Catechismo del concilio di Trento/Parte I/Articolo 2

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Parte I, Articolo 2: E in Gesù Cristo, suo unico figliolo, nostro Signore

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Parte I, Articolo 2: E in Gesù Cristo, suo unico figliolo, nostro Signore
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32 Utilità dell'articolo

Quanto mirabile e ricco vantaggio si sia riversato su tutto il genere umano dalla fede e dalla confessione di questo articolo lo mostrano da una parte la testimonianza di san Giovanni: "Chi professerà che Gesù è Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio" (1 Gv 4,15); dall'altra quell'attestato di beatitudine, elargito da nostro Signore al principe degli Apostoli: "Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non te l'ha rivelato la carne e il sangue, ma il Padre mio che è nei cieli" (Mt 16,17). Qui sta il fondamento più saldo della nostra salvezza e redenzione. Ma per intenderne appieno le ripercussioni benefiche, occorre insistere specialmente sulla perdita di quel felicissimo stato, in cui Dio aveva collocato i primi rappresentanti del genere umano. Curi perciò il parroco che i fedeli vengano a conoscere la causa delle nostre misere condizioni.


33 La caduta dell'uomo

Adamo mancò all'obbedienza verso Dio con il trasgredirne il comando: "Mangerai i frutti di qualsiasi albero del paradiso, ma non toccherai quelli dell'albero della scienza del bene e del male, poiché il giorno in cui li toccherai ne morrai" (Gn 2,16.17). Cadde perciò in tanta disgrazia da perdere senz'altro la santità e la giustizia in cui era stato posto e da subire tutti quegli altri malanni che il Concilio Tridentino spiegò ampiamente (sess. 5, can. 1, 2; sess. 6, can. 1). Ricorderanno i pastori che il peccato e la sua pena non sono rimasti circoscritti al solo Adamo, ma da lui, seme e causa, si sono naturalmente propagati a tutta la posterità.


34 Necessità della fede nel Redentore

Risollevare il genere umano precipitato dall'altissimo grado di dignità, ricondurlo al suo primiero stato, non era impresa proporzionata alle forze degli uomini o degli angeli. L'unico rimedio possibile alla rovina e ai mali era che l'infinita virtù del Figlio di Dio, assunta la fragilità della nostra carne, cancellasse l'infinita malizia del peccato e a Dio ci riconciliasse a prezzo del suo sangue.

Credere e professare il mistero della redenzione è e fu sempre per gli uomini necessario al conseguimento della salvezza; per questo Dio l'annunzio fin dall'inizio. Cosi, nell'atto stesso di condanna, scagliato sull'uman genere subito dopo il peccato, fu indicata la speranza della redenzione nelle parole con cui preannunziò al demonio la sconfitta, a cui l'avrebbe costretto con la liberazione degli uomini: "Porrò inimicizia fra te e la donna, tra il tuo e il suo seme; essa ti schiaccerà il capo e tu insidierai il suo tallone" (Gn 3,15). Più tardi confermò ripetute volte la medesima promessa, manifestando il proprio disegno in una maniera più esplicita, soprattutto a coloro cui volle dar prova di singolare benevolenza. Tale mistero fu spesso accennato, fra gli altri, al patriarca Abramo e in modo apertissimo quando egli, docile ai comandi di Dio, stette per immolare l'unico suo figlio Isacco. Disse infatti: "Poiché hai fatto ciò, non risparmiando il tuo unigenito, ti benedirò e moltiplicherò la tua progenie come le stelle del cielo e l'arena innumerevole sulla sponda del mare. Possederà essa le porte dei tuoi nemici; nel seme tuo saranno benedette tutte le genti della terra, perché obbedisti alla mia voce" (Gn 22,16-18), dalle quali parole era naturale ricavare che dalla progenie di Abramo sarebbe uscito colui che doveva donare la salvezza a tutti gli affrancati dal giogo immane di Satana. Ora il liberatore non poteva essere altri che il Figlio di Dio, uscito dalla progenie di Abramo, secondo la carne.

Poco più tardi, perché il ricordo della promessa fosse conservato, il Signore strinse il medesimo patto con Giacobbe, nipote di Abramo. Nel sogno gli apparve infatti una scala poggiata sulla terra e toccante con l'apice i cieli, e sulla scala vide gli angeli di Dio scendere e salire, come narra la Scrittura. E udì il Signore, dal sommo della scala, dirgli: "Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, il Dio di Isacco; darò la terra su cui dormi a te e alla tua posterità, numerosa come la polvere della terra. Ti propagherai a oriente e a occidente, a settentrione e a mezzogiorno; saranno benedette in te e nella tua semenza tutte le tribù della terra" (Gn 28,12-14).

