Ars et Labor, 1906/N. 3/Le miniere cinabrifere del Siele
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LE MINIERE CINABRIFERE DEL SIELE
Allorché i miei buoni amici — e, d'essi, sopra tutti le amiche — seppero la mia intenzione di andarmene da un po' a gironzolare dalle parti del Monte Amiata, la meraviglia fu grande.
— O che ci andate a fare? — mi dissero gli uomini.
— C'è qualche bella stazione climatica? — mi domandarono esitanti le donne. Evidentemente non l'avevano mai udita a nominare.
Ma quando donne ed uomini seppero che io andava al Monte Amiata, unicamente per visitare delle miniere, la stupefazione giunse al colmo.
— Delle miniere? — esclamarono tutti. — O che gusto c'è?
L'idea che una donna sola ed una giornalista in “licenza„ scegliesse quel luogo romito e quello scopo faticoso per iniziare le sue vacanze, parve davvero stravagante. Per solito, le donne amano passar l'estate a cicisbeare con più o meno fortuna sulle rotonde o sotto le verande degli stabilimenti di mare e di monte; e le lavoratrici indefesse degli undici mesi dell'anno amano passare il dodicesimo in un tanto più dolce quanto più guadagnato far niente.
Ma, per il meglio della varietà, nei gusti e nelle faccende umane, non tutti pensano e fanno allo stesso modo. V'è chi, a dispetto della modo ed a dispetto della logica, ama l'autonomia anche nel divertimento ed una ragione di studio anche nella libertà. Io, per esempio.
veduta generale della miniera del siele.
Per questo, in una già calda mattina d'agosto io scendevo dal treno cosidetto maremmano, alla stazione di Monte Amiata. Ma se la stazione era lì, accanto alle rotaie, il monte era lontano e lontani erano i paesi che ne circondano i fianchi ubertosi. Ventidue chilometri di salita continua, a traverso Seggiano, Casteldelpiano, Arcidosso, le Bagnore sino a Santafiora — ed a traverso campi d'ulivi, macchie di lecci e di roveri, boschi di castagni tutti vivi e cantanti di acque sorgive. Via lunga, lenta, faticosa, che iniziata alle 8 finiva al tocco dinanzi al castello dei signori di Santafiora, sulla soglia dell'alberghetto che doveva ospitare e rifocillare il mio frastornato individuo.
Ma io non mi ero spinta fin là, né avevo compiuto sì lungo e disagiato viaggio senza sapere che cosa, alla meta, mi attendesse, Né, men che mai, mi sognavo di intravedere casa altrui senza il congruo permesso.
Dinanzi alla mia persona, araldo e della visita e del ricevimento, era stato un parco ma chiaro scambio epistolare. Sicché io sapevo che, diretta alla Miniere del Siele, come giornalista e come “curiosa di vita„ coe tale sarei stata di buon grado accolta.
La “Società Anonima Stabilimento Minerario del Siele„ è succeduta in quest'anno alla Ditta Angelo Rosselli, esercente e proprietaria di tali miniere fino al 1861. Alla iniziativa, competenza, abnegazione dell'attuale presidente nella nuova Società, comm. Raffaello Rosselli, si deve e la vita e lo sviluppo di queste miniere cinabrifere conosciute fra le più importanti di Europa. La direzione tecnica è affidata a tre ingegneri: Vincenzo Spirek, Emanuele ed Angiolo Rosselli. Con il permesso, dunque, del comm. Raffaello, con l'assistenza dell'ingegnere Spirek e dell'ingegnere Angiolo e per l'amabile ospitalità di quest'ultimo e della sua graziosa signora, io potei compiere il mio prestabilito pellegrinaggio.
La mattina seguente il mio arrivo a Santafiora, una comoda carrozza, speditami dai signori Rosselli, mi conduceva rapidamente, al trotto di due vigorosi cavalli, allo Stabilimento Minerario.
