Al rombo del cannone/Thiers, Bismarck e la guerra

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Thiers, Bismarck e la guerra

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Gli enimmi di Waterloo Un profeta del pangermanesimo: Edgardo Quiuet

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Thiers, Bismarck e la guerra.

La signorina Dosne, proprietaria delle carte di Adolfo Thiers, ne fece a sua volta erede il Governo francese, col solo patto che non fossero rese pubbliche prima d’un certo tempo. Il caso ha voluto che la scadenza del termine da lei assegnato coincidesse con la guerra, e che le lettere del Thiers e di altri a lui intorno al conflitto franco-prussiano del 1870-71 apparissero mentre i due popoli, a distanza di circa mezzo secolo, si affrontano ancora una volta. La lettura di questi documenti offre molto interesse, poichè dagli avvenimenti di allora gli odierni in gran parte dipendono.


I.

La giornata "terribile", la scena "diabolica" del 15 luglio 1870, quando Emilio Ollivier partecipò al Corpo Legislativo la dichiarazione di guerra alla Prussia, è narrata con senso divinato [p. 144 modifica]rio dal Thiers, il solo che avesse tanto coraggio civile da tentare di opporsi alla "follia criminale" del governo napoleonico e della maggioranza parlamentare. Come tutti gli altri patriotti francesi, meglio che gli altri, l’insigne storico e statista sapeva quale errore fosse stato lasciare stravincere la Prussia dal 1864 al ’66; come e più che gli altri, egli voleva fare il possibile per evitare la minaccia gravante sul suo paese; ma si ribellò sdegnosamente "vedendo i miserabili che nel 1866 non vollero impedire il male all’origine, voler ora precipitarne le conseguenze, a rischio di renderle decisamente mortali" - sono parole scritte quarantotto ore dopo la seduta. Per correggere l’errore antico bisognava aspettare il giorno propizio; questo giorno sarebbe stato quello "in cui la Prussia avrebbe ripreso il corso delle sue usurpazioni" "Allora", scrive Adolfo Thiers al Duvergier de Hauranne, i Tedeschi del Sud, invasi da lei, si sarebbero gettati nelle nostre braccia, l’Austria non avrebbe potuto neanch’essa esitare, e l’Inghilterra sarebbe stata moralmente insieme con noi. In queste condizioni, con l’esercito tenuto in assetto, si sarebbe forse potuto rifare l’antica Confederazione germanica, o prendere sul Reno qualche pegno territoriale. Ma qualunque guerra, prima che la Prussia avesse commesso una nuova usurpazione materiale, mi sembrava una pazzia." Ed al Rémusat, [p. 145 modifica]un altro dei pochi rimasti capaci di freddamente ragionare: "Voi avete indovinato. Le cause della guerra sono delle più meschine. La rivincita contro la Prussia, per offrire probabilità favorevoli, doveva essere differita. Poichè la Prussia non poteva proseguire l’opera sua, tante volte ostentata, senza mettere la mano sugli Stati del Sud della Germania, bisognava aspettare quel giorno, e allora avremmo avuto dalla nostra una buona metà dei Tedeschi, più l’Austria, costretta a pronunziarsi, più l’Inghilterra che non avrebbe tollerato nuove usurpazioni prussiane, o che, se anche non avesse partecipato alla guerra con noi, sarebbe rimasta neutrale, benevola, capace per conseguenza di trattenere la Russia. Quello sarebbe stato il momento dell’azione. Fino a quell’ora bisognava contentarsi di comporre nel miglior modo possibile gl’incidenti quotidiani, senza mettersi dalla parte del torto nel caso che una rottura fosse divenuta inevitabile....".

