Commedia (Buti)/Purgatorio/Canto XXX

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Purgatorio
Canto trentesimo

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Purgatorio - Canto XXIX Purgatorio - Canto XXXI
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C A N T O   X X X.





1Quando ’l Settentrion del primo Cielo,
     Che nè occaso mai seppe, nè orto,
     Nè d’altra nebbia che di colpa velo,
4E che facea lì ciascuno accorto
     Di suo dover, come ’l più basso face,
     Qual timon gira per venire a porto,
7Fermo s’affisse, la gente verace1
     Venuta prima che ’l Griffone; et esso2
     Al carro volse sè com’a sua pace;
10Et un di loro, quasi dal Ciel messo,3
     Veni sponsa de Libano, cantando
     Gridò tre volte, e tutti li altri appresso.
13Qual i beati al novissimo bando
     Surgeran presti, ogni un di sua caverna,
     La rivestita carne alleviando;4
16Cotali in su la divina basterna,
     Si levar cento, ad vocem tanti senis,5
     Ministri e messaggier di vita eterna.
19Tutti dicean: Benedictus qui venis,
     Fiori gittando di sopra e d’intorno,6
     Manibus o date lilia plenis.

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22Io viddi già nel cominciar del giorno
     La parte oriental tutta rosata,
     E l’altro Ciel di bel sereno adorno,
25E la faccia del Sol nascer ombrata,
     Sì che per temperanza dei vapori
     L’occhio la sostenea lunga fiata;
28Così dentro una nuvula di fiori,
     Che de le mani angeliche saliva,
     E ricadeva in giù d’entro e di fuori,
31Sovra candido vel cinta d’uliva7
     Donna m’apparve, sotto ’l verde manto,
     Vestita di color di fiamma viva.
34E lo spirito mio, che già cotanto
     Tempo era stato co la sua presenza,8
     Non era di stupor, tremando, affranto.9
37Senza dalli occhi aver più cognoscenza,
     Per occulta virtù che da lei mosse,10
     D’antiquo amor senti la gran potenza.11
40Tosto che ne la vista mi percosse
     L’alta virtù, che già m’avea trafitto
     Prima ch’io fuor di puerizia fosse,
43Volsimi a la sinistra con rispitto,12 13
     Col qual il fantolin corre a la mamma,
     Quando à paura, o quando elli è afflitto,
46Per dicere a Virgilio: Men che dramma
     Di sangue m’è rimaso che non tremi:
     Cognosco i segni dell’antica fiamma.

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49Ma Virgilio n’avea lassati scemi
     Di sè, Virgilio dolcissimo padre,
     Virgilio, a cui per mia salute die’mi;14
52Nè quantunqua perdè l’antica madre,15
     Valse a le guance nette di rugiada,
     Che lagrimando non tornasser adre.
55Dante, perchè Virgilio se ne vada,
     Non pianger anco, non pianger ancora:
     Chè pianger ti convien per altra spada.16
58Quasi ammirallio, che ’n poppa et in prora
     Viene a veder la gente che ministra
     Per li altri legni, et a ben far li accora;17
61In su la sponda del carro sinistra,
     Quando mi volsi al suon del nome mio,
     Che di necessità qui si rigistra,
64Viddi la donna, che pria m’appario
     Velata sotto l’angelica festa,
     Drizzar li occhi ver me di qua dal rio.
67Tutto che ’l vel che li scendea di testa,
     Cerchiato de la fronde di Minerva,
     Non la lassasse parer manifesta.
70Regalmente nell’atto ancor proterva
     Continuò, come colui che dice,
     E ’l più caldo parlar dietro riserva:18
73Guardami ben: ben son, ben son Beatrice:19
     Come degnasti d’acceder al monte?
     Non sapei tu che qui è l’om felice?20

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76Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
     Ma veggendomi in esso, i trassi all’erba:
     Tanta vergogna mi gravò la fronte.
79Così la madre al fillio par superba,
     Com’ella parve a me; perchè d’amaro
     Senti’ il sapor de la pietate acerba.
82Ella si tacque, e li angeli cantaro
     Di subito: In te, Domine, speravi,
     Ma oltra pedes meos non passaro.
85Sì come neve tra le vive travi
     Per lo dosso d’Italia si congela,21
     Soffiata e stretta per li venti schiavi,22
88Poi liquefatta in sè stessa trapela,
     Pur che la terra, che perde ombra, spiri,
     Siccom per foco fonde la candela;23
91Così fui senza lagrime e sospiri
     Anzi ’l cantar di quei, che notan sempre
     Dietro a le note de li eterni giri.24
94Ma poi che ’ntesi nelle dolci tempre
     Lor compatir a me, più che se detto25
     Avesser: Donna, perchè sì lo stempre?
97Lo giel, che m’era intorno al cuor distretto,26
     Spirito et acqua fessi, e con angoscia
     Per la bocca e per li occhi uscì del petto.27
100Ella pur ferma in su la detta coscia28
     Del carro stando, a le sustanzie pie
     Volse le suoe parole così poscia:

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103Voi vigilate ne l’eterno die,
     Sì che notte, nè sonno a voi non fura
     Passo, che faccia ’l secul per suoe vie;
106Unde la mia risposta è con più cura,
     Che m’intenda colui che di là piagne,
     Perchè sia colpa e duol d’una misura.
109Non pur per opra de le rote magne,29
     Che drizzan ciascun seme ad alcun fine,
     Secondo che le stelle son compagne;
112Ma per larghezza di grazie divine,
     Che sì alti vapor ànno a lor piova,30
     Che nostre viste là non van vicine,
115Questi fu tal ne la sua vita nova
     Virtualmente, ch’ogni abito destro
     Fatto averebbe in lui mirabil pruova.31
118Ma tanto più maligno e più silvestro
     Si fa ’l terren con mal seme e non colto,32
     Quant’elli à più del buon vigor terrestro.
121Alcun tempo ’l sostenni col mio volto,
     Mostrando li occhi giovanetti a lui,
     Meco ’l menava in dritta parte volto.
124Sì tosto come in su la sollia fui
     Di mia seconda etade, e mutai vita,
     Questi si tolse a me, e dièsi altrui.
127Quando di carne a spirto era sallita,
     E bellezza e virtù cresciuta m’era,
     Fui io a lui men cara e men gradita:

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130E volse i passi suoi per via non vera,
     Imagini del ben seguendo false,33
     Che nulla promession rendeno intera.
133Nè impetrare spirazion mi valse,34
     Co le quali nè sogno et altrimenti35
     Lo rivocai: sì pogo a lui ne calse.36
136Tanto giù cadde, che tutti argomenti
     A la salute sua eran già corti,
     Fuor che mostrarli le perdute genti.
139Per questo visitai l’uscio dei morti,
     Et a colui che l’à quassù condotto,
     Li preghi miei, piangendo, furon porti.
142L’alto fato di Dio serebbe rotto,
     Se Lete si passasse, e tal vivanda
     Fusse gustata senza alcuno scotto
Di pentimento, che lagrime spanda.

  1. v. 7. C. A. Ferma s’
  2. v. 8. C. A. il Grifon ed
  3. v. 10. C. A. da Ciel
  4. v. 15. C. A. rivestita voce
  5. v. 17. C. A. a voce
  6. v. 20. C. A. E fior
  7. v. 31. C. A. Sotto candido
  8. v. 35. C. A. stato che alla sua
  9. v. 36. Affranto; abbattuto fortemente. E.
  10. v. 38. C. A. Per la occulta
  11. v. 39. Senti; sentii, senti’, che in antico usavasi con un i solo. E.
  12. v. 43. C. A. col respitto,
  13. v. 43. Rispitto; dilazione, indugio, speranza. E.
  14. v. 51. Die’mi; dicimi, mi diei. Ved. T. II. p. 640. E.
  15. v. 52. C. A. perdeo
  16. v. 57. C. A. altra strada.
  17. v. 60. C. A. Per gli alti legni ed a ben far la incuora;
  18. v. 72. C. A. diretro serva:
  19. v. 73. C. A. Guardane
  20. v. 75. Sapei; sapevi, sottrattone il v dall’ultima sillaba, come si costumava in tutte le persone dell’imperfetto della seconda e terza coniugazione. E.
  21. v. 86. C.A. Per li dossi
  22. v. 87. C. A. delli venti
  23. v. 90. C. A. Sì che par foco fonder
  24. v. 93. C. A. alle rote degli
  25. v. 95. C. A. compartire a me, pur come detto
  26. v. 97. C. A. al cor ristretto,
  27. v. 99. C. A. Dalla bocca e dagli
  28. v. 100. C. A. la destra coscia
  29. v. 109. C. A. per ovra delle
  30. v. 113. C. M. a lor prova,
  31. v. 117. Averebbe; voce naturale da avere, alla quale ora antimettesi
    avrebbe. E.
  32. v. 119. C. A. col mal seme
  33. v. 131. C. A. di ben
  34. v. 133. C. A. Nè l’
  35. v. 134. C. A. Colle quali e in sogno
  36. v. 135. C. M. sì poco