Dopo tre quarti d'ora di cammino, un cancello ne indica che entriamo nel possedimento della Società, ma le miniere sono ancora lontane. La Società possiede vaste estensioni di terreno, in parte esplorato ed in isfruttamento, in parte ancora da esplorare. Tutta la vastissima superficie montuosa, con un costante ed accorto lavoro di rimboschimento, è vestita di una folta macchia saluberrime ed utilissima, dalla quale si trae carbone e legname in abbondanza per i bisogni dello Stabilimento.
Il Monte Amiata è il più alto vulcano dell'Italia continentale; misura 1734 metri sul livello del mare. Non ha emesso più lave, dall'epoca storica, ma non perciò è inattivo, come attestano le sorgenti termali e le solfatare che ancora sussistono. Non presenta però alcun sicuro centro di eruzione ed il conto di trachite si eleva sopra un basamento di roccie stratificate eoceniche e cretacee.
La miniera di Siele — così chiamata dal torrente che scorre accanto — si apre a poca distanza dal monte maestoso ed è scavata in un terreno di formazione eocenica ad alternanze di schisti galestrini e di calcari aberesi.
Sopra uno spiazzo a giardino, insidiato già dagli scavi sotterranei, sì che la villa fu dovuta scapezzare di un piano e tutta incatenare, l'abitazione dei padroni del luogo mi apre l'ospite porta. Mi attendono l'ingegnere Angiolo Rosselli, un giovane sottile ma infaticabile e l'ingegnere Spirek, un bonario e grosso boemo, sua antitesi nel fisico, ma suo compagno nello zelo e nella passione al lavoro. La giovane signora Rosselli ma fa i primi onori di casa offrendomi un suo costume di tela: a suo dire non è possibile ch'io possa serbare gli abiti che ho indosso, senza ridurmi peggio di uno spazzacamino per l'ora di pranzo. In omaggio a questo doveroso riguardo verso gli anfitrioni, depongo le mie vesti e mi camuffo da pseudo minatrice.
E si comincia il viaggio di esplorazione. La prima tappa è allo studio degli ingegneri — vasto ambiente, quasi tutto occupato da una tavola vastissima, sulla quale si distende la pianta topografica della miniera. A veder quel viluppo di gallerie, quei ghirigori di canali, che ora si distendono, ora si attorcono e ritornano su se stessi, par di vedere il disegno dell'intestino di un animale favoloso.
Allogati in bell'ordine in nitide vetrine, stanno campioni minerali d'ogni specie, estratti da quel suolo eminentemente ricco. Sopra un lato del tavolone, vedo giornali e riviste a josa: l'ingegnere Spirek è il più grande “abbonato„ che io conosca.
Ed ecco che, nel mentre ammiro questo e quello, mi vien porto un registro da firmare. L'ingegnere Rosselli, con cortesia squisitissima, mi esprime il desiderio di conservare il mio inestimabilmente prezioso autografo.... ma, come ho firmato — e son pregata a mettere oltre lo pseudonimo, il nome e il cognome e poco men che la paternità — egli sorridendo con bonaria furberia, mi annunzia ch'io ho firmato, nientemeno, che la mia rinunzia alla pelle ed il consenso alle possibili avarie della medesima e l'abbandono di ogni diritto mio e dei miei eredi, congiunti o aventi diritto, al risarcimento di qualsiasi danno conseguente alla predetta volontaria perdita di pelle ed avarie della stessa!
operai che fanno colazione.
Un romano avrebbe giudicato più prudente tornarsene a casa, dopo un simile passo falso. Ma che fare?
A meno di passare per l'ultima contraffazione del giornalista, bisognava far buon viso alla ventura. Tanto, morire sulle spalle o morire nelle viscere della terra, è lo stesso, se l'ora sia suonata! Ci dirigiamo all'edificio esterno della miniera: l'opera ferve, carrelli di materiale corrono su piccoli binari, diretti ai forni; nelle officine dei fabbri, dei falegnami addetti ai continui bisogni della Miniera, si lavora attivamente; le dinamo sono in piena attività, i motori rumoreggiano, gli operai vanno e vengono affaccendati.