Opporsi alla candidatura di un Hohenzollern al trono di Spagna era dunque legittimo, ma non si doveva forzare la nota. Quantunque il Governo francese avesse ecceduto nel tono della protesta, il rimedio era ancora possibile. Bisognava appagarsi d’infliggere alla Prussia un grosso scacco diplomatico. "Se pretenderete di più", aveva detto il Thiers ai ministri, "l’amor proprio entrerà in giuoco, e allora la [p. 146 modifica]guerra sarà inevitabile. Essa potrà andar male, nonostante il valore dell’esercito nostro, e non bisogna correre il rischio. Bisogna porre da parte il desiderio di disfare ciò che fu compiuto a Sadowa; bisogna aspettare il giorno delle future e immancabili usurpazioni prussiane.... Mi si rispose che avevo ragione, ma che disgraziatamente non credevano possibile ottenere il sacrifizio della candidatura Hohenzollern. Replicai che si sarebbe ottenuto, ma che bisognava contentarsene....".

Fu ottenuto, infatti, come egli assicurava; ma, sciaguratamente, come egli stesso temeva, non bastò. Il dispaccio spagnuolo annunziante la rinunzia del Principe prussiano produsse un tripudio di gioia nell’Ollivier, ma non valse a soddisfare gli ultrabonapartisti, cui non importava affrontare la guerra, che volevano anzi affrontarla, sperando di affermare, con una segnalata vittoria sul nemico di fuori, il regime imperiale minacciato e minato dagl’interni avversarii. "A capo di cotesto partito si trovava il maresciallo Leboeuf, brav’uomo, soldato eccellente, ma ebbro d’ambizione e politico molto leggero. Tutti i bonapartisti si sono messi dietro di lui ed hanno fatto risonare il Gabinetto di grida furenti. Resta a sapere se l’Imperatore è stato più trascinato che non trascinasse. Fatto sta che i pacifici, formanti la maggioranza e guidati dallo stesso Ollivier, si sono lasciati [p. 147 modifica]intimidire ed hanno stabilito di chiedere al Re di Prussia l’impegno personale (che la candidatura del congiunto non sarebbe stata ripresentata), con lo scopo, apertamente dichiarato, di umiliarlo. Ho visto i ministri dopo il funesto Consiglio tenuto martedì, 12 luglio. Ho detto loro che avevano commesso un grave errore non dichiarandosi soddisfatti, e che la guerra tornava ad esser possibile. Mi hanno solennemente giurato che sarebbero stati prudenti, cioè poco esigenti. Nel frattempo ho fatto una vera campagna presso i deputati del Centro. Cento, a dir poco, mi hanno dichiarato che, se davo loro il segno della pace, m’avrebbero seguìto. Un buon numero di costoro sono venuti a dirmi: - Prendete il potere: siamo in duecento pronti a sostenervi; non si può lasciare il Governo in quelle mani....".

Ma egli ricusa di mettersi avanti, di appagare ambizioni ed appetiti; insiste invece perchè si faccia consistere soltanto nella pace lo scopo essenziale da raggiungere. "Non ho udito una sola obbiezione, salvo tra i bonapartisti, che del resto io non frequentavo. Il mercoledì, 13, si sono rimandate le ultime spiegazioni a venerdì, 15. Ho visto e rivisto i ministri, e parecchi mi hanno dichiarato che si sarebbero dimessi piuttosto che assumere la responsabilità della guerra. Plichon, Chevandier, me lo hanno promesso....". [p. 148 modifica]


II.

Disgraziatamente, se i bonapartisti, in Francia, volevano venire ai ferri corti, i bismarchiani se ne struggevano in Prussia, e come i Francesi si erano môrse le mani vedendo sfumare, col ritiro della candidatura tedesca, l’occasione desiderata, ed avevano perciò avanzata l’eccessiva e pericolosa pretesa che il Re Guglielmo s’impegnasse personalmente a non permettere che mai più si riparlasse del suo parente, così il conte di Bismarck, leggendo la nota redatta per ordine del suo sovrano dal consigliere segreto Abeken, con la quale la risposta negativa era distesamente e serenamente riferita, pensò di "abbreviarla" in modo che sonasse "come una fanfara di risposta a una sfida....".

