posso più resistere.... la paura mi assale.... agiamo prima che mi privi di tutta la mia energia.... —

Balzò in piedi, mandando un grido di belva ed avventando all’impazzata dei colpi furiosi.

Non si nascondeva più, non voleva più precauzioni: voleva la lotta a qualunque costo.

Al suo grido un altro aveva risposto, non meno rabbioso, non meno feroce e vicinissimo. Anche mister Torpon si trovava nelle medesime condizioni di spirito e cercava di dare o di ricevere la morte.

Per alcuni istanti i due uomini brancolarono nel buio profondo, cercandosi ed avventando sempre colpi, senza sapere dove potessero andare a finire, poi i due corpi, s’incontrarono furiosamente.

Due grida di dolore ruppero bruscamente il silenzio che regnava nella sala, poi si udirono due tonfi.... Erano caduti!... Morti entrambi forse?

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I due partners che avevano origliato dietro alle porte, sussultando al più lieve rumore ed asciugandosi senza posa il sudore che inondava le loro fronti, udendo quelle due grida e quei tonfi, avevano accese le lampade elettriche, poi si erano precipitati nella sala, chiamando angosciosamente:

Mister Torpon!...

— Signor di Montcalm!... —

Due gemiti e qualche bestemmia avevano risposto.

[p. 50 modifica]Quasi nel centro della sala, a tre passi l’uno dall’altro, giacevano i due rivali, ciascuno con un coltello piantato nel petto.

I partners, in preda ad una emozione facile a comprendersi, si erano gettati verso i disgraziati e subito un grido di stupore era sfuggito dalle loro labbra.

Caso assolutamente straordinario, quasi incredibile! I due rivali si erano colpiti nel medesimo punto, sotto la terza costola di destra e le lame non erano penetrate che per pochi centimetri, pur rimanendo infisse.

Il dolore provato e sopratutto l’emozione, avevano atterrati quei due giganti e li avevano fatti svenire.

— Che cosa dite voi, mister Patterson? — chiese il maestro di boxe canadese.

— Che il destino non vuole che nessuno di questi uomini sposi miss Perkins, — rispose il boxer americano.

— Comincio a crederlo anch’io.

— Presto, leviamo i bowie-knife e portiamo i feriti a letto.

Agite con precauzione, senza strappi, mister Hall.

— Oh, me ne intendo io di ferite, — rispose il boxer canadese.

— Si sono colpiti gravemente?

— Non mi sembra. Per atterrare questi uomini ci vogliono ben altre ferite!

— Non perdiamo tempo: a voi il signor di Montcalm, a me mister Torpon. —

I due maestri strapparono i loro fazzoletti per preparare alla meglio un primo bendaggio, poi s’inginocchiarono presso i feriti, sbottonando rapidamente le giacche ed i panciotti e strappando le camicie e le maglie, poi trassero delicatamente le armi.

[p. 51 modifica]Due getti di sangue vivissimo irruppero tosto dai due tagli, espandendosi sui larghi petti del yankee e del canadese.

— Buon segno, — disse mister Hall. — Il polmone non è stato toccato.

— Nemmeno quello del signor Torpon, — aggiunse il boxer americano, — almeno così spero.

— Portiamoli a letto.

— Sì, e presto. —

Fasciarono come meglio poterono le due ferite, per arrestare l’emorragia, poi ognuno si prese il suo allievo ed essendo due veri giganti, li trasportarono con non molta fatica in due stanze separate, l’una però attigua all’altra.

In pochi istanti furono spogliati e coricati su dei buoni letti.

Continuando il sangue a trapelare attraverso la improvvisata fasciatura, i due maestri stracciarono degli asciugamani e fecero un nuovo e più stabile bendaggio.

— Ed ora, — chiese mister Patterson al boxer canadese. — Dobbiamo avvertire l’albergatore?

— Sarebbe meglio che voi vi recaste a cercare qualche medico, mister Hall.

Le ferite non mi sembrano gravi, tuttavia non commettiamo delle imprudenze.

In quanto all’albergatore lasciatelo in pace.

Forse ai nostri allievi non piacerà che metta il suo naso nei loro affari.

Conoscete la città?

— A menadito.

— Andate subito, mentre io rimango di guardia. Sono appena le nove ed in qualche luogo potrete pescare qualche medico.

[p. 52 modifica]— Vado e torno subito. —

Il maestro americano era appena uscito, quando il boxer canadese udì un profondo sospiro uscire dalle labbra del signor di Montcalm.

— Finalmente!... — esclamò il brav’uomo. — Cominciavo a diventare inquieto.

Speriamo che anche mister Torpon torni presto in sè. —