Osservo una cosa subito: il rispetto grandissimo, che d'ogni parte accoglie la comitiva. Per quell'attimo, nel mentre noi passiamo da un locale all'altro, il lavoro è sospeso, le braccia si arrestano: chi ha il cappello se lo toglie, chi non l'ha saluta con la voce. Nessuna servilità: un doveroso e pur spontaneo omaggio di cortesia, da lavoratore a lavoratore, più che da operaio a padrone. Si vede che i rapporti fra gli uni e gli atri sono meglio che corretti, cordiali. Gli ingegneri interpellano gli operai con una dignitosa famigliarità, che non può trovare rispondenza di simpatica e di premura nell'animo dei lavoratori.
Io, che, più di ogni altra curiosità della scienza, sono appassionata delle curiosità delle anime, mi propongo di far subire alle mie guide un interrogatorio in proposito. Ma ora, non è il momento. Su dal pozzo, che s'apre nel mezzo dell'edificio, si affaccia la gabbia dell'elevatore: bisogna prendere la lampada, legarsi al meglio le sottane alla cintola ed apprestarsi allo sprofondamento.
La gabbia è, in realtà, una piattaforma riquadra di ferro: da due lati scorre, per mezzo di funi metalliche, sull'armatura dell'ascensore, da due altri lati è perfettamente aperta sopra l'abisso; una sbarra di ferro, all'altezza poco più del ginocchio, preserva solo alla caduta. Siamo in quattro e ci tocca starcene uno a ridosso dell'altro, bene stretti per non farci arrotare le spalle dall'armatura dell'ascensore, sulla quale rapidamente strisciamo. Poiché il pozzo serve anche all'estrazione dell'acqua dalla miniera, su noi cade una piova fredda e nera; le lampade ad acetilene che teniamo strette a noi, col rischio di metter fuoco alle vesti, illuminano abbastanza il pozzo da farci scorgere le pareti rotonde, ora scavate nella roccia viva, ora rivestite di pietra là ove la roccia manca. Si passano così due piani, le cui aperture sfuggono improvvise sulla parete. Al terzo ci arrestiamo e scendiamo.
Questo pozzo, chiamato Raffaello (ve ne sono altri due: Emanuele e Carpine) non arriva che al quinto piano o livello — 208 metri — ed è collegato al sesto piano — 238 metri — con un pozzo interno scavato in vicinanza al giacimento, il quale, a quella profondità, si è allontanato dal giacimento superiore sfruttato dal pozzo Raffaello.
In fondo alle miniera. La dinamo per il trasporto del materiale.
Sbarcati al terzo piano, ci infiliamo l'uno dietro l'altro nella stretta galleria. Il giro incomincia, ed insieme incominciano le spiegazioni degli ingegneri, sulla formazione del terreno, sulla composizione del minerale: la geologia, la mineralogia, anche la chimica e la fisica, passano dinanzi ai miei occhi con tutte le loro formole. Ma io presto un orecchio solo relativamente attento: lo scrittore, l'artista, ha una facoltà tutta sua speciale: quella di trovar ragione di pensiero, piuttosto che dai grandi argomenti, dai piccoli frustoli d'argomento.
Nel mentre a balzelloni, a tentoni, or diritta, or piegata in due, giro, svolto, discendo, scapicollo, mi arrampico per gallerie piane, erte, a scaloni, aride, fangose, alte, bassissime, lasciandomi guidare nel laberinto immenso, pauroso, nero, scintillante, ventilato, tanfoso, caldo, freddo, umido della miniera, passando a traverso tutti i modi di viabilità, tutti gli atteggiamenti di stabilità, tutte le variabilità dell'ambiente — nel quale lampadine e ventilatori elettrici, elevatori meccanici si accompagnano o cozzano con i mezzi più semplici di illuminazione e di escavazione e con le condizioni continuamente oscillanti della temperatura, per via della sempre variata profondità delle gallerie e della sostanza nella quale sono scavate — io, anziché seguire la dimostrazione della formazione cinabrifera del Monte Amiata, lascio il mio spirito in balia delle sensazioni, che quella orrenda, spaventevole prigione di umani scatena in me.
operaio che batte una mina.
