Audizioni Commissione d'inchiesta Federconsorzi/27

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Audizione Bambara

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SENATO DELLA REPUBBLICA CAMERA DEI DEPUTATI XIII LEGISLATURA


COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL DISSESTO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZI AGRARI __________


RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA DI GIOVEDI’ 3 FEBBRAIO 2000 __________


Presidenza del presidente Melchiorre CIRAMI


I lavori hanno inizio alle ore 14,10. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE PRESIDENTE. Prima di procedere all’audizione del dottor Bambara, propongo che la Commissione proceda all’esame, ai sensi dell’articolo 24 del Regolamento interno, della proposta di delibera relativa alle collaborazioni, esame rinviato al termine della seduta del 1° febbraio scorso. Non facendosi osservazioni, così resta stabilito.

PROPOSTA DI DELIBERA RELATIVA ALLE COLLABORAZIONI, AI SENSI DELL’ARTICOLO 24 DEL REGOLAMENTO INTERNO

PRESIDENTE. Vi informo che il 24 gennaio 2000 è scaduto il contratto a tempo determinato della dottoressa Agnese Basso, che ha prestato per un anno la sua attività presso la segreteria della nostra Commissione come dattilografa. L’Ufficio di Presidenza, nella riunione del 15 dicembre 1999, tenuto conto della prassi seguita da altre Commissioni parlamentari d’inchiesta e dell’esigenza di non disperdere la competenza e la professionalità acquisita, ha convenuto di sottoporre al plenum la designazione, ai sensi dell’articolo 24 del Regolamento interno, della dottoressa Agnese Basso come collaboratrice a tempo pieno alla Commissione, a decorrere dal 14 febbraio 2000.

Metto ai voti la relativa proposta di delibera.

E’ approvata.

Audizione del dottor Paolo Bambara, già direttore generale della Federconsorzi.

PRESIDENTE. La Commissione procede oggi all’audizione del dottor Paolo Bambara, che ringrazio per aver accolto, con cortese disponibilità, il nostro invito.

Avverto che i lavori della Commissione si svolgono in forma pubblica, secondo quanto dispone l’articolo 7 della legge istitutiva, e che è dunque attivato, ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del Regolamento interno, l’impianto audiovisivo a circuito chiuso. Qualora da parte del dottor Bambara o di colleghi, lo si ritenga opportuno in relazione ad argomenti che si vogliono mantenere riservati, disattiverò l’impianto audiovisivo per il tempo necessario.

Ricordo che l’audizione si svolge ai sensi dell’articolo 15, comma 3, del Regolamento interno in forma libera e che il dottor Bambara ha comunicato che non intende avvalersi della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.

Preciso infine che dell’audizione odierna è redatto il Resoconto stenografico che sarà sottoposto, ai sensi dell’articolo 12, comma 6, del Regolamento interno, al dottor Bambara ed ai colleghi che interverranno perché provvedano a sottoscriverlo, apportandovi le correzioni di forma che riterranno in vista della pubblicazione negli Atti parlamentari.

Vorrei invitare, in via preliminare, il dottor Bambara a precisare le sue esperienze di lavoro prima di entrare nella Fedit, i suoi compiti prima delle dimissioni del dottor Pellizzoni e per quanto tempo è stato direttore generale della Fedit.

BAMBARA. Ringrazio il Presidente per avermi dato questa possibilità e rinnovo la mia disponibilità a rispondere a qualsiasi domanda che venga posta in questa sede o in altra occasione, se la Commissione lo ritiene necessario.

Mi chiamo Paolo Bambara, sono sposato con Giuseppina Briani, ho due figli, Francesco e Lucia. Prima di entrare in Federconsorzi ho fatto una breve esperienza di un anno circa d’insegnamento in materie tecniche e poi sono entrato nel Gruppo COIN, Grandi Magazzini. Dopo una borsa di studio ho percorso tutti i livelli di responsabilità; ho fatto l’allievo quadro vendita, il direttore di due o tre filiali; l’assistente dell’allora direttore generale; poi ho assunto la responsabilità prima del controllo di gestione, quindi del budget del gruppo, poi dell’amministrazione, dei sistemi informativi e della programmazione commerciale fino ad arrivare, sotto la direzione generale del dottor Pellizzoni, che poi ho reincontrato in Federconsorzi, alla responsabilità di direttore centrale appunto "amministrazione, controllo e sistemi informativi". Sono stati 23 anni di permanenza nel Gruppo COIN molto importanti per l’azienda, per l’organizzazione, ma anche per la mia stessa crescita professionale, per le esperienze che ho fatto e di questo sono molto grato a quel gruppo.

Nel novembre 1989, avendomi il dottor Pellizzoni conosciuto in COIN, come ho appena detto, mi è stata offerta la possibilità di "sbarcare" a Roma e di fare quest’esperienza in Federconsorzi. Ero molto interessato ad esperienze diverse. Ventitré anni in un’organizzazione sono tanti; ci si può anche stancare, volersi misurare e rischiare in un altro contesto. Dopo un paio di mesi di trattative sono entrato in Federconsorzi il 20 novembre del 1989 con la responsabilità di direttore centrale "amministrazione, controllo e sistemi informativi". Nell’aprile 1990 mi è stata aggiunta la responsabilità della direzione "finanza", con un direttore "finanza" assunto in quel momento. Ho continuato a ricoprire questa responsabilità direttamente fino a metà settembre 1991 quando, in costanza di commissariamento e di concordato preventivo, su proposta dei commissari e su approvazione del giudice delegato, essendo uscito il dottor Pellizzoni da direttore generale, mi è stata offerta la direzione generale della Federconsorzi che ho assunto a metà settembre 1991. Bisogna a questo punto distinguere due momenti della mia uscita; ho ricoperto l’incarico, mantenendo tra l’altro anche l’interinato dell’amministrazione della finanza, fino al 15 luglio 1995 quando sono stato licenziato dal commissario governativo per giustificato motivo: non occorreva più l’ufficio della direzione generale, visti i tempi della liquidazione. Poi ho continuato con un secondo rapporto fino al 20 maggio 1996, quando dal liquidatore sono stato licenziato per giusta causa e lì ho interrotto il secondo rapporto. Questo è il mio excursus in termini d’incarichi professionali prima e durante le mie responsabilità in Federconsorzi.

PRESIDENTE. Da chi ha avuto notizie per la prima volta della società S.G.R.?

BAMBARA. Più che di S.G.R. ho avuto notizia dell’iniziativa "cessione in massa dei beni" dalla procedura di concordato ed, in particolare, dalla sentenza di omologa del concordato stesso dell’ ottobre 1992. Già in quella sentenza è nominato un gruppo; si parlava del professor Casella con il quale poter effettuare contatti, approfondimenti, trattative affinché quel gruppo costituisse una società fatta da soli creditori di Federconsorzi a cui cedere i beni. La notizia ufficiale è venuta, in sede di previsione, dalla sentenza di omologa e, nella primavera del 1993, dagli incontri con il giudice delegato e con i commissari che sono sfociati prima nella costituzione della S.G.R. e poi nell’atto-quadro del 3 agosto.

PRESIDENTE. Non ha assunto cariche all’interno della S.G.R.?

BAMBARA. No. C’è stata una delibera del consiglio d’amministrazione della S.G.R. - mi sembra - a fine settembre 1993 - che mi nominava direttore generale della stessa. Non sono mai riuscito a prendere l’incarico in primo luogo perché non ho avuto il tempo di dare le dimissioni da direttore generale di Federconsorzi - quella era una premessa - e poi perché nel momento in cui dovevo dare queste dimissioni ed assumere quest’incarico, subito dopo il passaggio delle 70 persone dalla Federconsorzi alla S.G.R., ho subìto una custodia cautelare da parte della Procura di Roma (quattro giorni sono stato in custodia cautelare a Regina Coeli); da lì è iniziato un progressivo allontanamento dall’idea di assumere quest’incarico. Di fatto, non ho mai preso operativamente l’incarico di direttore generale della S.G.R. ma ho mantenuto quello di direttore generale di Federconsorzi.

PRESIDENTE. La proposta per passare a S.G.R. da chi le fu fatta?

BAMBARA. Bisogna ricordare chi è stato il primo perché le cose si sono accavallate. Comunque tutto è avvenuto nei miei ricordi nella tarda primavera del 1993. Il primo a parlarmi, tra l’altro facendosene anche merito, è stato il commissario governativo dell’epoca, il dottor Piovano il quale mi disse di avere parlato con il professor Capaldo che incarnava un po’ l’idea S.G.R. in quel momento - ancora la società non era costituita - e che aveva fatto il mio nome per questa posizione. Poi il chiarimento ufficiale mi è stato dato dallo stesso professor Capaldo nel corso di un incontro personale e apposito. Successivamente anche il giudice delegato, il dottor Greco, e il nuovo commissario governativo, arrivato intorno al mese di maggio o di giugno del 1993, il professor D’Ercole, mi hanno confermato quest’ipotesi.

PRESIDENTE. Lei è stato quindi direttore generale della Fedit dal 1989 al 1996.

BAMBARA. Esattamente, fino al 20 maggio 1996. E dal settembre 1991 (non dal 1989).

PRESIDENTE. In questo periodo lei ha mai steso delle relazioni per S.G.R.?

BAMBARA. Per quanto posso ricordare mi sembra di no.

L’avvocato Lettera, all’epoca ma anche oggi commissario governativo di Federconsorzi, mi ricordava che intorno all’anno 1993 avrei sottoscritto un certo documento in qualità di appartenente a S.G.R.. Questo documento non lo ricordo ma certamente esiste, se l’avvocato ha avuto modo di vederlo. Non so di cosa tratti e d’altra parte è indice anche del mio modo di propormi alle cose. Probabilmente sul piano operativo c’erano da prendere delle decisioni per cui devo aver firmato questo documento, non so se una lettera, una relazione o cos’altro. Non ricordo di aver firmato altre carte.

PRESIDENTE. Le richiamerò ora alcune date che abbiamo rilevato dalla lettura degli atti nella speranza che possano aiutarla a ricordare meglio. In una di queste relazioni a disposizione della Commissione, datata 30 agosto 1993, con protocollo riservato 3/93 e indirizzata a Pellegrino Capaldo, lei afferma che il sistema informatico della Fedit, gestito da Agritalia Informatica, era stato pensato in funzione delle future esigenze della società Agrisviluppo e non della Fedit. Vorremmo sapere da lei quando era stata pensata Agrisviluppo, da chi e quali progetti vi erano connessi.

BAMBARA. Questa relazione è stata firmata da me come direttore generale di Federconsorzi e non come S.G.R..

PRESIDENTE. Volevamo sapere se erano state fatte delle relazioni mentre lei era direttore generale della Fedit verso S.G.R..

BAMBARA. Avevo capito male la domanda. Certamente.