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C O M M E N T O


Quando ’l Settentrion del primo Cielo, ec. In questo xxx canto de la seconda cantica lo nostro autore finge come li apparve Beatrice, quella de la quale stato è ditto molte volte di sopra, e specialmente nel canto xxvii; ma in questo luogo manifestamente si vede quello che elli intese per Beatrice secondo l’allegoria; cioè la santa Scrittura, a la quale si conviene questo nome Beatrice, perch’ella beatifica l’anima; e finge com’ella li apparve, e com’ella lo riprese aspramente del suo errore, e come Virgilio l’abbandonò e rimase pure con Stazio e Matelda. E dividesi questo canto in due parti principali: imperò che prima finge come, fermato lo carro e la processione tutta, li apparve Beatrice, e come Virgilio si partitte da lui, et egli rimase con Stazio e Matelda; nella seconda finge come Beatrice aspramente lo riprende del suo errore, et incominciasi quive: Regalmente nell’atto ec. La prima parte, che serà la prima [p. 730 modifica]lezione, si divide in quattro parti: imperò che prima finge, che fermato lo carro e la processione, si levarono a cantare li angiuli rispondendo al canto d’un vecchio che cominciò prima; ne la seconda finge l’apparizione di Beatrice e descrivela come apparve fatta, et incominciasi quive: Io viddi già ec.; ne la terza finge come elli la ricognove, e come volendo parlare a Virgilio trovò che Virgilio s’era ito via, et incominciasi quive: Senza dalli occhi ec.; ne la quarta parte finge come elli piangea per la dipartenza di Virgilio, e come Beatrice di ciò lo riprenda chiamandolo per lo nome suo, et incominciasi quive: Nè quantunqua perdè ec. Divisa la lezione, ora è da vedere l’esposizione testuale co le moralità et allegorie.

C. XXX — v. 1-21. In questi sette ternari lo nostro autore finge come, fermato lo carro e la processione, uno vecchio di quelli della processione incominciò a cantare; e come li angiuli rispuoseno al canto di questo vecchio, dicendo così: Quando ’l Settentrion; cioè li sette candelabri ditti di sopra, che significano li 7 doni dello Spirito Santo, del primo Cielo; cioè del cielo empireo, che è lo supremo cielo dove è vita eterna e lo nostro signore Iddio; e questo dice a differenzia del nostro settentrione che non è nel supremo cielo; ma è ne lo ottavo, dove sono le stelle fisse: convenientemente chiama quello Settentrione, a similitudine del nostro: imperò che come nel nostro settentrione sono 7 stelle nel corno e poi d’intorno è lo carro che v’à ancora sette, come è stato ditto di sopra; così qui erano 7 candelabri che figurano li 7 doni dello Spirito Santo li quali seguitava la processione e lo carro, come lo nostro seguitano quelle 7 stelle che si chiamano lo carro, Che; cioè lo quale settentrione, nè occaso; cioè tramontamento, mai seppe, nè orto; cioè nè nascimento: imperò che tale cielo non à revoluzione, e così tale settentrione non à nascimento, nè tramontamento, secondo la lettera; secondo l’allegoria li doni de lo Spirito Santo in sè non ànno principio, nè fine: però che sono eterni come lo Spirito Santo, nè ànno mutamento: imperò che sono immutabili, come è Iddio, Nè velo; cioè coprimento non ebbe mai, s’intende: imperò che mai non s’appiattonno a nessuno che li volesse, d’altra nebbia; cioè d’altra offuscazione, che di colpa; cioè de la colpa del peccato: solamente la colpa del peccato ci priva di quelli; e questo dice, a differenzia del settentrione basso de la ottava spera, lo quale spesse volte le nuvule cel tollieno che nol possiamo vedere, E che; cioè e lo quale settentrione, facea lì; cioè in quello luogo, cioè nel paradiso terreste, secondo la lettera: secondo l’allegoria, de la inocenzia, ciascuno accorto Di suo dover; cioè di quello che dè fare, se vuole andare al porto de la beatitudine, come ’l più basso; cioè settentrione, face; accorto, s’intende, Qual timon gira; cioè qualunqua marinaio osserva lo suo navilio col timone, per [p. 731 modifica]venire a porto; cioè al porto ch’elli desidera. Ecco che fa qui similitudine da quello settentrione al nostro basso, e dal viver mondano virtuosamente al navigamento del marinaio per mare: imperò che chi naviga per lo mare, se desidera di iungere a porto, conviene navigare al segno de la tramontana e del carro; così chi va per la vita virtuosa al porto de la beatitudine conviene andare secondo lo guidamento dei 7 doni de lo Spirito Santo. Fermo s’affisse; cioè si fermò, come fu ditto di sopra, secondo la lettera, al tuono; e secondo l’allegoria, al battismo di Cristo, come esposto è di sopra, la gente verace; cioè tutti quelli che andavano inansi al carro dietro ai candelabri, che significa la gente de l’antica legge che fu salvata, fatta quella legge: imperò che credetteno in Cristo venturo. Venuta prima che ’l Griffone; cioè ch’era venuta nel mondo inanti che Cristo, et esso; cioè lo Griffone, Al carro; cioè a la santa Chiesa, volse sè: imperò che tutti figuronno la s. Chiesa, e Cristo la incominciò: la sinagoga de’ Iudei fu figura de la s. Chiesa, com’a sua pace; cioè come a suo fine: ciò che si fece nel vecchio testamento si fece a fino di costituire la s. Chiesa, e Cristo a quil fine venne, Et un di loro; cioè di quelli vecchi de la antica legge, quasi dal Ciel messo, cioè come profeta mandato dal cielo, vedendo inanti la Chiesa e profetando di lei, fece la Cantica dove predisse l’autore l’amore che Cristo dovea avere a la Chiesa, e questi fu Salomone, cantando, Gridò tre volte: Veni sponsa de Libano; queste parole scrisse Salomone ne la sua Cantica, le quali disse profetando in persona di Cristo invitando la sinagoga, la quale mutata ne la Chiesa, dovea essere sposa di Cristo; e però la chiama e dice: Viene tu, che dei essere mia sposa; cioè quando serai di sinagoga fatta Chiesa, e però dice: de Libano; cioè del monte alto di ludea: Libano è uno monte altissimo in Iudea lo quale significa lo stato de la sinagoga, lo quale era altissimo a quel tempo, e però finge l’autore che cantasse queste parole uno di quelli vecchi detti di sopra, per lo quale intese Salomone, come apparrà di sotto: imperò che originalmente sono le parole dette di sopra de la sua Cantica, e per questo dimostra l’autore che fu profetato dinansi per molto tempo quello che Cristo dovea fare ne la vita sua; cioè che dovea chiamare la sinagoga a la novella chiesa co la sua predica e dottrina; e questo vuole che pensi et impari chi à purgatosi dei peccati suoi co la penitenzia inanti che vegna a la contemplazione de l’eterna beatitudine, e tutti li altri appresso; cioè tutti li altri, ch’erano in quella processione, di po’ questa voce cantonno anco tre volte le simili parole. Qual i beati al novissimo bando; ecco che fa una similitudine che come li beati risusciteranno presto al di’ de l’iudicio, quando udiranno lo suono de le trombe angeliche; e però dice: al novissimo bando; cioè all’ultimo suono de le [p. 732 modifica]trombe, Surgeran presti; cioè risusciteranno presti, ogni un di sua caverna; cioè del suo sepulcro: caverna è luogo cavo, e però la fossa, lo sepulcro e l’avello si può chiamare caverna e così la tomba, La rivestita carne alleviando; cioè alleggerendo li corpi loro: imperò che risusciteranno co le dote de la sottilliessa, de l’agilità, de la impassibilità e de la chiaressa, Cotali; questo rappresenta lo Qual, che è ito inanti, in su la divina basterna; cioè in sul divino carro, che detto è di sopra, Si levar cento Ministri e messaggier di vita eterna; cioè angiuli; e pone lo numero finito per lo infinito, quasi dica: Molti, ad vocem tanti senis; cioè a la voce di sì grande vecchio, quanto fu quello che disse di sopra: Veni sponsa de Libano; e levaronsi a cantare le lodi di Cristo; e però dice che tutti diceano quello che si contiene ne l’Evangelio di s. Matteo, cioè, Benedictus, qui venis in nomine Domini: Osanna filio David. La quale cosa fu detta a Cristo da’ Iudei, quando intrò in Ierusalemme in sull’asina; e però dice: Tutti dicean; cioè questi ministri e messaggeri di vita eterna, che figurano quelli che ’l dissono in Ierusalem, quando Cristo v’andò che si rappresenta la domenica d’ulivo, Fiori gittando di sopra e d’intorno; cioè di sopra al Griffone et in torno gittando fiori, come gittonno li Iudei a Cristo li rami dell’ulivo e le palme per terra e li loro vestimenti sotto li piedi de li animali et anco portavano in mano li rami e le palme; e questo anco dè fare lo purgato dei peccati, che dè andare incontra a Cristo co la vittoria che à avuto che àe vinto lo peccato, lo dimonio, la carne e lo mondo e lui ringraziarne. Manibus o date lilia plenis; questa è autorità di Virgilio nel sesto delle Eneide, u’ è per congratulare ad Augosto. Finge che Anchise a Marcello nipote di Augusto, fatto filliuolo adottivo suo, narrando come dovea morire ne la puerizia, disse l’autorità preditta; cioè: Datemi li gilli con piene le mani; et assegna la cagione perchè dicendo: bustum animamque nepotis Spargam, che significa: Io ne spargerò sopra lo sepulcro e sopra l’anima del descendente da me. Li antichi spargevano li sepulcri di fiori, perchè tenevano che l’anima accompagnasse certo tempo lo corpo, e però condivano li corpi con aromati e con cose odorifere, acciò che l’anima non sdegnasse lo suo corpo fetente, e però vi gittavano ancora li fiori. E moralmente faceano questo, per dare ad intendere che la bellessa del corpo era mutevile come quella del fiore, che la mattina è bello e la sera è guasto; ma in questa parte allegoricamente lo nostro autore intese per li fiori, che gittavano di sopra e d’intorno, le lode che cantavano e l’orazioni che diceano quelli angiuli con purità di mente e soavità di canto ad onore di Cristo; le quali cose àe in sè lo fiore; cioè bellessa di colore e suavità d’odore.

