Canti di Castelvecchio/Canti di Castelvecchio/Il nido di “farlotti„
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Canti di Castelvecchio - Un ricordo | Canti di Castelvecchio - Il sogno della vergine | ► |
IL NIDO DI “FARLOTTI„
Tra gli autunnali giorni ricorre
al mio pensiero sempre quel giorno,
che dal palazzo, dalla gran Torre,
facemmo un tanto mesto ritorno:
ritorno tanto mesto, sebbene
fosse alla bianca nostra Casina
che aveva ai piedi tante verbene
e su pei muri tanta cedrina;
dov’era, dietro siepi riquadre
di biancospino, dietro un cancello
verde, ciò ch’era della mia madre,
nostro, ma poco; poco, ma bello.
Io non credeva, fuori che in sogno,
fossero altrove gigli e giaggioli,
e il dolce odore del catalogno
e gli agri pomi de’ lazzeruoli;
e ch’altro al mondo fosse che il troppo,
dopo le canne fitte dell’orto
e la mimosa, ch’è morta, e il pioppo,
ch’è morto, e l’alto cedro, ch’è morto.
Oh! sì, com’era mesto il ritorno,
e sì, la sera com’era mesta,
ben ch’in San Mauro fosse, quel giorno,
un’argentina romba di festa!
Ma morto il babbo da più d’un mese,
non c’era posto per i suoi nati
più, nella Torre, sì che al paese
ritornavamo come scacciati.
Noi s’era in otto, nove con essa,
nella carrozza, piccoli, stretti
a lei che stava bianca e dimessa
tra lo scoppiare dei mortaretti;
che si vedeva pallida e magra
tra il rintoccare delle campane.
Noi si tornava per una sagra
senza più padre senza più pane.
E disse un uomo; disse: e l’udiva
ella e ne pianse le lunghe notti
e ne fu trista fin che fu viva,
un anno: — Un nido, ve’, di farlotti! -
Verlette, quando v’odo cantare,
nunzie che il caldo viene e la state,
nelle mattine tacite e chiare,
nelle opaline lunghe serate;
Oh! — - dico - il nido fatto tra i rovi,
il vostro nido messo tra il rusco,
oh! che il villano non ve lo trovi,
il molle nido pieno di musco!
che rozzo è fuori, radiche e stecchi,
ma dentro è tutto lana e lichene,
dove d’un solo tratto sei becchi
s’aprono a un solo grillo che viene!
viene nel becco vostro, che intanto
state sur una vetta vicina
spiando il cibo raro e col canto
cullando il nido ch’è tra le spine!
Oh! voi non, mentre gettate il grido
che salva gli altri, predi l’astore;
nè il bruco e il grillo manchi nel nido,
nè il calduccino di sotto il cuore!
E quando viene Santa Maria
che rende all’uomo l’arma sua lunga,
oh! la covata vostra già sia
buona a volare; ch’e’ non vi giunga!
Siano volastri per mezzo Agosto,
nè con la mano l’uomo li pigli
dopo un voletto, poco discosto
dal nido... come, madre, i tuoi figli!
E come, o madre, quella parola
ti si confisse tanto nel petto,
che assomigliava la famigliuola
tua nuda a quella d’un uccelletto?
O madre! o madre! non era vero?
non eran ali dunque le tue?
non anche prese te lo sparviero
lasciando il nido senza voi due?
prima con otto bocche, poi sette,
sei, cinque... aperte sempre al tuo volo,
aperte invano... sì, di verlette:
nido fra i duri triboli solo.
Tra quei che il falco non ghermì poi,
o l’uomo vile, madre mia santa,
tra quei farlotti piccoli tuoi,
uno non vola dunque? non canta?
non era vero vero? le prime
arie non canta, semplici e tristi?
non vola, in alto, poi dalle cime
scende là dove tu gli sparisti?