PRESIDENTE. Le avevo chiesto se, quale direttore generale della Fedit, avesse svolto delle relazioni per S.G.R..

BAMBARA. Nei confronti e non per conto di S.G.R.. Ritengo di sì. La mia risposta di prima è da cancellare perché avevo capito male.

PRESIDENTE. Queste relazioni lei le indirizzava al professor Capaldo oppure ad altri soggetti?

BAMBARA. Avrei bisogno di rivederle perché non ricordo.

PRESIDENTE. Sappiamo che esistono. Da lei vorremmo conoscere il loro numero, dove si trovano e se sono state pagate.

BAMBARA. Escludo nel modo più assoluto che vi siano stati dei compensi. Non ne ricordo il numero, né a chi fossero indirizzate. Mi dispiace di non poter dare al momento un contributo in questo senso. Se avessi modo di esaminarle potrei dare una risposta. Per quanto riguarda quella di Agrisviluppo, se è esaminabile, sono pronto a dare una risposta in base alla domanda che lei mi ha fatto.

PRESIDENTE. In questo momento non è a mia disposizione, però le ho indicato la data che è del 30 agosto 1993. Nella relazione lei parlava del fatto che il sistema informatico della Fedit, gestito da Agritalia Informatica, era stato pensato in funzione delle future esigenze della società Agrisviluppo e non della Fedit. Se ciò risponde al vero, in quale momento era stata pensata Agrisviluppo? Da chi era stata pensata? Vi erano dei progetti connessi?

BAMBARA. Agrisviluppo era una società il cui oggetto sociale non era quello di acquisire i beni della Federconsorzi, bensì di rifondare un sistema federconsortile diverso, anche se ne sposava l’idea originaria, da quello precedente. Agrisviluppo è nata subito dopo il concordato quando già i primi commissari, nominati non come liquidatori ma come commissari per il rilancio della Federconsorzi, avevano tentato, con una società esterna suggerita dal ministro Goria, di rifondare il sistema. Agrisviluppo è nata in quel periodo e l’oggetto sociale era quello di tutelare e sviluppare la rete di vendita della Federconsorzi, cioè i consorzi agrari, sostituendosi ad essa.

Successivamente Agrisviluppo ha avuto delle maturazioni e, sotto la guida del dottor Piovano, commissario governativo, è stata ratificata dal tribunale come una società adibita a quello scopo. Tanto è vero che la sentenza di omologa del concordato ne descrive i contenuti, ne approva l’esistenza, ma chiarisce che la Federconsorzi, essendo in concordato, non poteva provvedere a capitalizzarla ma andava messa sul mercato. Questa è la storia di Agrisviluppo. È chiaro che per fare funzionare tale realtà occorreva un’organizzazione, un sistema di controllo, un sistema informativo. Agritalia, cui era stato ceduto in service il sistema informatico della Federconsorzi, aveva costruito o si apprestava a costruire anche il sistema informativo per la gestione di Agrisviluppo. Agrisviluppo era una delle società promesse in cessione alla S.G.R..

PRESIDENTE. Si può dunque correttamente affermare che Agrisviluppo doveva aggregare tutte le attività operative presenti nella Fedit, funzionali alla rete distributiva, per poi rendersi cessionaria dei crediti Fedit nei confronti dei CAP?

BAMBARA. Agrisviluppo avrebbe senz’altro associato tutte le attività commerciali ex Federconsorzi, sia pure con un’ottica diversa in quanto avrebbe agito solo da intermediario commerciale evitando di occuparsi degli acquisti e delle vendite come accadeva per la Federconsorzi. Si trattava di un’attività molto più semplice.

PRESIDENTE. Era negli intenti di Agrisviluppo rendersi cessionaria dei crediti Fedit nei confronti dei CAP?

BAMBARA. Non credo fosse nei suoi progetti e neanche nell’oggetto sociale. Certamente, nei progetti che immaginavamo io e la mia struttura addetta, c’era anche l’ipotesi di renderla cessionaria dei crediti di Federconsorzi verso i consorzi agrari.

PRESIDENTE. Agrisviluppo aveva dei rapporti di collaborazione con altre imprese?

BAMBARA. Assolutamente no, purtroppo, perché forse ciò avrebbe potuto rappresentare la soluzione del problema. Noi pensavamo ad Agrisviluppo come ad un’ azienda di diritto privato in grado di rilanciare il sistema. Se avessimo già avuto dei rapporti con altri enti esterni, questo avrebbe significato che Agrisviluppo cominciava a funzionare, mentre in realtà non ha mai operato. Questa era una delle aspettative del management addetto che, consapevole del problema ex Fedit, tentava di risolverlo ponendosi l’obiettivo di rendere Agrisviluppo operativa in senso pieno. Purtroppo non c’è stato alcun movimento concreto in questo senso.

PRESIDENTE. Che tipo di prospettiva poteva rappresentare per lei, anche se non ha mai assunto tali funzioni, l’assunzione delle funzioni di direttore generale di S.G.R., dal momento che questa società doveva avere un mandato temporalmente ben definito? Quanto poteva essere allettante per lei?

Altrimenti si potrebbe pensare che S.G.R. avesse altre prospettive, oltre la liquidazione dei beni Fedit.

BAMBARA. Posso rispondere con precisione dal momento che è stato, tra l’altro, il contenuto del colloquio di cui ho già fatto menzione con il professor Capaldo. Quando mi si è delineata questa prospettiva ho detto con chiarezza sia a Piovano che a Capaldo che l’attività di liquidazione non mi interessava in quanto tale. In primo luogo, perché aveva una scadenza temporale di tre o quattro anni e, in secondo luogo, perché dal punto di vista professionale non era lo scopo cui tendevo. Mi ero abbastanza stancato di questa attività liquidatoria, anche se, a dir la verità, in questa modalità per liquidare i beni di Federconsorzi intravedevo – e questa è stata una piccola spinta perché accettassi – un qualcosa (mi scusi per la cacofonia) di imprenditoriale, del tutto diverso dalla liquidazione concordataria. Tutto questo poteva avere un certo grado di interesse, ma non è ciò che mi ha spinto a dire di sì. Mi hanno spinto ad accettare, invece, due motivazioni particolari, che traducono il mio stesso modo di vedere la vita, oltre che la professione.

Il primo motivo era quello che pensavo (e prima della costituzione di S.G.R., o meglio della firma dell’atto-quadro, ero abbastanza coscientemente speranzoso che questo si verificasse) che tramite S.G.R. si potesse trovare una strada più concreta e più operativa per il rilancio del mondo federconsortile. A questo proposito, faccio l’esempio di Agrisviluppo che, come ho appena detto, passava in S.G.R. perché era una delle controllate della Federconsorzi; allora intravedevo la possibilità - e ne parlai con il professor Capaldo - di investire in Agrisviluppo tramite questa iniziativa. Il professor Capaldo, in linea di principio, non era del tutto in disaccordo su questo argomento. Questo mi incentivò a dire di sì. Poi purtroppo nello statuto di S.G.R. - e questo è il motivo per cui me ne allontanai - ci si dimenticò - o meglio si perse, perché i soci non furono d’accordo (ho chiesto spiegazioni e questa è la risposta che mi è stata data) - di curare l’aspetto della gestione e dello sviluppo, limitando l’oggetto sociale di S.G.R. alla pura liquidazione. Comunque, il primo motivo per cui dissi di sì a questa prospettiva è quello che ho testé indicato.

Il secondo motivo, che è legato al primo, era che nello sviluppo della rete federconsortile intravedevo la possibilità che la questione sociale, cioè le persone di Federconsorzi, innanzitutto, ma anche dei consorzi agrari e delle società controllate, tramite questa via mista di liquidazione e di gestione per lo sviluppo, potessero trovare uno sbocco professionale a fronte del disastro sociale che era derivato dal crollo del sistema.

Questi furono essenzialmente i due motivi, tra il professionale e il personale, che mi spinsero a dire di sì, non quello della pura liquidazione, perché – come lei ha detto e lo confermo – non era nelle mie aspirazioni fare il liquidatore per tre o quattro anni.

PRESIDENTE. Vorrei che ci intendessimo meglio su un punto. In sostanza, nei discorsi preparatori della creazione di S.G.R. c’era, in linea prospettica, la continuazione dell’attività di Federconsorzi attraverso l’associata Agrisviluppo, anche se poi questa, come lei dice, nello statuto si tradusse in una sorta di società di liquidazione? Mi sembra che nello statuto ci fosse qualche spiraglio per questo secondo scopo.

BAMBARA. Questo però non mi risulta, Presidente; mi aspettavo che si stabilisse questo nello statuto, ma di fatto, secondo me, ciò non è avvenuto.

Nelle trattative che sono intercorse tra gli organi della procedura, i commissari governativi e S.G.R., questo argomento non è stato trascurato, tant’è che, se non sbaglio, questo aspetto della tutela del sistema e del rilancio delle società controllate e di Agrisviluppo è riportato nel secondo provvedimento del giudice delegato del luglio 1993, che approva definitivamente l’atto-quadro (ma forse questo concetto era già richiamato nel provvedimento del marzo 1993). Quindi nelle trattative, nel negoziato che è stato fatto, certamente questo discorso è stato affrontato.

PRESIDENTE. Ed era questo aspetto che eventualmente rendeva appetibile, da parte sua, accettare la carica di direttore generale di S.G.R.? Altrimenti diventerebbe incomprensibile quello che lei ci ha detto prima.

BAMBARA. Per me era l’aspetto più appetibile, assieme a quello della tutela delle persone.

PRESIDENTE. Quindi lei dice che questo discorso non era campato in aria, era piuttosto concreto, anche se poi non fu introdotto nello statuto. Però nelle intenzioni di chi pensò…

BAMBARA. Di entrambe le parti che pensarono questa soluzione.

PRESIDENTE. …di istituire la S.G.R. c’era la volontà di risolvere il problema di Federconsorzi con riferimento all’aspetto del concordato e di continuare la gestione attraverso le società collegate, una delle quali poteva essere Agrisviluppo.

BAMBARA. Era assolutamente un tentativo, anche se riconosco che il primo obiettivo era quello della liquidazione.

PRESIDENTE. Vorrei ora affrontare un’altra serie di argomenti.

Nel periodo che è stato direttore generale della Fedit, ha potuto determinare quali erano le reali uscite della Fedit? In particolare, i rapporti con associazioni quali la Coldiretti e la Confagricoltura erano sottoposti al suo controllo contabile?

BAMBARA. Da quando sono diventato direttore generale della Fedit, almeno da quanto mi risulta, non ci sono state più uscite…

PRESIDENTE. Cioè dal 1989?

BAMBARA. No, da quando sono diventato direttore generale della Fedit, quindi dal settembre 1991.

PRESIDENTE. Già, perché prima lei aveva assunto un’altra carica.

BAMBARA. Ero direttore amministrativo, direttore centrale.