C. XXX — v. 22-36. In questi cinque ternari lo nostro autore [p. 733 modifica]finge come in quil luogo li apparve una donna la quale elli descrive, la quale fu la s. Teologia, come dirà di sotto, e nomineralla Beatrice la quale, figurata per la contessa Beatrice ditta di sopra, l’autore finge che li venisse in amore ne la sua puerizia secondo la lettera per la virtù sua; ma secondo l’allegoria, per ch’elli figurava la s. Scrittura: imperò ch’ella beatifica le nostre anime, quando noi seguitiamo la sua dottrina. Dice così: Io; cioè Dante, viddi già nel cominciar del giorno; cioè quando apparisce il di’, La parte oriental tutta rosata; cioè la parte dell’oriente tutta di colore1 rosso, E l’altro Ciel; cioè l’altre parti del cielo tutte, dove non è l’oriente, di bel sereno adorno; cioè tutto sereno, E la faccia del Sol; cioè la spera del Sole, nascer ombrata; cioè nubilosa, Sì che per temperanza dei vapori; cioè umidi che s’erano levati e contemperavano lo lume eccessivo e lo splendore del Sole, L’occhio; cioè umano, la sostenea; cioè d’avvisare la detta spera, lunga fiata; cioè lunge tempo2: però che lo splendore non ofuscava la vista, per ch’era contemperato per quella ombra. Questo tempo àe descritto lo nostro autore, per fare la similitudine che così li apparve Beatrice, e però dice: Così dentro una nuvula di fiori; ecco che finge che la nuvula3 fusse di fiori, d’entro e di fuori; cioè da la parte d’entro e da la parte di fuori era di fiori la detta nuvula, Che de le mani angeliche saliva; cioè insù inverso cielo, E ricadeva in giù; cioè in verso la terra de le mani delli angiuli, m’apparve; cioè a me Dante, Donna; ecco che figura la santa Scrittura in forma di donna, cinta d’uliva Sovra candido vel; per questo dimostra che avesse uno velo bianco in testa, e sopra ’l velo una ghirlanda d’ulivo; e però dice: cinta; cioè la testa, d’uliva4 Sovra candido vel; cioè di sopra al bianco velo, ch’ella avea in testa, sotto ’l verde manto; cioè sotto lo mantello verde che avea sopra la gonnella, la quale finge che fusse vermillia; e però dice: Vestita di color di fiamma viva; cioè di colore rosso come è la fiamma viva, cioè accesa. In questa parte finge l’autore che di po’ le preditte cose li apparve Beatrice in una nuvola di fiori di fuora e d’entro, che era portata de le mani de li angiuli insù et ingiù, vestita per lo modo che ditto è d’una gonnella rossa o vermillia come fiamma di fuoco con mantello verde, con uno velo bianchissimo in testa che andava infin giù ai piedi e sopra ’l velo una ghirlanda d’ulivo. Questa Beatrice significa la santa Teologia, come ditto è, e chiamala Beatrice, perchè beatifica in questo mondo l’anima che si dà ad essa per grazia e nell’altro poi per gloria. Finge che sia vestita di questi tre [p. 734 modifica]colori: bianco, verde e rosso, per dimostrare che la Teologia è ornata de le tre virtù teologiche; cioè fede, speransa e carità: imperò che per lo velo bianco s’intende la fede, come è stato ditto di sopra, la quale finge che sia in capo: imperò che ’l suo principio è fondato in su la fede, convenendosi credere quello che è scritto ne la Bibbia in tutto lo vecchio testamento, e poi si stenda giù per tutto ’l corpo, perchè tutta la Santa Scrittura è5 piena di fede. Per la ghirlanda de l’ulivo si significa la pace, la quale è nell’animo quando s’è adornato di fede, e la vittoria: imperò che niuna cosa li è poi dura a credere o intendere o operare, e significa la sapienzia: imperò che l’ulivo è consecrato a Pallade che è la Dia de la sapienzia, la quale è corona de la santa Teologia: imperò che la santa Teologia è vera sapienzia, e così pare che intendesse l’autore, come apparrà ne la seguente lezione. Per lo mantello verde, che cuopre tutta la persona, s’intende la speransa che sempre dè rinvigorire come la cosa verde, convenendosi avere speransa in quello che promettono li Evangeli: imperò che ’l corpo de la Teologia significa li Evangeli che promettono vita eterna, et a quella si dè avere speransa ferma. Per la gonnella s’intendeno li Atti de li Apostuli, l’Epistole e l’Apocalisse, che sono tutti pieni di carità e con ardore si convegnano udire, leggere e mettere ad esecuzione. La nuvula significa lo testo de la Santa Scrittura, lo quale è tutto pieno di fiori d’entro e di fuori; cioè d’entro nell’allegorico intelletto, e di fuori nel senso litterale; e dice nuvula, per che la vista d’entro è sì adombrato che l’umano occhio, cioè intelletto non la può comprendere e sofferire di guardarla. Le mani angeliche figurano le mani dei componitori di quil testo, che funno puri come angiuli e messi mandati a ciò da Dio. Che la portino in su et in giù, significa che ora tratta in essa de le cose superne e celeste, et ora de le cose terrene. E finge l’autore ch’ella li apparisca ora, per dimostrare in persona di sè come, poi che l’omo s’è purgato dei peccati per la penitenzia et esercitatosi ne lo studio de la s. Teologia, ella li viene in notizia sì come finge che venisse a lui sì, ch’elli comprendela tutta et inamorasi di lei, de la quale finge l’autore ch’elli s’inamorasse infine ne la sua puerizia, possa la lassò, et all’ultimo anco ritornò ad essa, come apparrà nel processo. Et adiunge come di questa donna apparita eziandio si meravilliò, dicendo: E lo spirito mio; cioè di me Dante, che; cioè lo quale spirito, già cotanto Tempo era stato; cioè gran tempo, co la sua presenza; cioè de la ditta donna apparita: imperò che, secondo ch’elli dice più oltra, infine da puerizia s’innamorò di lei, e sempre poi l’ebbe ne la memoria, sicchè sempre lo spirito suo era stato co la sua6 puerizia da quello tempo in qua, Non era affranto; cioè non [p. 735 modifica]era privato, di stupor; cioè di meravillia; anco fortemente si meravillia, tremando; cioè non avendo paura; ma perchè l’amore sta nel cuore, e lo cuore n’à passione, lo sangue corre da le vene al cuore per soccorrere lo cuore, e per lo discorso del sangne lo corpo trema.