Il Thiers non poteva allora conoscere questo particolare, svelato molti anni dopo dallo stesso Bismarck; ma neanche nella secca forma datagli dal ministro prussiano il dispaccio di Ems parve allo statista francese quell’"oltraggio" che vollero trovarvi in Francia. "Buoni cittadini avrebbero attenuato la cosa, si sarebbero rivolti all’Inghilterra perchè la accomodasse, e avrebbero così preservata la pace [p. 149 modifica]. Ma i signori ministri vi hanno veduto un motivo di mettersi col partito della guerra senza troppo disonorarsi, e di restare quindi nel Gabinetto dal quale si sentivano sul punto di uscire.... Quando, in mezzo ad un’ansietà inaudita, il manifesto è stato letto, una specie di stupore si è impadronito della Camera. I Centri hanno fatto come i ministri, si sono serviti di questo mezzo per non guastarsi col potere, e i ministri per restar tali, i ministeriali per continuare ad essere ministeriali, hanno gettato il paese ed il mondo in una guerra spaventosa. La stessa Sinistra, solitamente tanto coraggiosa, era sorpresa e paralizzata, quando io mi sono alzato con uno scatto infrenabile. E allora tutti i furori del bonapartismo si sono scagliati su me.... Cinquanta energumeni mi mostravano il pugno, m’ingiuriavano, dicevano che insozzavo i miei capelli bianchi...." L’ansia del Thiers era tanto più grande perchè, antivedendo purtroppo la sconfitta, neanche la certezza della vittoria sarebbe valsa a rassicurarlo: la guerra fortunata avrebbe anzi afforzato il partito bonapartista, nemico delle pubbliche franchige, fautore e autore di dispotismo. "Questo avvenimento che ci costerà o la libertà o la grandezza, m’ha spezzato il cuore.... Per quelli dei nostri militari che sono liberali, quale dolore, combattendo per la nostra terra, all’idea che non vinceranno se non a spese della [p. 150 modifica]nostra libertà!..." Ma nel terribile frangente la condotta, non solo dei soldati, bensì di tutti i cittadini, era nettamente segnata: "Il dovere non è equivoco: bisogna fare di tutto per vincere, e se fossi soldato darei francamente la vita per questa causa....".

Non dovendo e non potendo combattere, egli fece tutto quanto la patria gli chiese; e non fu poco: a cominciare dalla penosa peregrinazione attraverso le metropoli europee in cerca di aiuto. Qui consiste il maggiore interesse dei documenti venuti ora in luce, per le profezie che vi si trovano, talvolta un poco involute ed incerte, talaltra singolarmente precise, intorno alle conseguenze dell’incontrastato trionfo tedesco e della profonda umiliazione francese.


III.

Il Mignet scrive al Thiers, a Londra: "Gli augurii e i consentimenti continuano a seguirti nella tua patriottica missione. Così possa riuscire, per l’onore e l’interesse delle grandi Potenze europee, non meno che per il sollievo e l’integrità della Francia, abbandonata ad un’invasione che resta ora senza fondato motivo da parte d’una Potenza oggi soltanto conquistatrice. L’Inghilterra, la Russia e l’Austria hanno e [p. 151 modifica]guale interesse ad opporsi alla devastazione, alla rovina, alla menomazione territoriale della Francia. Il mantenimento dell’equilibrio europeo importa ad esse in egual grado. L’unità della Germania sotto la Prussia, divenuta certa, in fatto, grazie alla guerra, e destinata a compiersi, in diritto, dopo la pace, renderà l’orgogliosa e bellicosa Prussia preponderante sul continente. Se la si lasciasse tendere ad ingrandirsi con annessioni a spese nostre, presto o tardi, quando l’occasione favorevole si presentasse, essa sarebbe disposta a riunire al futuro e inevitabile impero germanico i Tedeschi delle province austriache e quelli delle province russe del Baltico. Tollerare che soddisfi la propria ambizione a spese della Francia, importa esporsi al pericolo che la sua ambizione si rivolti contro l’Austria e contro la Russia. Se non le s’impedisce d’essere invadente oggi, la si renderà pericolosa per tutto il mondo in un avvenire immancabile....".

