Archivio storico italiano, serie 3, volume 12 (1870)/Sul riordinamento degli Archivi di Stato

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Sul riordinamento degli Archivi di Stato

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SUL RIORDINAMENTO DEGLI ARCHIVI DI STATO


RELAZIONE


della Commissione instituita dai Ministri dell’Interno

e della Pubblica Istruzione con decreto 15 marzo 1870.




A S. E. il Ministro dell’Interno.



Eccellenza,

La Commissione che Ella, d’accordo coll’Eccellenza del Ministro dell’Istruzione Pubblica, chiamava a studiare la questione degli archivi italiani, ha compiuto il suo ufficio, e viene ora a renderne conto. E s’ella sapesse di parlare soltanto a V. E. e al suo onorevole collega, non farebbe che una semplice risposta ai quesiti che le vennero proposti, senza troppo discorrerne le ragioni: ma comprende che le parole indirizzate ai Ministri debbono farsi avanti a quella pubblica opinione, i cui giudizi son oggi così temuti; comecchè tanto meno temibili, quanto più le cose son fatte apertamente e liberamente dette.

La questione degli archivi (ormai adoperiamo questa parola per dire molto in poco) è tutta del nostro secolo. Gli archivi de’ Governi, e molto più quelli delle Corti, erano già inaccessibili: agli altri si ricorreva per privati bisogni; e un ufficiale, esattore di tasse, li custodiva.

La rivoluzione di Francia aprì gli archivi: gli aprì per disperderne i documenti, e gran parte ne andò pur troppo dispersa. Questo vi fu di buono che gli archivi non si chiusero più. Nè di richiuderli aveva ormai bisogno la politica, mentre alla scienza premeva di entrarvi. Gli uomini di Stato non volevano farsi solidali di un passato che, a contar gli anni, non era lontano; ma per le idee, pareva di secoli. La politica nostra (dicevano essi) ha tanto poco che fare con quella de’ tempi trascorsi, che il Governo [p. 211 modifica]può ammettere il pubblico ai suoi segreti, senza paura e senza scrupoli. Alla storia, e non alla politica appartengono i documenti delle dinastie che regnarono, e dei Governi che non sono più1. Così la nuova ragione di Stato vendicava (chi lo avrebbe mai detto?) il gran Muratori, a cui erano chiuse in faccia le porte degli archivi, in compenso di aver rivelato all’Italia l’epoca più storica de’ suoi annali, e d’averle dato negli Annali la traccia perenne della sua storia, l’opera che in cent’anni non è invecchiata d’un giorno, e ad ogni secolo parrà recente.

La scienza storica sul limitare degli archivi deponeva la rettorica e il dommatismo. E allora si conobbe il difetto delle storie. Qua pochi fatti strepitosi; là due formule generali per ispiegare ogni cosa: qua data per istoria di popoli, quella di principi e di governi che andettero a ritroso della nazione: là tradizioni incerte con poveri documenti, per lo più genealogici, quasi rottami di vecchio edifizio rimessi insieme da ingegnoso architetto. Ma la storia d’Italia meno d"ogni altra si presta alle formule: più d’ogni altra s’inspira al popolo: come ogni altra vuol essere ricercata nelle istituzioni, che sono cause più che effetti di civiltà, nei costumi, nella coltura, nella economia, in ogni elemento della vita socievole. E questo materiale, più o meno artefatto, stava pure sparso in molti libri; gli archivi però l’avevano più greggio, ma di cava.

Penetrando nelle viscere di questa miniera, che sono gli archivi, gli Italiani ne compresero la ricchezza, come la varietà. Divisa in tre grandi periodi (decadenza dell’Impero, Età di mezzo, Epoca moderna), la Storia d’Italia, si vide che del primo non restano che frammenti. Ma da poi che i Comuni diedero segni d’una vita, che forse non si era mai spanta, ma che non era certamente stata mai così splendida e operosa, gli archivi cominciano ad attestarne l’opere e lo splendore nella costituzione politica, nelle relazioni lontane, nelle spedizioni marittime, nelle resistenze allo straniero, nella demolizione di ogni avanzo barbarico, nei monumenti gloriosi delle arti, nei lavori degli ingegni. Tutto poi segnato d’un carattere nazionale, massime dopo che il volgare comune suggellò con una stessa parola il pensiero italiano, non ostante che nelle diverse regioni serbassero gli Italiani cotanta varietà, da parere gli appennini come le alpi e il volgo scambia non senza perchè l’un vocabolo coll’altro), d.i parere gli appennini frontiera fra gente e gente, più che catena d’unione.