C. XXX — v. 37-51. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come, per virtù ispirata da la ditta donna, cessò lo stupore e venne in notizia di lei; e come Virgilio si partitte da lei, dicendo così: Senza dalli occhi; cioè miei, ch’erano diventati stupidi, aver più cognoscenza; ch’io avesse avuto infine a quive, Per occulta virtù; e per questo intende la grazia preveniente, che occultamente viene, che; cioè la quale, da lei mosse; cioè da la ditta donna si mosse, D’antiquo amor; cioè de l’amore, ch’io li avea avuto infine ne la mia puerizia, senti la gran potenza; cioè io Dante. Tosto; cioè altresì tosto, cioè incontenente, che ne la vista; cioè mia, secondo la lettera, corporale; ma, secondo l’allegoria, s’intende intellettuale, mi percosse L’alta virtù; cioè la grazia preveniente, secondo l’allegoria, la quale si dice alta, perchè viene da alto; cioè da Dio: secondo la lettera s’intende l’eccellente virtù che è ne la s. Teologia, che; cioè la quale virtù, già m’avea trafitto; cioè m’avea ferito lo cuore: imperò che m’avea di sè inamorato, Prima ch’io fuor di puerizia fosse; cioè inanti ch’io Dante avesse passato la puerizia, che si finisce al xiiii anno; e per questo appare che ’l nostro autore infine quando era garsone s’inamorasse de la s. Scrittura; e questo credo che fusse quando si fece frate dell’ordine di s. Francesco, del quale uscitte inanti che facesse professione, Volsimi; cioè io Dante, a la sinistra; cioè a la parte manca da la quale li venia Virgilio, e da la parte destra Stazio: Virgilio, com’è ditto, significa la ragione e Stazio lo intelletto; e perchè lo intelletto più dirittamente e più altamente iudica che la ragione, però lo pone dal lato ritto; e perchè la ragione alcuna volta s’inganna, e però finge che fusse da la parte sinistra, con rispitto; cioè con rispetto, Col qual il fantolin; cioè lo fanciullo picculino, corre a la mamma; cioè a la madre, ovvero nutrice, cioè d’essere aiutato da lei, e difeso, Quando à paura; cioè lo ditto fanciullino, o quando elli è afflitto; da alcuna passione, Per dicere a Virgilio; ecco la cagione, per ch’elli dice che si volse: Men che dramma: dramma è uno peso; cioè ottava parte d’una oncia, Di sangue m’è rimaso; cioè a me Dante, che non tremi; cioè per lo movimento dell’amore, che radicalmente sta nel cuore et attualmente nel sangue. Cognosco i segni dell’antica fiamma; questo è ditto di Virgilio nel iiii de l’Eneide, quando induce a parlare Dido a la suore sua Anna, dove elli dice: Agnosco veteris vestigia flammae; e però finge che volesse dire a Virgilio, perch’era sua autorità e viene al suo proposito, che elli cognoscea li segni de l’antiquo amore ch’avea [p. 736 modifica]avuto a Beatrice. Ma Virgilio n’avea; cioè noi avea, lassati scemi Di sè; cioè privati di sè: imperò che s’era ito via et era rimaso Dante con Stazio; e questo finge per la ragione ditta di sopra: imperò che ingiummai sono a trattare sentenzie, che per ragione non si possano provare; ma sì coll’intelletto comprendere, Virgilio, dolcissimo padre: secondo la lettera, dolce fu lo studio di Virgilio a l’autore et ammaestratore e correttore, come è lo padre del filliuolo; e secondo l’allegoria, nessuna cosa è tanto dolce quanto è la ragione, a cui per mia salute die’mi; cioè io Dante; e questo anco si può intendere secondo la lettera e secondo l’allegoria: imperò che al poema di Virgilio Dante si diede a volere seguitarlo, ponendo la punizione dei peccati e la purgazione, arrecandole et accostandole a la nostra fede quanto à potuto co la poesi, et a la ragione; anco si diede seguitando lo iudicio de la ragione ne le preditte cose finte da lui, le quali sono state cagione de la sua salute e salvazione.

C. XXX — v. 52-69. In questi sei ternari lo nostro autore finge come elli pianse per la partensa di Virgilio; e come Beatrice di ciò l’ammonisce, dicendo così: Nè quantunqua perdè l’antica madre; cioè tutto ciò di diletto e di piacere che era in quello paradiso, lo quale Eva, prima nostra madre, perdette per la sua disobedienzia, Valse a le guance; cioè mie, dice Dante, nette di rugiada: imperò che in quello luogo non cade rugiada, come è stato ditto di sopra, sicchè se erano bagnate, di lagrime conveniano essere bagnate, Che lagrimando non tornasser adre; cioè aspre le ditte guance per le lagrime, che su vi fioccavano. Dante, perchè Virgilio se ne vada; ecco che finge che Beatrice lo chiami per nome, e parlandoli l’ammonisca dicendoli: perchè Virgilio se ne vada; cioè si parta da te, cioè lo poetico modo del parlare di Virgilio che tu ài seguitato in fine a qui, lo quale non puoi seguire da quinci inanti, perchè la materia richiede altro modo: imperò che richiede di seguire la s. Scrittura, Non pianger anco; tu, Dante, non pianger ancora: imperò che altra maggior cagione fi’ quella che ti farà piangere; e però adiunge: Chè pianger ti convien; cioè a te Dante, per altra spada; cioè per altro colpo di iustizia che per questo: iusta cosa è che quive, dove la ragione non vale e non può comprendere, ella se ne vada e lassi fare a lo intelletto et a la sensualità. Et adiunge una similitudine, dicendo: Quasi ammirallio: ammirallio è nome d’officio, chiamasi ammirallio lo capitano de le galee in mare quando n’à sotto di sè da 25 insù, e dicesi ammirallio perchè dè ragguardare e provedere sopra tutto le stato, che ’n poppa et in prora; cioè lo quale viene insù la poppa et insù la prora, et avvisa lo stolo di su la poppa e di su la prora: la poppa è l’ultima parte de la galea, e la prora è la prima parte, e sono più alte che l’altre parti de la galea; e però l’ammirallio sta [p. 737 modifica]insù quelle, per mellio vedere, Viene a veder la gente che ministra; cioè serve, cioè la ciurma che remiga e fa li servigi che s’appartegnano a loro, Per li altri legni: imperò che nel suo non fa bisogno; ma nelli altri sì, et a ben far li accora; cioè li conforta o co le parole o co la sua presenzia: al suo legno non è di bisogno al quale sempre è presente, In su la sponda del carro sinistra; cioè in su la parte che si ferma insù la rota che figura lo vecchio testamento: questa sponda del carro sinistra figura la dottrina de la Chiesa proibitiva e punitiva, e però sta insù quella rota: imperò che nel vecchio testamento Iddio facea manifeste e tostane vendette di coloro che disubidivano li suoi comandamenti; e però finge che Beatrice fusse in su questa sponda, perch’ella riprenderà Dante, come apparrà di sotto, e bene la simillia a l’ammirallio: imperò che la santa Scrittura è quella che ci conforta a le virtuose opere e rimuoveci da le viziose, minaccia pene a chi fa male, promette bene infinito a chi opera bene; e però la sponda destra del carro significa la dottrina de la Chiesa esortativa e premiativa, che sta insù la destra rota che significa lo nuovo testamento, che promette vita eterna a chi opera bene, Viddi la donna; cioè io Dante, insù la ditta sponda, viddi la donna, che; cioè la quale, pria m’appario; cioè a me Dante, come ditto è di sopra, Velata; cioè di velo bianco e con la ghirlanda de lo ulivo in testa, sotto l’angelica festa; cioè sotto li angiuli che stavano sopra lo ditto carro e faceano festa al Grifone, dicendo: Benedictus, qui venis in nomine Domini, come ditto fu di sopra, Drizzar li occhi; cioè suoi de la ditta donna: alcuna volta li occhi de la Teologia significano li occhi di coloro che la studiano, li quali oltra li corporali sono la ragione e lo intelletto, e così di coloro che la insegnano e che a lei serveno, facendola osservare; alcuna volta significano lo intelletto litterale et allegorico ch’è in essa, e così s’intende qui: imperò che dirissare la Teologia li occhi suoi inverso Dante non fu altro che dirissare Dante lo suo intelletto a considerare lo senso litterale et allegorico de la s. Scrittura, e per quello riprendersi da fallo suo elli medesimo, come apparrà di sotto, di qua dal rio; cioè in mentre ch’io Dante era di qua dal fiume Lete, che non avea anco avuto la generale contrizione, che è necessaria a diminticare ogni macchia di peccato e lo suo fomite, e la contrizione de l’avere abbandonata la vita più virtuosa per la meno virtuosa, e quando la viddi, Quando mi volsi; cioè io Dante, al suon del nome mio; cioè quando disse di sopra: Dante, perchè Virgilio se ne vada ec. Che; cioè lo quale nome, di necessità qui; cioè in questo luogo, si rigistra; cioè si scrive e nominasi. Et è qui da notare, perchè lo nome de l’autore si registra più qui, che in altro luogo; e che necessità è questa. E questo può essere manifesto per quello che [p. 738 modifica]ditto è di sopra; cioè che Dante significa la sensualità, che sempre ministra a la ragione et a lo intelletto, e però bene si li conviene questo nome Dante; e Virgilio significa la ragione superiore et inferiore di Dante, che dè signoreggiare, reggere e dirissare la volontà che non consenta a la sensualità, e però ben si li conviene questo nome Virgilio; cioè Virga lilii: imperò che la ragione dè sempre stare diritta come la virga del gillio, cioè lo gambo, e sempre dè essere vigoroso come lo gambo del gillio che grande tempo sta verde; e Stazio significa lo intelletto, che guida la volontà e la sensualità per quelle cose che con ragione non si possano comprendere, e però bene si li conviene questo nome Stazio, cioè stante iudicio; Statius, id est stans ius; cioè stante iudicio; e per mostrare questo fu necessario che qui si rigistrasse lo nome di Dante, per dare ad intendere chi era questo Virgilio che avea guidato Dante infine a qui, e che ora si partia da lui, e per la partensa del quale Dante piangea; ancora era necessario che lo nome dell’autore, che significa la sensualità ne la quale s’intende lo7 intelletto, cioè la volontà respettiva, de la quale fu detto di sopra, qui si rigistrasse e nominasse: imperò che a lui convenia piangere li suoi peccati et avere la generale contrizione di tutti li suoi peccati, e specialmente d’avere lassato la vita più virtuosa per la meno virtuosa, la quale solo si conviene a la sensualità insieme col talento: imperò che la ragione non può mai consentire al vizio, se non è ingannata de la sensualità col talento, e però a la sensualità col talento si conviene la contrizione e ’l piangere, la quale àe indutto lo peccato; e per queste ragioni appare che qui di necessità si rigistra questo nome Dante e non altro, se non ne l’ultima cantica nel canto xxvi. Tutto che ’l vel; cioè ben che ’l velo, del quale fu ditto di sopra che avea in capo, che li scendea di testa; dice: imperò che di capo li scendea giù per le gote et insù le spalle e poi infine ai piedi, a denotare che la fede velava tutta la prima parte de la s. Scrittura, prima, e poi tutta la s. Scrittura, Cerchiato; cioè lo detto velo, de la fronde di Minerva; cioè di fronde d’ulivo lo quale è consecrato a Minerva, che è la dia de la sapienzia, secondo li Poeti, et è interpretata immortale: imperò che la sapienzia è immortale et a lei è consecrato l’ulivo che è segno di pace: imperò ch’ella lo produsse, percotendo la terra co la punta de la sua asta: la sapienzia è sempre armata incontra tutte le persecuzioni e tentazioni e sempre produce pace; e però finge, come ditto è di sopra, che la Teologia sia coronata lo capo d’ulivo, a denotare ch’ella è adornata8 di sapienzia e de la pace produtta da essa sapienzia, et è vittoriosa d’ogni cosa avversa, et però porta ancora l’ulivo in [p. 739 modifica]capo che è segno di vittoria, come è stato ditto di sopra, Non la lassasse parer manifesta; cioè benché quil velo la velasse e coprisse sicchè manifestamente non si potea vedere, io pur viddi ch’ella dirissò li occhi inverso di me; e, come è stato ditto di sopra, la prima parte de la s. Scrittura, cioè lo vecchio testamento, è tutta velata di figure le quali si convegnano comprendere co la fede e co la pace dell’animo. Seguita la seconda lezione del canto 30.