E guardo con occhio pensoso, turbato, incredulo, quei minatori, dai bianchi, forti, delicati, nitidi, sani torsi ignudi, dalle aperte fisionomie soddisfatte, belle faccie di lavoratori virili, cui non mancano i baffi voltati in su.... Tutta la mia irruente anima di eliolatra si ribella, si impunta, scalcia, dà groppate, come un polledro dell'ideale sotto il morso della realtà.... V'è, dunque, chi vive, chi lavora, e vive e lavora contento, sereno come un cielo settembrino, gaio come un meriggio d'aprile — là, in fondo, in quei budelli neri, afosi, stretto contro pareti di roccia, serrato come in una tomba di granito!... Lontano da te, o sole! lontano da te, ampia libertà dell'aria! lontano da te, luce amplissima del cielo!
Gli ingegneri mi assicurano che sì, che tutti quegli uomini sono soddisfatti della loro tomba anticipata, che, costretti a lavori sul soprasuolo, se ne dolgono come di una punizione.... ed io mi rassegno a crederlo, dietro la formale garanzia di quei visi pacifici e spianati. Meglio per loro, poveri diavoli!....
Interno della miniera. Camerone e vista dell'elevatore nel pozzo Raffaello.
Così, girando e rigirando, siamo arrivati al piano più profondo. Le gambe più non mi sorreggono; l'articolazione dei ginocchi è irrigidita ed ogni nuovo scalone mi causa un dolore acuto nella rotula. Frequentatrice di marciapiedi cittadini, mal mi s'attagliano queste bravure alpinistiche.... nel centro della terra.
Ma le emozioni non sono finite: gli ingegneri, in onore al quarto potere, vogliono far esplodere qualche mina.... Io, quarto potere.... femmina, ne farei a meno volentieri.... Ma, di nuovo, non voglio farmi credere una vile contraffazione del medesimo.
Odo colpi sordi nella roccia.... la comitiva si accantona in un angolo della galleria.... nessuno parla più.... Un operaio corre a domandare: “Pronti?„ L'ingegnere risponde: “Fuoco!„ Ancora un minuto di silenzio mortale, durante il quale il mio cervello si dispensa dal pensare.... Poi un fragore enorme, un urto nel petto enorme, uno spostamento d'aria che arresta il respiro.... tutte le lampade spente.... il buio della tomba.... e la sensazione schiacciante, ultimo guizzo del pensiero, che la montagna intera si è sprofondata sulla mia testa.... Questa faccenda è stata ripetuta quattro volte, in diverse località.... ed io ho decretato a me stessa una medaglia al valore.... minerario!
Con quest’ultimo razzo finale, la visita nell'interno è finita. Si risale nell'ascensore, ed io stanca, sudicia, sudata, gelata, stravolta ed affamata ritorno alla luce del giorno. Divino giorno! Non mai l'oro del sole, l'azzurro del cielo, il verde degli alberi, la porpora, il cobalto, il croco delle corolle, mi erano parsi più smaglianti e più giocondi, all'occhio ed al cuore!
Rimondati dai nostri sudiciumi minerai, il mezzogiorno di chiama a tavola, ove uno squisitissimo pranzo ed una eletta conversazione mi ritemprano il corpo e lo spirito. È l'ora delle informazioni e delle indiscrezioni.
Nelle miniere del Siele lavorano 400 operai, divisi in squadre: la durata della giornata di lavoro è di poco più di otto ore, ma intramezzate da un riposo che le riduce a meno di otto. Gli operai vengono tutti da paesi vicini, Santafiora e Castellazzara e da frazioni prossime: pochissimi abitano sul luogo. Anche la vicinanza relativa delle loro dimore e la durata abbastanza breve del lavoro, rende inutili cooperative alimentari, infermerie, ecc., annesse allo Stabilimento. V'è una dispensa, soltanto, ed una medicheria ben fornita per le prime necessità.
