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Anime allo specchio/L'ospite

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L’ospite

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Come un’ombra Il sottile inganno

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L’OSPITE


— Stasera ti porto un ospite, — annunziò per telefono a sua moglie l’avvocato Pineri; — l’incontrai oggi per caso alla Banca; è tuo cugino Renato Faris l’ingegnere, il quale....

— Ah! Renato? — interruppe blandamente Olga Pineri, con quella sua voce grave e lenta che pareva compenetrata di tedio.

— Sono io, cugina, — le gridò Faris con gaiezza, — confessa pure che non ti rammenti nemmeno più della mia faccia; io però conservo della tua un molto vago ricordo.

— Vago, in che senso? — rise ella sottilmente.

— In tutti e due, ma specialmente nel senso più bello, — spiegò Renato, e soggiunse: — Sono passati otto anni, lo sai?

— Bene, li commenteremo questa sera, — concluse Olga Pineri e si volse a sua cognata Germana che ricamava presso la finestra, e le ripetè l’annunzio sorridendo. [p. 127 modifica]

Questa le alzò per un momento in faccia due freddi occhi grigi, l’ascoltò attenta, poi riabbassò sul lavoro il suo volto chiuso di fanciulla timida e superba, senza parola.

Subito la schietta gioia di Olga, una di quelle serene gioie che tanto raramente ella gustava, s’offuscò sotto quello sguardo e cadde. Le due cognate, costrette a vivere nella stessa casa, non si amavano; esisteva fra la giovinezza ritrosa e proterva di Germana e la maturità tediata e amara di Olga una silenziosa ostilità, una velata insofferenza che le teneva lontane e straniere pur nella quotidiana convivenza, pur nell’avvicendarsi quasi eguale dei loro giorni. Entrambe solitarie per una loro intima fierezza: l’una separata nell’anima da un marito buono e volgare, l’altra ancora oppressa da una angoscia di attesa o forse da una minaccia di troppo prolungata solitudine. L’una più esperta e più abile sapeva apparire men cruda, talvolta quasi amabile, dissimulando bene lo scontento e la noia; ma la più giovine, meno accorta, non addolciva la sua asprigna acerbità, solo la copriva di lunghi silenzi impenetrabili.

L’ospite, Renato Faris, si trovò d’un tratto fra queste due donne per le quali egli rappresentava la novità impreveduta di oggi, forse la promessa oscuramente dolce di domani, e guardandole entrambe e paragonan[p. 128 modifica]dole entro di sè egli sentiva che il suo destino o forse il suo volere s’agitava ancora incerto fra l’una e l’altra, meglio attratto dalla gravità consapevole e abbandonata di Olga, più interessato alla malinconia riottosa di Germana.

Egli veniva ad impiantare in quella città, con forti capitali stranieri, una grande società d’areonautica e tutto preso dagli affari s’era quasi dimenticata la lontana parente che vi abitava, quando l’avvocato Pineri udito a caso il suo nome in un ufficio di banca, lo aveva riconosciuto ed invitato a riannodare la antica cordialità. Per via, ampiamente informandolo delle sue varie faccende finanziare e familiari, lo aveva preparato all’incontro con Germana, la sua giovine sorella orfana, la fanciulla largamente provvista di virtù e di dote capitatagli in casa con la morte della vecchia madre.

Renato Faris attraversava una di quelle crisi ambigue del sentimento per cui un uomo, fino ad allora distratto dalla vita affettiva per cause potenti, ove sono in gioco la vita materiale e il bisogno di raggiungere una meta, sente quasi d’un tratto piegare in sè qualcosa di indomabilmente voluto, cioè la necessità dell’essere soli dinanzi al proprio cuore ed alla propria esistenza.

Ora, raggiunto quel grado di benessere e di tranquillità che permette di guardarsi in[p. 129 modifica]torno e di scorgervi molto vuoto, egli si rammaricava con sè stesso che di tante rapide avventure, degne ed indegne, nulla gli fosse rimasto, che di tante immagini effimere nessuna gli si fosse fermata accanto per donare e per prendere ancora, per riempirgli di gioia od anche di pena la lentezza superflua di taluni giorni nostalgici.

La casa della cugina, intima, confortevole, ammorbidita quasi dalla sua femminilità raffinata e vigilante, gli si apriva come un rifugio inatteso, come un luogo di sosta riposante ed incitante insieme. Ella lo comprese subito e cercò di attirarvelo maggiormente, sentendolo ansioso della sua stessa inquietudine, parendole intimamente disposto a piegare verso di lei la sua forza raccolta e tenace e cercarvi l’amoroso compimento necessario alla sua attività intensa d’opera ed energia.