Dio non ristette poi dal rinnovare la promessa, suscitando il senso dell'attesa tra i discendenti di Abramo e tra molti altri ancora. Anzi, bene organizzatasi la società e la religione dei Giudei, essa divenne anche più nota in mezzo al popolo. Molte furono le figure e molte le profezie delle grandi cose buone che il salvatore e redentore nostro Cristo ci avrebbe arrecato. In particolare i Profeti, il cui spirito era illuminato da luce celeste, apertamente, quasi vi fossero presenti, preannunziarono al popolo la nascita del Figlio di Dio, le opere ammirabili che, fatto uomo, avrebbe compiuto, la sua dottrina, i costumi, la sua vita, la morte, la risurrezione e tutti gli altri suoi misteri. Sicché, se prescindiamo dalla diversità, che è tra futuro e passato, vediamo che nessuna divergenza sussiste tra le predizioni dei profeti e la predicazione degli Apostoli, tra la fede dei vecchi Patriarchi e la nostra. Spieghiamo ora tutte le parti di questo articolo.


35 Il nome di Gesù, imposto per divino comando, è ben appropriato al Redentore

IN GESÙ CRISTO. Gesù, che significa "salvatore", è il nome proprio di colui che è Dio e uomo. Non gli fu imposto a caso o per volontà e decisione umana, bensì per decisione e comando di Dio. Infatti l'angelo annunciò alla madre di lui. Maria: "Ecco, concepirai nel seno e partorirai un figlio, al quale porrai nome Gesù" (Le 1,31). E più tardi non solo comandò a Giuseppe, sposo della Vergine, di chiamare il bambino con quel nome, ma ne addusse anche la ragione, dicendo: "Giuseppe, figlio di David, non esitare a prender Maria in tua consorte; poiché quel ch'è nato in lei, è da Spirito Santo. Partorirà un figliolo, cui porrai nome Gesù; perché egli libererà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,20-21).

Molti personaggi veramente portano nella Sacra Scrittura questo nome: per esempio il figlio di Nave, che successe a Mosè e, cosa a questo negata, introdusse nella terra promessa il popolo liberato da lui dall'Egitto; e il figlio del gran sacerdote losedech. Ma con quanta maggiore verità non troviamo noi che esso conviene al nostro Salvatore. Egli infatti conferì la luce, la libertà, la salvezza non a un popolo, ma all'umanità di tutti i tempi; umanità non già oppressa dalla fame o dal dominio egiziano o babilonese, bensì sperduta nell'ombra della morte, gemente nei durissimi ceppi del peccato e del diavolo; guadagnò per lei il diritto ereditario al regno celeste e la riconciliò con Dio Padre.

In quei personaggi dobbiamo scorgere raffigurato Cristo Signore, dal quale il genere umano fu ricolmato dei doni mentovati. Tutti i nomi del resto, che furono preannunziati come riferiti, per disposizione divina, al Figlio di Dio, si riassumono in quest'unico nome di Gesù; poiché mentre essi esprimono, ciascuno sotto un parziale punto di vista, la salvezza che egli ci doveva impartire, questo abbraccia l'efficacia e la ragione della universale salvezza umana.


36 Gesù Cristo re, sacerdote, profeta

Al nome di Gesù è stato accoppiato quello di Cristo, che significa "Unto" ed è titolo di onore e di ministero, riservato però non a uno solo, ma a diversi uffici, perché gli antichi Padri chiamavano cristi i sacerdoti e i re che Dio aveva comandato di ungere, in vista della dignità del loro ufficio. In realtà i sacerdoti sono coloro che raccomandano a Dio, con l'assidua preghiera, il popolo, offrono a Dio sacrifici, implorano per la gente. Ai re poi è affidato il governo dei popoli; a essi spetta soprattutto tutelare il prestigio delle leggi e la vita degli innocenti, vendicare l'audacia dei perversi. Ora poiché tali funzioni sembrano rispecchiare sulla terra la maestà di Dio, era naturale che i candidati all'ufficio sacerdotale o regale fossero unti con unguento. Fu anche antica consuetudine ungere i Profeti, interpreti di Dio immortale, araldi fra gli uomini dei celesti segreti, esortatori efficaci alla correzione dei costumi, per mezzo di precetti e di previsioni.

Venendo al mondo, il nostro salvatore Gesù Cristo assunse l'ufficio della triplice personalità di profeta, di sacerdote e di re; per questo è stato chiamato Cristo ed è stato unto, allo scopo di assolvere il molteplice compito, non per le mani di alcun mortale, ma per virtù del Padre celeste: non con unguento terreno, ma con olio spirituale. Nella sua santissima anima infatti fu versata una pienezza di doni dello Spirito Santo, più ricca e generosa di quella che alcuna natura creata possa ospitare. Lo aveva mirabilmente annunciato il profeta, rivolgendosi direttamente al Redentore: "Tu hai amato la giustizia e odiato l'iniquità; perciò il Signore, tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia sopra i tuoi compagni" (Sai 44,8). E anche più esplicitamente l'aveva mostrato Isaia: "Lo Spirito del Signore è sopra di me, avendomi unto e mandato a evangelizzare i mansueti" (Is 61,1).