La storia è quella che è. Sicilia e Puglia, poi Napoli ebbero i re (re di troppe dinastie, e una sola italiana, però intristite sotto un [p. 212 modifica]cielo sì bello) quando Toscana e Lombardia si reggevano a popolo. Ma dalla natura dei Comuni toscani e lombardi, quanto diversa quella dei Comuni più prossimi all’Alpi! I conti di Savoia (fino dal duodecimo secolo Amedeo III ebbe un poco la signoria di Torino) tenevan d’occhio a quelle città, dove nessun cittadino osò di farsi signore; mentre le città lombarde, libere ma non indipendenti, da poi che la celebre lega, prima guerra d’indipendenza, non le trovò tutte unanimi; all’ombra dell’impero nutrivano i germi di quei principati che dovevano spegnere le libertà municipali. Per privilegio imperiale si riconoscevano libere le città toscane, anche le guelfe; e la più guelfa di tutte doveva da un papa cittadino ricevere il primo duca. Romagna, la dipinse con due grandi pennellate il divino poeta; lo storico ha ben da fare per raccapezzarvi quelle signorie, e descriverle: storia di famiglie più che di popoli, di dolori più che d’opere grandi. Seduta sopra le sue lagune, sta nella storia Venezia sola in parte, come il Saladino di Dante. Questo il medio evo. Poi tre secoli di storia, che s’apri coll’assedio di Firenze; la quale variamente s’atteggia nelle varie parti d’Italia: che i Medici, i Farnesi, gli Estensi, i Papi non sono i governatori spagnuoli di Milano e di Napoli, di Sicilia e di Sardegna; e Genova che dopo il Doria dechina, e Venezia che invecchia, non sono la monarchia che sorge giovane a guardia delle Alpi, e con Emanuele Filiberto torna potente da S. Quintino, col primo Carlo Emanuele s’adorna di lettere e così diventa meglio italiana.

Primo criterio, dunque, da tenersi in gran conto nella questione dei nostri archivi era il carattere che assumono rispetto alla storia particolare di quelli che furono Stati e oggi non sono che regioni del Regno d’Italia. E la Commissione fu per ciò concorde nel ritenere che il governo degli archivi nun si potesse utilmente commettere ad una sola direzione; ma che più soprintendenze, dipendenti dal Ministero, dovessero governarli da vari centri. E il titolo di soprintendenza, che non è nuovo agli archivi d’Italia, verrebbe ad indicare meglio che quello di direzione, la superiorità che dovrebbero; avere su gli archivi di Stato esistenti nelle Provincie comprese in una data regione; archivi che avrebbero capi col titolo di direttori (qualunque fosse il grado loro nella gerarchia) dipendenti dalla soprintendenza. "V. E. vedrà nell’allegata tavola il disegno, che la Commissione ha; fatto, così delle soprintendenze come delle direzioni. Sentivano però i sottoscritti con quanta ragione la E. V. avesse domandato «Se conveniva portare la dipendenza degli archivi sotto un solo Ministero», e tutti concordemente rispondevano di sì. Restava a vedere quale dei due Ministeri, che ora si dividono l’autorità sugli archivi di Stato, potesse ridurla tutta nelle sue mani, per [p. 213 modifica]l’interesse della scienza, del pubblica servizio e dei privati. Ma la Commissione aveva un altro quesito dinanzi: «Sarebbe utile la divisione degli archivi storici dagli amministrativi? Come potrebbe operarsi?» E volle prima rispondere a questo.

