Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/67

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Anno 67

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Anno di Cristo LXVII. Indizione X.
Clemente papa 1.
Nerone Claudio imperad. 14.


Consoli


Lucio Fontejo Capitone e Cajo Giulio Rufo


Seguendo le congetture di vari letterati, a s. Lino papa, che martire della Fede finì di vivere in quest’anno, succedette Clemente, personaggio che illustrò dipoi non poco la Chiesa di Dio. Ho riserbato io a parlar qui del viaggio fatto da Nerone in Grecia, benchè cominciato nell’anno precedente, per unir insieme tutte le scene di quella testa sventata. La natura, in mettere lui al mondo, intese di fare un uomo di vilissima condizione, un sonator di cetra, un vetturino, un beccaio, un gladiatore, un buffone. La fortuna deluse le intenzioni della natura, con portare costui al trono imperiale; ma sul trono ancora si vide poi prevalere l’inclinazion naturale1. Invanito egli delle tante adulatorie acclamazioni che venivano fatte in Roma alla soavità della sua voce, alla sua maestria nel suono e bravura nel maneggiar i cavalli stando in carretta: s’invogliò di riscuotere un egual plauso dalle città della Grecia, le quali portavano anche allora il vanto di fare i più magnifici e rinomati giuochi della terra. Perciò si mosse da Roma a quella volta con un esercito di gente, armata non già di lance e scudi, ma di cetre, di maschere e di abiti da commedia e tragedia. Con questa corte degna di un tal imperadore, comparve egli in quelle parti, astenendosi nondimeno dal visitare Atene e Sparta per alcuni suoi particolari riguardi. Fece nell’altre città in mezzo ai pubblici teatri, anfiteatri e circhi, da commediante, da sonatore, da musico, da guidator di carrette abbigliato, ora da servo, ora da donna, ed anche da donna partoriente, da Ercole, da Edipo e da altri simili [p. 246]personaggi. Le corone destinate per chi vinceva ne’ suddetti giuochi, tutte senza fallo toccavano a lui. Dicono che ne riportasse più di mille ottocento. Sì gli erano care, che arrivando ambasciatori delle città, per offerirgli i premii delle sue vittorie, questi erano i primi alla sua udienza, questi tenuti alla sua stessa tavola. Pregato da essi talvolta di cantar e sonare dopo il desinare, o dopo la cena, senza lasciarsi molto importunare, dava di mano alla chitarra, e gli esaudiva. Si mostrava ognuno incantato dalla sua divina voce: egli era il dio della musica, egli un nuovo Apollo; laonde ebbe a dire, non esservi nazione, che meglio della greca sapesse ascoltando giudicar del merito delle persone, e di aver trovato essi soli degni di sè e de’ suoi studi. Le viltà, le oscenità commesse da Nerone in tal occasione furono infinite; immensi i regali e le spese. Ma nello stesso tempo, per supplire ai bisogni della borsa, impoverì i popoli della Grecia, saccheggiò quei lor templi, a’ quali non per anche avea steso le griffe; confiscò i beni di assaissime persone, condannate a diritto e a rovescio. Mandò anche a Roma e per l’Italia Elio, liberto di Claudio, con podestà senza limite, per confiscare, esiliare ed uccidere fino i senatori; e costui il seppe servire di tutto punto, facendo da imperadore, senza essersi potuto conchiudere, chi fosse peggiore, o egli o Nerone stesso.