Ed a poco a poco le parve ch’egli la sentisse sempre più necessaria alla sua vita, ed a poco a poco ella medesima lo sentì necessario alla propria. Egli veniva ormai ogni giorno in casa sua, vi si fermava molte ore e le rimaneva quasi sempre vicino. Qualche inclinazione somigliante del loro spirito e della loro cultura li sospingeva spesso a lunghe discussioni amichevoli, che facevano fuggire pieno d’allegro orrore l’avvocato Pineri e mettevano una ruga di corrucciata attenzione su la fronte della silenziosa Germana. [p. 130 modifica]

Una sera ch’egli giunse tardissimo, trattenuto altrove da un affare, Olga Pineri ebbe improvvisamente da sè stessa una rivelazione inquietante. Ella si sorprese più e più volte fissa all’orologio con una specie d’ansietà nervosa che crebbe fino a diventare convulsa. Fu costretta a rinchiudersi nella sua camera onde non esporre il proprio turbamento allo sguardo seguace e ironico della cognata, e quando finalmente il campanello squillò nel silenzio, lo specchio le rimandò un volto così pallido e così felice ch’ella ne provò sgomento. Ma seppe dominarsi, seppe con qualche artificio far scomparire dal suo volto martoriato di donna non più giovane le traccie dell’attesa febbrile. Nè mai come in quella sera egli le parve degno del suo più tenero ardore, bisognoso d’una riposante dolcezza di amore. Affaticato, un po’ triste, solcato nel volto glabro e quadro dai segni della sua pugnace lotta quotidiana per la vita e per la ricchezza, egli appariva pure in qualche momento d’abbandono docile e mite come un fanciullo stanco, e seduto ai piedi della cugina appoggiava la gota alle sue ginocchia come se volesse dormire e la pregava di lasciarlo riposare così.

Germana ripeteva nella stanza accanto, sul piano in sordina, un monotono esercizio che pareva conciliare il sonno e le mani morbide di Olga accarezzavano con gioia tre[p. 131 modifica]mebonda i capelli di quell’uomo raccolto ai suoi piedi come uno schiavo e certo ormai suo.

Ella ne provava un piacere trafiggente, composto di languore e di febbre, di paura e di coraggio, e nel silenzio agitato del suo cuore l’attesa della felicità vicina le formava nel petto un vuoto dolorante come se le mancassero l’aria e la vita. Ed entrambi tacevano come se volessero prolungare quello stato di spasimo squisito, certo ed incerto, come se si compiacessero d’allontanare il momento più fervido ma meno incantevole della rivelazione.

Molto tardi Renato Faris s’alzò quasi a malincuore, prese le mani della cugina fra le sue, giocherellò un momento con le dita magre senza guardarla, raccogliendosi, quasi esitasse a dire e pur volesse parlare. Ma non parlò, la salutò in fretta, domandò di Germana che era già a letto e uscì nella strada deserta, camminò sotto le piante snelle d’un viale, vigilato dal cielo da una pallida luna violacea, spiato da un balcone da una pallida donna fremente.

Il domani egli si scusò di essersi abbandonato la sera innanzi ad una familiarità eccessiva e passò la serata a fumare distrattamente, a sfogliare con mano nervosa giornali e riviste che non lo interessavano, forse preoccupato, forse tediato, seguìto in ogni suo atto dallo sguardo tenero ed incerto [p. 132 modifica]della cugina. Ella lo sentiva prossimo ad una determinazione grave e non abbastanza sicuro di sè e di altri per risolvervisi con certezza di vittoria, ma delicata e orgogliosa sebbene appassionata, ella aspettava senza incitamenti la confessione completa di quell’amore stranamente timido, lusingata e irritata insieme di tanto ansioso timore.

Egli le piaceva sempre più, ed ora più che mai l’attraeva con quel suo nuovo spirito di inquietudine e di passione ch’ella già aveva sempre ignorato, immaginandolo solo uomo d’azione e di fermezza, quasi sdegnoso benchè fosse curioso dell’amore e del sentimento. Ella conosceva ora quale fuoco di desiderii e quali impeti d’avidità si celassero sotto il freddo rigore dell’apparenza, turbassero quel lavoratore ostinato che pareva rincorrere solo il balenìo della fortuna e degli onori. E ne gioiva nella sua tenerezza carezzevole di amica, nella sua assetata bramosìa d’amante, compiacendosi nella sua vanità di donna d’aver sollevato e forse per la prima volta in quel chiuso e arido cuore così fiera tempesta. Ed aspettava.

Una sera che Germana s’era ostinata a rimanere presso di loro china sul suo eterno ricamo, Renato fu calmo, rise, scherzò su quel lavoretto misterioso e infinito come la divina misericordia, e non appena la fanciulla si ritirò, tolse dalle mani della cugina il li[p. 133 modifica]bro ancora intonso del quale ella tagliava le prime pagine e le disse d’improvviso, tenendo strette nelle proprie le sue dita fredde:

— Ascoltami, Olga. Ho bisogno di parlarti stasera.

La sua voce era bassa, quasi trattenuta in gola, quasi espressa a forza dal cuore incerto.

