Angoscia, Doglia e Pena le tre furie del mondo/Appendice

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Appendice

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Pena
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APPENDICE

I

Dedica complessiva dei tre ragionamenti.

Michelangelo Biondo

a FRANCESCO BIONDO

suo fratello

salute

Non senza lagrime, fralel carissimo, vi scrivo la presente, percioché contene certa summa delle mie fatiche, anzi perché vi sonno sottoposti li miei affanni, di quali parte nè sappete e parte non vi son noti. Pertanto, essendo certo a me che volintieri intenderete il corso della mia vita, deliberai farvi noto il resto delle pene mie, usando l’ofizio fraterno- Imperò la presente sera, che sotto brevitá vi offerirá el mio angosciare e le mie incomportabili pene per cagion della mia consorte, mentre che visse in questo mondo; e ciò, perché intendo che voi ancora sète intrato in laccio giugale. Acciò adunque non possiate essere tormentato dalla donna vostra come son stato io, discorrerete la presente opera, perché vi será di non poco documento a saper vivere piú accortamente con la vostra consorte, che non ho sapputo viver io. E oltra, essendo voi lontano, ed io non avendo messo fedele, altro non ho potuto mandarvi securamente che le Furie del mondo, percioché, come elle, spero ancora che il nome nostro será immortale. E sappi, fratel carissimo, se piú potess’io donarvi, vi donarei volinteri; ma, non possendo, vi dono quel ch’io disio summamente: la eternitá. Dedicandovi la presente opera, me medesimo dedico e destino alla vera fraterna benevolenzia. Vale.

Da Vinezia, a dí ventidua di giugno.

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II

1.

Dedica dell’Angoscia.

Allo illustrissimo signor

AGOSTINO LANDO CONTE DI CAMPIANO

Michelangelo Biondo

prosperità e vita longa

Illustrissimo signore, ancora che siano pochi giorni che la sua virtú ed umanissimi costumi m’hanno fatto diventare suo, non tanto vero amico, ma ancora fidel servitore, nondimeno, come invechiato in amicizia e servitú sua, ho preso ardire de mostrare alla sua grandezza quel tanto che in me si trova di benevolenza e servitú. Né perciò faccio questo in modo che si convien alla Sua Altezza, degna di maggiore ornamento; ma, per mostrar l’amore e la mia affezzione alla sua bontá, faccio quanto posso; nè fa poco chi fa quanto può. Pertanto, vedendo io Vostra Signoria esser remossa, per signoril recreazione, dalla cara consorte, donna nobilissima, cioè, intendo, degna di vostra virtú, diliberai di fare intendere al suo divino intelletto le mie vigilie di questo inverno, fatte circa il fatto della donna, accioché Vostra Signoria, tornando alla sua cara consorte, conosca alquanto meglio quelle proprietá che si trovano talvolta in ciascuna donna, perché la mia è ornata di maggior dote che non fu dotata la moglie di Socrate. Perciò questa contemplazione non averá di lingua mordente di Aretino, nè di alta rima di Molza, nè ancora di nova poesia di Claudio, ma averá il dire cottidiano, come io soglio talvolta ragionar, godendo quella. Sí che, per ligame di perpetua mia servitú, la presente nostra Angoscia alla sua buona grazia destino.


2.

Commiato dell’Angoscia.

BIONDO

{{ct|f=100%|v=1.5|L=0px|a’ gioveni e vecchi inamorati Vi scrissi ciò per memoria, non per documento, da quella casuppola, dove solitario contemplo la mia fortuna, remigando con tutte le forze al desiato fine. [p. 217 modifica]

III

1.

Dedica della Doglia.

Allo illustrissimo signor

FABRIZIO COLLONNA

Michelangelo Biondo

prospero successo e satisfatione

Signor mio generoso, gli è l’antica usanza di veri amici e fidel servitori, che, quando se trovano in altrui paese, di scrivere avisando gli cari amici e suo padrone di quelle cose che se dicono e fanno in quelle parti. Perché si dice fra prudenti, generosi e principi non meno essere bella cosa che utile di sapere fatti, natura e costumi di varie nazioni, che vi è di conoscere la proprietá della sua patria. Pertanto aviso la Signoria Vostra, come caro amico, anzi mio padrone, che qui ciascuno attende a trafighi e mercanzie, nè si cura alcuno di aspro verno nè di estate torrida, anzi sempre e tutti si essercitano in fruttuose opere, e sono gente tratabili e benigne, benché qui ancora non mancano invidi e maliziosi. Pertanto, sperando io di ripossare con la mente in queste parti piú che non ripossava stando in Roma, parmi che qui ancora me truovo fra rumori e guerra della mia donna, anzi mia doglia, la qual cresce ed accendesi maggiormente ognora dalle acque nelle quali stamo, che non si accendeva fra le mura di Roma. Pertanto, vedendo la continua proprietá di l’acqua, me è parso di avisare il mio signor, qualmente l’acqua ancora accende il furore della mia donna, sí che, sapendo io non essere noto alla Signoria Vostra quanto è cosa molesta all’amico della virtú di avere a lato una fastidiosa, me è parso di avisare quella, con fastidio e molestia de la mia donna, in che spendo i cari miei giorni, li quali giá altro non son a me che la scura morte. Perciò sappia il mio signor che, mentre ch’io vivo a lato d’una rissosa, ogni momento mi pare di morire, perch’io vivo accompagnato della morte. Pertanto, [p. 218 modifica] la mia donna essendo mia doglia, me è parso di dedicare la presente alla sua grazia, accioché la conosa da queste carti alquanto meglio che cosa è la donna. Perché qui ancora si contiene piú chiaramente la natura e costumi di ciascuna donna, che non fa nell’Angoscia nostra; perciò, in memoria de la mia servitú da lontano come d’appresso, mando, dedico e destino al suo divino ingegno la mia Doglia, furia seconda.