Ma il Thiers non raccoglie altro che delusioni. Il Tissot, incaricato d’affari a Londra, gli scrive il 14 ottobre, a Firenze: "La situazione è qui press’a poco quale l’avete lasciata. Il Governo inglese continua a chiudersi nel proponimento dell’astensione e persiste nel non voler intervenire se non quando gli sarà provato che la sua mediazione avrà qualche probabilità di riuscita". E il 12 novembre, notando le simpatie dell’ [p. 152 modifica]opinione pubblica e riferendo le promesse di Lord Grenville: "In fondo a queste simpatie che l’Inghilterra ci dimostra, c’è senza dubbio il sentimento molto egoista dei pericoli che la minacciano; ma non importa: l’essenziale è che essa comprenda oggi questi pericoli da lei tanto lungamente negati. L’arroganza teutonica vi ha contribuito più ancora, forse, che i nostri disastri. La stampa germanica già reclama Heligoland come chiave del Mare del Nord. Quanto all’Olanda, essa sarà chiamata a far parte del Zollverein, aspettando che occupi, di buona o mala voglia, il posto che già le è assegnato nella Confederazione tedesca. Tali sono le conseguenze prossime, ed altre se ne intravedono in un avvenire più o meno lontano. Tutto ciò - mi diceva ieri il signor Otway, sottosegretario agli affari esteri - finirà con una coalizione europea contro la Germania....".

Meno fortunati ancora dovevano riuscire i tentativi compiuti dal Thiers presso il governo russo. Il marchese di Gabriac, incaricato d’affari francese a Pietroburgo, gli scrive di lì, dopo la sua partenza: "Il partito tedesco, in minoranza nel paese, ma forte quanto sapete, ha sfruttato presso l’Imperatore la notizia delle scene di disordine avvenute in Francia, segnatamente a Marsiglia ed in una parte del Mezzogiorno. Si sono distesamente riferite nei giornali le tristi scene dell’Hôtel de Ville. Dall’altra [p. 153 modifica]parte la capitolazione di Metz ci ha naturalmente nociuto molto come effetto morale, e, militarmente parlando, se ne è concluso che, non avendo più esercito regolare da opporre al nemico, la nostra resistenza non è più se non un atto d’inutile ostinazione....". Dopo aver notato alcuni sintomi di migliori disposizioni alla notizia dei nobili sforzi della Difesa nazionale, ed accennato allo scambio di note delle grandi Potenze, il Gabriac osserva: "Se la guerra durerà ancora a lungo, mi sembra probabile che non vi sarà altra politica tranne quella delle cupidige individuali, con appena qualche intermezzo. Del resto sarà la stessa che è moralmente prevalsa dopo lo schiacciamento della Danimarca e di cui noi portiamo oggi la pena, senza speranza di risollevarci interamente, finchè le due grandi nuove agglomerazioni uscite da questo disordine, il germanesimo e lo slavismo, si urtino in una lotta suprema da cui spero che saremo tanto abili per fare nuovamente uscire il regno della giustizia e del buon senso....".

E la Russia disse pure una buona parola; il Cancelliere dello Zar consentì che il Gabriac partecipasse a Giulio Favre, ministro degli affari esteri della Repubblica, che "il desiderio della Russia di vedere risparmiate alla Francia le cessioni territoriali non era ignoto a Berlino". Ma poi, con la totale distruzione delle [p. 154 modifica]forze militari francesi, il ministro moscovita tenne tutt’altro linguaggio: ogni Potenza, fece osservare al Gabriac, ha dovuto compiere sacrifizii in seguito a guerre disgraziate....


IV.

