Bare

Da Wikisource.
Domenico Milelli

1883 poesie letteratura Bare Intestazione 1 giugno 2008 50% poesie

La catastrofe bussa prepotente e spietata alle porte della sua casa: muore il padre, e, come le foglie, il fato terribile stacca dal tetto natio Lidia, cui l'implacata tosse aveva infranto il giovane petto e poi Lelio ghermito alla madre in si giovane etade e poi Lina, «ultima aurora di pace».

 

Nè le lacrime a' materni
occhi espresse dagli affanni,
nè i di nudi ad uno ad uno
noverati in sedici anni

rallentar della maligna
sorte gli odii un'ora sola,
colpa il pianto in sulle ciglia
e sul labbro la parola.

Quante volte, al poveretto
gramo desco il pan mancando,
scarso un obolo ci corse
per le vie limosinando:

Quante volte irrigidito
dal fatal verno inclemente
alle lacere si chiese
coltri il sonno inutilmente,

mentre tu, madre, tremando
della vita de'tuoi figli
t'affannavi a consolarli
di amorevoli consigli.

.........

Alle fosse avide intanto
spalancate in cimitero
preparava il pasto infame
il bisogno orrido e nero;

e di Lidia macerando
pria le fibre delicate
alla triste iliade schiuse
le miserrime giornate.

Su quel volto a poco a poco
come più si fea nel core
vivo il senso della vita
si effondea letal pallore.

Della luce azzurra il raggio
nei sereni occhi languia
il sospiro era un lamento,
il sorriso un'elegìa.

Triste larva, ella passava
come nebula d'incenso
della sua dolente casa
pel deserto arido, immenso;

finchè un dì, dalla implacata
tosse infranto il giovin petto
le sue diè, povera martire,
membra bianche al cataletto.

E la madre come pazza :
— Dio s'è ver che tu ci sei,
Dio perchè questo supplizio?
Che ti han fatto i figli miei? -

E, qual ramo a giovin faggio,
dalla grandine strappato,
l'esil corpo dalle pustole
del vaiuolo difformato,

dall'attigua, invan pregando,
sua stanzetta, intanto aita,
Lelio il fior vedea perire
della sua giovine vita.

— Oh! levatemi da questo
di carboni orrido letto,
piombo fuso ho nelle vene,
ho l'inferno entro nel petto,

per pietà da quest'incendio
che mi brucia e mi divora
chi mi salva? O madre, aiutami,
per pietà non far ch'io mora! —

E il funesto estremo rantolo
afferrandolo alla gola,
gli togliea tra le sue spire
rabbiose la parola.

Così giacque e gli luceva
nella immobile pupilla
come gocciola gelata
del dolor l'ultima stilla.

.......

E soffiando umido il vento
dell'autunno le penose
grigie nebbie dell'ottobre
avvolgea tutte le cose.

E te pur, chiusa ne'loro
scuri e tetri abbracciamenti
te, di pace ultima aurora
tolser, Lina, a'tuoi parenti.

Fur trent'ore di martirio
per te lunghe interminate;
trenta secoli d'anelito
per quell'anime affannate.

Finchè — madre, ahimè! — dicesti:
— Muoio! — e tacque la tua voce
strangolata dal difterico
uccisor spasimo atroce.

E la madre il macro e livido
corpicin forte abbracciando,
nei tuoi spenti occhi i suoi freddi
impietrati occhi fissando :

— Tu — gridò : — Morta tu pure,
Lina, o santo angelo mio;
Ah! Tu sei padre d'infamia,
non d'amor, perfido Dio! —

(Bare, da Kokodè).