Dopo che la scienza storica è penetrata negli archivi, nom sarebbe facile il dire di qual documento ella possa far a mono. Il Balbo raccomanda ai giovani scrittori italiani di far le «statistiche od inventarii delle forze vive o morte della nazione» e all’«opera politica» vuole per fondamento le - «spiegazioni del passato-»2; il Guizot chiede alla Francia un - «inventario di tutte le dovizie paleografiche -»3; nè l’uno nè l’altro sanno far eccezioni, perchè in ogni angolo degli archivi trovano storia. E un Ministro del Regno d’Italia così parlava ai Ministri colleghi: - «Gli eruditi, nella variatissima condizione dei loro studi, trovano utile lo investigare così le vetuste pergamene, come i meno antichi carteggi diplomatici, 1 trattati internazionali, e gli estimi di un Comune, lo statuto municipale, e i capitoli di una compagnia; perchè dove uno non è attratto dall’importanza storica, s’appaga della lingua; e mentre uno indaga le ragioni che motivarono i grandi fatti nei documenti officiali, un altro desume dalle cifre di un obliato registro di dare ed avere le condizioni stesse d’uno Stato e d’un popolo -»4. E dall’altra parte, qual documento storico non può giovare all’amministrazione pubblica o agli interessi dei privati? Il Governo e il cittadino hanno bisogno della vecchia pergamena, e chiedono spesso al paleografo che gliela legga e trascriva. Parve quindi equivoca almeno la nomenclatura di storici e d’amministrativi parlando di archivi: e la Commissione preferì di chiamare antica la parte che il Governo può mettere a disposizione degli studiosi, moderna quella che lo Stato ha ragione di tener riservata. Nè sarebbe oggi difficile segnare un confine tra l’antico e il moderno; ma si è creduto che il Ministero fosse in ciò miglior giudice, e che nei vari archivi di Stato si potesse segnarlo in un modo diverso. Ma segnando questo confine, niente si separa; quindi al terzo quesito «Da qual Ministero devono dipendere gli archivi storici e amministrativi?», è già risposto col primo: unica dipendenza. Da qual Ministero?

La Commissione, Eccellenza, fu concorde in riconoscere, che tanto il Ministero dell’Interno quanto quello dell’Istruzione davano [p. 214 modifica]buone guarentigie, considerati gli archivi come ogni altra parte importante del pubblico servizio. Non fu poi concorde in questo: che taluni sopra la importanza storica ponevano la politica e l’amministrativa; altri a queste preponevano la storica. E se i primi dicevano che gli archivi per quanto possano servire agli studi non prendono mai tanto la qualità di istituti scientifici, che non rimangano soprattutto depositi di documenti, nei quali il governo come il pubblico ha i più vitali e più comuni interessi, i secondi dicevano che la politica e l’amministrazione possono e debbono avere le loro riserve, ma il documento che passa in archivio entra già nel dominio della storia; e che ponendo a capo degli archivi uomini forniti di molti studi, volendo nella maggior parte degli ufficiali una larga coltura, e mantenendo presso gli archivi uno speciale insegnamento affinchè di là escano, non opere storiche, ma quei lavori che sono di grande sussidio agli studi storici, gli archivi assumono forma e natura d’istituti scientifici. Le quali sentenze portavano una parte della Commissione a propendere pel Ministero che governa e amministra lo Stato; l’altra per quello che ha cura dell’istruzione. Raccolti i suffragi, la maggioranza fu pel Ministero dell’Interno.

I quesiti quarto e quinto portarono a ricercare la condizione degli archivi provinciali. La Commissione trovava archivi provinciali già costituiti nelle provincie meridionali, dipendenti dalle direzioni generali di Napoli e di Palermo, governati da un regolamento che risale al 1818. Ma entrando meglio addentro, si dovè persuadere che quelli sono veri archivi di Stato, sezioni dei grandi archivi di Napoli e di Palermo, ai quali la provincia dava il nome e pagava le spese sul così detto fondo comune. E tanto è ciò vero, che pubblicata la legge comunale e provinciale del 20 marzo 1865 non ci fu verso di applicarla agli archivi di quelle provincie, e sorsero tante difficoltà, che i Ministri dell’Interno e delle Finanze con il Consiglio di Stato, vi faticarono molto senza che in cinque anni si veggano tolte di mezzo. Nè, a parere della Commissione, si torranno, ove non si ammetta che la legge del 1865 parlò soltanto degli archivi che raccoglierebbero gli atti dei Consigli e delle Deputazioni provinciali, dentro o presso a quelli delle prefetture; e che per quelli chiamati provinciali perchè stanno nelle provincie, ma veramente di Stato perchè conservano le carte del Governo, bisogna prendere altri provvedimenti.