PRESIDENTE. Già, era direttore di una delle branche che curava…

BAMBARA. Di una divisione dell’amministrazione, di uno staff. Quindi la mia risposta è che dal 1991 non ci sono state più uscite nei confronti di Coldiretti.

PRESIDENTE. Lei sa se Fedit esercitava un controllo contabile su queste due associazioni?

BAMBARA. Prima sì, non sulle associazioni ma sui rapporti amministrativi con esse.

PRESIDENTE. Quindi esercitava questo controllo contabile?

BAMBARA. Certo, a livello di ragioneria; non lo facevo io personalmente.

PRESIDENTE. Era informato di come avveniva questo controllo?

BAMBARA. Nei confronti di Coldiretti e Confagricoltura c’erano due aree di interesse contabile (chiamiamolo così): una era rappresentata dal pagamento delle quote di iscrizione a queste due associazioni, l’altra era data dai rapporti di gestione ordinaria, che riguardavano gli affitti degli immobili, la messa a disposizione di persone e così via.

PRESIDENTE. Possiamo dire che c’erano, oltre a queste, contribuzioni di altra natura?

BAMBARA. No, contribuzioni di altra natura a me non risultano nella maniera più assoluta.

Sia nell’uno che nell’altro caso c’era una metodologia contabile. Quella che riguardava il controllo degli affitti e le persone messe a disposizione era sotto la tutela della direzione del personale; quella che riguardava il pagamento delle quote associative, invece, avveniva direttamente, con una delega specifica, attraverso un mandato del presidente della Federconsorzi (parlo del 1990, ovviamente), il quale dava alla ragioneria - e non a me - l’input a versare queste quote, che erano deliberate dai consigli di amministrazione dei due sindacati e approvate dal nostro consiglio di amministrazione. I versamenti venivano effettuati con assegni nominativi circolari – me lo hanno detto a posteriori, perché non controllavo questo aspetto – a persone delle due organizzazioni. Ovviamente questi assegni venivano regolarmente contabilizzati; io li ho trovati contabilizzati.

PRESIDENTE. Cioè venivano iscritti nel bilancio?

BAMBARA. Assolutamente sì, anzi fanno parte dei costi generali del bilancio che ho sottoscritto io, ma anche di quelli dei bilanci precedenti.

PRESIDENTE. Alla Commissione interessa sapere ciò che avveniva nella sua gestione e prima di essa. Le faccio questa domanda perché proprio nella giornata di ieri abbiamo ascoltato i responsabili di allora di Coldiretti e Confagricoltura, i quali ci hanno spiegato due diversi modi di accreditamento alle due associazioni delle quote associative e di eventuali altre contribuzioni (chiamiamole così). Presso la Coldiretti l’accreditamento avveniva con assegni circolari nominativi, che poi venivano girati dal presidente al suo amministratore. Il rappresentante della Confagricoltura, dottor Wallner, ci ha detto invece che non ha mai visto assegni circolari, perché la Federconsorzi aveva un rapporto con l’ufficio amministrativo di Confagricoltura. Può darci una spiegazione del motivo per cui esistevano questi due modi diversi di versare le quote associative alle due associazioni?

BAMBARA. Presidente, si tratta di un argomento su cui non ho avuto un’esperienza personale. Se ci sono state due diverse modalità di versamento, questo si deve al fatto che le due Confederazioni avranno avanzato una richiesta in tal senso. Devo però assicurarle che dalle ricerche che ho fatto nella contabilità precedente è risultato che entrambe queste due modalità - ammesso che fossero due diverse - erano recepite dal bilancio di Federconsorzi.

PRESIDENTE. Sotto quale voce erano iscritte?

BAMBARA. Sotto la mia giurisdizione erano nelle "spese verso Coldiretti" e così via. Nelle altre voci di bilancio erano sotto la voce "spese diverse" e non erano specificate.

Visto che la domanda è molto precisa e concerne la regolarità contabile vorrei precisare che ciò prescinde dalla regolarità di merito che era assolutamente regolare e normale; così come una qualsiasi azienda facente parte di Confindustria oggi dispone di una iscrizione da pagare - questa è la ragione che mi sono dato - lo stesso succedeva a Coldiretti ed a Confagricoltura.

PRESIDENTE. Che cosa sono le cosiddette "partite da acclarare" che giustamente i nostri consulenti suggeriscono "compaiono nelle scritture contabili del 1988, ’89 e ’90"? Perché si usava una simile espressione per i costi certi?

BAMBARA. Non mi ricordo quali esse siano negli anni 1988, ’89 e ’90. Il mio arrivo in Federconsorzi è stato originato dalla necessità di avere un direttore amministrativo ma anche da un obiettivo ben preciso: quello di preparare la contabilità ed il bilancio alla certificazione volontaria del bilancio stesso; cosa che avrebbe dovuto decorrere alla fine del triennio della mia permanenza. In realtà già dal 1991 eravamo pronti. Anzi, l’assemblea dell’aprile ’91 aveva già votato la Coopers and Lybrand come società per la revisione volontaria. Per consentire al bilancio di sottostare alla certificazione volontaria e prepararsi alla quarta direttiva CEE era necessario intervenire nella contabilità, riclassificando le voci, aprendole, modificandole, rendendole ancora più esplicite; il che non vuol dire che i bilanci precedenti non lo fossero. Non erano fatti secondo le esigenze che dall’89 e dal ’90 maturavano. Nel fare questa opera molto intensa, aiutato tra l’altro da ottimi professionisti esterni - altrimenti non sarei riuscito a farlo entro 12 mesi - con la collaborazione piena della struttura e degli uffici amministrativi impegnatissimi in questo settore, non tutte le partite erano acclarate. Che cosa vuol dire? Non era chiarita la genesi contabile né la composizione contabile. Io sono arrivato nel novembre ’89. Il bilancio 1989 certamente conteneva delle partite da chiarire, nel ’90 non compiutamente chiarite; nel ’90 probabilmente vi era ancora un residuo di partite da acclarare ma sempre con questa intonazione e con questa finalità. Sono riuscito a chiarire praticamente quasi tutte le poste di bilancio; il che la dice lunga sulla chiarezza della contabilità anche passata. Poiché la società era complessa non ho potuto toccare l’intero universo ma sono riuscito a risalire a poste storiche anche anteriori all’80 tanto è vero che i bilanci ’89 e ’90 già testimoniano certi interventi in questo senso e, se questo mi è stato possibile, è perché la contabilità mi consentiva di farlo.

PRESIDENTE. Queste partite da acclarare comprendevano anche i contributi alle associazioni?

BAMBARA. Per gli anni ’89-’90 lo escludo nella maniera più assoluta.

PRESIDENTE. Nel periodo precedente?

BAMBARA. Non c’ero nel 1988. Non so dirle.

PRESIDENTE. Non ha avuto modo di chiarire questo?

BAMBARA. Nella maniera più assoluta e per quanto riguarda il mio intervento ho visto anche nell’88 e nell’87 quali erano le partite contabili relative a Coldiretti ed a Confagricoltura. Le ho trovate. Non so se nell’88 le abbiano dichiarate partite da acclarare o no. Per le partite da acclarare nel 1989-’90 escludo che si tratti, tra le altre, anche di queste poste.

PRESIDENTE. Ricorda l’esistenza dei debiti della Fedit per circa 379 miliardi che vennero azzerati dagli esercizi 1989 e ’90?

BAMBARA. Certo. Fanno parte del progetto di cui le ho parlato.

PRESIDENTE. Qual era la documentazione da lei esaminata?

BAMBARA. Le passività liberate.

PRESIDENTE. Chi erano i creditori, quali erano le ragioni del credito, quando sono sorti questi crediti? Si dava una spiegazione di come mai era stato azzerato in un anno questo debito e nessun creditore si era ribellato?

BAMBARA. Vi spiego l’origine delle contabilizzazioni che ho trovato. Prima di proporre con i miei consulenti una cosa del genere al consiglio di amministrazione (l’assemblea ha votato queste passività liberate successivamente in modo specifico e non tanto nell’ampia approvazione del bilancio) ho dovuto fare delle analisi, ricerche sulle "passività liberate". Dagli anni ’70 fino all’80 circa esisteva una metodologia, approvata dagli organi finanziari dell’epoca, per quanto riguarda la contabilizzazione delle campagne agricole. Lei sa che siano esse di ammasso, siano esse di commercializzazione, esse hanno origine nel luglio di ogni anno e terminano, dal punto di vista commerciale, al giugno dell’anno successivo. I rendiconti poi avevano bisogno per le chiusure, di altri tre o quattro mesi, per essere completati. Al 31 dicembre di ogni anno era in piedi l’attività di commercializzazione; non era conclusa. Quindi non vi era coincidenza tra la conclusione delle attività di commercializzazione e la conclusione dell’esercizio e, quindi, del bilancio. Bisognava, allora, operare sui ratei e sui risconti per quantificare il reddito tipico di queste attività. Ricavi e costi venivano analizzati e la metodologia, approvata dagli uffici finanziari - mi è stato detto e ribadito e ne ho trovato traccia in questo senso - era la seguente: mentre i ricavi venivano considerati per cassa (i ricavi cioè che maturavano venivano inseriti nel bilancio mentre quelli che non maturavano venivano rinviati all’anno dopo), i costi, poiché le prestazioni erano state già effettuate in gran parte, venivano trattati in modo diverso. Non si registravano soltanto i costi per cassa ma si faceva anche una previsione - quello che oggi si chiama il rateo contabile - dei costi, relativi alle prestazioni, ma non ancora contabilizzati - lo sarebbero stati l’anno dopo - si inserivano in bilancio come costi. Mentre i ricavi andavano in conto economico, questi costi in parte andavano direttamente in conto economico per i costi realizzati, maturati e registrati nell’anno, in parte andavano in conto economico ma accantonati nel passivo, come ratei, appunto tra le passività diverse. Quindi non erano nominative. Ho trovato queste passività diverse non legate ad un debitore specifico. Presumibilmente avrebbero potuto avere dei debitori ma, di fatto, erano dei ratei che venivano accantonati in attesa, l’anno dopo, di essere o cancellati o comunque interpretati quando si faceva la rendicontazione. L’anno successivo, quando si chiudevano le rendicontazioni, parte di questi costi non erano da addebitare a quelle attività. Allora la Federconsorzi ha deciso negli anni ’70 di mantenere questi costi tra le "passività diverse", di trattarle come fondi-rischi per eventuali esigenze future e di lasciarle nella contabilità. Io le ho trovate. Nel 1989 e ’90 mi sono reso conto assieme ai miei consulenti che la realtà storica era un’altra; non era più necessario mantenere questi fondi di accantonamento o queste presunte obbligazioni. Allora, considerando con il nostro civilista che comunque 10 anni erano passati e che quindi il periodo di prescrizione era scaduto ove qualche creditore avesse reclamato queste eventuali sue spettanze, negli anni 1989-’90 abbiamo proposto all’assemblea di portarle in bilancio (come sopravvenienza attiva perché se si cancella un debito, l’insussistenza di un debito o di un fondo si traduce comunque in una sopravvenienza attiva) e portarle per la seconda volta a tassazione (erano già state tassate all’epoca); per nostra prudenza cioè le abbiamo liberate tassandole.

