Chi l'ha detto?/Parte prima/18

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§ 18. Contentarsi della propria sorte

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§ 18. Contentarsi della propria sorte
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§ 18.



Contentarsi della propria sorte





Il pensiero migliore che su questo soggetto abbiano espresso i filosofi antichi, è la sentenza di Manilio (Astronomicon, lib. 4, v. 22):

268.    Sors est sua cuique ferenda.1

che ben tradusse l’abate Pietro Metastasio in uno dei suoi melodrammi:

269.                Debbono i saggi
Adattarsi alla sorte.

(Temistocle, a. I, sc. 1).

Tutti, almeno a parole, vantano quella

270.           Aurea mediocritas.2

cantata da Orazio (Odi, lib. II, od. 10, v. 5-6) nei versi:

Auream quisquis mediocritatem
Diligit....

e consigliano anzi (è così facile di consigliare in causa altrui!) non solo di contentarsi del poco, ma addirittura di preferire il poco all’assai, raccomandando:

271.           ....Laudato ingentia rura,
      Exiguum colito.3

che Columella (De re rustica, lib. I, 3, 8) chiamò præclara nostri poetæ sententia, e che secondo Servio era stata detta pare da M. P. Catone nel trattato dell’agricoltura, ch’egli compose per il figlio. [p. 74 modifica]Altri raccomandano di cansare onori, fama ecc. e di vivere felice in una onesta oscurità:

272.            Bene qui latuit, bene vixit.4

(Ovidio, Tristium, lib. III, el. 4, v. 25).

o, come disse Orazio (Epist., lib. I, ep. 17, 10):

Nec vixit male qui natus moriensque fefellit

L’uno e l’altro ispirandosi certamente alla greca sentenza: Λάθε βιώσας, che vuolsi di Epicuro. Ma in fondo all’ammonimento di codesti poeti pagani, c’era il senso egoistico che l’oscurità della vita salvasse dal morso dell’invidia. Invece l’abnegazione ascetica del medio evo doveva trovare la sua formula nell’

273.                     Ama nesciri.5

che deriva indubbiamente dal testo dell’Imitazione di Cristo (lib. I, cap. 2, v. 15): «Si vis utiliter alta scire et discere, ama nesciri et pro nihilo reputari». Anche sul sepolcro del Generale Grabinski nella Certosa di Bologna si legge: amabat nesciri.

Ma in fondo che avrebbero detto questi poeti se li avessimo presi in parola? Che pochi poi, troppo pochi, ne seguissero i consigli, mostravano di accorgersi essi pure; donde la famosa interrogazione:

274.   Qui fit, Mæcenas, ut nemo, quam sibi sortem
Seu ratio dederit, seu fors objecerit, illa
Contentus vivat, laudet diversa sequentes?6

che sono i primi versi della prima Satira di Orazio.

  1. 268.   Ciascuno ha da sopportare pazientemente la sua sorte.
  2. 270.   Aurea mediocrità.
  3. 271.   Loda i grandi poderi, ma coltivane uno piccolo.
  4. 272.   Bene visse chi seppe vivere nella oscurità.
  5. 273.   Ama di non essere conosciuto.
  6. 274.   Come succede, o Mecenate, che nessuno viva contento di quella condizione ch’egli stesso si scelse o che il caso gli dette, e invidii invece coloro che le altre abbracciarono?