Il Thiers e il Favre sostennero sforzi sovrumani durante le trattative della pace. "Ci trovavamo", narra il primo al duca di Broglie, ambasciatore a Londra, "nella posizione d’un esercito ridotto ad arrendersi a discrezione, cioè nell’impossibilità di resistere. Ho resistito nondimeno, e talvolta con violenza. Volevano portarci via tre quarti della Lorena (l’Alsazia era già sacrificata): ne abbiamo serbato i quattro quinti: ma abbiamo perduto Metz. Bisognava scegliere tra Metz e Belfort. Volevano togliercele entrambe. Io ho rivolto i miei sforzi su Belfort, perchè Metz non chiude nulla, mentre Belfort sbarra la frontiera dell’est, e particolarmente quella della Germania meridionale. La lotta è durata nove ore. Finalmente ho salvato Belfort...." Ma c’era ancora la quistione finanziaria, quell’indennità di cinque miliardi, il cui annunzio, secondo riferiva il Broglie al Thiers, aveva prodotto in Londra un "vero scandalo". [p. 155 modifica]"Il pubblico inglese", soggiungeva l’ambasciatore, "si sente toccato nel vivo. Esso sa che sarà lui quello che, di buona o mala voglia, pagherà i cinque miliardi, o almeno il più grosso boccone dell’enorme bottino. La richiesta di capitali e di numerario che saremo costretti a rivolgere a tutti i mercati del mondo, ed all’inglese particolarmente, che è il primo, lo turba straordinariamente. Il pensiero che questo capitale, di cui i tralasciati lavori della pace aspettavano impazientemente l’impiego, è sul punto di essergli sottratto per ficcarsi nel tesoro di guerra d’un esercito ancora conquistatore, l’irrita e lo sdegna.... La City è come un formicaio su cui la Prussia ha posto il piede...." Ma forse l’immagine era più bella che fedele, o le formiche si sentirono impotenti contro il piede; perchè, ad eccezione d’un tentativo compiuto in extremis, "veramente molto insignificante e tardivo, per aiutarci ad ottenere la riduzione d’un miliardo" - sono parole del Broglie - e ad eccezione dell’offerta di favorire l’emissione del prestito, l’Inghilterra non seppe far nulla per moderare le pretese del vincitore. "Si può dunque dire", conclude amaramente il Thiers, "che, avendoci abbandonati, l’Europa è il vero autore del trattato che abbiamo firmato; trattato tanto crudele per lei quanto per noi, poichè i miliardi che dalla nostra cassa passeranno in quella prussiana [p. 156 modifica]saranno altrettante forze tolte all’Europa e portate al dispotismo germanico che si prepara...." Sarebbe riuscito veramente difficile far intendere alla Prussia il linguaggio della moderazione, se le grandi Potenze avessero voluto veramente, fermamente tenerlo? La discrezione nella vittoria era stata la legge che il Bismarck si era imposta, e che aveva imposta agli stessi militari ed al Re, nel 1866. Se qualcuno l’avesse imposta a lui nel 1871, egli si sarebbe risparmiato l’ammonimento che, perduto il potere, rivolgeva ai suoi successori, e del quale Gabriele Hanotaux ha pur ora avvertito il profetico senso: "Il mio timore è che, sulla via per la quale siamo posti, il nostro avvenire resti sacrificato ai mutevoli umori del giorno.... Il nostro prestigio e la nostra sicurezza si affermeranno tanto più durevolmente, quanto più nelle contese che non ci toccano direttamente ci terremo da parte, e quanto più saremo insensibili ad ogni tentativo di solleticare e sfruttare la nostra vanità.... La Germania commetterebbe anche oggi un grosso sproposito, se nella quistione orientale, e senza avervi un interesse proprio, volesse prendere partito prima delle altre Potenze più interessate di lei.... Essa è forse la sola grande Potenza d’Europa che sia meno tentata da fini raggiungibili solo mediante guerre vittoriose. Il nostro interesse è quello di conservare la pace.... A questa situazione [p. 157 modifica]dobbiamo conformare la nostra politica: impedire cioè quanto più è possibile o limitare la guerra: non lasciarci forzar la mano nel giuoco di carte europee, non lasciarci vincere dall’impazienza, da nessuna compiacenza a spese del paese, da nessuna nostra vanità come da nessun incitamento d’amici. Altrimenti, plectuntur Achivi....".

26 agosto 1916.