Bizzarrie/Alfabeto morale

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Alfabeto morale

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La Toeletta parlante Lo Scampimetro
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ALFABETO MORALE.


Che fai, Teodoro, lì ritto, guardando fissamente chi passa? — Cómpito, mi rispose Teodoro. — Dove? soggiunsi io, non vedendo che vi fosse nessuna antica iscrizione nei muri, o sopra il lastricato della piazza. Eravamo appunto in piazza. Fosse notte, ripresi, direi che stai compitando le stelle. — Compito le persone che passeggiano. — Oh bella! Che sì, che le persone sono lettere dell’alfabeto?

Teodoro mostrò di volere entrare in un discorso lunghetto, ed io mi posi ad udire. Non era la prima volta che uscissero da lui di siffatti capricci. Sì, mio caro, fa tuo conto che ogni uomo rappresenti una lettera dell’alfabeto. Ce ne sono delle vocali e delle consonanti, ossia di quelle che fanno suono da sè, e di quelle che hanno bisogno di essere accompagnate. Vedi que’ due a lato il campanile? Il più alto è consonante, che da sè non può essere pronunziato, accoppiato a quello con cui parla, disposto sempre ad assentirgli, ne viene fuori do, fo, so, vo, e ogni altro atto di volontà e di potere. Delle consonanti sai bene che ce ne sono delle aspre, delle liquide, delle mute e fino anche delle impure; le differenze medesime [p. 359 modifica]tu le troverai nelle consonanti uomini. I sentimenti e i discorsi di Evaristo te lo palesano per una delle consonanti più aspre che strillassero mai in verun alfabeto. Lodovico all’incontro è tutto fluidità, e guai se da esso ti aspetti veruna specie di consistenza! Lettera muta è Fulgenzio; chiacchiera sempre, ma ne’ suoi discorsi c’è il costrutto medesimo che in quelli di un muto. Le impure poi bisogna conoscerle ad ogni patto, per rinforzare il suono di quelle povere sillabe che devono porsi al loro fianco.

Capisco che tu ridi di questa mia fantasia; ma io non sono un di quei che il piangere giova, se non altro quando passeggio la piazza, e però, finchè ti basta la pazienza ad udirmi, continuo. Sonovi consonanti che si raddoppiano con frequenza, altre che raramente. Fra quest’ultime vi hanno dei q sciagurati che non possono raddoppiarsi fuorchè in soqquadrare e soqquadro (la q non si raddoppia che nella voce soqquadrare e suoi derivati: testimonio il Dizionario). Finchè t’abbatti in quei q soletti soletti, puoi riderti di loro, sono lettere molto meschine; ma se li vedi appaiati, abbi per fermo ch’è prossima una qualche brutta peripezia. Consci della propria debolezza si puntellano scambievolmente, e sono tali per natura loro propria, da non potere stringere unione alcuna senza prendere a scopo la rovina del prossimo. Tra le consonanti ce ne sono alcune che hanno saputo guadagnarsi un’autorità singolare, per modo che significa[p. 360 modifica]no qualche cosa anche sole. Per esempio la S si fa cavare il cappello da tutti i divoti, la C ed altre tali sono ragguardevoli nell’araldica. La H ebbe il suo tempo di sommo lustro, e non so come allora corresse il proverbio: il tale o la tal cosa non vale un’acca. Ma dove lascio la N, l’amica dei giornalisti, e di tutte le oneste persone che vogliono far del bene al prossimo senza che si sappia nulla de’ fatti loro? Per lo più tutte queste lettere raddoppiate acquistano sempre maggior importanza, tranne per altro la F, a cui è meglio lo starsene sola e non significar nulla, che raddoppiata esprimere chi è l’ombra e fa le veci di un altro.

Mi dirai che tutto questo non è compitare; è verissimo, ma prima d’iniziarti negli alti arcani della mia scienza mi era necessario fartene conoscere gli elementi. Ora sappi che tutte queste persone, unendosi fra loro, ti danno gli accidenti tutti della vita, appunto come dalle lettere ti si danno le parole onde sono rappresentati quegli accidenti. Ed ecco dove io ci trovo un piacere incredibile. Vedi là tutte quelle lettere, che si muovono, che si rimescolano per formare una qualche parola? Ma facciano pure quanto più sanno, non ne potrà mai uscire che certa specie di parole e non altra. Vedi, vedi un o, un n, un e, un s, un t, uniti insieme, che si corsero un dietro l’altro per formare onestà: peccato! manca l’a finale. E corrono su e giù senza posa, ma quella benedetta a non ar[p. 361 modifica]riva; ed io l’ho veduta, momenti sono, che si è fatta capo ad un altro drappelletto composto di due f, un l, un i, un z, con tutto il resto bisognevole a formare afflizione. Hanno un bel aspettare quell’altre lettere, un bel tormentarsi a zufolare st, st... l’a non si trova, non può spiccarsi dall’afflizione, e l’onestà resta mozza. Molte volte si cercano in cambio lettere che non fanno l’effetto, sebbene ne abbiano l’apparenza. In quel canto, per esempio, dopo un molto aspettare l’a necessaria per comporre probità, si contentarono di un a che aveva perduto l’accento nell’uscire dalla porticella di una casupola ov’era slata a fare elemosina. Gl’idioti vedendo unite quelle persone leggono probità, ma chi ha un po’ di giudizio, se ne guarda, e passa oltre dicendo: vi manca l’accento. Accade lo stesso delle parole a cui occorrono lettere addoppiate: pensi che là in quel crocchio ci sia allegria, allo schiamazzo delle risa che ascolti. Compita un po’ quelle lettere, è un’allegrezza falsa, da illudere i balordi; ci manca la seconda l, che andò non ha guari a comporre lealtà e ora che parliamo chi sa ove trovasi! Da quell’alegria puoi cavarne egri, agri, ria che hanno perfettissimo suono, e non abbisognano della doppia l.

Ma, e quelli che camminano soli? interruppi l’amico. Domandano uno studio particolare, mi rispose; e finchè non si veggono uniti ad altre lettere, ossia finché non si considerano nelle va[p. 362 modifica]rie relazioni coi loro fratelli, non se ne può pronunziare compiuto e sicuro giudizio. Tuttavia se ne possono trarre alcune conclusioni negative. Per esempio quel t così ruvido, quel g così floscio non entreranno mai a formare piacere; ove non fosse un qualche piacere affettato, un qualche giolito. Perchè devi anche sapere, che non potendo avere certe parole da certe lettere, si contentano gli uomini di alcune altre che rassomigliano a quelle. Non possono ottenere dolcezza, mancando loro una z? Si contentano di dolzore. E in questo caso anche le anticaglie vengono buone. L’amico sembrava che volesse continuare, ma io ne aveva udito abbastanza. E noi, gli dissi, che lettere vogliamo essere? — Via, mi rispose, usiamoci questo onore di crederci vocali, persone che possono stare da sè. — Alla buon’ora: e quali? — Un i, a modo d’esempio, e un o. — Sicchè uniti faremo...