Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/49

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Anno 49

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Anno di Cristo XLIX. Indizione VII.
Pietro Apostolo papa 21
Tiberio Claudio figlio di Druso, imperadore 9.


Consoli


Aulo Pompeo Longino e Gallo Quinto Veranio.


S’è dubitato, se il primo de’ consoli portasse il cognome di Longino o Longiniano. In un frammento di marmo1, esistente oggidì nel museo del Campidoglio, si legge Q. VERANIO, A. POMPEIO GALLO COS. E però non Cajo, come s’è creduto finquì, ma sarà stato Aulo il di lui prenome. A questi consoli ordinari circa le calende di maggio fondatamente si credono succeduti Lucio Memmio Pollione e Quinto Allio Massimo. Rimasto vedovo Claudio Augusto, si credette che non passerebbe ad altre nozze2; e tanto più perchè egli protestò ai soldati del pretorio di non voler più moglie, [p. 177 modifica]dacchè tanta sfortuna avea provato nei precedenti, matrimonii; e che se facesse altrimenti, si contentava d’essere scannato dalle loro mani. Ma andò presto in fumo questo suo proponimento. Tutte le più nobili dame romane si misero in arnese, per espugnar questa debil rocca, mettendo in mostra tutte le lor bellezze naturali ed artificiali, e adoperando quanti lacci sa inventare la loro scuola, sapendo per altro come egli fosse alieno dalla continenza3. Tenevano il primato tre fra le altre, cioè Lollia Paolina, figliuola di Marco Lollio già stato console, e per lei facea di caldi uffizii Callisto, uno dei liberti favoriti di Claudio. La seconda era Elia Petina della famiglia de’ Tuberoni, figliuola di Sesto Elio Peto già console, stata già moglie del medesimo Claudio4 prima dell’imperio, e da lui ripudiata per lieve cagione. Perorava per questa Narciso, altro potente liberto di corte, di cui già s’è parlato. La terza fu Giulia Agrippina, figliuola di Germanico suo fratello, già cacciata in esilio da Caligola per la sua mala vita, e perseguitata in addietro da Messalina. A promuovere gl’interessi di lei si sbracciò forte Pallante, liberto anch’esso di gran possanza nel cuore di Claudio. E questa in fine vinse il pallio. Benchè fosse stata maritata due volte; cioè più di vent’anni prima a Gneo Domizio Enobarbo, a cui partorì Lucio Domizio Enobarbo, che vedremo imperadore col nome di Nerone; e poscia a Crispo Passieno, ch’ella fece morire, per non tardar a godere l’eredità da lui lasciatale; e benchè ella avesse passati gli anni della gioventù, pure era assai fresca, e sosteneva il credito d’esser bella, possedendo anche a maraviglia l’arte degl’intrighi e delle lusinghe femminili. A cagion della stretta parentela, essendo Claudio suo zio paterno, godeva ella il privilegio di visitarlo spesso ed assai confidentemente. Questo bastò per farlo cader nella pania, [p. 178]di maniera che fino dall’anno precedente furono concertate fra loro le nozze ed eseguite poi nel presente. In mani peggiori non potea capitar Claudio, perchè in questa donna non si sa qual fosse maggiore o la fierezza o la superbia o l’avarizia. Pure la sua passion dominante e superiore all’altre era l’ambizione, per cui avrebbe sagrificato tutto. Scrive Dione5, esserle stato predetto un giorno da uno strologo, che suo figliuolo Nerone sarebbe imperadore, ma ch’egli stesso l’ucciderebbe. Non importa, rispose ella, mi uccida, purchè regni. In fatti, fin d’allora si diede ella a cercar le vie di accasar Lucio Domizio Enobarbo suo figliuolo (che fu poi Nerone), nato sul fine dell’anno 37 dell’Era nostra, con Ottavia figliuola di esso Claudio Augusto. Perchè tra questa principessa e Lucio Silano erano seguiti gli sponsali alcuni anni prima6, bisognò pensare alla maniera di levar un tale ostacolo con ricorrere alla calunnia, giacchè Silano per l’incorrotta sua vita era esente da veri delitti. Lucio Vitellio console fu l’iniquo mezzano della di lui rovina, con far credere a Claudio, che fra Silano e Giunia Calvina sua sorella passassero intrinsichezze nefande. Perciò Silano, che nulla sapea di questo, vide sè stesso tutto ad un tempo balzato dal grado di senatore, obbligato inoltre a rinunziar la pretura, e rotto il suo maritaggio con Ottavia. Questa fu la prima prodezza di Agrippina, e non era per anche moglie di Claudio.