Volle questo forsennato imperadore, che i giuochi olimpici d’Elide, benchè si dovessero far prima, si differissero sino al suo arrivo in Grecia, per poterne riportare il premio. Colla sua carretta anch’egli entrò nel circo, ma cadutone ebbe ad accopparsi, e più giorni per tal disgrazia stette in letto. Con tutto ciò il premio a lui fu assegnato. Passava male per chi a lui non volea cedere2. Nei giuochi istmici un tragico, miglior musico che politico, perchè non ebbe l’avvertenza di desistere dal canto, per [p. 247 modifica]lasciar comparire quel di Nerone, che dovea certamente essere più mirabile del suo, fu strangolato sul teatro in faccia di tutta la Grecia. Vennegli poi in pensiero di far un’opera stabile per cui s’immortalasse il suo nome: e fu quella di tagliare lo stretto di Corinto, per unire i due mari Ionio ed Egeo3: disegno concepito anche da Giulio Cesare e da molti altri; ma per le molte difficoltà non mai eseguito. Nulla parea difficile alla gran testa di Nerone. Fu egli nel destinato giorno il primo a rompere la terra con un piccone d’oro, e a portar la terra in una cesta, per animare gli altri all’impresa: il che fatto, si ritirò a Corinto, tenendosi per più glorioso di Ercole a cagione di così gran prodezza. Furono a quel lavoro impiegati i soldati, i condannati e gran copia d’altra gente: e Vespasiano4 gl’inviò apposta seimila Giudei fatti prigioni. Non più di cinque miglia di terra è lo stretto di Corinto; eppure con tante mani in due mesi e mezzo di lavoro non si arrivò a cavar neppure un miglio di quel tratto. Non si andò poi più innanzi, perchè affari premurosi richiamarono Nerone a Roma. Elio liberto, mandato da lui con plenipotenza di far del male in Italia, l’andava con frequenti lettere spronando a ritornarsene, inculcando la necessità della sua presenza in queste parti. Ma Nerone, perduto in un paese dove giorno non passava che non mietesse nuove palme, non trovava la via di lasciar quel cielo sì caro: quand’ecco giugnere in persona Elio stesso, venuto per le poste, che gli mise in corpo un fastidioso sciroppo, avvertendolo che si tramava in Roma una formidabil congiura contro di lui. Allora sì, che s’imbarcò, dopo essersi quasi un anno intero [p. 248]fermato in Grecia, alla quale accordò il governarsi coi propri magistrati, e l’esenzione da tutte le imposte; e venne alla volta d’Italia. Sorpreso fu per viaggio da una tempesta, per cui perdè i suoi tesori, laonde speranza insorse fra molti, che anch’egli in quel furore del mare avesse a perire. Sano e salvo egli compiè la navigazione, ma non già chi avea mostrata speranza o desiderio di vederlo annegato, perchè ne pagò la pena col suo sangue. Come trionfante entrò in Roma sullo stesso cocchio trionfale d’Augusto, su cui veniva anche Diodoro citarista suo favorito, corteggiato dai soldati, cavalieri e senatori. Era addobbata ed illuminata tutta la città, incessanti le acclamazioni dettate dall’adulazione: «Viva Nerone Ercole, Nerone Apollo, Nerone, vincitor di tutti i giuochi. Beato chi può ascoltar la tua voce!» A questo segno era ridotta la maestà del popolo romano. Mentre succedeano queste vergognose commedie in Grecia e in Italia, avea dato principio Flavio Vespasiano5 alla guerra contro i sollevati Giudei. Già il vedemmo inviato colà per generale da Nerone. La prima sua impresa fu l’assedio di Jotapat, luogo fortissimo per la sua situazione. Vi spese intorno quarantassette giorni, e costò la vita di molti de’ suoi; ma de’ Giudei vi perirono circa quarantamila persone, e fra gli altri vi restò prigione lo stesso Giuseppe, storico insigne della nazion giudaica, il quale comandava a quelle milizie. Perchè predisse a Vespasiano l’imperio, fu ben trattato. Di molte altre città e luoghi della Galilea s’impadronì Vespasiano, e Tito suo figliuolo riportò qualche vittoria in vari combattimenti, con istrage di gran quantità di Giudei.

  1. Dio., lib. 63. Sueton., in Nerone, cap. 22.
  2. Lucian., in Nerone.
  3. Dio. lib. 63. Suetonius in Nerone, c. 19.
  4. Joseph., de Bello Judaico, lib. 3.
  5. Joseph., de Bello Judaico, lib. 3.