E la Commissione ne trovava un esempio in Toscana. Gli archivi di Stato in Lucca, Pisa e Siena sono anche provinciali, sebbene dichiarati sezioni dell’archivio centrale di Firenze e governati con le medesime discipline. E su questo esempio (ove le condizioni [p. 215 modifica]dell’erario lo consentissero), la Commissione proporrebbe che le Soprintendenze in ogni capoluogo delle provincie, comprese nella loro circoscrizione, formassero questi depositi dove il Governo avrebbe le sue carte, la provincia i suoi interessi; e se anche il Comune vi volesse depositare il proprio archivio e quelli delle sue amministrazioni, le più cospicue città d’Italia avrebbero archivi come quelli di che le tre toscane ricordate van liete, perchè al molto decoro si unisce il vantaggio del pubblico. Nel riconcentrare è risparmio di spesa, e maggior agevolezza di ricerche, perchè pochi ufficiali servono molti archivi, e un archivio completa l’altro. D’altronde troppo sarebbe a volere uomini periti dovunque sono carte da conservare e da leggere; mentre non vi ha amministrazione che, prima o poi, non senta il bisogno ili uomini periti. Ond’è che la Commissione chiede al Governo di avere per raccomandato questo pensiero, e di tenerlo presente per quel tempo che meno gravi siano le condizioni economiche del Regno.

La Commissione non ha allettato neppure un momento il pensiero di levare gli archivi de’ Comuni dalla loro sede naturale per farne deposito nei provinciali. Oltre a voler conservata la salutare autonomia de’ Comuni, e rispettato il diritto di proprietà, ella vorrebbe trarre profitto dall’affezione che i cittadini portano alle memorie della terra natale. Giova sperare (e se ne hanno molti indizi) che in molti luoghi si trovi un uomo colto, il quale supplendo col buon volere al difetto di studi speciali, possa diventare conservatore degli archivi patrii, e rendersi ogni giorno più degno di tale ufficio; e così la storia particolare, unico fondamento di quella d’una nazione, potrà vantaggiarsi d’un ordinamento degli archivi municipali, fatto, per così dire, in famiglia. Nè gli studi s’avvantaggerebbero da un ordinamento diverso. È ormai indubitato che le carte per essere meglio intese vanno lette là dove furono scritte. La carta che illustra un monumento è resa più intelligibile dal monumento medesimo; i fatti narrati dove accaddero si fanno come visibili.

Vostra Eccellenza domandava alla Commissione: - «Come debbasi esercitare la vigilanza che allo Stato pare competere sulla conservazione degli archivi comunali-»; e la Commissione ha l’onore dì risponderle: Che il Governo deve, per mezzo delle prefetture, obbligare i Comuni a levare gli archivi dalle mani dell’ultimo impiegato (come ora sono pur troppo in molti luoghi); a separarne la parte antica da quella che serve all’amministrazione, e darla in custodia a persona colta, quando non si possa avere un archivista fornito di cognizioni speciali, inculcherà poi ai municipi il concentramento degli archivi sparsi, se non s’ha a dire dispersi, presso [p. 216 modifica]le varie amministrazioni paesane, mostrando come, oltre al risparmio e al vantaggio della conservazione, i vari amministratori potranno avere chi sappia loro indicare, leggere e trascrivere i documenti; e gli amministrati, nella buona conservazione delle carte avranno meglio tutelati i propri interessi. E anche dall’essere raccolti e ordinati i monumenti della storia di una città, di una terra, due buone cose sono sperabili: la prima che gli enti morali di cui parla V. E. nello stesso quinto quesito, e che costringere non si potrebbero, vengano a depositarvi spontanei i loro documenti, o sentano meglio il dovere di conservarli in modo condegno; l’altra che un uomo di cuore e di mente (sia pur ancora da nascere) trovando la materia pronta, si risolva a scrivere la storia del suo municipio. Ma l’ordinamento degli archivi comunali non può essere abbandonato al caso. Però bisogna che siano date norme così per l’assettamento delle carte come per la compilazione degli inventari; e queste norme non possono venire che dalle soprintendenze degli archivi di Stato, presso le quali, dentro un certo tempo, dovranno essere depositati anche gl’inventari. Cosi avrà il Governo una garanzia della conservazione de’ documenti; gli studiosi che frequentano gli archivi centrali potranno conoscere quanto alle loro indagini protitterebbe una visita a qualche archivio municipale; e i soprintendenti nell’aiutare le pubblicazioni con i lavori d’archivio, le Deputazioni di storia nel darvi mano, avranno grandi sussidi. Che se vi saranno Comuni di piccola importanza, scarsi di documenti come di rendite, il Governo li inviterà a depositare ciò che hanno nell’archivio di quel Comune maggiore a cui sono più legati per relazioni storiche o amministrative. La Commissione ha detto invitare; ma i documenti vanno salvati ad ogni costo. Perciò il Comune bisognerà che a una delle due si adatti: o depositare come è detto provvedere da sè.