Questa è la storia contabile di cui sono venuto a conoscenza in Federconsorzi e che per me costituiva una novità dal momento che non mi erano mai capitate gestioni commerciali di questo genere.

PRESIDENTE. Era una novità per lei ma una sorpresa per noi. Come può rendersi conto verrebbe spontaneo chiederle se questa non costituisse una riserva occulta.

BAMBARA. A mio modo di vedere non costituiva una riserva occulta bensì un fondo rischi. Qualcuno può chiamarla una riserva occulta, come del resto fa il Procuratore della Repubblica.

PRESIDENTE. In base alla sua esposizione mi sembra la conclusione più logica, al di là di ogni pregiudizio che si possa avere nell’esaminare queste vicende. Vengono accantonati fondi sotto la voce debiti, o meglio delle passività, che non hanno la corrispondenza in creditori. Non basta dire che nessuno li ha reclamati. Quando si parla di 379 miliardi un eventuale creditore si sarebbe fatto avanti.

BAMBARA. Signor Presidente, nessun fondo rischio ha un creditore, nessun accantonamento nel passivo, accantonamento di prudenza...

PRESIDENTE. Lei parlava di un presupposto di costi.

BAMBARA. Non è mia intenzione difendere gli amministratori che hanno operato in passato ma, in base a quanto mi è stato consentito di leggere, ho trovato assolutamente legittimo che all’epoca le cose fossero fatte in quel modo, così come trovo assolutamente legittimo che intorno al 1989-1990 non esistesse più il bisogno di questi fondi rischio e quindi che fossero nuovamente riportati in bilancio.

PRESIDENTE. Chi fu a relazionare all’assemblea, su incarico di Pellizzoni, per giustificare l’esclusione dal bilancio e quindi la conseguente sopravvenienza attiva?

BAMBARA. Nel 1990 fui io mentre nel 1989 non ricordo. Forse fu lo stesso dottor Pellizzoni. Sul punto sarebbe bene chiedere al dottor Pellizzoni o al Presidente. Non è corretto parlare di riserve occulte dal momento che in realtà nella contabilità risultavano chiaramente. Se non fossero state così evidenti non le avremmo trovate.

PRESIDENTE. Quale era l’ufficio che gestiva questi fondi?

BAMBARA. L’ufficio ragioneria. L’accantonamento rientrava tra i compiti della ragioneria. Esistevano in amministrazione degli uffici specialistici per la gestione della commercializzazione, ma il bilancio veniva gestito dalla ragioneria.

PRESIDENTE. Fu fatto un inventario fisico di magazzino sotto la sua gestione? Quali risultati sortì?

BAMBARA. Fu fatto un inventario fisico nel 1990. I risultati sono quelli indicati in bilancio.

PRESIDENTE. Lei ritiene che questa esposizione di magazzino fosse veritiera?

BAMBARA. Sicuramente sì.

PRESIDENTE. In base a quali criteri venivano iscritti in bilancio, fino all’anno 1988 compreso, i crediti verso i CAP?

BAMBARA. Non lo so. Sono certo che, così come nel 1989 e nel 1990, anche negli anni precedenti i crediti venissero iscritti in base alle fatture di vendita e a quelle dei ricavi. C’era una modalità, ormai diventata una prassi, nel regolamento dei rapporti attivi tra Federconsorzi e consorzi agrari, che prevedeva da parte di questi ultimi il pagamento di una quota quindicinale. Esisteva un conto corrente di gestione che intercorreva tra noi e i consorzi agrari. Una parte del pagamento avveniva in contanti, una parte veniva rateizzata e una parte era sotto forma di cambiali, anzi spesso tramite cambiali.

È chiaro che quando si rateizza l’incasso di un certo ricavo si origina un credito che va subito segnato in partita doppia, in avere del conto economico segno ricavi, e in dare del conto patrimoniale, crediti - registro i crediti.

Da quanto ho potuto verificare questa era la gestione anche prima del 1989.

PRESIDENTE. Cambiò qualcosa nelle indicazioni in bilancio o nelle procedure dal 1989 in poi?

BAMBARA. In termini di partita doppia non cambiò niente, però cambiò la classificazione di questi crediti. Distinguemmo in modo più preciso, anche se una classificazione similare esisteva già nel 1988, quelli che erano ancora crediti commerciali nei confronti dei consorzi agrari - infatti, il bilancio 1989-90 li esplicita - da quelli che, pur essendo derivati dalle transazioni commerciali, erano diventati "crediti finanziari", vale a dire quelli cambializzati.

Nell’opera di riclassificazione delle voci di bilancio per la certificazione volontaria si è proceduto anche a riclassificare i crediti non solo verso i consorzi agrari ma anche verso i produttori agricoli e terzi, quali i clienti. In questo senso c’è stata una riclassificazione.

PRESIDENTE. Secondo la relazione dei dottori Pavan e Cattaneo questi crediti verso i CAP ammontavano effettivamente a 1547 miliardi, mentre in bilancio venivano esposti per 908 miliardi. Da cosa derivava questa differenza? Mi sembra una differenza non da poco.

BAMBARA. Signor Presidente, dal momento che conosco molto bene la relazione del dottor Pavan, vorrei avere il tempo di rileggerla perché questa discrasia non mi risulta.

Nella relazione deve esserci qualche dato da interpretare.

PRESIDENTE. Posso darle per certo questo dato che non è uscito fuori in modo casuale. Nella relazione del dottor Pavan questi crediti verso CAP ammontavano a 1547 miliardi. Loro, al momento della relazione, si erano accorti che l’esposizione in realtà era solo per 908 miliardi. Tant’è che le chiedo un contributo in questo senso proprio per capire da cosa derivasse questa differenza.

BAMBARA. E’ una differenza che non percepisco, che non ricordo. La relazione del dottor Pavan, che era datata agosto 1989, non coincideva con la chiusura dell’anno. È impossibile che dal mese di agosto alla fine dell’anno la differenza maturata fosse di 600 miliardi. Non vorrei che in quei 1547 miliardi non fossero considerati, perché erano nei conti d’ordine, i crediti cambializzati che poi noi abbiamo riclassificato per far coincidere tutti i dati.

Questa è soltanto una mia interpretazione del momento perché so cos’è stato fatto negli anni 1989-1990, ma per quanto riguarda la differenza da lei citata vorrei poter esaminare la relazione per capirne la genesi. Non riesco a ricordare questa differenza.

PRESIDENTE. In che cosa si concretizzava la confusione, rilevata dagli stessi analisti Pavan e Cattaneo, tra patrimonio Fedit e patrimonio Aima?

BAMBARA. Tra conti patrimoniali Fedit e conti patrimoniali Aima. L’attività di Federconsorzi era estremamente complessa, composita, ed era rappresentata da un’attività propria con i consorzi agrari, legata alla commercializzazione. Quest’attività aveva un suo patrimonio retrostante derivante essenzialmente dai crediti verso i consorzi agrari e dai debiti verso i fornitori. L’Aima ci vedeva quasi come gestori per conto di qualcuno piuttosto che come gestori diretti. Esisteva un grosso dibattito teorico - noi stessi ci siamo affidati in questo senso a un certo consulente di cui non ricordo il nome - se fosse corretto o no inserire nel bilancio di Federconsorzi anche l’attività, e quindi il patrimonio, dell’Aima. Ovviamente mi riferisco al patrimonio Fedit, al patrimonio delle attività che Fedit svolgeva per l’Aima e quindi soprattutto crediti e debiti verso queste attività di commercializzazione. Si pensava, sulla scorta dell’articolo 3 dello statuto che obbliga la Federconsorzi a tenere sotto la riga in conti separati le risultanze contabili delle gestioni per conto dello Stato - i vecchi ammassi obbligatori degli anni 50 -, che anche l’Aima dovesse avere una sua gestione separata dal bilancio.

Pavan e Cattaneo, che, per primi nella nuova gestione, hanno messo le mani sul bilancio di Federconsorzi, si sono chiesti se non era necessario separare questi due aspetti per evitare confusioni, visto che i tipi di gestione erano diversi l’uno dall’altro. Questo era un dibattito vivo - ricordo che anche l’avvocato Lettera un giorno me ne parlò -, tanto che nel maggio 1991 (purtroppo non si può fare tutto al momento zero, l’attività era estremamente complessa ed io ero in azienda solo da dodici mesi), una volta approvato il bilancio, in una mia relazione alla direzione generale, tra le altre cose, affermavo che nel 1991, in un’ottica di certificazione del bilancio, si sarebbe dovuto chiarire (e assicuravo che avrei contribuito in tal senso) questo aspetto, cioè se separare o no contabilmente l’attività - e quindi i suoi riflessi patrimoniali - tipica di Federconsorzi da quella per conto dell’Aima. Ripeto, c’è proprio una mia lettera in cui affronto questo argomento, però il discorso è rimasto impregiudicato.

Escludo comunque che ci potesse essere confusione contabile tra i due aspetti, perché c’erano dei sezionali separati, c’erano quindi delle fonti di ingresso delle informazioni separate, sia per quanto riguarda il ciclo attivo (crediti), sia per quanto riguarda il ciclo passivo (debiti). Quindi non ci sono state assolutamente confusioni contabili. L’unico discorso da fare è quello di una confusione teorica, prendendo a prestito ciò che è stabilito nell’articolo 3 dello statuto di Federconsorzi. Ho sempre pensato che le gestioni per conto dello Stato – adesso sto parlando di altro, non dell’Aima – avevano tutta un’altra impostazione, un’altra annotazione e un altro contenuto ed era molto corretto (essendo in quel caso responsabile, quindi titolare del credito o dei debiti, lo Stato e, per esso, i Ministeri del tesoro e dell’agricoltura) che subissero un trattamento separato, anzi addirittura sotto i conti d’ordine, nei conti di memoria. L’Aima era una gestione così quotidiana che si sovrapponeva alle gestioni correnti, per cui avevo dei dubbi che si dovesse operare una separazione. Però, ripeto, l’aspetto è rimasto impregiudicato.

PRESIDENTE. Risponde a verità che nei bilanci Fedit le partecipazioni BNA e FATA venivano sottostimate di ben 330 miliardi rispetto alle quotazioni di borsa?

BAMBARA. In che periodo?

PRESIDENTE. Anteriormente agli anni 1989-1990, tant’è che successivamente le chiederò se vi fu una rivalutazione per gli anni 1989-1990.