2.

Commiato della Doglia.

BIONDO

a’ savi e pazzi

Giá vi scrissi l’Angoscia per memoria, non per documento. Al presente vi scrivo la Doglia, non solo per memoria, ma ancora per documento, da quella casuppula, dove non soletario piú, come soleva, ma accompagnato di fantastichi pensieri e circondato da invidi e malivoli, contrasto con fortuna, senza contemplarla, in porto pieno di gran nembi. Né per ciò trovo scoglio di fermar la nave con le sue sarti. Nondimeno la Pena nostra, dopo la presente, vi fará certi delle forze umane e del nostro fine, sí che al presente la leggiate. [p. 219 modifica]

IV

1.

Dedica della Pena.

Al signor PAOLO PALMERI

secretario delli magnifici signori elletti

della cittá de napoli

Michelangelo Biondo

La nostra antica benevolenza fa, anzi me esorta, che io me aricordi dopo tanti anni, signor caro, della acoglienza che voi solete fare a tutti li virtuosi. Imperò, ancora ch’io non era di numero di quei, pure quella, per la sua bontá, tenendomi per uno di detti, sempre me amava, accapezzando, mentre che io abitava in Napoli. Anzi, remossi tutti gli altri, visitandola, a me solo prestava l’orechie e la audienza, forte godendo quando io referiva alcuna delle mie vigilie, con tutto ciò che fosseno mal culte. Pertanto da luntano come da presso faccio parte alla Signoria Vostra della mia Pena, anzi a quela la destino, imperoché la contiene el discorso del matrimonio della vostra cittadina, con la quale, dopo la mia partita da Napoli, son stato in tanti affanni, che mai potrei narrarli: pure sapi quella che per la sua cagione ho avuto a perdere la vita, non che i beni temporali. Pertanto, quando ha piacciuto a Dio, son essito di affanni, non perciò senza il gran dolore, perché è morta colei che io tolsi per mia cara sposa e per amore. Imperò di quanto dolore, di quanto affanno, di quanto tormento ella, mentre che visse meco in compagnia, è stata a me, da queste poche carti facilmente la Signoria Vostra intenderá. Percioché, in vita sua, io non avea altra consolazione che scrivere sí le feste e li piaceri iugali, come ancora li dispiaceri e le tribolazioni, nelle quali io era per sua cagione dopo la commune partita da Napoli. Imperoché non era piú Iulia Marzia Martina, ma veramente una furia del mondo, percioché con sdegni, ira, rumore e suoi furori me consumava tanto, che, andando per la terra, era iudicato morto. Nondimeno, quando piacque a Dio, ella è morta. Ed invero, al presente, della sua morte me rincresse, ancora che io son senza tormento, senza la pena e senza il continuo furore. [p. 220 modifica] Pure, sapendo che mi conviene a fare della necessitá virtú, contra mia voglia, mi consolo per mio potere, poiché Iddio, signor del cielo, l’abbia chiamata nel glorioso regno ove le sante opere e bone sono meritate. Pertanto prego quella che mi perdoni s’el mio scrivere è stato tardo, pure l’amore e la benevolenza sempre è stata apreso alla mia memoria. Imperò sapi la Signoria Vostra che la mia consorte e la vostra cittadina si ripossa nelli beni di vita eterna, perché ha fatto lodevol fine e da bona cristiana: perciò credo che giá ella prega Iddio per noi. Né mi occorre scrivere altro, salvo che quella se aricordi che li son servitore, pregandola che me avisí come io sto in grazia di signor Francesco Suvaro, e finalmente che iudizio faranno li comensali del presente nostro discorso circa il fatto matrimoniale, destinato al signor Paolo Palmeri. Vale.

Da Vinegia.

2.

Commiato della Pena.

BIONDO

a’ savi e pazzi

Dalla casuppola, dov’io transtullo con la mia musa, a dí ultimo di miei affanni, nel millesimo, che piacque a Dio, della mia vita, con angoscia, doglia e pena. Biondo con la man propria.