Regalmente nell’atto ec. Questa è la seconda lezione del canto 30, nella quale finge come Beatrice aspramente riprese lui del suo errore, e divedesi tutta in 6 parti: imperò che prima finge come Beatrice, incominciando a parlare a Dante lo conforta che debbia guardare in lei e nominasi a lui e riprendelo, e come elli per lo riprendere si vergogna; ne la seconda finge, adducendo una similitudine, come per la riprensione proruppe in un grande pianto, et incominciasi quive: Sì come neve ec.; ne la tersa finge com’ella rivolse lo parlare suo in verso li angiuli parlando non di meno di Dante, et incominciasi quive: Ella pur ferma ec., ne la quarta finge come continua lo suo parlare ancora Beatrice di lui, et incominciasi quive: Non pur per opra ec.; ne la quinta, continuando lo suo riprendere, dimostra quando Dante si partitte da lei di ciò riprendendolo, et incominciasi quive: Sì tosto come ec.; ne la sesta finge e conchiude come conviene per Divina Iustizia che, inanti che Dante passi Lete, pianga et abbia debita contrizione del suo errore, et incominciasi quive: L’alto fato di Dio ec. Divisa la lezione, ora è da vedere lo testo co l’esposizioni litterali, allegoriche, ovvero morali.

C. XXX — v. 70-84. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come la donna, la quale elli disse che avea veduto di sopra dirissare li occhi inverso lui di là dal rio, stando in su la sinistra coscia del carro, incominciò a parlare inverso lui molto aspramente, dicendo così: Regalmente; cioè a modo di re: imperò che costume è dei re di parlare altamente et aspramente, nell’atto; cioè ne la vista di fuori, ancor proterva; cioè la ditta donna anco a l’apparenzia di fuori superba e sdegnosa: questo atto si conviene a chi riprende; cioè parlare altamente e superbamente, Continuò; cioè lo suo parlare co la vista fatta di fuori in prima, come colui che dice; cioè come colui che incomincia a dire, e poi al di rieto riserba lo corruccio; e però dice: E ’l più caldo parlar dietro; cioè di po’ la incominciata orazione, all’ultimo, riserva; lo parlare più caldo, cioè più fervente; e perchè Dante la ragguardava, incominciò a parlare in questa forma: Guardami; cioè avvisami, ben; cioè tu, Dante, ben son, ben son Beatrice; ecco che si nomina ella a lui: questo è uno parlare indignativo, dicendo: Ben sono quella a cui tu ti desti prima, io sono Beatrice la quale tu tanto amasti prima, e poi ti [p. 740 modifica]partisti da me e destiti altrui, come dirà di sotto, guardami bene ben sono essa, ben sono essa, paioti da essere stata lassata, s’intende? Et usa qui colore che si chiama conduplicazione, quando si riandano le parole, per mostrare maggiore indignazione o commiserazione. Come degnasti; cioè come t’ài tu fatto degno meritevilmente, d’acceder; cioè di venire, al monte: cioè al monte del purgatorio? Non sapei tu; cioè Dante; quasi dica: Ben lo sapei, che qui; cioè in questo luogo, è l’om felice; cioè bene avventuroso e beato, e però non ci dè venire9 nimo, che prima non se ne faccia degno co la confessione de la bocca, co la contrizione del cuore e satisfazione dell’opera, come te ne ài tu fatto degno? Questa fizione induce qui l’autore, secondo la lettera, per mostrare come si debbia intendere lo suo inamoramento ch’elli ebbe di Beatrice; et appresso, secondo l’allegoria, quello che l’omo dè fare poichè è purgato dei suoi peccati co la penitenzia, inanti che vegna a stato d’innocenzia nel quale diventi contemplativo. E prima debbiamo intendere che l’autore nostro nel processo di questo suo libro, et anco in alcuna sua cansone morale, àe dimostrato che infine ne la sua puerizia s’innamorasse di Beatrice; e, poi ch’ella fu morta, diede l’amore suo altrui; per la qual cosa crederebbe forsi altri che Beatrice fusse stata una donna di carne e d’ossa, come sono le altre; ma non è così. Anco si dè intendere che Beatrice sia pure la santa Scrittura, come ditto è, de la quale s’innamorò l’autore quando era garsone, quando si fe frate; e bench’io abbia ditto che si può intendere che s’inamorasse de la contessa Beatrice; cioè de la sua virtù: imperò ch’ella fu inanti a lui più di cento anni, secondo la lettera; niente di meno, secondo l’allegoria e la verità, quando era garsone s’innamorò de la Teologia; la quale Teologia finse che fusse giovane nel mondo vivente, perch’elli allora carnalmente la intendea pur secondo la lettera e moralità giovenilmente, non gustando li suoi spirituali intendimenti, allegorici et anagogici10. E poi che l’ebbe studiata a questo modo, finge ch’ella si morisse: imperò che l’amore di seguitare a vederla, spiritualmente, venne meno; e questo fu lo morire di Beatrire: imperò che lo studio di Dante in essa venne meno, quando era da essere studiata secondo lo spirito. O volliamo dire che ad ogni uno, che studia la Teologia, ella vive e muore; vive quando la intende litteralmente, e moralmente; muore quando la intende spiritualmente; cioè allegoricamente et11 anagogicamente: imperò che allora si considera lo intelletto spirituale separato dallo litterale, et è come dividere lo spirito dalla carne che è morire; ma [p. 741 modifica]ne l’autore fu all’uno et all’altro modo: imperò che quando l’avea studiata litteralmente, che era vederla in carne et era da vederla secondo lo spirito, che si potea dire morta, perchè si separava lo spirituale dal carnale, ella non li fu cara, anco la lassò. E, cognoscendo elli che spiritualmente era da studiare, occupato dai diletti del mondo, non procedè più oltra; ma anco tornò adrieto lassando la religione e tornando al mondo; ma sempre li rimase lo naturale amore fermo ad essa, ben che ’l talento si mutasse; e però inviluppatosi nel mondo ricognoscendo poi l’errore suo, ritornò a lei per lo modo che notato è nel processo del suo libro; prima considerando la viltà del peccato e la pena che merita per averne dispiacere; appresso considerando la penitenzia che si conviene ad essa, per12 purgassene che tutto è della parte carnale della Teologia; poi intendendo a le cose teorice e spirituali, cioè a la beatitudine, fatto innocente ritorna a lei sì come a spirituale e non più corporale; e questo è secondo la verità de la lettera. Secondo l’allegoria dà ad intendere l’autore che, poi che l’omo è purgato co la penitenzia dei suoi peccati particularmente, anco si dè esaminare co la iustizia e severità de la Scrittura s’elli à tanto sodisfatto co la confessione, co la contrizione e satisfazione dell’opera che basti; e se no, dè supplire e massimamente dè avere contrizione d’essersi mai partito da la virtù maggiore e disceso a la minore e d’avere perduto lo tempo del mellio operare, e dolersi di non essersi dato tutta via a le milliori e maggiori virtù, e cresciuto di grado in grado. E per questo finge che la santa Scrittura, stando in su la sinistra coscia del carro, che significa la parte severa et iusta de la Chiesa che13 sta in su la ruota sinistra, che significa il vecchio testamento, nel quale Iddio fece iuste e subite vendette dei peccatori, lo riprenda del suo errore, acciò ch’elli n’abbia debita contrizione, inanti che passi Lete; cioè inanti che perda la memoria de li errori suoi. E quello che dice di sè, insegna ai lettori, dimostrando che l’omo si dè fare coscienzia d’essersi partito da la maggiore virtù, per venire e descendere a la minore, se già impotenzia nollo scusasse; de la quale impotenzia anco dè essere dulente. E debbiamo pensare che Beatrice, riprendentelo, fu lo intelletto suo formato da la14 santa Teologia. Li occhi mi cadder giù; ecco che, udita la riprensione, finge come elli si vergognò dol suo errore, e come stava volto inverso ’l fiume: così vergognandosi abbassò la fronte, e li occhi andonno giù nel fiumicello; e però dice: nel chiaro fonte; cioè nel chiaro rivo che procedeva da la fonte; e però pone ora lo fonte15 per lo rivo, che si [p. 742 modifica]chiama Lete, Ma veggendomi in esso: imperò che l’acqua chiara li rendea la sua imagine, i16 trassi all’erba; cioè levai li occhi da l’acqua et arrecaili ai miei piedi a veder l’erba, la quale non mi rendea l’imagine mia; et assegna la cagione perchè: Tanta vergogna mi gravò la fronte; cioè tanto mi vergognai de le parole dettemi da Beatrice, ch’io non potetti patire di vedere la mia imagine; e la cagione è questa che, quando l’omo si vergogna, cerca d’occultarsi: imperò ch’elli vuole che s’appiatti quil che è noto, e però li membri iudicativi tutti si mutano, com’è anco stato ditto di sopra. Et allegoricamente significa ch’elli ragguardò co lo intelletto e co la ragione ne la Grazia Divina, significata per l’acqua di Lete, la quale li rappresentò nella coscenzia sua, la quale essendoli nota, essere de l’errore colpevile, vergognòsi e ritrassesi a la speransa de la misericordia d’iddio; o volliamo, a considerare la vigorosità de la virtù, per la quale elli emenderebbe l’errore; cioè co la virente contrizione, e questo fu ragguardare l’erba. Et arreca una similitudine, dicendo: Così la madre al fillio; alcuna volta, si dè intendere; cioè quando ella lo riprende, par superba; cioè altiera e sdegnosa ne le parole riprensive, Com’ella; cioè Beatrice, parve a me; cioè Dante, perchè d’amaro Senti’ il sapor de la pietale acerba; ecco la cagione, perchè Beatrice li parve superba; cioè: imperò che la riprensione, la quale venne da pietà dura e non molle, mi seppe d’amaro: per pietà la madre riprende lo figliuolo; ma alcuna volta la pietà è molle, alcuna volta è dura; quando è molle sa di dolce, quando è dura sa d’amaro. Ella; cioè Beatrice, si tacque; dette le suprascritte parole, e li angeli; ch’erano di sopra da lei e d’intorno, cantaro Di subito; questo che seguita, cioè: In te, Domine, speravi; questo canto finge l’autore che facesseno li angiuli: imperò che, quando lo peccatore si vergogna del suo peccato, li angiuli si metteno in cuore ch’elli speri in de la misericordia di Dio, e torni a lui co la confessione del peccato e co la contrizione e satisfazione; e però dice che cantonno: In te, Domine, speravi; questo è lo salmo xxx, che incomincia: In te Domine, speravi, non confundar in aeternum: in iustitia tua libera me; nel quale David, parlando a Dio in estasi di mente, dimostra la speransa ch’elli avea ne la misericordia di Dio; e dice l’autore che cantonno infine a quil verso, che dice: Nec conclusisti me in manibus inimici: statuisti in loco spatioso pedes meos: imperò che da quil verso inanti non è a proposito suo: imperò che non parla de la speransa che ’l peccatore dè avere ne la misericordia di Dio; ma pone la confessione del peccato suo, che dè fare lo peccatore, e però finge che non passonno nel loro canto più la; per le quali [p. 743 modifica]parole a lui venne speransa de la misericordia di Dio, Ma non passaro; cioè li angiuli nel loro canto, oltra; quella parola che dice: pedes meos: imperò che non venia a proposito, come detto è.