BAMBARA. Nel 1989 e nel 1990, e in particolare nel 1990, ci fu una rivalutazione (rispondo alla seconda parte della domanda).


PRESIDENTE. Quindi indirettamente la risposta alla prima parte della domanda qual è?

BAMBARA. Ma io non conosco gli andamenti della borsa negli anni precedenti. Una delle tecniche, previste dai principi contabili, per rivalutare le partecipazioni quotate in borsa (quella da noi usata e che si impiega usualmente) consiste nel verificare la media delle quotazioni degli ultimi tre mesi. In base a questo calcolo, si decide la rivalutazione o la svalutazione delle partecipazioni.

Nel 1989 e nel 1990, anzi soprattutto nel 1990, ci siamo resi conto che quelle partecipazioni erano sottostimate e le abbiamo rivalutate correttamente. Qualcuno oggi afferma che abbiamo compiuto un illecito di bilancio. Adesso veda lei. Se prima erano o no rivalutate? Certo, prima non ho visto rivalutazioni in bilancio, ma che fosse corretto o meno non lo so, perché non conosco le tendenze della borsa negli anni precedenti.

PRESIDENTE. Quindi per questa rivalutazione…

BAMBARA. C’è una contestazione presso il tribunale di Roma nel processo che decorrerà dal 16 febbraio. Tra l’altro, si tratta di una contestazione presa a prestito per dichiarare - insieme ad altre cose - falso il bilancio 1990. E lei capisce che questo mi lascia sorpreso, per non dire altro.

PRESIDENTE. Chi gestiva il fondo "interventi e organizzazione"?

BAMBARA. Lo gestivano il comitato esecutivo e il consiglio di amministrazione. Gli utilizzi che se ne facevano erano sempre approvati dal consiglio di amministrazione.

PRESIDENTE E quali erano queste utilizzazioni?

BAMBARA. Come altri interventi di Federconsorzi nei confronti dei consorzi agrari e delle società controllate in difficoltà, questo utilizzo del fondo andava inquadrato nella genesi del fondo stesso, anteriore agli anni Ottanta. Era stato creato proprio per interventi particolari nelle gestioni difficili di alcune entità del sistema. Inoltre, si inquadrava nella natura genetica originaria della Federconsorzi, che era una cooperativa. Come lei sa, il codice civile associa la natura di cooperativa al concetto di mutualità come scopo specifico di una cooperativa, poi indica l’oggetto sociale, cioè il modo di raggiungere questa mutualità, che può essere acquistare, vendere, controllare, finanziare e così via.

La Federconsorzi, non potendo distribuire alla fine dell’anno utili particolari (perché per legge era legata allo statuto), tramite l’utilizzo del fondo appositamente accantonato, restituiva ai consorzi agrari risorse finanziarie non fisicamente, ma piuttosto cancellando debiti che erano sorti nella gestione. Se il concetto di mutualità ha un senso, si lega ad esso il fatto che la cooperativa nasce perché l’azienda offra ai propri soci (che erano i consorzi agrari) beni e servizi a prezzi competitivi. Se questi beni e servizi offerti durante l’anno non avevano consentito ai consorzi agrari una remunerazione corretta e se c’era stato dell’utile per la Federconsorzi, si applicava uno dei meccanismi previsti per la restituzione del prezzo, cioè l’utilizzazione del fondo, tra l’altro - ripeto - in rispondenza alla genesi del fondo stesso, alle motivazioni per cui fu costituito. Anche se la costituzione del fondo risale a prima del 1980, ho ritrovato nella mia gestione e confermato in vari consigli di amministrazione l’orientamento, l’indirizzo e la genesi di cui ho appena parlato.

PASQUINI. Vorrei tornare sulla questione e sul concetto di passività liberate. Lei diceva che si tratta di fondi "rischi". Il fondo "rischi" può esistere per un certo periodo di tempo, ma quando il rischio non c’è più, automaticamente diventa una riserva occulta. Inoltre, vorrei rilevare che, nel momento in cui questi costi non pagati si trasferiscono allo stato patrimoniale e diventano una posta del passivo, una cosa è registrarli in bilancio sotto la voce "fondi rischi" e un’altra è – come mi risulta che sia accaduto – registrarli sotto la voce "debiti".

BAMBARA. Debiti diversi.

PASQUINI. Ma un rateo è un conto, un fondo rischi è un altro e un debito diverso è un altro ancora. Adesso non voglio trarre delle considerazioni, ma ritengo che questa registrazione sotto la voce "debiti diversi" alteri la rendicontazione delle varie gestioni operata dalla Federconsorzi; se si registravano dei debiti diversi che non esistevano, salvo poi accumularne nel corso degli anni, non si trattava di fondi "rischi" e neanche di riserve occulte, ma già in partenza erano debiti inesistenti. Di conseguenza, fin dall’inizio costituivano riserve occulte che servivano ad alterare la rendicontazione a favore della Federconsorzi.

In secondo luogo, non so quale importanza abbia ribadire la concezione della mutualità cooperativa agli effetti della cancellazione dei debiti dei CAP. Sta di fatto, però, che la mutualità nelle cooperative si effettua con il ristorno. Il ristorno è una restituzione del prezzo pagato in più dai soci della cooperativa quando la cooperativa chiude il bilancio in utile.

Agli effetti della mutualità questo fondo restituiva quanto dovuto a tutti, in base ed in proporzione al prezzo pagato, oppure solo ad alcuni consorzi agrari?

Da come lei ha descritto la situazione, ho la sensazione che restituisse quanto dovuto solo ad alcuni consorzi agrari, magari a quelli in maggiori difficoltà. In questo caso non si può certamente chiamare ristorno e non si può certamente - e non lo ha fatto lei - dire che ciò corrisponde ai requisiti ed ai principi della mutualità. Questa pratica è qualcosa di diverso.

BAMBARA. Per quanto riguarda la prima domanda, relativa alle passività diverse liberate, che prima si chiamavano debiti diversi, è chiaro che come ho detto originariamente non erano dei fondi-rischi. Altrimenti avrebbero preso questo nome. Negli anni successivi sono diventati, per le quote che non sono state utilizzate, degli accantonamenti al fondo per eventuali rischi futuri. Prima erano quelle che oggi si chiamano - lo ha ricordato anche lei - ratei di costi maturati ma non contabilizzati. Chi fa contabilità, quando iscrive un rateo, non lo definisce "fondo" o altro. Lo iscrive nel passivo come un costo sostenuto ma non ancora registrato sotto la voce "ratei". Ma negli anni ’70 mi si spiega, con il beneplacito degli uffici finanziari, per questa peculiare attività della commercializzazione delle campagne agrarie, la voce "rateo" non veniva usata in Federconsorzi; veniva usata con il concetto del rateo la voce "debiti diversi" perché non aveva dei creditori specifici come corrispettivo. Successivamente sono stati portati a "fondo-rischi". A quel punto i consigli di amministrazione precedenti hanno ritenuto opportuno mantenerli in attesa del bisogno e quando è emersa la necessità di chiarire, per poter rendere sempre più adeguato e moderno il bilancio, li abbiamo riportati a nuovo.

Quanto all’utilizzo del fondo organizzazione mi dispiace di aver ampliato il tema alla mutualità. Questo fondo di organizzazione per lo sviluppo non era legato originariamente o prevalentemente al concetto di mutualità; era legato alla genesi ed al contenuto del fondo stesso. Il fondo è stato istituito negli anni ’80 con lo scopo preciso di venire incontro alle necessità di alcuni consorzi agrari o di alcune società controllate e non a tutti i consorzi agrari. Ecco perché sono stato impreciso nel parlare della mutualità.

PASQUINI. Non è la mutualità; era un azzeramento totale o parziale dei debiti dei CAP verso la Federconsorzi.

BAMBARA. Non vi è mai stato un azzeramento, da quello che mi risulta, ma una riduzione dei debiti in restituzione, proprio in ristorno, di queste partite.

PASQUINI. A parte il fatto che questi si registrano sotto la voce "ratei, risconti di bilancio" e si riferiscono all’esercizio precedente o all’esercizio successivo, chiuso questo bisogna fare la rendicontazione dei ratei e dei risconti mentre qui non è stato fatto.

BAMBARA. Ho detto che la parte riscontata veniva portata in contabilità; l’altra rimaneva accantonata.

PASQUINI. E vi rimanevano molti miliardi.

BAMBARA. L’altra parte rimaneva accantonata. Questo lo avevo già detto e lo confermo. Io ho trovato tante particolarità nella gestione di Federconsorzi. Era un unicum, regolamentato dallo Statuto, dagli usi, dai costumi; ho imparato moltissimo dalle particolarità che ho incontrato in Federconsorzi e questo lo dico in chiave positiva.

PASQUINI. Anche noi.

PRESIDENTE. Le porgo l’allegato della relazione dei dottori Pavan e Cattaneo che contiene i debiti verso i CAP affinché ne dia una sua chiave di lettura.

BAMBARA. Ecco il punto: "..quelli scontati o fattorizzati". Il punto è questo che poi è stato ampiamente chiarito. La Federconsorzi inseriva in bilancio - tento di interpretare perché è la prima volta che guardo questo capitolo da questo punto di vista - prima del 1989 i crediti commerciali nell’attivo patrimoniale; iscriveva nei conti d’ordine i crediti scontati o fattorizzati a terzi. Quindi, non vi era coincidenza per questi dati.

Nell’89 e del ’90, per gli scopi che abbiamo detto, abbiamo finalmente riportato in bilancio queste attività scontate e fattorizzate che erano nei conti d’ordine e la quadratura si è subito trovata.

PRESIDENTE. Voi avete differenziato la cifra dei 1.547 miliardi, iscrivendola in modo diverso.

BAMBARA. Mentre nei bilanci apparivano solo 906, il resto era nei conti d’ordine. Se lei ha un bilancio 1988 ed un bilancio 1989 glielo dimostro.

PRESIDENTE. Lo verificheremo in un momento successivo.

Premesso che il 24 aprile 1996 - cioè cinque anni dopo il commissariamento - furono rinvenute casualmente, in una cassaforte della Fedit, cambiali, tutte scadute, per 800 miliardi; i titoli, in gran parte non scaduti all’epoca del commissariamento (17 maggio 1991) erano stati rilasciati dai consorzi agrari alla Fedit. Essi non sono elencati esplicitamente tra i beni ceduti da Fedit a S.G.R. con l’atto-quadro ma furono tuttavia materialmente trasferiti a S.G.R. nel 1993 e restituiti a Fedit nel 1995.

Una parte dei titoli rappresenta sicuramente per 172 miliardi una garanzia di crediti che per una durata di 12 anni la Fedit aveva concesso a consorzi. Tanto premesso le chiedo che cosa rappresentavano le cambiali residue per ben 639 miliardi. Erano forse garanzie o crediti autonomi? Se si trattava di semplici garanzie come si spiega che in qualche caso furono azionate da S.G.R. e persino pagate dai CAP?