Ella sentì che le labbra le tremavano un poco mentre pronunziava le parole tranquille della risposta, le parole che dovevano mutare il suo destino.

— Parla pure. So che devi confessarmi qualche cosa.

— Tu sai? — domandò il giovine con gli occhi sfavillanti. — Difatti io devo sembrarti un po’ strano da qualche tempo. Ero molto turbato e lo sono ancora; l’incertezza non è uno stato d’animo che mi convenga.

— Povero Renato! — ella sorrise, dolcemente ironica; — una donna ti fa paura, non è vero? Una piccola, debole donna fa paura a un uomo forte e fiero come te.

V’era già nella sua frase velata di falso sarcasmo un principio di dedizione, un bisogno amorevole d’umiltà e di lusinga, v’era già in ispirito l’atteggiamento d’una donna che si promette e che si concede. Egli non sentì che la puntura sottile dello scherno e rise un po’ amaro.

— Non è paura, è superbia forse. Il pericolo d’un rifiuto m’ha trattenuto finora da [p. 134 modifica]qualsiasi passo decisivo. E prima di tentarlo vorrei la certezza di riuscire.

— Ti risponderò con una frase vecchia, ma giusta, — incitò Olga Pineri col cuore dolente di palpiti sordi; — la fortuna è degli audaci, quando gli audaci sono come te.

Quindi tacque aspettando, e le parve che nell’attimo di pausa il mondo si fosse mutato dinanzi ai suoi occhi fissi. Ma la voce di Renato la disingannò:

— No, cugina, non basta. La dignità di un uomo, — ripeterò la tua frase lusinghiera, — di un uomo «come me» non si arrischia a caso.

— La dignità? — pensò Olga sconcertata senza comprendere e osservò, sorridendo un po’ acre:

— L’esordio è alquanto lungo, mi pare.

— Sì, è lungo, — mormorò Renato battendo il piede a terra concitato; ma subito s’addolcì, si chinò su di lei, le cinse le spalle col braccio e mentr’ella si sentiva morire di gioia dolorosa, le disse quasi sottovoce:

— Credi tu che la signorina Germana mi accetterebbe per marito?

Egli la sentì pesare improvvisamente sul suo braccio come una cosa inerte, ma la vide ridere con le labbra bianche, l’udì ridere stridula col suono falso di una corda spezzata.

— Perchè ridi, perchè ridi così? — doman[p. 135 modifica]dava il giovine oscurato in volto, temendo d’essere schernito, pronto ad allarmarsi.

Ma ella non lo sapeva; era forse uno spasimo demente, era forse un dileggio per sè stessa, era forse un grido o un singhiozzo che le prorompeva dal cuore così mascherato.

Pure la voce offesa di Renato la colpiva al capo come una pietra, la domanda irosa le risonava dentro dura e chiara.

— Perchè ridi, perchè ridi così?

Allora ella si rese conto che il suo ridere lo ingiuriava, ch’esso lo induceva a un sospetto offensivo per quella sua dignità tanto gelosamente difesa e sentì che ella poteva farsene arma contro di lui, ricambiargli il male orribile che egli le aveva inflitto, prendersi immediatamente la sua rivincita. Si calmò, rispose serena:

— Ma, Dio mio, rido perchè la tua domanda mi pare quasi assurda. Perdonami se sono costretta a dirti una spiacevole verità, ma mia cognata Germana mi ha spesso lasciato comprendere che tu non le sei affatto simpatico. Ti ripeterò anzi le sue parole stesse: ella non ti può soffrire.

— Lo sospettavo, — mormorò Renato Faris fosco, mordendosi il labbro irosamente; — ma talvolta le ragazze sono così strane! Però ho fatto bene a consigliarmi con te, benchè tu mi incoraggiassi con tanta sicurezza.

— Sì, hai fatto bene — ella rispose grave; [p. 136 modifica]poi s’alzò, sollevò la portiera e gettò uno sguardo nella stanza accanto che serviva di studio a Germana. Ma ella non c’era e non aveva udito; forse già dormiva, o forse ancora vegliava inquieta, rôsa dalla sua muta gelosia, ignara che la sua vita era stata in quel momento giocata e che ella aveva perduto.

Renato Faris tornò dall’anticamera col soprabito in dosso e il cappello in mano; la sua faccia era ridiventata quella dell’uomo d’azione, dura, energica e fredda. Salutò la cugina e soggiunse avviandosi:

— Sarà meglio ch’io diradi d’ora innanzi le mie visite; non è piacevole tornare spesso in una casa dove qualcuno non vi può soffrire.

Ella non rispose subito; le parve che sul suo cuore cadesse la violenza brutale di un pugno chiuso.

— Anzi, sarà forse meglio ch’io non ritorni più, — aggiunse l’ospite quando fu su la soglia, prima d’uscire.

— Sì, sarà forse meglio, — potè dire finamente Olga Pineri, e sentì la porta richiudersi sulla sua disperazione.