Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere/Parte seconda/Capitolo I

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Capitolo I

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CAPITOLO I

Se la bassezza o altezza del cambio della piazza di Napoli con l’altre piazze d’Italia sia o possa essere causa dell’abbondanza o penuria di moneta nel Regno.

In tutto il suo Discorso Marco Antonio de Santis non intende provare altro se non che l’altezza del cambio della piazza di Napoli con l’altre d’Italia è la sola causa che ha fatto impoverire il Regno di denari; e di questo assegna la ragione: perché l’altezza del cambio non permette che li denari, che doveano venire in Regno per la estrazione della robba fuora Regno, vengano in contanti, ma per cambio, e quelli, che doveano uscire per cambio per le mercanzie portate da fuora nel Regno, escono di contanti, per l’utile che si ha nell’uno e nell’altro; cosí all’incontro la bassezza debba essere causa dell’abbondanza, per operare il contrario effetto per la medesima ragione. E, per prova maggiore di questo, adduce l’esperienza, che quindeci, venti, trenta anni adietro, che il cambio era basso, il Regno abbondava di denari propri e forastieri; e da quindeci anni in circa, che il cambio è alto, il Regno è diventato povero per la ragione assegnata. Questa è la prima e principale conclusione di detto suo Discorso, ed è come radice e fondamento del suo pensiero; quale destrutto, di necessitá va per terra quanto da quello depende. Bisogna dunque avertir bene che veritá contenga detta conclusione, e le ragioni e prove che per quella si portano. E senza dubbio, se, tanto per la ragione del guadagno, che move ognuno, quanto per la esperienza, detta conclusione fusse vera (cosí come asserisce tutte sue ragioni essere sensate e non aver mai possuto ritrovar contradizione, con molto che si sia faticato), non si saria ingannato nel remedio, e la provisione saria stata espediente e averia prodotto l’effetto. Ma, perché la detta conclusione non è vera, ancorché le ragioni ed esperienza fussero vere, e tanto piú sará falsa quanto la ragione ed esperienza sono false; perciò séquita che il rimedio non sia stato buono e la provisione [p. 179 modifica]né dovea né possea produr l’effetto. Per chiarezza della quale veritá, si discorrerá tanto sopra la ragione quanto sopra l’esperienza: cioè, se essendo vere, provariano la detta conclusione, e dopo se sono vere; perché, per renderla falsa, ci basta una delle cose predette esser falsa, maggiormente se tutte saranno false.

E, incominciando dalla prima, cioè se, essendo vere, provino la conclusione, si formará l’argomento secondo la ragione sua, acciò si conosca e meglio s’intenda, essendo proprio della veritá farsi conoscere con discuterla. Il simile si dice della bugia, quale ordinariamente ha loco quando non si discute e l’intelletto s’appaga della prima apparenza. L’argomento dunque è tale: — L’altezza del cambio porta guadagno a chi vuole portare denari in Regno con cambiarli e non con portarli in contanti. E, perché il fine d’ognuno in tal materia è il guadagno, dunque ognuno, che ará da portare denari in Regno, le portará per cambio e non per contanti. Perciò è vera la conclusione che l’altezza del cambio, quale genera guadagno, non faccia venire denari in Regno in contanti, ma per cambio; e cosí necessariamente séquita che l’altezza del cambio sia causa della penuria di denari in Regno.

