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Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/20

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Anno 20

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Anno di Cristo xx. Indizione viii.
Tiberio imperadore 7.


Consoli


Marco Valerio Messalla e Marco Aurelio Cotta


Di grandi onori avea ricevuto in Roma la memoria di Germanico, per ordine di Tiberio e del senato1; ed anche il popolo in varie guise ne avea attestato il suo dolore. Si rinnovò il lutto in quest’anno all’arrivo di Agrippina sua moglie. Dopo essersi per qualche giorno fermata in Corfù, sbarcò dipoi a Brindisi. Druso Cesare, che era tornato a Roma, co’ maggiori figliuoli del defunto Germanico, andò ad incontrarla sino a Terracina. Innumerabil gente, massime de’ militari, si portò sino a Brindisi. Caldi furono i sospiri, universale il pianto al comparire dell’urna funebre. Per tutta la via i magistrati e popoli fecero a gara per onorar le di lui ceneri. Gli stessi consoli col senato, e gran parte del popolo si portarono a riceverle con dirotte lagrime; e poi queste vennero riposte nel mausoleo d’Augusto2. Giunse dipoi Pisone con sua moglie a Roma, orgoglioso come in addietro; ma non tardarono a presentarsi al senato accusatori, imputando a lui e a Plancina sua moglie la morte di Germanico. Neppure a questo mal uomo mancavano dei difensori; e[p. 62] difficile era il provar le accuse, siccome avviene in somiglianti casi. Tiberio, che ben sapea le mormorazioni del popolo, quasi che fosse passata buona intelligenza tra lui e Pisone, per levar di vita Germanico, da uomo disinvolto si regolava in questa pendenza, mostrando sempre un vivo affanno per la perdita del figliuolo adottivo, e di voler buona giustizia; ma nello stesso tempo di non volere, che sopercheria si facesse all’accusato. Creduto fu che segretamente a Pisone fosse fatto animo e sicurezza di protezion da Sejano, e che per questo egli si astenesse dal produrre gli ordini a lui dati da Tiberio. Ma se non si provava il reato suddetto, si faceano ben constare altri reati di sedizione, d’ingiurie fatte e dette a Germanico: cosa che mise in fiera apprension Pisone, e tanto più perchè il popolazzo vicino la curia gridava contra di lui, minacciando di menar le mani, qualora egli la scappasse netta dal giudizio de’ senatori. Perciò vinto dall’affanno, tenendosi tradito, da sè stesso si diede la morte, liberando in tal guisa Tiberio da un bel molesto pensiero. Plancina sua moglie, che era tutta di Livia Augusta, per le raccomandazioni di lei seguitò a vivere in pace. Al di lei figliuolo Marco Pisone fu conceduto un capitale di cento venticinquemila filippi; il rimanente confiscato, ed egli mandato in esilio. Risvegliossi intanto di nuovo in Africa la guerra, essendo risorto più di prima vigoroso Tacfarinate. Per aver egli messa in fuga una coorte di Romani, sì fatta collera montò a Lucio Apronio proconsole allora in quelle contrade, che infierì contra de’ fuggitivi. Ciò fu cagione, che cinquecento soli de’ suoi veterani sì valorosamente combatterono dipoi contro l’armata di Tacfarinate, che la misero in rotta. Giunto era all’età capace di matrimonio Nerone, figliuolo primogenito del defunto Germanico3. Tiberio a lui diede in moglie Giulia figliuola di Druso suo figlio: cosa che recò non poca [p. 63|64 modifica]allegrezza al popolo romano. Per lo contrario si mormorò non poco, perchè Tiberio avesse fatto contrarre gli sponsali ad una figliuola del suo favorito Elio Sejano con Druso figliuolo di Claudio, cioè di un fratello di Germanico, di Claudio, dico, il qual poi fu imperadore. A tutti parve avvilita con questo atto la nobiltà della famiglia principesca; perchè era bensì nato Sejano di padre aggregato all’ordine de’ cavalieri, ma niuna proporzione si trovava fra lui e Druso, discendente non meno dalla casa d’Augusto, che da quella di Livia. Maggiormente ciò dispiacque per la apparenza che Sejano, comunemente odiato pel predominio suo nel cuor di Tiberio, potesse aspirare a voli più alti, cioè all’imperio. Ma non si effettuarono poi queste meditate nozze, perchè il giovinetto Druso mentre da lì a pochi giorni era in Campania, avendo gittato in aria per giuoco un pero4, e presolo a bocca aperta nel cadere, ne rimase soffocato, non sussistendo, come dice Svetonio, ch’egli morisse per frode di Sejano.

Note

  1. Tacitus, lib. 3, cap. 1.
  2. Ibidem, c. 9.
  3. Sueton. in Tiber. cap. 29.
  4. Sueton. in Claudio, cap 27.