Alla conservazione degli archivi si riferisce il quesito ottavo: «Potrebbero riunirsi alcuni archivi e quali?» e la Commissione risponde qui subito, anche perchè in parte vi ha risposto; o sia che riunire s’intenda per concentrare, o sia che si prenda per sottoporre ad una stessa soprintendenza. Il concentrare si è già lodato così in vista dell’economia e del servizio amministrativo, come pei vantaggi che ne possono ritrarre gli studi; lodato e proposto.

Ed è pure un concentrare quel deposito o versamento (come lo dicono) di carte che di tempo in tempo si fa dalle amministrazioni nell’archivio centrale, in forza di ordini che la Commissione ha trovati quasi generali in Italia e che vedrebbe ben fatto di conservare ed estendere. Senza poi dar norme vorrebbe che almeno si badasse a tre cose: che i depositi non si facessero più frequenti di [p. 217 modifica]cinque anni, nè s’indugiassero più di dieci tranne i documenti giudiziari, pei quali secondo la loro qualità si può estendere il tempo a un ventennio); che si preparasse prima il luogo dove raccogliere le carte; che si vietassero i depositi d’epoche saltuarie. E dice questo perchè conosce gli inconvenienti; e sa che archivi spezzati a caso a capriccio, dove sono d’ingombro e dove fanno lacuna. È poi necessario fermare, che le amministrazioni non possano ritirare dagli archivi centrali i depositi, neppure a tempo; ed è di somma importanza inibire, che al tempo dei depositi, o in qualsiasi altra circostanza, si facciano scarti. Uomini competentissimi hanno gridato fortemente contro questo falso principio, che sia sottratto non meno alla storia che all’amministrazione tanti documenti5. Scarti (quando convenga che si debbano fare) non si faranno che in questa guisa. Il soprintendente li propone al Ministro, esponendo largamente le ragioni che ve lo inducono, e che non saranno mai quelle del poco spazio e della poca moneta. Ottenuta la facoltà, a ufficiali esperti commette la scelta delle carte e l’elenco; distinguendo gli scarti da macerare e quelli da vendere. Allora il Ministro manderà chi esamini lo scarto, e solamente sul concorde parere del soprintendente e del proprio delegato vorrà approvarlo con suo decreto. Nè parranno queste a nessuno soverchie cautele; nè i soprintendenti si terranno offesi del sindacato ministeriale; la dura esperienza ci vuole cautissimi; e i soprintendenti sentiranno meno la grave responsabilità degli spurghi.

Ripariamo almeno a queste perdite, che si può! Ad altre vorrebbe la Commissione provvedere, ma si trova impotente. Si tratta, Eccellenza, di quell’andare, che fanno, oltremonte i documenti storici anche preziosi, che talora tornano sotto gli occhi degli Italiani, quasi per istrazio, nei cataloghi d’autografi vendibili su’ mercati di Francia e d’Inghilterra. Unica via di ripararvi efficacemente sarebbe acquistarli: ma vorrà sempre il Governo? o potrà? massime se i venditori vi esagerano il prezzo, fors’anche simulando offerte favolose. Qui non v’ha altro rimedio che obbligare a denunziare l’esportazione dei documenti come quella dei capi d’arte sotto gravi pene, e farne consapevole il pubblico. Fors’è sperabile che il pudore sia freno.

Un’altra riparazione aspettano gli archivi, e la sperano. Nelle pubbliche biblioteche sono documenti che appartennero a qualche serie d’archivio: ne già carte spicciolate, ma interi registri di provvisioni di lettere. Questione così semplice che non doveva entrare [p. 218 modifica]nel campo delle passioni fu agitata fieramente in Francia in questi anni; e le passioni erano incapaci a risolverla. La Commissione non vuol farne causa di piato tra bibliotecari e archivisti; ma desidera che il Governo gli inviti a mettersi d’accordo pel vantaggio comune. Però quando un’evidente lacuna si può riempire, si deve: e così dagli archivi ritireranno le biblioteche que’ manoscritti che vi stanno come a disagio. Di questo (vuole la Commissione ricordarlo) ebbe a occuparsi il Congres.-o internazionale di statistica tenuto in Firenze nell’ottobre del 1867 dove alla questione degli archivi fu data molta importanza.

Svolto così minutamente l’ottavo quesito sotto l’aspetto del riunire, inteso nel senso di concentrare o di riporre al suo luogo i documenti, la Commissione ha preso a considerarlo nell’altro significato.