C. XXX — v. 85-99. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come ebbe grande contrizione del suo errore, arrecando una propria similitudine a proposito, dicendo così: Sì come neve; cioè nieve, tra le vive travi; cioè tra li vivi abeti, dei quali poi quando sono talliati se ne fa travi, e non sono più vivi: mentre che sono ritti ne la selva viveno di vita vegetabile; ma poi che sono talliati non più viveno: imperò che più non tirano nutrimento da la terra, nè non rinverdisceno, nè non cresceno, Per lo dosso d’Italia; cioè per lo monte appennino, che è lo dosso e la schiena d’Italia: imperò che per lo mezzo d’Italia si discende, incominciando dall’Alpi di verso la Provensa e la Francia infine a la Sicilia, come è stato ditto di sopra, si congela; cioè si pillia insieme et assodasi, come ghiaccia, Soffiata e stretta; cioè la ditta nieve, per li venti schiavi; cioè per li venti che vegnano da la Schiavonia, che viene in mezzo tra l’Italia e settentrione, Poi liquefatta; cioè strutta e resoluta, cioè ne la primavera, in sè stessa trapela; cioè trapassa dentro da sè, et isdura quella che è indurata dentro e falla risolvere, Pur che la terra, che perde ombra; cioè lo mezzo, di dove lo Sole appena fa ombra per li arbori che vi sono quando è nel mezzo di’, cioè nel meridiano, tanto dirittamente manda li raggi giuso, spiri; cioè soffi: imperò che li venti meridionali fanno risolvere le nievi dell’Alpi quando soffiano, Siccom; cioè sì come, per foco fonde la candela; ecco che arreca a la similitudine un’altra similitudine; cioè che come lo fuoco col suo caldo fa colare la candela de la cera, così lo caldo di quelli venti che sono caldi fa struggere la nieve, Così; ecco che adatta la similitudine, dicendo che così io; cioè Dante, fui senza lagrime e sospiri; per ch’io era congelato per la paura de la Divina Iustizia, Anzi ’l cantar di quei; cioè di coloro, che notan sempre; cioè cantano: notare è nel canto seguitare le note; cioè li segni del canto, che si fanno nel libro del canto, Dietro a le note de li eterni giri; cioè dei cieli che girano sempiternalmente, come Dio li fa girare, e nel suo girare produceno quello che Iddio àe proveduto; e ponsi qui eterni impropriamente, cioè sempiterni, et è qui uno colore che si chiama significazione per similitudine: imperò che come lo cantore seguita nel canto le note che vede segnate nel libro, secondo la ragione de la Musica, e cusì canta come le note li mostrano; così li angiuli cantano quello che vedeno segnato ne l’ordine fatale de la providenzia di Dio; lo quale ordine fatale per le influenzie celesti si mette ad esecuzione, et anco per molte altri cagioni secondarie, come dimostra Boezio nel iv libro de la Filosofica [p. 744 modifica]Consolazione, come è stato assegnato di sopra; e però dice l’autore che innanti al canto delli angiuli che cantonno: In te, Domine speravi, elli era agghiacciato nel cuore per paura de la Divina Iustizia, udita l’aspra riprensione di Beatrice. Ma poi che ’ntesi; cioè ch’io, cioè Dante intesi, nelle dolci tempre; cioè nei dolci canti che feceno li angiuli, dicendo le ditte parole, Lor; cioè li angiuli, compatir17 a me; cioè aver compassione a me Dante, più che se detto Avesser: Donna; cioè a Beatrice, perchè sì lo stempre; cioè perchè sì lo rompi: imperò che con coteste aspre riprensioni tu l’arrechi a disperazione e rompi la sua costanzia? Lo giel; cioè la paura, che m’era; cioè la quale era a me Dante, intorno al cuor distretto; per le parole di Beatrice, Spirito et acqua fessi; cioè si convertitte in fiato et in lagrime per la speranza che mi venne de le parole angeliche, e con angoscia; cioè con dolore de la mente, Per la bocca uscì del petto; lo spirito per lo18 spirito, e per li occhi uscì del petto; l’acqua, cioè le lagrime. E per questo dà ad intendere l’autore, secondo l’allegorico intelletto, che, venuto al fine de la sua penitenzia, si raccordò del suo errore e venneli ne la mente ciò che minaccia la santa Scrittura a chi incomincia e non persevera, e chi si lassa ingannare e va errando; e di questo impauritte sì, che era per cadere in desperazione; ma appresso si raccordò, ovvero che li angiuli li raccordonno, la parola de la santa Scrittura che conforta che si dè avere speransa ne la misericordia di Dio, e per questo, rinvigorito e riscaldato, ebbe contrizione e dolore del suo peccato. E così insegna ai lettori come si debeno cessare da la disfidenzia et arrecarsi a la fidansa d’Iddio.

