Rime (Guittone d'Arezzo)/Ahi, como è ben disorrato nescente
Questo testo è completo. |
◄ | O benigna, o dolce, o preziosa | O felloneschi, o traiti, o forsennati | ► |
142
È minor male pensare che Dio non esista, anziché credere che non sia buono.
Ahi, como è ben disorrato nescente
qual piò tiensi saccente,
se divin giudici’onn’intender crede,
e ciò che lo saver suo non ben sente
5reo stimar mantenente,
unde Dio dice iniquo e perde fede!
Mira, o superbi’om desconoscente,
se ben te scerne mente,
onne opera d’om, che meglio vede:
10ben male e male ben dice sovente.
Come dunque sí gente
devine schernerai? Pens’ov’è fede.
Minor mal è pensar non sia Deo
che non pensarlo reo;
15ché como necessaro ello pur sia,
è ch’ello bono sia,;
e se non bono, non Dio. Che dunqu’eo?
Se lui bon credo, e che far creder dia?
Oh, che fella mattia
20dir alcun: — no è bon, ché ben non veo! e:
— fallir pria creo
divina bonitá, che scienzia mia!
143
All’amore di Dio, se non il bene che ci promette, ci dovrebbe almemo indurre il timore della pena eterna.
O felloneschi, o traiti, o forsennati,
o nemici provati
de noi stessi, piò d’altri mortali:
signore, padre aven, ch’ha noi creati,
5e de sé comperati,
e che ben terren danne spiritali,
e a regn’eternale hane ordinati,
sol per odiar peccati,
e per vertudi amar razionali;
10se nol seguin, saren qui tribulati,
e appresso dannati
senza remedio a torment’eternali!
O miser noi, come non donque amore
di tanto e tal signore,
15o diletto di sì dolze gran bene
lo cor nostro non tene,
e ci fa sol ragion om debitore?
E se dei doni suoi noi non sovene,
né diletto ne vene
20di ciò che ne promette, almen lo core
ne dea stringer temore
di tante perigliose eternai pene.