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Avanti a gl'occhi tuoi dell'infinite

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Francesco Maria Deconti

XVIII secolo Indice:Zappi, Maratti - Rime II.pdf poesie Letteratura Avanti a gl'occhi tuoi dell'infinite Intestazione 13 maggio 2025 75% Da definire

Prendi il fucile, e della viva selce Sento squarciar del vecchio Tempio il velo
Questo testo fa parte della raccolta Rime d'alcuni Arcadi più celebri


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FRANCESCO MARIA DE CONTI

Parafr. dell’orazione: Ante oculos tuos, etc.

AVanti a gl’occhi tuoi dell’infinite
     Nostre colpe, Signor, portiam la salma
     E scopriam le profonde aspre ferite,
     Onde langue trafitta, ed egra l’alma:
     5Portiamla a te; perchè alle rie pentite
     Nostre voglie tu sol recar puoi calma:
     A te le discopriam, perchè virtute
     Hai tu sol di recar vera salute.
Se il fallir misuriam, ch’abbiam commesso
     10È maggior del gastigo il nostro male
     Poichè d’infedeltade il grave eccesso
     Egual colpa non ha, nè pena eguale:
     Ogni nostro atto ogni pensiero stesso
     Chiama ognora dal Cielo un nuovo strale:
     15Onde ciò, che soffriam, ch’abbiam sofferto,
     Nasce da i falli, ed è minor del merto
Troppo più grave e troppo più pesante
     È il nostro errore del flagello stesso:
     Così, Signor, ti scuopri ognor più amante
     20In soffrire non solo il nostro eccesso,
     Ma nel punirlo ancor, mentre le tante
     Nostre colpe agguagliar non vuoi con esso:
     Noi tuoi figli, noi siamo empi in fallire,
     E tu padre ti mostri anco in punire.

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25Del peccato sentiam la pena, e pure
     La pertinacia del peccar seguiamo,
     Usi all’eredità delle sventure,
     Che già lascionne il primo padre Adamo:
     Non sappiamo lasciar le gioje impure,
     30Che servon d’esca del fallire all’amo;
     E scordandoci quasi esser mortali,
     Gozziam col Ciel, mentre proviam suoi strali.
L’inferma Umanità forza è che cada
     Sotto la sferza del divin flagello.
     35Ahi chi resister può sotto la spada,
     Ch’impugna Iddio contra lo stuol rubello?
     E pur de’ vizi abbandonar la strada
     Cieco non vuolmè questo cuor, nè quello;
     Anzi par; che a ciascun dispiaccia, oh stolto!,
     40Di non essere in quei dell’altro involto.
Nel pensiero de’ falli, e delle pene,
     S’avvilisce la mente, e si addolora;
     Ma la fronte superba non avviene,
     Che ceda vinta dal gran peso ancora.
     45Co’ sospiri la vita si mantiene,
     E pur l’emenda si prolunga ognora:
     Così tra i fiori di pentito lutto
     Si matura, oh empietà!, d’errori il frutto.
Se tu aspetti a vibrare, o giusto Dio,
     50La provocata vindice saetta,
     Ostinato in fallir sempre più rio
     L’Uomo si fa, nè in fallo l’altro aspetta:
     Ma se, la tua pietà posta in obblio,
     Muovi il forte tuo braccio alla vendetta,
     55Sotto la giusta formidabil’ira
     Mancare il reo coll’error suo si mira.
Mentre Tu ne correggi, il sai Tu come
     Ci rammentiam conduol d’aver fallito,
     E quanto della colpa il solo nome,
     60Più che Averno, spaventi il cuor pentito;
     Ma se allontani dalle nostre chiome

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     L’orror del nembo, ch’a pentirci è invito,
     D’aver pianto perduta la memoria,
Il tornare a peccar rassembra gloria.
     65Se Tu stendi la mano onnipotente,
     Ch’al primo Nulla ritornar ci puote,
     Quanto da noi far si convien, repente
     Con voglie promettiam pronte e divote;
     Ma se ascondi il flagello, ecco si pente
     70Ciascuno, e vanno le promesse vuote;
     Tanto, fatto natura, in noi presume
     Del continuo peccar l’empio costume.
Se Tu irato ferisci, il Ciel si assorda
     Da’ nostri prieghi, perchè tu perdoni;
     75E se Giustizia con Pietà s’accorda,
     Perchè la destra il fulmine abbandoni,
     Del passato timor non si ricorda
     a mente più, che più non sente i tuoni,
     E l’alma impura iniquamente ardita
     80Con nuovi error nuovi gastighi irrita.
Ecco, Signore, a’ piedi tuoi prostrati
     Noi confessiamo il nostro fallo atroce;
     Per noi, Signor, Tu degli umani fati
     Portasti il peso, affisso a dura Croce;
     85Ma poi se Tu, gli sdegni tuoi placati,
     Or non soccorri al nostro mal veloce,
     Noi, tuoi figli, del Ciel nati alla sorte,
     Giusta preda sarem di cruda morte.
Padre, dunque e Signor, che tutto puoi,
     90Quanto chiediam, benchè di merto privi,
     Piacciati per pietà donare a noi
     Pria, che di vita il tuo furor ne privi:
     Tu, che dal Nulla degli abissi tuoi
     Ne traesti, e a pregarti ognor ci avvivi,
     95Deh ne ascolta, e non sia tuo inutil dono
     Il pentimento in noi senza il perdono.