Gesù Cristo fu dunque il profeta e il maestro per eccellenza, poiché ci fece manifesta la volontà di Dio e dal suo insegnamento il mondo intero attinse la conoscenza del Padre celeste. Tale qualifica gli conviene tanto più propriamente, in quanto tutti coloro che meritarono il nome di Profeti furono suoi discepoli, inviati con il precipuo scopo di annunziare lui, il profeta che sarebbe venuto per la salvezza di tutti.

Parimenti Cristo fu sacerdote, non di quell'ordine sacerdotale cui appartennero nell'antica legge i sacerdoti della tribù di Levi, ma di quello cantato da David con le parole: "Tu sei sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedech" (Sal 109,4); concetto accuratamente spiegato dall'Apostolo nella lettera agli Ebrei. Infine in Cristo riconosciamo un re, non solo in quanto Dio, ma anche in quanto uomo e partecipe della nostra natura, avendo di lui dichiarato l'angelo: "Regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe e il suo regno non conoscerà tramonto" (Le l,32s). Il regno di Cristo però è spirituale ed eterno: iniziato sulla terra, si corona in cielo. Egli esercita mirabilmente le prerogative regali nella Chiesa governandola, proteggendola dall'impeto e dalle imboscate dei nemici, imponendole leggi e non solo elargendole santità e giustizia, ma dandole capacità e forza sufficiente per perseverare. Sebbene nei confini di tal regno siano promiscuamente compresi buoni e cattivi e quindi tutti gli uomini a rigore vi appartengano, tuttavia coloro che, uniformandosi ai suoi precetti, conducono vita integra e pura, sperimentano sopra ogni altro l'esimia bontà e beneficenza del nostro Re. Tale regno non toccò a Gesù Cristo per essere rampollo di illustri sovrani, in virtù di un diritto ereditario o comunque umano: egli fu re perché nella sua umanità Dio concentrò quanto la natura umana può possedere di potenza, di grandezza, di dignità. Con ciò stesso Dio gli conferì il regno del mondo intero e tutto nel dì del giudizio sarà pienamente e perfettamente sottoposto a lui, come già del resto si comincia a vedere nella vita presente.

37 Gesù Cristo è Figlio di Dio per generazione ineffabile

Suo UNICO FIGLIOLO. Queste parole propongono alla fede e alla meditazione dei cristiani misteri anche più alti intorno a Gesù e precisamente che egli è Figlio di Dio e vero Dio, uguale al Padre, che lo generò fin dall'eternità. Inoltre riconosciamo così che egli è la seconda Persona della Trinità, del tutto uguale alle altre due. Non si può infatti immaginare qualcosa di vario e di dissimile nelle Persone divine, avendo m tutte ammesso la stessa essenza, volontà e potenza. Questo articolo di fede risulta da molti tratti biblici, ma soprattutto dal celeberrimo testo di san Giovanni: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio" (Gv 1,1).

Sentendo che Gesù è Figlio di Dio, non dobbiamo ricorrere con il pensiero a una origine che implichi qualche elemento terreno o mortale. Noi non possiamo cogliere con la ragione e compiutamente comprendere l'atto mediante il quale, da tutta l'eternità, il Padre generò il Figlio; però lo dobbiamo credere con fermezza e venerare con il più intimo ossequio del cuore, esclamando, stupiti avanti al mirabile mistero, con il Profeta: "Chi spiegherà la sua generazione?" (Is 53,8). Dobbiamo dunque ritenere che il Figlio possiede la medesima natura, potenza e sapienza del Padre, come confessiamo più apertamente nel Simbolo niceno: "In Gesù Cristo suo unico Figliolo, nato dal Padre prima di tutti i secoli; Dio da Dio, luce da luce, vero Dio da vero Dio; generato, non fatto, consustanziale al Padre; per mezzo di lui tutto è stato fatto".


38 Duplice natività e filiazione di Gesù Cristo

Tra le diverse similitudini presentate per adombrare la maniera e la natura della generazione eterna, la più felice è quella ricavata dalla genesi del pensiero umano. San Giovanni appunto chiama Verbo il Figlio di Dio. Infatti, come la nostra mente, intuendo in certo modo se stessa, foggia un'immagine di sé, che i teologi chiamano "verbo", così Dio (per quanto è dato paragonare con le realtà umane le divine), comprendendo sé, genera il Verbo eterno. Ma vai meglio arrestarsi a contemplare quel che la fede propone; cioè credere e professare che Gesù Cristo è insieme vero Dio e vero uomo; generato, come Dio, prima dell'alba dei secoli, dal Padre; come uomo, nato nel tempo da Maria, vergine e madre.