E in quanto al porre sotto le soprintendenze degli archivi di Stato altri archivi, già la Commissione ha detto dei provinciali. Vorrebbe qui dire de’ notarili, su’ quali ha pure portato l’esame. Ma oltrechè i notarili per la massima parte dipendono da un altro Ministero, hanno discipline così proprie, sono così diversamente governati nelle varie Provincie del Regno, hanno così stretta attinenza coll’ufficio del notariato (il quale aspetta dal Parlamento una legge uniforme) che la Commissione ha giudicato di non doverne parlare, se non in quanto concerne alla erudizione e alla storia.

Qual tesoro siano i protocolli de’ notari che dal secolo xii vengono al xvi, per gli studi della economia pubblica, della storia genealogica, della topografia, de’ costumi e via discorrendo, non può dirlo se non chi abbia preso a spogliarli con lunga pazienza; e la Commissione non dubita d’affermare, che per essere stati fin ora meno cercati degli altri archivi, sarebbero i notarili come una fonte novissima di cognizioni storiche, e che per essere in alcuni luoghi i più antichi documenti superstiti, co’ rogiti de’ notari si potrebbe in qualche parte supplire al difetto delle prime memorie municipali. Imperocchè se oggi il notaro è molto negli usi privati, nel medio evo era tutto ne’ privati e ne’ pubblici; cancelliere de’ Comuni, segretario de’ principi e degli oratori, giudice coi potestà e i capitani, attuario di tutti gli uffici, conestabile delle genti d’arme; e nelle sue imbreviature, con gli atti domestici dei cittadini, registrava talora anche quelli della Repubblica. È quindi un voto della Commissione, che gli archivi notarili eziandio (che quasi tutti dipendono dal Ministro Guardasigilli). almeno per i documenti de’primi cinque secoli (xii-xvi) siano resi accessibili agli studiosi, dai quali si potrebbe richiedere per maggiore guarentigia che fossero presentati dai soprintendenti agli archivi di Stato. E detto questo degli archivi notarili, la Commissione non ha da rispondere all’ultimo quesito.

[p. 219 modifica]Negli archivi di Stato già sono ammesssi gratuitamente gli studiosi, dove in forza di decreti e di regolamenti come nei grandi archivi di Napoli e di Palermo fino dal 1818, e nei toscani dopo il 1852), dove in grazia di un principio che i nuovi tempi hanno sempre più reso accettabile. Ma poichè V. E. ne ha fatto un quesito (ed è il decimo) la Commissione deve rispondere; e la risposta non può essere che ispirata da larga ma prudente concessione. E perchè prudente, a consultare la parte degli archivi che sarà dichiarata moderna, nessuno potrà essere ammesso senza facoltà del Ministero; mentre nel resto sapranno i soprintendenti impedire che l’uso non si volga in abuso. Perchè larga, niuna tassa avranno a pagare gli studiosi. Troveranno cortesi accoglienze, indicazioni opportune, e per cinque ore potranno attendere ai lavori ne’ giorni che gli archivi sono aperti.

Resta a parlare dell’ordinamento e degli ufficiali (quesiti sesto, settimo e nono); due cose che la Commissione vede molto connesse fra loro.

Egli è indubitato, Eccellenza, che per ordinare le cose bisogna avere ordinati gli uomini. Ordinamento di archivi, è presto detto; e leggi si fanno in un battibaleno: ma chi pon mano ad esse? La Commissione, che ha avuto le sue buone ragioni per escludere una direzione generale degli archivi italiani, esclude anche un ruolo unico; e chiede che le soprintendenze abbiano un ruolo a sè per tutti gli archivi compresi nella propria circoscrizione. I motivi sono questi:

L’archivista che entrò alunno (e piaccia a Dio che tutti gli archivisti comincino dall’essere alunni) acquistò certamente delle cognizioni generali di paleografia, e di critica diplomatica; ma tenne la mente e gli occhi rivolti in speciale modo ai documenti del suo archivio; e se sinteticamente comprese la storia d’Italia, apprese analiticamente quella della sua regione. E questo è ciò che lo rende singolare, per così dire, dagli altri; e lo studioso d’ogni altra parte d’Italia, anche lo straniero, ricorre a lui come a guida pel non facile cammino della erudizione. Di più: la paleogralia tiene molto del regionale; e se cambia nelle diverse età, più muta col variare di paese, così nella parte estrinseca, che sono i caratteri, come nella intrinseca, che sono le formule, i nomi dei luoghi, delle misure, de’ pesi, e via discorrendo. Ora è indubitato, che se il capriccio delle promozioni balestrasse un ufficiale da una parte all’altra del Regno, da un archivio del settentrione a un archivio del centro o del mezzogiorno d’Italia, con imporre a lui un nuovo e ingrato tirocinio, non farebbe che nuocere così all’archivio che perde un uomo esperto, come a quello che acquista un [p. 220 modifica]novizio. Che se ciò vale precipuamente per gli ufficiali addetti alla custodia ed all’ordinamento delle carte più antiche, non è meno vero per gli altri ai quali la pratica è molta parte di scienza. Anco le amministrazioni hanno caro che i documenti siano trovati tutti e presto; anche i privati prendono buon concetto d’un archivio, dal quale ricevono più fatti che parole, più copie che responsi negativi.