La Società, ora, e prima la benemerita Ditta proprietaria, ha cura che l'operaio non abbia ragione di lamenti e, quindi, di indisciplina. Con amorevolezza e con fermezza, concedendo quanto è concedibile senza danno dei lavori, trattando tutti con giustizia e con riguardo, si è riusciti a preservare lo Stabilimento da ogni avventura più o meno socialista. L'indole di quei maremmani della montagna è ruvida ma buona e docile: fanno il loro primo maggio, ma lo celebrano con messe cantate e con funzioni religiose. Questo miscuglio di cose ottime e mediocri, consente la tranquillità degli animi ed il buon accordo in generale. Anche con le continue migliorie tecniche, intese ad eliminare più che si possa i disagi ed i pericoli del lavoro, penoso e malsano, la Ditta si è guadagnata la riconoscenza dei suoi operai.
essiccatoi.
Con ventilatori, pompe, argani, azionati elettricamente, con tutta una rete di pozzini interni, caminetti, scenderie, e sopra tutto con l'adozione dei forni Cermack-Spirek, per la combustione del minerale e l'estrazione del metallo — si è reso più facile, più igienico, più rapido il lavoro anche alle maggiori profondità.
Il pranzo è appunto finito. L'ingegnere Spirek in persona, uno dei geniali inventori, mi guida ai forni. Anche qui il lavoro ferve; il minerale, dopo essiccazione, viene spezzato a colpi di martello da donne, poichè ogni prezzo abbia quel dato maggior calibro. Così ridotto, è caricato su carrelli, che lo rovesciano sopra una vasta lastra di ferro, forata di buchi rotondi. Sotto la lastra, è l'edificio del forno, un vero edificio a parecchi piani, pieni di finestrini a persiane di ferro. Il minerale cade, a traverso i fori della lastra, entro il piano più alto, poi, con progressione matematica, giù giù, fino all'ultimo, a traverso un congegnatissimo sistema di tegole di terra refrattaria. Il fuoco divampa entro l'edificio: da uno sportello, che mi si apre dinanzi, ho la visione esatta dell'inferno. Ma, nel mentre questi forni Spirek concedono di trarre tutto il profitto anche dal minerale più povero — beneficio questo che non si aveva prima, per cui certi giacimenti erano abbandonati come infruttiferi pur quando avrebbero potuto dare frutti eccellenti — essi presentano insieme l'altro enorme e, moralmente, più grande vantaggio di preservare gli operai da ogni genere di avvelenamento idrargirico, con tutta una canalizzazione sapiente dei gas mercuriali, che li raccoglie completamente e li sfrutta ancora sino all'ultima molecola.
Con questa innovazione umanitaria, non si vedono più nelle miniere che hanno adottato il forno Spirek uomini colle membra tremule, il viso giallo e cavo, segnati da una certa condanna di morte. Si può lavorare attorno ai forni di mercurio impunemente, oramai. Gran cosa, questa, dinanzi al diritto del lavoratore di avere tutelata l'esistenza, in cambio della sua fatica!
Il minerale combusto, per un seguito di processi, abbandona finalmente il metallo. A un lato del forno si apre una cannella ed io vedo spillare e cadere entro una tinozza, il più scintillante, ed il meno liquido dei liquidi: l'argento vivo, l'idrargirio, il mercurio, insomma! Tuffo la mano nella tinozza, credendo affondarla nell'acqua.... Quell'acqua è dura ed elastica e fa di tutto per spingermi via. Ma io premo con tutta la forza, la mano affonda e si gela. Quando la traggo fuori, la guardo ed istintivamente cerco un fazzoletto per asciugarla... La mano è asciutta: quel liquido è un corpo solido!
la parte superiore dei forni-armati spiker.
Il quale, accuratamente posto in bombole, è spedito per il mondo — ad onore e gloria dell'industria metallurgica italiana ed a ben guadagnata ricchezza dei proprietari antichi e dei recenti.
| Donna Paola. |