39 Gesù Cristo unica Persona e unico Figlio del Padre

Pur riconoscendo la sua duplice generazione, crediamo unico il Figlio, perché è un'unica persona, in cui convergono la natura divina e l'umana. Sotto l'aspetto della generazione divina non ha fratelli o coeredi, perché Figlio unico del Padre; mentre noi uomini siamo opera e formazione delle sue mani. Sotto l'aspetto invece dell'origine umana, egli non solo chiama molti con il nome di fratelli, ma anche li tratta come tali, affinché con lui raggiungano la gloria dell'eredità paterna. Son coloro che ricevettero con fede Gesù Cristo Signore e manifestano in pratica, con le opere di carità, la fede oralmente professata. In questo senso egli fu chiamato dall'Apostolo: "Primogenito fra una moltitudine di fratelli" (Rm 8,29).


40 Gesù Cristo è nostro Signore secondo le due nature

NOSTRO SIGNORE. Le Sacre Scritture attribuiscono al Salvatore molteplici qualità, di cui alcune chiaramente gli spettano come Dio, altre come uomo, avendo egli in sé, con la duplice natura, le proprietà rispettive. Rettamente dunque dicevamo che Gesù Cristo, per la sua natura divina, è onnipotente, eterno, immenso; mentre per la sua natura umana, diciamo che ha patito, è morto, è risorto. Ma, oltre questi, altri attributi convengono a entrambe le nature, come quando, in questo articolo, lo diciamo nostro Signore; a buon diritto del resto, potendosi riferire tale qualifica all'una e all'altra natura.

Infatti egli è Dio eterno come il Padre; così pure è Signore di tutte le cose quanto il Padre. E come egli e il Padre non sono due distinti dei, ma assolutamente lo stesso Dio, così non sono due Signori distinti. Ma anche come uomo, per molte ragioni è chiamato Signore nostro. Anzitutto perché fu nostro Redentore e ci liberò dai nostri peccati, giustamente ricevette la potestà di essere vero nostro Signore e meritarne il nome. Insegna infatti l'Apostolo: "Si umiliò, fattosi ubbidiente fino alla morte e morte di croce; perciò Dio lo ha esaltato, conferendogli un nome, che è sopra ogni altro, onde al nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, in terra, nell'inferno; e ogni lingua proclami che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre" (Fil 2,8-11 ). Egli stesso disse di sé dopo la risurrezione: "Mi è stato conferito ogni potere in cielo e sulla terra" (Mt 28,18). Inoltre è chiamato Signore per aver riunito in una sola Persona due nature, la divina e l'umana. Per questa mirabile unione meritò, anche senza morire per noi, d'essere costituito quale Signore, sovrano di tutte le creature in genere e specialmente dei fedeli che gli obbediscono e lo servono con intimo affetto.


41 Quanto il cristiano debba a Gesù Cristo

Infine il parroco esorterà il popolo fedele a riconoscere quanto sia giusto che noi, sopra tutti gli uomini - avendo tratto da lui il nome di cristiani e non potendo ignorare gli immensi benefici di cui ci ha ricolmato, anche perché la sua bontà ce li fece conoscere per fede - ci consacriamo per sempre come servi docili al Redentore e Signor nostro. Promettemmo di farlo quando l'iniziazione battesimale ci schiuse le porte della Chiesa. Dichiarammo allora di rinunciare a Satana e al mondo e di donarci tutti a Gesù Cristo. Se dunque per essere introdotti nella milizia cristiana ci consacrammo a nostro Signore con sì santa e solenne promessa, di qual supplizio non saremo meritevoli, se dopo aver passato la soglia della Chiesa, dopo aver conosciuto la volontà e la legge di Dio e aver usufruito della grazia dei sacramenti, vivessimo secondo le prescrizioni e le massime del mondo e del diavolo, quasi che nell'atto del battesimo, non a Cristo Signore e Redentore avessimo dato il nostro nome, ma al mondo e a Satana? Ma in quale anima non accenderà fuochi di amore la volontà di così grande Signore, tanto benigna e propizia verso di noi, che, pur avendoci in suo completo potere, quali servi riscattati con il suo sangue, ci circonda di così profondo amore che non ci chiama servi, ma amici e fratelli? (Gv 15,15). Questa, senza dubbio, è la causa più giusta, e forse la maggiore, per riconoscerlo, venerarlo, servirlo sempre come nostro Signore.