E qui la Commissione prega V. E. ad osservare come non abbia tenuto nessun conto del comodo particolare degli impiegati, ai quali il traslocamento suol essere ingrato e dannoso; non rispondendo quasi mai la promozione al dispendio. Lo che tanto apparirà più notevole se si consideri come la massima parte degli ufficiali sia retribuita, fino al punto, che negli archivi di Stato delle Provincie meridionali sono stipendi di lire 20 mensili; cosa da mettere in pensiero, forse più degli impiegati, il Governo ed il pubblico; cosa da raccomandare a V. E. che non sia più tollerata.

Un solo appunto può farsi ai ruoli particolari; ed è che, ristretta nei confini delle soprintendenze, sarà meno frequente la vicenda delle promozioni. Ma la Commissione crede che agli ufficiali rincresca meno il progredire lento che le traslocazioni violente, e in ogni caso potrebbe ogni tanti anni aumentarsi di poco lo stipendio a chi non avesse avuto un naturale avanzamento.

La Commissione ha già parlato di alunni e di studi speciali, ha già distinte due categorie di impiegati. E tutto ciò risponde al sesto quesito nel quale era ben preveduto il bisogno che ha l’archivio di uftìcìali, che anche noi chiameremo, per intendersi, di concetto e d’ordine. Tenuta poi la stessa gerarchia degli uffici ministeriali (com’è anche adesso) sarà facile stabilire fin dove gli impiegati d’ordine possano ascendere per i gradi di promozione; e la Commissione ritiene che si possa porre il limite sotto al grado di segretario di seconda classe. I soprintendenti poi vedranno quali eccezioni possano aver luogo per quelli che oggi costituiscono il personale degli archivi. Ma anche nella seconda categoria non si ammetterà impiegato senza esame; mentre per entrare nell’alunnato si vorranno esami di concorso nelle lingue latina e greca, nella francese, nella storia civile e nella geografia d’Italia. In quanto poi all’insegnamento crede la Commissione che si debba guardare soprattutto alla sostanza, e però propone che un ufficiale dell’archivio abbia l’incarico di dare agli alunni lezioni di paleografia e di critica diplomatica, alternando le teoriche con ordinati esercizi. E alle lezioni- sarà bene che altri ufficiali intervengano; nè, col permesso del soprintendente sarà vietato frequentarle agli estranei, i quali però non potranno farsene titolo a impieghi. È poi giusto che l’ufficiale incaricato dello insegnamento trovi sul bilancio degli archivi una remunerazione.

[p. 221 modifica]come sarebbe conveniente che (qualunque sia la dipendenza degli archivi di Stato) al Ministro dell’Istruzione spettasse approvarlo sulla proposta del soprintendente.

E quando si abbiano buoni ufiiciali si avranno buoni ordinamenti. Ma la Commissione non può tacere, che nel personale vi sono buoni elementi e che già molto si è fatto per gli archivi centrali; sicchè, poco più poco meno, non si dovrà far altro che applicare agli archivi tutti del Regno le norme che hanno fatto prova migliore. E intorno a ciò vorrebbe la Commissione che fosse lasciato ai soprintendenti una discreta libertà, sì perchè gli archivi d’una parte d’Italia, anche materialmente, non si riscontrano in tutto con quelli di un’altra; si perchè a guastare un ordinamento meno buono si peni poco, ma sostituirne uno migliore non è sempre agevole. In questo concordi, che l’archivio deve rappresentare, per quanto è possibile, la costituzione dello Stato, e gli elementi della vita civile; la esperienza poi insegnerà a tutti, e l’emulazione farà pure qualche cosa, anzi molto, quando l’opera interna dovrà manifestarsi ed essere giudicata da coloro che sanno.

