Chi l'ha detto?/Parte prima/30

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§ 30. Felicità, infelicità

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§ 30.



Felicità, infelicità





Che cosa è la felicità? Fra le tante definizioni scegliamo quella di un umanista francese moderno:

495.   Des malheurs évités le bonheur se compose.1

«Il s’explique par un beau distique que je fis autrefois, — et dont je n’ai gardé que le premier vers, parce que le second renfermait des longueurs:

Des malheurs évités le bonheur se compose»

(Alph. Karr, Les Guêpes, janvier 1842, ed. Lecon et Blanchard, 1853, II, 305. Vedi anche dello stesso autore: Les femmes, chap. «Une faute de bon sens». Paris, Michel Lévy, 1860, pag. 207).

Se si desse ascolto al poeta Cesareo, infinito sarebbe il numero degli infelici, poichè:

496.        Se a ciascun l’interno affanno
          Si leggesse in fronte scritto,
          Quanti mai che invidia fanno
          Ci farebbero pietà.

(Metastasio, Giuseppe riconosciuto, parte prima).

Nondimeno un acuto pensatore francese ci riconforta, osservando che:

497.   On n’est jamais si heureux, ni si malheureux qu’on s’imagine.2

(La Rochefoucauld, Maximes, § XLIX).
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Piuttosto l’uomo bersagliato dalla fortuna potrà cercare conforto nella fede, e questa non glielo negherà mai, se non altro assicurandolo col Savio che le sventure sono segni dell’affetto del Signore, poichè

498.   Quem enim diligit Dominus, corripit.3

(Proverbi di Salomone, cap. III, v. 12).

Forse anche per questo l’antico filosofo chiamò sacri gl’infelici:

499.   Res est sacra miser.4

(L. Ann. Seneca, Epigr. IV, v. 9; in Opera omnia,
ed. Ruhkopf, Aug. Taur., 1829, vol. IV, p. 492).
Ma la frase si ripete intendendo che il misero ha diritto al rispetto di tutti gli animi gentili.

Per i disgraziati, che bevvero una volta alla tazza della felicità, ma se la videro troppo presto strappata dalle labbra, un seicentista italiano ha un verso famoso:

500.   Appena vidi il Sol che ne fui privo.

che è in un capitolo in terza rima di Luigi Tansillo, scritto per lamentarsi di dover partire e lasciare la donna amata, e di cui la terzina nona dice:

Oh fortuna volubile e leggiera!
   Appena vidi il Sol, che ne fui privo;
   E al cominciar del dì giunse la sera.

Questo capitolo è il XIX tra le Poesie di metro vario, nell’edizioni delle Poesie liriche di L. Tansillo con prefazione e note di E. Fiorentino (Napoli, Morano, 1882), a pag. 167.

Alcuni attribuiscono questo verso, ma a torto, come si vede, a Luigi Groto detto il Cieco d’Adria, il quale, come vuole la leggenda, sarebbe divenuto cieco dopo nove giorni di vita. Ma le parole del Groto non suonano così. Egli nella tragedia Hadriana, così fa dire al Prologo (versi 56-59): [p. 152 modifica]

A l’hora ei [l’autore] si rammarica cercando
     Per qual demerto suo tosto che nacque,
     Veduto a pena il dì, cieco divenne,
     Se innanzi al nascer suo non fe’ peccato.

Dal principio di una famosa tragedia di Schiller:

501.        Die schönen Tage in Aranjuez
          Sind nun zu Ende.5

(Don Karlos Infant von Spanien, atto I, sc. 1, primi versi).

ha origine la frase popolarissima I bei giorni di Aranjuez a ricordare un po’ scherzosamente dei tempi felici dei quali più non resta.... che la memoria. Aranjuez, com’è noto, era luogo di delizie e soggiorno estivo dei re di Spagna, a 49 km. da Madrid.

Dante che di infelicità umana s’intendeva, ha nel suo divino poema quella tremenda terzina:

502.        Per me si va nella città dolente,
          Per me si va nell’eterno dolore,
          Per me si va tra la perduta gente.

che è il principio della paurosa iscrizione sulla porta dell’Inferno: e suo è pure l’altro verso:

503.   Ora incomincian le dolenti note.

Dal nostro teatro tragico e lirico potremmo trarre larghissima mèsse di frasi descrittive delle disgrazie di qualche infelice. Scelgo solo queste:

504.             ..... Havvi tormento al mondo
     Che al mio s’agguagli?

dalla tragedia dell’Alfieri, intitolata Mirra, a. III, sc. 2.
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Poi la meravigliosa romanza di Fernando nell’atto IV, sc. 3 della Favorita:

505.        Spirto gentil — ne’ sogni miei
          Brillasti un dì — ma ti perdei:
          Fuggi dal cor — mentita speme,
          Larve d’amor — fuggite insieme.

(La Favorita, melodramma di A. Royer e Gustavo Waez, trad. dal franc. di F. Jannetti, mus. di Donizetti).
Chi non l’ha udita dalla divina voce del tenore spagnolo Giuliano Gayarre (1844-1890), non seppe che sia sublimità del canto: «io ebbi la fortuna di udirlo - scrive il march. A. Fiaschi ne La Ribalta di Napoli, num. del 15 aprile 1915 — e vi so dire che vi strappava le lagrime e che le dame nei loro palchetti impallidivano dalla emozione».

506.        Andrem, raminghi e poveri,
          Ove il destin ci porta....
          Un pan chiedendo agli uomini
          Andrem di porta in porta....

è un duetto della Luisa Miller, melodramma di Salvatore Cammarano, musica di Verdi (a. III, sc. 2).

Note

  1. 495.   La felicità è composta di disgrazie evitate.
  2. 497.   Non si è mai nè tanto felice nè tanto disgraziato quanto s’immagina.
  3. 498.   Perocchè il Signore corregge quelli che ama.
  4. 499.   Il misero è cosa sacra.
  5. 501.   

    I lieti giorni d’Aranjuèz già vanno
    Al suo termine.

    (Trad. del Maffei)