Ma Claudio, benchè ardente di voglia di effettuar questo matrimonio, tuttavia non osava, perchè presso i Romani non era lecito, non che in uso, che uno zio sposasse una nipote. Prese ancor qui l’assunto di provvedere al bisogno quel gran faccendiere di Lucio Vitellio; ne parlò egli con energia al senato; e i senatori, schiavi d’ogni volere del principe, decretarono la validità di un tal contratto. Celebraronsi dunque le nozze, e in [p. 179 modifica]quello stesso dì Lucio Silano, stato genero di Claudio, si diede la morte da sè stesso. Entrata nell’imperial palazzo Agrippina, poca pena ebbe a rendersi padrona dello scimunito consorte e de’ pubblici affari, con voler anch’ella, al pari di Claudio, essere ossequiata dal senato, dai principi stranieri e dagli ambasciadori. Cominciò ad ammassar della roba, senza perdonare a sordidezza alcuna, tirando colle lusinghe alcuni a dichiararla erede, ed atterrando altri con calunnie, per occupare i lor beni. Promosse gli sponsali del giovinetto Lucio Domizio suo figliuolo, già pervenuto all’età di dodici anni, colla suddetta Ottavia figliuola di Claudio, a cui questa alleanza fu il primo gradino per salire al trono imperiale. Fece parimente richiamare a Roma dall’esilio della Corsica Lucio Anneo Seneca, insigne filosofo stoico, e il diede per precettore al figliuolo, sperando di farne una cima d’uomo, e un mirabil imperadore, giacchè a questo bersaglio tendevano le principali sue mire. Impetrò anche la pretura pel medesimo Seneca. Appresso rivolse Agrippina lo spirito vendicativo contro a Lollia Paolina, che seco avea gareggiato pel matrimonio di Claudio. Fecesi comparire, che avesse interrogati strologhi e l’oracolo di Apollo di Clario, in pregiudizio dell’imperadore; questi perciò, senza lasciarle agio per le difese, la cacciò in esilio fuori d’Italia, e confiscò la maggior parte del suo ricchissimo patrimonio. Mandò Agrippina dipoi anche a levarle la vita; e fece appresso bandire Calpurnia, illustre donna, solo perchè accidentalmente a Claudio era scappato di bocca che era bella. Accrebbe Claudio in quest’anno il pomerio, o sia il circondario delle mura di Roma: il che era riputato di singolar gloria. Alle preghiere de’ Parti mandò loro per re Meerdate di quella nazione, che poca fortuna provò per sè e svergognò i Romani. Nella Tracia furono guerre tali nondimeno, che io mi dispenso dal riferirle, perchè di niun momento [p. 180]per la storia presente. Se crediamo ad Orosio7, seguì in quest’anno l’editto di Claudio, che tutti i Giudei uscissero di Roma, del che parla san Luca negli Atti degli Apostoli8. Prodigiosa era la quantità d’essi in quella gran città. Orosio cita Giuseppe ebreo per testimonio di tal fatto all’anno presente; ma nei testi di Giuseppe ebreo oggidì non si trova un tal passo. Per altro è certo il fatto, asserendolo ancora Svetonio9 con dire di Claudio: Judaeos, impulsore Chresto (così egli nomina il divino Salvator nostro) assidue tumultuantes Roma expulit. Sotto nome de’ Giudei erano allora compresi anche i Cristiani; e forse i Giudei, perseguitando i Cristiani, svegliavano que’ tumulti.


Note

  1. Thesaurus Novus Inscription. p. 304.
  2. Sueton. in Claudio, cap. 26.
  3. Sueton. in Claudio, cap. 33.
  4. Idem, cap. 26.
  5. Dio., lib. 60.
  6. Tacitus, lib. 12, cap. 4.
  7. Orosius in Histor.
  8. Actus Apostolor., c. 18, vers. 2.
  9. Sueton. in Claudio, cap. 25.