BAMBARA. Innanzitutto escludo che di questi 800 miliardi qualcuno sia stato azionato prima del 1995 da S.G.R. e recuperato. Questo a me non risulta.

PRESIDENTE. A noi sì.

BAMBARA. A me no per il semplice motivo che la Federconsorzi non aveva trasferito nel ’93 questi titoli a S.G.R. e se ne era ripresa il possesso nel 1995. Questo è stato detto da una testimonianza in un certo interrogatorio e sono pronto a smentirla anche se nel 1993, quando è stata costituita S.G.R., sono stato via per due mesi dalla Federconsorzi per la vicenda della custodia cautelare; quattro giorni per la custodia ed un mese e mezzo per la sospensione. Però, mi sento di poter dire che non è stato fatto questo trasloco di cambiali da una parte e dall’altra e che, quindi, S.G.R. non ha azionato queste cambiali. Forse vi è stato qualche errore, non so, ma a me non risulta.

In secondo luogo, come ho subito detto anche per iscritto, quando l’avvocato Lettera ha preso possesso di questi titoli, essi non costituivano e non costituiscono dei crediti di Federconsorzi. Quindi, la loro non iscrizione in bilancio non costituisce una sottovalutazione dell’attivo patrimoniale di Federconsorzi né dell’attivo al momento del commissariamento né dell’attivo al momento del concordato né dell’attivo al momento della relazione del commissario giudiziale ai creditori (gennaio ’92) né dell’attivo trasferito o da trasferire all’epoca a S.G.R..

Questa mia affermazione, del tutto logica e documentata, è stata successivamente - e me ne compiaccio, anche se sono stati utilizzati dei consulenti e affrontate delle spese per poterla confermare - confermata in due sedi molto importanti: una è la transazione che la liquidazione ha fatto con S.G.R. in cui proprio esplicitamente si dichiara che sono titoli in garanzia; che non sono crediti e che i crediti sono inseriti nell’attivo e che questi titoli devono, come accessori del credito (vedi l’articolo 1263 del codice civile), essere trasferiti come è stato trasferito il credito a S.G.R..

Lo stesso concetto, sotto voci diverse, viene espresso dal pubblico ministero di Perugia quando chiede il rinvio a giudizio di alcune persone con riferimento alla causa relativa a S.G.R.. Esclude da questi argomenti i titoli affermando che una serie di consulenti hanno dichiarato che questi titoli non sono crediti. Di questo sono soddisfatto perché non poteva che essere così.

Pertanto, si tratta di titoli in garanzia, e quindi non di crediti, tutti originati dall’attività commerciale di Federconsorzi nel momento in cui la gestione era di tipo ordinario e la Federconsorzi era in bonis. Quei 180 miliardi da lei precedentemente richiamati, rappresentano garanzie di un ammortamento dodecennale, fatto dalla Federconsorzi verso alcuni consorzi, un ammortamento dei debiti dei consorzi, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80.

Era stato concesso un piano di ammortamento in 12 anni tramite l’emissione di titoli in garanzia - appunto queste cambiali che, tra l’altro, erano prive della data di scadenza -. Nella convenzione stipulata consorzio per consorzio, si prevedeva che, nel caso in cui la Federconsorzi avesse dovuto maturare l’esigenza di utilizzare quei titoli, dopo opportuna comunicazione, li avrebbe dovuti completare. Altrimenti, a mano a mano che i consorzi li avessero pagati, sarebbero stati restituiti.

Questo piano d’ammortamento fino al 17 maggio 1991 ha funzionato in modo fisiologico. Le scadenze venivano rispettate e i titoli venivano restituiti. Sono comunque rimasti 180 miliardi, anche se precedentemente erano molti di più. La differenza è da dividere in due pacchetti.

Uno di circa 300 miliardi, era rappresentato dalle cambiali che venivano trasferite dai consorzi agrari a pagamento dei crediti commerciali e che la Federconsorzi utilizzava, in tutto o in parte, per ottenere liquidità presso il sistema, vale a dire mandandoli allo sconto e all’incasso salvo buon fine. Questi 300 miliardi appartenevano ad alcuni consorzi agrari in liquidazione coatta amministrativa, sei dal dicembre 1990, tre o quattro ancora prima.

La Federconsorzi, ecco in questo caso il concetto di mutualità di cui parlava il senatore Pasquini, come era d’uso e d’abitudine e per rispondere a concetti di tipo statutario e imprenditoriale, una volta che il consorzio agrario veniva messo in liquidazione coatta amministrativa con l’inserimento in una gestione provvisoria, proprio per mantenere il presidio dell’area commerciale del territorio in chiave imprenditoriale, si impegnava alla scadenza a ritirare le cambiali.

Così fu anche per quei consorzi agrari in liquidazione coatta amministrativa, per cui al 17 maggio 1991 questi effetti risultarono, a garanzia dei crediti, nel nostro portafoglio cambiario. Quando il consorzio agrario dava questi effetti, come accadeva di norma, a pagamento del conto corrente, questi ultimi, essendo un mezzo di pagamento, venivano contabilizzati ed accreditati sul conto corrente del CAP; quindi, si riduceva il debito del CAP e si creava un altro conto corrente per crediti cambializzati in cui questi titoli venivano accreditati. Una volta inviati alla banca si scaricavano da questo portafoglio, si aumentava il debito verso la banca stessa, si inserivano in attivo in un altro conto per il credito cambializzato e venivano passati allo sconto o all’incasso. Quando la banca li restituiva, come in questo caso, venivano riaddebitati sul conto corrente di Federconsorzi, quest’ultima li riaddebitava con gli interessi - quindi ripristinava il credito - sui conti correnti dei consorzi agrari e teneva in garanzia queste cambiali, questi titoli, in un portafoglio che non doveva interessare il bilancio, perché altrimenti si sarebbero raddoppiati i crediti, ma soltanto costituire un sezionale della contabilità che statisticamente li teneva in essere. Successivamente la Federconsorzi si insinuava negli stati del passivo dei consorzi agrari in liquidazione coatta amministrativa per il loro recupero totale o parziale. Quindi, titoli in garanzia "derivata", tipici di quest’attività.

La Federconsorzi non ha fatto in tempo a commercializzare e a scontare il secondo pacchetto, pari a circa 140-150 miliardi, anch’esso relativo a pagamenti dei consorzi agrari, perché sopraggiunti alla vigilia del 17 maggio del 1991. Se li è trovati nel proprio portafoglio, li ha riaddebitati ai consorzi agrari perché li onorassero e si è tenuta nello stesso portafoglio cambiario i titoli in garanzia.

Quando l’avvocato Lettera ha trovato queste cambiali è stato premuto un certo tasto del sistema informatico che ha fatto uscire un tabulato di questo sezionale dal quale è risultato un elenco poi riclassificato dopo la mia uscita.

In sintesi, signor Presidente, si tratta di titoli in garanzia, convenzionati i primi e derivati gli altri, in secondo luogo non si tratta di sottovalutazione dell’attivo perché i crediti erano regolarmente inseriti, in terzo luogo, dopo il 17 maggio sono stati attivati mediante il loro inserimento negli stati del passivo dei consorzi agrari per il loro recupero, totale o parziale a seconda del prezzo fallimentare dei consorzi agrari in quel momento e, infine, alla fine del 1992 sono stati oggetto di un inventario specifico ordinato dal giudice delegato nella parte finale della sentenza di omologa. Se lei lo ricorda, nella sentenza di omologa, l’ultimo o il penultimo capitolo detta le modalità di gestione delle attività di Federconsorzi da quel momento in poi.

PRESIDENTE. A noi queste cose non risultano. Sulle cambiali c’è il silenzio più assoluto da parte del giudice fallimentare. Al termine dell’audizione le chiederò la sua collaborazione per poter valutare questi aspetti tecnici. Vorrei registrare questa sua disponibilità.

BAMBARA. Le posso assicurare la mia massima disponibilità.

PRESIDENTE. Lei si rende conto che se avessimo avuto contezza del fatto che queste cambiali erano state portate allo sconto in banca, le avrei posto altre domande.

BAMBARA. Sono state scontate precedentemente.

PRESIDENTE. Non ci risulta che fossero state annotate. Infatti, una delle domande era volta a conoscere come venissero indicate nelle scritture. Su questo punto c’era il vuoto, il silenzio.

BAMBARA. Nella maniera più assoluta. Davanti a me è stato stampato ultimamente, ma ancor prima con il giudice delegato, un tabulato con questo elenco.

PRESIDENTE. Lei si riferisce al 1993?

BAMBARA. Mi riferisco addirittura al 1992.

PRESIDENTE. Da quanto ci risulta queste cambiali sono state trovate improvvisamente in un caveau della Federconsorzi in uno stato di quasi totale abbandono. In poche parole sono state trovate casualmente.

BAMBARA. Signor Presidente, posso escludere nel modo più assoluto la casualità della loro esistenza e del loro ritrovamento. Forse chi le ha trovate non le conosceva e quindi si sarà meravigliato.

PRESIDENTE. Per la parte relativa a quei 140-150 miliardi circa, arrivata in prossimità del commissariamento, dal momento che nessuno si occupò della sua attivazione, si è persa una certa liquidità o no?

BAMBARA. Signor Presidente, assolutamente no.

PRESIDENTE Non avendole portate allo sconto…

BAMBARA. Presidente, cerchiamo di essere realisti. Certo, non avendole portate allo sconto si è persa una certa liquidità, però dopo il 17 maggio nessuna banca ha accettato sconti da parte di Federconsorzi, quindi non si poteva proprio portarli allo sconto.

PRESIDENTE. Ma in pratica nessuno si è più preoccupato di azionare questi titoli. Quindi, lo sconto non ha fornito liquidità; non è stato chiesto il pagamento a chi li aveva forniti alla Federconsorzi, perciò di fatto si è persa questa liquidità in testa al creditore Federconsorzi.

BAMBARA. Sono stati azionati tramite l’inserimento – perché si tratta di consorzi agrari andati tutti in liquidazione coatta, ecco perché dico che dobbiamo essere realisti – nello stato del passivo di tutti questi consorzi. Se andiamo nei vari tribunali, ne troviamo traccia.

Nella prima parte del commissariamento (quindi con i primi commissari, ma anche con il secondo) sono state fatte cinque, sei o sette – non ricordo bene – transazioni con i consorzi agrari sui loro debiti. Ecco, in quelle occasioni si è trattato anche della transazione su questi crediti garantiti da titoli. Perciò i titoli sono stati azionati, in alcuni casi nelle transazioni, in tutti gli altri casi nell’inserimento nello stato del passivo.