Questo argomento par che contenga una veritá chiara e facile e, come egli dice, sensata nella sua prima apparenza; ma, per non ingannarci, bisogna discutere bene le parti e conclusione dell’argomento. E, incominciando dalla conclusione, che è quella: "dunque ognuno portará denari per cambio e non in contanti", dalla quale si fonda l’altra principale: che l’altezza sia causa della penuria, dico che detta conclusione, dato che siano vere le parti dell’argomento e che da quelle seguitasse necessariamente e non contingentemente, include una supposizione necessaria: che o prima del cambio siano venuti li denari in contanti in Regno, o che, se non sono venuti, vi debbano venire, ché altrimenti in conto alcuno si pagariano in Regno. Il qual supposito mentre è vero, la detta ragione o conclusione, ancorché sia vera, non prova altrimenti o conclude l’opinione sua, che l’altezza del cambio sia causa della penuria di moneta in Regno: poiché, o prima vi erano stati portati di contanti, o poco dopo vi debbono venire; e che sia prima o dopo la venuta delli denari, poco e nulla importa [p. 180 modifica]per tale effetto. A questo mi si potria rispondere che non è necessario che prima vi siano venuti detti denari in contanti, né che vi debbano venire dopo, ché per gl’intendimenti fra mercanti uno cambiará all’altro, sí che sempre gireranno in cambio, senza mai venire in contanti, o pure ve li averá in Regno senza averli fatto venire, e cosa simile. Questa replica tiene il medesimo modo d’ingannare con l’apparenza prima, per lo che non osta alla risposta predetta. Poiché, se quello che cambiò li denari, o esso o altri prima non li avessero inviati di contanti in Regno, o dopo non ce li inviassero, ma dovessero ritornare per cambio e cosí girare, per alcun tempo potria questo soccedere, e dopo di necessitá venirvi di contanti, e con avantaggio: ché, volendo dire che debba procedere per sempre, saria dare un progresso in infinito senza fondamento. Che non può cadere maggior errore nell’intelletto, ancorché fusse per li denari di un anno solo; ma, continuandosi anno per anno, lascio considerare, a chi neanco l’intende, la falsitá che contiene detta replica e impossibilitá. E, se si dicesse che ce li ará esso o altri prima in Regno senza che ce li abbia inviato in contanti, in tal caso non al cambio alto si ha da attribuire che non vengano denari in Regno, ma all’altra causa che vi ha fatto avere li denari. E, per far meglio intendere questa veritá, a che forse non prevale tanto il discorso, si metterá l’esempio.

Diversi cittadini o forastieri vogliono estraere le robbe che ogn’anno si estraeno da Regno, quale, secondo il detto De Santis arrivano a milioni sei l’anno; e, dedutte le robbe che vengono da fuora che bisognano al Regno, e l’entrate che vi han forastieri, restariano milioni cinque meno ducati ducentomilia, secondo lui. Essendo il cambio alto, per il guadagno poco o molto, questi, che vogliono comprarle, cambiano questi denari con diversi mercanti in Regno, quali pagheranno questi denari delli medesimi denari di Regno che essi vi hanno; e cosí si estrae la robba senza venirci contanti, stante il cambio. E li mercanti, che aranno pagato, ritornaranno a cambiare di mano in mano; e cosí non verranno mai denari in Regno. Questo è tutto quello che si potria dire per voler sostentare che li denari pagati in [p. 181 modifica]Regno dal mercante, al quale fûrno cambiati, se non vi erano prima inviati di contanti, non vi debbano venire.

Che questo sia falso, domando: questo mercante, che paga questi denari in Regno, o è cittadino, o è forastiero? Se sará forastiero, domando: con che denari paga questo cambio? Se ve li ha portati prima, ho il mio intento che vi erano prima portati in contanti. Se ve li ha, perché tiene entrate in Regno o guadagna con l’industrie, a quelle si deve attribuire perché non vengono denari in Regno e alla poca diligenzia dell’abitatori, come si è detto nella prima parte, e non al cambio alto: poiché con quelle entrate e guadagno d’industrie può estraere le robbe senza farvi venire denari, né con cambio né in contanti.

E, se si dicesse che questo mercante vi ha questi denari ché ve li portò cambiati, per la medesima ragione si regetta questa replica, perché si ha da vedere colui, che pagò questi denari cambiati, donde gli avea, ché bisogna l’avesse del modo predetto. E, se si vol far progresso, ultimamente si ha da venire a quel fine: o che li denari vi siano prima venuti, o che ve li abbia per le medesime strade.