Con che la Commissione intende accennare ai lavori di archivio e alle stampe. E qui occorre spiegarci bene. Chi conosce le pubblicazioni che si fanno dalla direzione generale degli archivi di Francia, e da quelli stessi archivi dipartimentali; chi ha veduto gl’inventari Belgi, promossi dal Gachard, e i be’ Regesti che si mandano in luce dalla direzione degli archivi d’Inghilterra; chi non ignora i lavori d’inventario e di regesto, come le altre pubblicazioni di alcuni archivi italiani, non può prendere equivoco; ma v’ha chi crede che le soprintendenze, stampando, invadano il campo delle Deputazioni di storia patria, che dopo la prima e benemerita istituita in Piemonte dal Re Carlo Alberto, si sono andate formando in varie province d’Italia. Ora il fatto delle Deputazioni dia norma al giudizio. Uno statuto, un codice diplomatico parziale, cronache, legazioni d’ambasciatori, sono quel tanto che danno in luce le Deputazioni; e se le illustrano, come ben sanno, le forniscono di prefazioni e di note, ragguagliano più testi fra loro, e così donano un nuovo monumento di storia alle loro provincie. Ma l’archivista fa ben altra cosa; non sceglie, non illustra, non confronta. Inventaria tutto, i diplomi e le bolle, come le più umili carte: transunta dal primo all’ultimo documento d’una serie; nè pensa se uno vai più dell’altro, se un nazionale o uno straniero se ne gioverà. Serve alla storia, non si appassiona per nulla: e finito un registro, ne prende un altro. Pubblicando poi le soprintendenze questi lavori, (che le deputazioni non sono chiamate a fare, nè fanno) soddisfano al bisogno di chi studi la storia d’Italia, poniamo in America, e servono anche alle [p. 222 modifica]Deputazioni che hanno da raccomandarsi sovente a que’ mercuri viali che sono gli archivisti.

Eccellenza, la Commissione pensa di aver detto tutto; sa di averlo detto liberalmente, lealmente. Per rispondere a tutti i quesiti, rimette a V. E. il prospetto delle tasse richiesto col quesito undecime; e perchè nulla manchi al suo debito, e le somme ragioni fin qui esposte siano come messe in atto, presenta a V. E. lo schema di un regolamento generale. Ogni soprintendenza poi vi porrà dentro ciò che può esserle di speciale, e di tutto chiederà approvazione al Ministero. Un regolamento uniforme sarà un gran passo per l’ordinamento degli archivi d’Italia; e la Commissione lo propone, e lo chiede, Eccellenza. In nome poi di chi presiede agli archivi napoletani vi domanda, che (qualunque sia la risoluzione sulla dipendenza) il grande archivio di Napoli, e gli archivi di Stato nelle Provincie siano sottoposti ad un medesimo Ministero; e che in quegli archivi provinciali sia tolta l’odiosa distinzione delle tre classi, la quale serve a rendere più misera la condizione di molti ufficiali, mentre giustizia vorrebbe che uno stesso servizio fosse retribuito in tutti ad un modo.

Compiendo nel più breve tempo i suoi studi la Commissione ha mostrato che gli animi erano molto concordi. Fu dolente che per mal ferma salute, fossero impediti di prender parte alle sue conferenze due valorosi colleghi, il commendatore Bonaini, ed il cav. Ronchini, a cui il decreto ministeriale aveva pure affidato l’incarico di segretario; ma almeno ha il conforto di poter dire a V. E. che un uomo tanto autorevole come il Bonaini fa adesione ai principii svolti e asseriti in questo rapporto, pur dichiarando di mantenere la opinione che più volte ha espressa al Governo ed al pubblico, che la suprema ingerenza degli archivi spetti al Ministero della Istruzione.

Li 13 aprile 1870.


Firmati: Cibrario, PresidenteM. Castelli — Pallieri F. Trincheka — T. Gar — L. Osio — G. Canestrini — C. Guasti, Relatore.
  1. Guizot, Mèmoires pour servir à l’histoire de mon temps; Paris 1860. pag. 398.
  2. Balbo, Prefazione al Sommario della Storia d'Italia.
  3. Guizot, op. cit., Pièces historiqes, num. ix.
  4. Memoria del Ministro dell’Istruzione Pubblica al Consiglio dei ministri del 1860.
  5. Vedi Bonaini e Panizzi, Di alcune principali questioni sugli archivi italiani; Lucca, 1867.