Nelle banche sono rimasti, scontati da Federconsorzi (allo sconto o salvo buon fine), circa 1000 miliardi di altri titoli, di altre cambiali dei consorzi agrari, sui quali la Federconsorzi è rimasta obbligata di regresso, perché il primo obbligato era la banca, che aveva concesso l’anticipazione. La banca non ha incassato – credo – neanche una lira (almeno finché sono rimasto io questo non mi risulta) e si è inserita negli stati passivi non solo dei consorzi agrari, ma anche di Federconsorzi. Tuttavia la banca non ha azionato questi titoli, né nei confronti dei consorzi agrari (protestandoli, mandandoli all’incasso o facendo delle azioni esecutive, come avrebbero teoricamente potuto fare), né nei confronti di Federconsorzi.

PRESIDENTE. E perché tutto questo?

BAMBARA. Secondo me, perché per le banche il costo per non recuperare niente era assolutamente eccessivo rispetto alla possibilità di inserirsi nel fallimento e recuperare il 20, il 30 o il 40 per cento di queste spese.

PRESIDENTE. Forse le banche non si erano preoccupate di tradurre in liquido questa loro aspettativa (che avevano in base ai titoli o per le esecuzioni che avrebbero potuto fare nei confronti dei consorzi agrari o della Federconsorzi) perché avevano maturato un’aspettativa che arrivassero dei fondi statali a sanare l’intera situazione?

BAMBARA. Nel momento della gestione ordinaria?

PRESIDENTE. Sì.

BAMBARA. Di questo ne ho sentito parlare dopo. All’epoca, escludo di avere avuto queste sensazioni o notizie.

Vorrei però concludere il discorso che stavo facendo prima. Nel momento in cui gli organi della procedura di Federconsorzi, nel concordato, hanno deciso di restituire un acconto del 20 per cento ai creditori chirografari, quindi alle banche, hanno preteso dalle banche la restituzione di questi titoli a garanzia. Questo la dice lunga sull’utilizzo più, lo dico tra virgolette, "utile" e remunerativo di questi titoli; le banche avrebbero speso tempo, sangue e denaro e impiegato notai senza ottenere neanche quel 20 per cento che hanno recuperato (e adesso credo che siano arrivate anche al 30-40 per cento). Ricordo che, quando una banca doveva incassare il 20 per cento, l’ufficio del commissario giudiziale mandava una sua persona affinché si facesse l’inventario dei titoli che le banche avevano in garanzia. Questa è la prassi che abbiamo seguito anche per i consorzi agrari e mi sembra del tutto legittima.

Per quanto riguarda la domanda se c’erano aspettative di aiuti da parte delle banche…

PRESIDENTE. Sì, passiamo al discorso dell’interferenza del mondo bancario e della politica. Questi aiuti che sarebbero venuti dallo Stato dovevano certamente arrivare attraverso dei finanziamenti pubblici, concessi con leggi che liquidassero la partita degli ammassi di allora nell’organizzazione dei consorzi agrari.

C’era questa aspettativa? Anche perché nel tempo molti disegni di legge in tal senso sono stati presentati, molte aspettative si sono create nelle varie manovre finanziarie che si sono succedute nel tempo e poi questi tentativi si sono tutti persi. Può darsi allora che questa acquiescenza delle banche derivasse da una aspettativa legittima che lo Stato potesse intervenire o che la classe politica si facesse carico di far intervenire lo Stato.

BAMBARA. Secondo me questa aspettativa, come lei stesso ha detto, se c’era, era del tutto legittima. Anche la Federconsorzi aveva questa aspettativa di poter rientrare, all’epoca, di 400 miliardi (oggi sono diventati 1000 miliardi) relativamente ai crediti per gli ammassi acquistati dai consorzi agrari. Erano crediti certi, dichiarati certi in seguito ad una messa in mora che Federconsorzi aveva fatto al Ministero dell’agricoltura nel febbraio del 1991. Era quindi assolutamente legittimo che la Federconsorzi, le banche (per quanto le riguardasse) e i consorzi agrari si attendessero che finalmente, dopo 40-50 anni, questi crediti fossero onorati (in tutto, in parte o transattivamente, questo non lo so). Quindi, se questa aspettativa c’era – e in Federconsorzi c’era, quindi non vedo perché non avrebbe dovuto esserci nelle banche –, la considero del tutto naturale e legittima.

Il comportamento delle banche, la fiducia illimitata concessa a Federconsorzi fino al 17 maggio 1991, la sorprendente marcia indietro delle banche dopo questa data con l’annullamento delle linee di credito non solo a Federconsorzi, ma anche a tutti i consorzi agrari e a tutte le società controllate, secondo me, derivava da una convinzione in parte errata che la Federconsorzi fosse sotto la tutela dello Stato (è legittimo pensarlo per quando riguarda quei crediti, ma non per il resto). Si è parlato del "rischio Italia", si è parlato della società Federconsorzi come un ente pubblico e non privato; era invece un ente privato e chi ha pensato diversamente ha commesso un gravissimo errore, lo ha detto anche il rappresentante della Banca d’Italia.

Ma d’altra parte questo appoggio che il sistema dava era radicato su fatti concreti e obiettivi. Non so se in questa Commissione è stato detto ciò che è stato sottolineato ampiamente dalla sesta sezione del tribunale di Roma nella fondamentale (non perché fossi io coinvolto) sentenza di assoluzione che ha emesso, con la quale ha dichiarato l’inesistenza dello stato di insolvenza in Federconsorzi al 17 maggio. Questo era ben noto alle banche. Noi avevamo visite quotidiane da sempre, anche sotto la mia amministrazione.

PRESIDENTE. Certo, altrimenti le banche non avrebbero dato 4.900 miliardi senza garanzie.

BAMBARA. No, sono 2.900 miliardi all’epoca del 17 maggio, Presidente. Anche questo punto è da chiarire.

PRESIDENTE. No, dico che nel tempo i finanziamenti erano arrivati a circa 5.000 miliardi…

BAMBARA. Anche di più!

PRESIDENTE. E poi le garanzie erano solo per 30 miliardi. Se non c’era questo affidamento…

BAMBARA. Ma questo affidamento derivava da una realtà molto importante.

PRESIDENTE. Questo lo sappiamo. Allora le faccio un’altra domanda: perché le banche ad un certo punto, dopo il commissariamento, caddero dalle nuvole e questo affidamento venne a mancare? Per essere chiari, c’era un motivo politico nell’irrigidimento delle banche dopo il commissariamento?

BAMBARA. Non sono un politico e quindi sono abituato a ragionare in termini manageriali e operativi. Sono rimasto estremamente sorpreso dall’atteggiamento delle banche e ho tentato di darmene una spiegazione.

PRESIDENTE. Qual è la spiegazione che si è dato?

BAMBARA. Mi sono dato una o due motivazioni. Se pensavano che la Federconsorzi fosse coperta - come ente pubblico - dallo Stato, hanno commesso un grande sbaglio, perché questo non era vero proprio in termini giuridici, poiché la Federconsorzi era una società privata. È vero che era nell’ambito statale perché nata per legge e perché sotto controllo in quanto cooperativa, ma ciò non vuol dire che ci fossero le garanzie che lo Stato avrebbe coperto tutti i debiti di Federconsorzi. Inoltre, secondo me è una scelta di tipo imprenditoriale quella che hanno fatto le banche, prima e dopo, sorprese anch’esse dal commissariamento. Ripeto, i contatti erano giornalieri, conoscevano a menadito la situazione di Federconsorzi, che era difficile ma di ordinarietà, non di stato di insolvenza. Come ho testimoniato documentalmente davanti al giudice della sesta sezione del tribunale, siamo riusciti, pur senza ancora fare interventi di tipo strutturale e strategico nel modo di lavorare di Federconsorzi, ad invertire il trend dell’indebitamento: 1989 - 1988: più 1.200 miliardi d’indebitamento; 1990 - ’89: più 900 miliardi d’indebitamento; ossia il 30 per cento in meno; dal 31 dicembre al 17 maggio l’indebitamento si è ridotto di 300 miliardi. Questo la dice lunga.

Una banca vede come la Federconsorzi sta operando; un’altra delle realtà testimoniate - non da me perché ero di parte - dalle banche in quel processo è data dalle linee di credito a disposizione di Federconsorzi (3.300 miliardi di lire circa di linee di credito) - la Centrale del rischio ce lo ha detto in quell’occasione - che al 17 maggio non erano utilizzate per 6-700 miliardi. Altro indice di sana e non di mala gestio. In terzo luogo, non vi era una procedura esecutiva in corso; quarto, vi era comunque un piano di rinnovamento - che si può condividere o no - approvato in più di un’occasione e che le banche conoscevano perfettamente. In quinto luogo, deve credermi, signor Presidente, vi era la fila delle banche che non avevano rapporti con noi e che comunque volevano entrare in Federconsorzi.

Imprenditori che escono da una consuetudine di questo genere - realisticamente sottolineata dalla sentenza d’assoluzione che dichiara che non vi era lo stato d’insolvenza; che la Federconsorzi pagava alle scadenze in quel periodo - come possono essere le banche, che si trovavano dall’oggi al domani di fronte ad un’iniziativa di commissariamento che stravolgeva questi riferimenti, questi andamenti e queste realtà - questa è una delle motivazioni che mi sono dato - certamente alla sorpresa hanno aggiunto la rabbia e si sono tirati indietro.

PRESIDENTE. Vorrei capire meglio: a noi risultano contatti avuti dall’allora ministro Goria con il sistema bancario nel tentativo di recuperare, attraverso la creazione di una società per azioni tra le banche per i crediti, tutta una serie di progetti fatti attorno a questo tema.

Non le sembra sospetto, oggi per allora, l’irrigidimento improvviso delle banche che a noi postumi apparirebbe come facente parte di una strategia diversa che mutava i rapporti tra il sistema bancario e Federconsorzi, che sembrava proiettato verso altre prospettive che non fossero quelle di ripianare la propria posizione creditizia nei confronti di Federconsorzi?

Il sospetto appare legittimo se pensa che - cosa che non le sarà sicuramente sfuggita - due o tre giorni prima del 17 maggio 1991 vi è stato un affidamento di 70, 80 miliardi sempre secondo le stesse procedure, quando già le banche conoscevano da un anno e mezzo il malessere, di cui parlava lei, di difficoltà ma non d’insolvenza?

BAMBARA. Non so se è come dice lei.

PRESIDENTE. Poiché lei è testimone del tempo, le chiediamo se per caso, per contatti, per sensazioni avute, per ragionamenti fatti, al di là di quello che la formalità delle carte possono offrire, non era intravista una strategia che tutto fosse tranne quella di recuperare il proprio credito?

BAMBARA. A me questo non era chiaro.

PRESIDENTE. Le spiego subito il motivo di questa ipotesi. Mi riferisco ai ragionamenti che venivano fatti prima della costituzione di S.G.R., che non abbiamo ritrovato nello statuto, di una riprogrammazione della rete dei consorzi agrari.

BAMBARA. Ma nel ’93!