Se il mercante sará del medesimo Regno, come pagará questi denari, se prima quello non ce li ha inviati? E, se si dice che ce li ará inviati per cambio, si risponde come prima. E, se si dicesse perché li voglia avere credito per lettere avute da altri, o conti che tengono, o ché cosí li piace, questo credito non durerá eterno, che non voglia li denari suoi e con maggior vantaggio. E, se si dicesse che li pigliará a cambio da altri, e li fará pagare lá o altra parte, la medesima ragione gli osta: ché quello, che gli li dá, li ritornará a avere, si è di Regno; se è forastiero, bisogna ritrovare come gli avea, lo che si è risoluto a pieno di sopra. Se si dicesse che si pagaranno per robbe necessarie al Regno altrove e cosí non verranno, di questo non si deve mai fare introito, ma esito, cosí come esso fa; ché per quella parte, che bisogna al Regno di robbe da fuora, è necessario contraporre l’introito, e a questo bisogno di robbe attribuire la causa della penuria della moneta e non alla altezza del cambio. E, se si volesse perfidiare che tornará a cambiare per altre parti, e da lá [p. 182 modifica]si gireranno, questo può procedere per alcun tempo, ché dopo bisogna ritornare donde sono usciti e con vantaggio, come si è detto. Ché, volendo dire che sempre volessero girare, mi pare una cosa ridicola, e, come si è detto, dare un progresso in infinito; tanto piú quantitá simile di cinque o sei milioni l’anno, e non solo d’un anno o doi, ma insin a dieci e quindeci, e al presente sariano li venti o ventidoi: e li patroni reali non li avessero mai, e andassero girando per l’aria e cinquanta e cento milioni, e li patroni non volessero mai possedere, né meno vedere li denari.

Di piú, se questo fusse vero, seguitaria che gli uomini di Regno al presente avriano da essigere da’ forastieri in questi venti anni soli da cento milioni, giaché, essendo venuti ogn’anno li milioni cinque almeno per le robbe che si estraeno fuora per cambio, tanto se li mercanti che han pagato qua il cambio sono di Regno, quanto se son di fuora, per spettare ultimamente li denari di dette robbe agli uomini di Regno, secondo il conto che fa il detto De Santis; — e si sa pure quante e quante volte per la estrema penuria di denari si è cercato modo e via da chi governa, banchi, mercanti forastieri e di Regno di posser far venire denari in Regno, non dico le somme di simili quantitá o decima parte, ma né di centesima, ed esser stato bisogno pigliarli a cambio, per posserne far venire una minima quantitá: — che se fusse vero quel che si è imaginato, avria dilluviato il denaro in simile bisogno. E a questa girandola, che bisognaria che mai finisse, contradice l’altra ragione da lui addotta della estrazione di denari in contanti per fuora Regno, per il cambio alto che vi è, per la medesima ragione del guadagno, tanto a rispetto delle mercanzie che si portano in Regno da fuora, quanto a rispetto del guadagno che, secondo lui, vi è nella estrazione di contanti, per farli dopo ritornare per cambio, per guadagnarvi in meno d’un mese piú di diece per cento: se dunque questa ragione è vera, colui che ha pagato il cambio vorrá li denari suoi in contanti per fare il detto guadagno cosí certo. Né mi si dica che li remetterá a altri e li fará cambiare per Napoli, e cosí gli ará di contanti senza venirvi, con il guadagno del cambio ancora, e rifará il danno. Perché, a rispetto di averli per cambio [p. 183 modifica]senza esservi portati, come si è detto, gli osta la medesima ragione; e, a rispetto del resarcimento del danno, è una pazzia cambiare il certo con l’incerto, e al guadagno incerto del cambio vi si ha da contraporre il danno certo del remettere; né mai ará il guadagno, cambiando per altra parte e ricambiando per Napoli, come avria estraendo la moneta, essendo vera la sua ragione. E l’istessa ragione declara non esser vero l’altro assunto, che l’altezza del cambio fa uscire denari dal Regno in contanti per ritornarli per cambio, per guadagnarvi in men d’un mese diece per cento: perché, come si è detto, bisogna che vi siano portati prima in contanti, mentre si ha da pagare il cambio, e questa estrazione saria causa di aver fatto o far venire maggior contanti in Regno. Dell’altra conclusione, che l’altezza predetta faccia uscire in contanti e non in cambio li denari per le mercanzie che vengono da fuora in Regno, se ne parlerá appresso. Sí che per le ragioni predette si conclude non esser vera la sua conclusione maggiore, che l’altezza del cambio sia causa della penuria della moneta in Regno, ancorché fusse vera l’altra conclusione, che per lo guadagno di detta altezza ognun cambiasse e non portasse di contanti in Regno per le robbe che se ne hanno da estraere, mentre o prima di necessitá vi erano venuti o vi han da venire. E, si bene si potriano portare piú repliche e risposte, quanto si è detto è soverchio. E si è detto tanto, per esser stato accettato uno errore per veritá chiara; e, per togliere questa impressione dall’intelletto, piú d’una ragione è stata necessaria.