C. XXX— v. 100-108. In questi tre ternari finge l’autore come continuò Beatrice lo suo parlare aspro contra di lui, parlando delli angiuli in terzia19 persona, dicendo così: Ella; cioè Beatrice, pur ferma in su la detta coscia Del carro stando; cioè stando in su la sinistra coscia de la Chiesa, che è la parte punitiva de la iustizia, come ditto fu di sopra; cioè arrecandosi Dante a la memoria la santa Scrittura pure, secondo la parte punitiva de la iustizia, a le sustanzie pie; cioè a li angiuli che aveano più ditto, mostrando compassione e dando speransa a Dante, che se avesseno ripreso la rigidità del suo parlare, e però ben si conviene loro questo adiettivo pie, cioè pietose: pietoso è chi à compassione all’appenato, Volse le suoe parole così poscia; cioè, poi che ebbeno cantato le parole ditte di sopra, incominciò a parlare inverso loro, di me Dante e fece questa insinuazione che seguita; et è insinuazione latente esordio, nel quale s’induce una cosa per una altra, e però qui s’induce persona per persona; [p. 745 modifica]cioè Dante, del quale dovea e volea parlare, removendo loro dicendo così: Voi; cioè angiuli, vigilate ne l’eterno die; cioè in Dio, che è eterna chiaressa sensa ignoranzia, verità sensa errore: però che sempre contemplate Iddio, Sì che notte; cioè oscurità d’ignoranzia, nè sonno; cioè concupiscenzia dei diletti carnali e mondani, a voi; cioè angiuli; non fura; cioè non tolle latentemente, Passo, che faccia ’l secul per suoe vie; cioè non perdete punto di tempo: imperò che siete confermati in grazia e sempre contemplate Iddio; et anco si può intendere: Non perdete veruna cosa che in tempo avvegna, anco le sapete tutte; e parla molto alto in questa parte, e dèsi intendere così: Passo; cioè la successione temporale che si fa da istante a istante, che; cioè la quale, faccia ’l secul; cioè lo tempo che procede da l’eternità di Dio, per suoe vie; cioè per suoe estensione. Et abbo esposto le parole secondo l’allegoria: imperò che secondo la lettera son chiare; cioè: Voi angiuli vegghiate in vita eterna, dove non si dorme, non si mangia, nè non si be’, sicchè non perdete mai tempo e però non serebbe bisogno ch’io rispondesse a voi, nè per farvi solliciti: imperò che siete; nè per farvi sapere lo suo fallo che anco lo sapete, e però ben ch’io parli a voi, io lo dico perchè m’intenda colui che à fallito e ricognosca lo fallo suo, secondo che dice lo proverbio de le femine: Io lo dico a te, filliuola, perchè m’intenda la mia nuora; e però dice: Unde; cioè per la qual cosa, la mia risposta; la quale io farò ora a voi, è con più cura; cioè con più solicitudine, Che m’intenda colui; cioè Dante, che di là; cioè di là dal fiume Lete, piagne; cioè piange, come appare per quil che è ditto di sopra, Perchè sia colpa e duol d’una misura; cioè perchè risponda lo dolore e la contrizione a la colpa commessa, che m’intendiate voi ai quali non è bisogno. E ragionevilmente l’autore usa questo parlare: imperò che vuole mostrare che Beatrice risponda a li angiuli, che aveano mostrato nel loro canto compassione a Dante, per che cagione ella lo riprese sì aspramente et anco lo riprenderà; e perchè non è bisogno che si mostri la cagione a chi la sa, e li angiuli la sanno, non era bisogno che Beatrice la insegnasse a loro, e però nel principio del suo parlare àe renduto la cagione, per ch’ella sì lo riprese e riprenderà, non perchè lo intendano ellino che non è di bisogno: imperò che ’l sanno; ma perchè lo intenda Dante, a cui era bisogno per ricognoscere la sua colpa, acciò che vi sodisfaccia co la contrizione.

C. XXX — v. 109-123. In questi cinque ternari finge l’autore come Beatrice, fatta la insinuazione, continua la narrazione parlando di lui mostrando quanto fu bene disposto ne la sua puerizia per la grazia di Dio, dicendo così: Non pur per opra de le rote magne; cioè non per operazione della revoluzione dei cieli e dei pianeti: lo primo mobile si gira in 24 ore tutto e tirasi tutti li altri cieli [p. 746 modifica]di rieto che sono contenuti da lui, e l’ottava spera dove sono le stelle fisse, benchè si volga in 24 ore, fa sua revoluzione incontra al primo mobile e va in 10 anni uno grado; e così poi le spere de le pianete, benchè faccino sua revoluzione sotto sopra in 24 ore, ànno suo movimento contro lo primo mobile e fanno suo giro, quale in più e quale, in meno tempo, come è stato toccato di sopra; e queste spere co le suoe revoluzioni ànno a producere qua giù, come seconde cagioni, diversi effetti secondo le coniunzioni de le stelle, Che; cioè le quali, drizzan ciascun seme ad alcun fine; cioè fanno venire ogni seme che à virtù generativa ad alcun effetto, ch’è20 in fine della virtù generativa che è nel seme; e questo dice, perchè non ogni volta lo seme viene al suo perfetto fine: imperò che alcuna volta manca, e di questo le parole de l’autore mostrano che sia cagione la revoluzione dei corpi celesti, e però adiunge: Secondo che le stelle son compagne; per dimostrare che non solamente la revoluzione dei cieli; ma ancora le stelle fisse, che sono ne l’ottava spera, cagionano vari effetti e deduceno uno medesmo seme a diversi fini; e di quindi appare la cagione, perchè tutti li omini non sono d’uno medesmo ingegno e d’una medesma condizione; ma l’uno avansa l’altro, e così vuole dire che le influenzie dei corpi celesti siano cagione de la diversità delli ingegni umani e de le condizioni delli omini e del loro operare e dell’attitudine a le virtù o al vizio; ma a l’attitudine del bene sopra tutte è la grazia di Dio, sensa la quale nessuno bene si può operare; e però inducendo a parlare Beatrice finge che parli di lui, manifestando la grande grazia che Dio li avea donato, dicendo: Ma per larghezza di grazie divine; cioè concedute a lui, Che; cioè le quali grazie, sì alti vapor ànno a lor piova; cioè vapori che sallieno tanto in alto a convertirsi in grazie e descendere ne le menti umane degne di riceverle, come si converteno li vapori umidi in acqua; et usa lo colore che si chiama significazione quando si fa per similitudine, intendendo per li vapori li preghi de le devote anime, li quali sallieno infine a Dio e quive si converteno in grazie: imperò che Iddio dà le grazie per quelli preghi; dice la santa Scrittura: Oratio est elevatio mentis ad Deum, e però dice: Che nostre viste; cioè lo nostro intelletto e ragione allegoricamente, e litteralmente li nostri occhi, ; cioè sì in alto a Dio, non van; cioè non vanno, vicine; cioè prossime21: non si può stendere a Dio lo intelletto umano, Questi; cioè Dante, fu tal; cioè sì fatto e sì bene disposto, ne la sua vita nova; cioè ne la sua puerizia, Virtualmente; cioè potenzialmente, secondo la sua buona disposizione dell’anima e del corpo, ch’ogni abito destro; cioè ogni buona dottrina, Fatto averebbe in lui mirabil [p. 747 modifica]pruova; cioè arebbe fatto meravilliosa prova de la sua grande e buona disposizione. Ma tanto più maligno e più silvestro Si fa ’l terren con mal seme e non colto; ecco che anco parla per similitudine, secondo lo colore che si chiama significazione, intendendo che, come lo terreno vigoroso e fertile diventa tanto piggiore e tanto più salvatico quanto più à di vigorosità e fertilità, quando vi si semina tristo seme e non si lavora come si dè: imperò che più vigorosamente vi cresce lo bosco; così lo ingegno buono e la buona disposizione dell’animo diventa più abundante di vizi e più inetta a la virtù, quando vi si mette la mala dottrina, o quando non si esercita colli atti virtuosi quanto più atto è a ricevere; e questo si dè adattare a Dante: imperò ch’elli finge che Beatrice li dicesse per lui, al quale la grazia di Dio avea donato sì buono ingegno e buona disposizione ne la sua puerizia, che ogni buona dottrina vi si serebbe meravilliosamente appresa; e tanto diventò più inetto a la virtù, quanto più vigorosamente vi creve lo vizio et occupollo. Alcun tempo ’l sostenni; cioè io Beatrice lui Dante, col mio volto; cioè co la mia piacevolessa: nel volto si comprende la piacevilessa de la persona, e cusì qui lo volto figura la piacevilezza di Beatrice, cioè de la santa Scrittura, Mostrando li occhi giovanetti a lui; cioè a Dante; e qui intende, come ditto fu di sopra, lo letterale intelletto e morale; per li occhi giovanetti dice quanto lievamente s’intende e non profondamente e non con sottigliessa; cioè allegoricamente et anagogicamente; et imperò che Dante ne la sua puerizia non avea maturo intelletto de la Teologia, però dice: Mostrando li occhi giovanetti, Meco ’l menava; cioè meco menava lui, cioè Dante io Beatrice, in dritta parte volto; cioè volto inverso la parte virtuosa: continuamente àe parlato l’autore sotto figura, continuando lo parlare di Beatrice come d’una donna, de la quale fusse stato inamorato ne la sua puerizia; e però finge che come la donna piacevile ne la faccia pillia li amanti massimamente co la gaia avvisatura delli occhi, così Beatrice pilliasse lui e menassero là u’ ella volea, cioè ne la via diritta de le virtù allegoricamente.

