Chi l'ha detto?/Parte prima/68

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Parte prima - § 68. Saviezza, pazzia

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§ 68.



Saviezza, pazzia





1548.   Infinita è la schiera degli sciocchi.

tale è l’opinione del Petrarca (Trionfo del Tempo, v. 84) e uno scrittore francese così la ridussse nella sua volgar lingua:

1549.   Les sots depuis Adam sont en majorité. 1

(Cas. Delavigne, Epître sur la question: L'étude fait-elle le bonheur dans toutes les situations de la vie?).

Ma questo in fondo riesce a vantaggio dei signori sciocchi, i quali finiscono ad avere la ragione dalla loro e a disporre delle consuetudini, della moda, delle leggi finanche; poichè

1550.   Quand tout le monde a tort, tout le monde a raison. 2

(La Chaussée, La Gouvernante, a. I, sc.3).
ed è in tali occasioni che talvolta succede questo caso assai curioso, che

1551.   Il buon senso c'era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune.

per dirla con le parole usate dal Manzoni (Promessi Sposi, capitolo XXXII) a proposito della peste, degli untori e della «gente savia.... che non era molto persuasa che fosse vero il fatto di quegli unti velenosi.» E ne deriva pure che è atto di saviezza non andare contro corrente, non fare troppo il savio quando tutti sentono del matto, perchè non accada quel che capitò a quell’astronomo, di cui narra piacevolmeute il Gozzi nell’Osservatore [p. 523 modifica]che seppe restar sano di cervello mentre una maligna influenza delle stelle sconvolse la mente a tutti, e ci guadagnò di esser chiuso in un manicomio.

In senso analogo, ma non identico, consigliò uno scettico filosofo francese di cercar sempre di parere meno furbo di quel che si è, poiché:

1552.   C'est une grande habileté que de savoir cacher son habileté. 3

(Maximes de La Rochefoucauld, § CCXLV).

Questo era da dirsi in merito alla pazzia generale, o epidemica che dir si voglia: in quanto alla pazzia individuale, o sporadica, comincerò col citare il notissimo:

1553.   Quem (o Quos) Juppiter (o Deus) vult perdere, dementat prius. 4

Notissimo! sta bene, ma chi l'ha detto? questa poi è un'altra questione. Brunetière nella prefazione del Manuel de l'histoire de la littérature française dichiarava modestamente: «Et je me suis mis à.... plusieurs, pour ne pas réussir à savoir d’où vient l'adage Quos vult etc.»; mentre fin dal 1771 il Gentlemen's Magazine ne faceva una pubblica interrogazione cui nessuno dava risposta soddisfacente. Certo è che nessuno dei poeti latini dell’età felice scrisse questo verso, più o meno armonioso; Vellejo Patercolo (lib. II, cap. 57 e 118) disse qualcosa di simile, ma in prosa: Ita res se habet, ut plerumque qui fortunam mutaturus est consilia corrumpat, ed ugualmente Publilio Siro (Mimi, ed. Ribbeck, n. 490): Stultum facit Fortuna, quem vult perdere e così altri classici espressero in altra forma lo stesso pensiero. Il prof. S. Chabert che in un erudito studio «Juppiter dementat» nella Revue des Études Anciennes di Bordeaux, to. XX, n. 3 (juillet-septembre 1918, pag. 141-163) espone le sue inte[p. 524 modifica]ressanti ricerche sull’origine, le forme antiche e le versioni moderne di questo verso, crede di poter supporre con qualche fondamento che il verso stesso nella sua forma attuale sia stato creato per qualche opuscolo di polemica politica stampato in Inghilterra (a Cambridge o a Londra) fra il 1626 e il 1647 e sia divenuto subito famoso poiché lo si trova citato in forma imprecisa (Perdere quos vult Deus dementat) dal teologo John Lightfoot, di Cambridge, nell’opera Harmony, Chronicle and Order of the Old Testament (Londra, 1647), a pag. 69; e nella lezione esatta, da un altro professore di Cambridge, James Duport, nella Homeri Gnomologia (Cambridge, 1660).

1554.   Quæ te dementia cepit?5

dice Virgilio nelle Egloghe (II, v. 69), e con lui potremo dirlo a chi dia segno di non essere più bene in cervello, ossia di

1555.   Aver perduto il ben dell'intelletto.

La quale è frase che deriva dalla terzina dantesca:

Noi sem venuti al luogo ov’io t’ho detto
     Che tu vedrai le genti dolorose
     C’hanno perduto il ben dello intelletto.

(Dante, Inferno, c. III. v. 16-18).

Ma il ben dell’intelletto, nella filosofia dantesca, è la cognizione e l'intuizione di Dio (cfr. Petr. Lomb., lib. V, dist. 49 A; Thom. Aquin. Summ. theol., P. III, suppl., qu. XCII, art. 1. 2, 3; Vang. di S. Giov., cap. XVII, v. 3; e Dante stesso nel Convivio, II, 14: «Il Vero è il Bene dello intelletto»; quindi la locuzione, quale oggi scherzosamente si adopra, è addirittura travisata dal concetto originario.

A chi nella propria debolezza di mente trova ragione per fare più rumore che non conviene, susurrate in un orecchio i versi del Giusti:

1556.   Le teste di legno
Fan sempre del chiasso.

(Il re Travicello, str. 2).
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Tuttavia, ecco qua due pensieri del Duca de La Rochefoucauld, dai quali parrebbe resultare che a tempo e luogo un granellin di pazzia non guasta: ed io credo eh' egli non abbia tutti i torti.

1557.   Qui vit sans folie n’est pas si sage qu’il croit. 6

(Maximes de La Rochefoucauld, § CCIX).

1558.   Il arrive quelquefois des accidents dans la vie, d’où il faut être un peu fou, pour se bien tirer.7

(Ivi, § CCX).
e del resto tutti sanno esser sentenza antica e trita che

1559.   Semel in anno licet insanire.8

sentenza la quale in questa forma precisa, divenuta proverbiale nel medio evo, non si trova in nessun classico autore; ma non molto diversamente scrisse Seneca là dove parla delle annuali feste egiziane di Osiride nel dialogo De Superstitione, oggi smarrito, ma di cui S. Agostino ci ha conservato questo passo nel libro De civiiate Dei, VI, 10: «Huic tamen furori certum tempus est. Tolerabile est semel anno insanire.» E lo stesso Seneca nel trattato De tranquillitate animi, XV, 10: «Nam sive Gracco poetae credimus, aliquando et insanire jucundum est»; e il poeta greco cui Seneca si riferisce è Menandro (frag. 321, ed. Koch). Confronta pure il verso di Orazio:

1560.   Dulce est desipere in loco.9

(Carmina, lib. IV, od. XIII, v. 28).



Note

  1. 1549.   Gli sciocchi dal tempo di Adamo in poi sono la maggioranza!
  2. 1550.   Quando tutti hanno torto, tutti hanno ragione.
  3. 1552.   È una grande abilità quella di saper nascondere la propria abilità.
  4. 1553.   Giove (o Dio) toglie il senno a colui (o a coloro) ch'egli vuol mandare in perdizione.
  5. 1554.   Quale pazzia ti prese?
  6. 1557.   Chi vive senza far mai pazzie non è tanto savio quanto si crede.
  7. 1558.   Capitano dei casi nella vita, nei quali bisogna fare un poco il matto per cavarsela con onore.
  8. 1559.   Una volta all'anno è lecito di fare il pazzo.
  9. 1560.   È dolce di deporre la saggezza a tempo opportuno.