C. XXX — v. 124-141. In questi sei ternari lo nostro autore finge come Beatrice, continuando lo suo sermone, manifestò l’errore di Dante, dicendo così: Sì tosto come in su la sollia; cioè in su l’entrata, come lo sollio è intrata prima de la casa, fui; cioè io Beatrice, Di mia seconda etade: due sono l’etadi de la Teologia, cioè la prima giovanile, la seconda virile; per la giovanile s’intende la sponizione cioè litterale de la santa Scrittura; per la virile s’intende la sposizione spirituale, cioè anagogica et allegorica de la santa Scrittura; e però dà ad intendere che, come Dante ebbe veduto la santa Scrittura carnalmente, cioè litteralmente e moralmente, e dovea poi [p. 748 modifica]intrare a studiarla spiritualmente, cioè anagogicamente et allegoricamente, elli abbandonò lo studio e levò l’amore de la santa Scrittura, e mutai vita; cioè io Beatrice, che m’era mostrata a lui pur carnale, cioè secondo la lettera e moralità, et incominciava a mostrarmili spiritualmente, cioè allegoricamente et anagogicamente e questo era mutare la vita, Questi; cioè Dante, si tolse a me; cioè si levò da me, cioè dal mio studio, e dièsi altrui; cioè ad altri studi et amori. Quando di carne a spirto era sallita; cioè quando era montata la sponizione carnale, cioè morale e litterale a spirituale, cioè anagogica et allegorica, E bellezza e virtù cresciuta m’era: tanto è più bella e più virtuosa la santa Scrittura, quanto più altamente si considera, quando s’intendeno le suoe figure e le suoe allegorie, secondo la celeste Ierusalemme, spiritualmente; et allora è meno bella e virtuosa, quando si considera carnale, secondo la terreste Ierusalemme, Fui io; cioè Beatrice, a lui; cioè a Dante, men cara e men gradita; cioè meno mi reputò cara, e meno li piacque quando più li dovea piacere et essere più cara, E volse; cioè Dante, i passi suoi; cioè le suoi affezioni, per via non vera; cioè per la via sinistra dei vizi; e ben dice ch’elli volse li passi: imperò che de la via diritta tornò adrieto ne la sinistra, Imagini del ben seguendo false; cioè seguitando li beni mondani, che sono falsi et ingannevili e sono imagine del vero e perfetto bene; unde dice Boezio, quando dice: Haec vel imagines Veri boni, vel imperfecta quaedam dare22 bona mortalibus videntur — , Che; cioè le quali, nulla promession rendeno intera; cioè non fanno quil che imprometteno: imperò che le richesse non fanno l’omo interamente sufficente, come prometteno, e le dignità e li regni, la gloria e li diletti, come dice ancora Boezio: Quod si neque id23 valent efficere quod promittunt, bonisque pluribus carent, nonne liquido falsa in eis beatitudinis species deprehenditur? Tutte queste sentenzie credo che Dante pillasse da Boezio, Nè impetrare spirazion mi valse; ora si lamenta Beatrice che non potette rivocare a sè Dante, sviato da sè, co le spirazion, nè coi sogni, e però dice: Nè mi valse; a me Beatrice a rivocare a me Dante, impetrare spirazion; cioè addimandare da Dio spirazion santa e buona, per la quale io lo rivocasse: impetrare è la grazia addimandata obtinere; spirazione è immissione subita di volontà ardente ne la mente di virtù e di buone opere fatte24 da Dio, Co le quali; cioè spirazioni, nè sogno; ancora mi valse a rivocarlo, impetrare di Dio, e poi in25 questa parte per visione: imperò che molti già sono tornati a ben fare per ispirazioni subitamente mandate da [p. 749 modifica]Dio e per sogni; ma Dante non si rivocò per nessuno di questi modi: potrebbe anco dire lo testo: Co le quali io ’nsegno; et allora s’intenderebbe, co le quali ispirazioni io Beatrice insegno a ritornare a la virtù abbandonata; et a questo testo due serebben li modi da ritornare, l’uno per ispirazione, l’altro per dottrina; e però dice: et altrimenti; cioè per altro modo, Lo rivocai; cioè io Beatrice de la mala via, sì pogo a lui ne calse; cioè di me diventata già di carnale spirituale, cioè sì pogo si curò di me. Tanto giù cadde; cioè Dante, del quale io parlo, che tutti argomenti; che fare si possino a rivocare alcuno, A la salute sua eran già corti: imperò che non vastavano, nè erano sofficenti, Fuor che mostrarli; cioè a Dante, le perdute genti; cioè l’infernali che sono perduti: come ditto è, molti ritornano a Dio per ispirazioni, molti per sogni, molti per dottrina, e questo terso modo tocca, quando dice: Fuor che mostrarli ec. Li altri du’ modi toccò di sopra, quando dice: Nè impetrare ec.; o vero, come ditto è, possiamo intendere che sia pure uno modo. Per questo; cioè per mostrarli le perdute genti, acciò che io lo rivocassi, visitai; cioè io Beatrice, l’uscio dei morti; cioè de l’infernali li quali sono morti a Dio: visitare Beatrice l’uscio dei morti si dè intendere che ella discese a la materia, dove si tratta de la viltà del peccato e de la sua pena, a la quale veramente intese l’autore quando di quella trattò, seguitando la santa Scrittura in quello che in essa si trova di quella materia, Et a colui; cioè a Virgilio che significa la ragione di Dante allegoricamente, e litteralmente pur Virgilio poeta che trattò nel suo libro vi del descenso d’Enea troiano a lo inferno e de l’infernali, che l’à; cioè che à lui, cioè Dante, quassù condotto; cioè infine al paradiso delitiarum co la sua dottrina secondo la lettera, e secondo l’allegoria co la sua speculazione guidato, Li preghi miei; cioè di me Beatrice, piangendo, furon porti: imperò che co lagrime e pianto lo pregai ch’elli lo soccorresse. Ecco che conferma quil che disse ne la prima cantica nel secondo canto, e così dèsi intendere allegoricamente, come fu sposto quive.

C. XXX — v. 142-145. In questo ternario et uno versetto lo nostro autore finge come Beatrice continuò e finitte l’orazione incominciata inverso li angiuli, parlando di Dante, dicendo così: Poi che così àe fatto costui, del quale io òe parlato, et à commesso tanto errore, necessario è innanti che passi Lete ch’elli abbia pentimento del suo errore; e però dice: L’alto fato di Dio; cioè l’ordine fatale, che depende da la provedenzia di Dio; et è fato in molte significazioni: imperò che alcuna volta si pillia per la costellazione, alcuna per la morte, alcuna volta per lo decorso de la vita, alcuna volta per la risposta de l’iddii, alcuna volta per l’evenimento ordinario de le cose, secondo la providenzia d’iddio sì [p. 750 modifica] dicono li versi de la Grammatica: Constellatio, mors, Parcæ, responsa deorum, Eventus rerum signatur nomine fati; et26 ultimo modo si pillia qui, e però adiunge di Dio, e dice l’alto: imperò che Iddio è sopra tutte le cose create, e così la sua providenzia e l’ordine fatale e però bene si può dire alto, serebbe rotto; la quale cosa è impossibile, cioè che ’l fato si possa rompere; et ei si romprebbe se ’l peccato si dimenticasse, sensa averne avuto prima la debita contrizione; e però dice: Se Lete; cioè lo fiume de la dimenticagione, ch’era in mezzo tra lui, cioè tra l’autore e Beatrice, si passasse; cioè dal detto errante, del quale27 i’ò parlato, dice Beatrice, e tal vivanda; cioè sì fatta, come questa di questo fiume Lete, che fa diminticare ogni peccato e tollie la memoria e lo fomite del peccato, Fusse gustata; cioè assaggiata da costui, senza alcuno scotto; cioè pagamento: alcuna volta scotto si pillia per la vivanda, et alcuna volta per lo pagamento, Di pentimento; cioè di dovuta contrizione del peccato commesso, che; cioè la quale, spanda; cioè sparga, lagrime: imperò che le lagrime sono manifestamento del cuore e segno di dolore. E qui finisce il xxx canto.

Note

  1. C. M. di colore dì rosso: cioè bianche che rappresentano tra foglia e foglia un colore rosso,
  2. C. M. lungo tempo:
  3. C. M. nuvola
  4. C. M. d’uliva; cioè della sua fronte e del suo ramo, Sovra
  5. C. M. Santa Teologia è
  6. C. M. con la sua presenzia
  7. C. M. lo talento
  8. C. M. ornata
  9. Nimo; nessuno, dal latino nemo, voce tuttora viva in quello di Lucca e Pisa. E.
  10. C. M. annagorici.
  11. C. M. et annagoricamente:
  12. C. M. purgarsene — e il Riccard. — purgassene — il quale infinito scemato dell’estrema sillaba, purgà à raddoppiato la consonante dell’affisso. E.
  13. C. M. che sia in su
  14. C. M. informato della
  15. C. M. la fonte
  16. I, li, quelli, accorciato dall’ille dei Latini. Vedi T. I. pag. 145. v. 78. E.
  17. Vindelino legge: compartire; ed il Berardi interpetra: sillabicare. E.
  18. C. M. per lo sospiro, e per
  19. C. M. angioli di lui in tersa
  20. C. M. che è fine
  21. C. M. prossimane:
  22. bona mortalibus praestare creduntur,
  23. possunt
  24. C. M. fatta
  25. C. M. e puonsi sogno in questa
  26. C. M. et a l’ultimo
  27. C. M. io òe parlato,
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