PRESIDENTE. Le proposizioni di S.G.R. cominciavano già nei primi mesi del 1992; la sottovalutazione, di cui tanto si parla, dell’intero patrimonio di Federconsorzi per un’offerta pari a 2.140 miliardi (atto-quadro), rispetto al valore effettivo; quella sentenza - cui lei fa riferimento - che parrebbe dare ragione al fatto che vi sia stata una sottovalutazione tanto che essa dice che non vi era uno stato di insolvenza.

Tutto questo - a lei che retrospettivamente riguarda quel periodo - non può fare pensare ad una strategia diversa da un rapporto tra creditore e debitore?

BAMBARA. Di fronte a queste cose rimango ancora una volta sorpreso. Personalmente da quanto ho sentito dopo (analisi, indagini e così via) quest’architettura per me nuovissima rispetto all’epoca che ho vissuto, queste intese politiche - chiamiamole come volete - …

PRESIDENTE. La stampa parlava a sufficienza di questo scontro esistente. La sorpresa del commissariamento non fu solo per i tecnici ma anche per il sistema politico. Se legge la rassegna stampa di allora si rende conto che...

BAMBARA. Mi chiedo come abbia reagito il sistema politico per evitare questo disastro a questo punto. Allora tutto il sistema politico era d’accordo in questo? Mi sono fatto questa domanda soprattutto dopo che sono stato sollecitato dalla stampa, dalle indagini e così via. Tutto questo mi lascia ancora una volta a bocca aperta perché un imprenditore come una banca non credo possa farsi guidare da indirizzi più di tipo politico che imprenditoriale e commerciale. Goria ebbe il contatto con le banche dopo la dichiarazione del commissariamento. È questo l’aspetto gravissimo nell’aver deciso di fare il commissariamento. Questo, come istituto, poteva anche essere uno strumento per rendere rapidi i tempi della ristrutturazione, perché azzerava certi processi decisori, li rendeva più fluidi; ma le modalità con cui fu gestito o originato, il contatto con le banche avvenuto subito dopo e non prima, l’assenza di contatti con il management dell’azienda…. Non siamo stati interrogati. Nessuno ci ha chiesto spiegazioni sul bilancio e su altre cause.

PRESIDENTE. Questo non è un motivo in più per ritenere che la decisione nulla avesse a che fare con una gestione "economica" ?

BAMBARA. Non aveva a che fare con la gestione economica oppure era un malinteso da parte del Ministro. Lui era stato Ministro del tesoro e probabilmente ha letto i conti in maniera sbagliata.

PRESIDENTE. Era Ministro da un mese rispetto al commissariamento; però proveniva dal tesoro, quindi ritengo che conoscesse bene il sistema bancario.

BAMBARA. Secondo me, l’aspetto economico è stato come minimo un malinteso da parte di chi ha originato il commissariamento, ma certamente non è stato approfondito né chiarito con chi poteva dare dei parametri; avrebbero potuto mandare delle ispezioni ma per alcuni giorni, e non per un’ora, per dare il tempo di spiegare come stavano le cose. Se era il commissariamento la soluzione, allora doveva essere adeguatamente preparato con un progetto di consolidamento del credito come si era tentato di fare già nell’aprile perché a quel punto, sì, poteva essere uno strumento per consentirci rapidamente di avviare il processo di riorganizzazione.

PRESIDENTE. Vi era qualcuno nella Fedit che auspicasse il commissariamento, anche con tutte le buone intenzioni di questo mondo?

BAMBARA. Che il dottor Pellizzoni parlasse di commissariamento anche prima del 17 maggio non vi è alcun dubbio; ve lo ha confermato lui stesso ma bisogna verificare - e lo avete fatto voi stessi - il modo con cui il dottor Pellizzoni intendeva questo istituto. Anzi ha addirittura detto che, sia nel caso del commissariamento che di un altro tipo di procedura, a lui non interessava il commissariamento in quanto tale bensì in quanto istituto per semplificare il processo decisionale, però, andava comunque regolarmente preparato.

Non era un auspicio da parte di qualcuno, sicuramente non da parte mia in quanto non ero neanche coinvolto in queste vicende. Non era quindi un auspicio specifico a favore del commissariamento - questo lo dico proprio per dare un risposta chiara e non politica -, ma un auspicio per uno strumento che consentisse di semplificare le attività di riorganizzazione. A prescindere dal nome, la scelta del commissariamento o di un’altra procedura rientra in un altro discorso. In questo senso certamente qualcuno sperava che ci fosse uno strumento che consentisse di avviare...

Fino al mese di luglio del 1989 quando io non ero ancora presente - l’ho sentito dire -, è stata verificata e approvata una procedura per la dismissione degli immobili non più funzionali. Non si è mai dato corso a queste dismissioni proprio perché il processo decisionale era estremamente pesante e lungo. Mi sembra legittimo che qualcuno dei presenti in Federconsorzi auspicasse un istituto, quale che fosse il nome, purché gestito in un certo modo, per velocizzare l’ammodernamento.

PRESIDENTE. Lei è a conoscenza del fatto che fu preparata una relazione - magari riservata - al ministro Goria che illustrava le effettive risultanze di bilancio della Fedit e la situazione dei consorzi agrari?

BAMBARA. Non ne sono a conoscenza. Se esiste questa relazione escludo nella maniera più assoluta che sia stata fatta dalla struttura perché l’avrei saputo.

PRESIDENTE. La Fedit contrasse negli ultimi anni un debito sindacato presso le banche estere per un totale di 280 milioni di ECU. È vero che le somme mutuate presso le banche estere non erano destinate all’utilizzo operativo ma ad estinguere altri prestiti precedenti di pari importo nei confronti di banche italiane?

BAMBARA. Fu mutuato dal direttore generale e dal presidente, ma queste risorse sono state messe a disposizione della linea. Noi le abbiamo gestite come risorse correnti e non a fronte di restituzioni o di chiusure.

PRESIDENTE. Non furono date alle banche italiane magari tramite Federconsorzi per partita di giro?

BAMBARA. Furono gestite nell’ambito degli istituti di credito italiani. Federconsorzi non aveva una cassa in quanto era una società cooperativa.

PRESIDENTE. Non sto parlando della gestione, ma del pagamento dei crediti delle banche italiane con la Federconsorzi.

BAMBARA. Furono utilizzate per la gestione però, dal momento che intercorrevano dei conti correnti tra noi e le banche, alcuni conti correnti erano a debito e pochissimi a credito. Quando lei interviene sui conti correnti a debito riduce i debiti delle banche. Questo però è naturale nella gestione del conto corrente. Se lei vuole sapere se queste risorse sono state prese e depositate in un istituto con il quale non avevamo alcun rapporto in modo da poter poi essere gestite, non è così. Sono state inserite nel circuito ordinario.

PRESIDENTE. Non era questa il senso della mia domanda. Volevo soltanto sapere se questo flusso finanziario proveniente dalle banche estere era volto a ripianare debiti esistenti presso le banche italiane.

BAMBARA. L’obiettivo non era questo.

PRESIDENTE. Quale fu allora il vantaggio di quell’operazione?

BAMBARA. Il vantaggio era innanzitutto di trasformare la gestione del credito corrente dal brevissimo periodo, con i costi relativi derivanti dagli interessi - era un aspetto politico della riorganizzazione -, in una di medio periodo in modo da ridurre gli interessi di breve e diluire gli impegni.

PRESIDENTE. Chi ideò questo espediente?

BAMBARA. Sono entrato quando l’operazione era già stata fatta.

PRESIDENTE. Dobbiamo imputarlo al suo predecessore?

BAMBARA. Probabilmente è stato il finanziario precedente. Quando sono arrivato mi pare si stesse firmando una delle ultime.

PRESIDENTE. Prima del commissariamento, quando la Fedit decise di dismettere alcuni dei suoi immobili, si presentò presso di essa per trattare acquisti a qualsiasi titolo, anche privato, Della Valle?

BAMBARA. Si. Io non l’ho saputo in costanza del suo arrivo ma solo successivamente, avendone poi conferma anche negli anni successivi. C’è stato un incontro, preavvertito dal ministro dell’epoca, tra il signor Della Valle e il nostro presidente.

PRESIDENTE. Chi era all’epoca il ministro?

BAMBARA. Mi pare fosse Saccomandi. Posso conformare che questo incontro c’è stato e ne ho avuto una conferma diretta dal presidente Scotti.

PRESIDENTE. Agiva per conto proprio o per conto di qualche società?

BAMBARA. Secondo me agiva per conto proprio, ma si tratta di una mia valutazione e non di una risposta oggettiva. Se era stato mandato dal ministro immagino che agisse anche per interessi generali.

PRESIDENTE. Faccio un passo indietro e mi rifaccio a quella mancata utilizzazione del credito che, ancor prima del 17 maggio 1991, la Fedit aveva presso le banche. Quale era la situazione finanziaria della Fedit a quella data?

BAMBARA. Due sono i parametri ai quali posso fare riferimento. Posso anche lasciare a disposizione della Commissione la documentazione che ho depositato in tribunale.

PRESIDENTE. I creditori che dovevano essere pagati quali erano? Le linee di credito normali erano aperte? La Fedit aveva difficoltà ad eseguire i pagamenti? Aveva bisogno di liquidità? In che misura?

BAMBARA. La Fedit dal 1° gennaio al 17 maggio 1991 ha effettuato 1266 miliardi di pagamenti correnti a fornitori, a professionisti, ad operatori commerciali delle campagne, per stipendi, alle partecipate e altro. Ripeto, 1266 miliardi e 400 milioni, incassando nello stesso periodo 1110 miliardi e quindi realizzando quasi il pareggio. Questo è un dato molto importante innanzitutto come valore assoluto, ma anche se consideriamo che la Fedit aveva un giro di affari annuale di 3000 miliardi. In un terzo dell’anno siamo riusciti a fare pagamenti - questo la dice lunga sulle difficoltà che avevamo – pari a un terzo della gestione finanziaria di un anno.

PRESIDENTE. Utilizzando le normali linee di credito?

BAMBARA. Si, utilizzando le normali linee di credito. Questo è stato possibile perché abbiamo recuperato gestionalmente delle facoltà, che esistevano precedentemente, grazie alla riduzione dell’esposizione bancaria. Nonostante questi pagamenti l’indebitamento verso banche è passato dai 3 miliardi e 77 milioni del 31 dicembre 1990 ai 2 miliardi e 958 milioni. In cinque mesi abbiamo ridotto l’indebitamento per ben 335 miliardi. Al 31 dicembre ’90 avevamo già invertito il trend di incremento dell’indebitamento rispetto all’anno precedente.

Attraverso il controllo di gestione e l’avvio gestionale e non strutturale di nuove policy nei confronti dei nostri debitori - parlo dei consorzi agrari e degli altri -, ma soprattutto tramite una gestione del credito molto capillare, si assistette ad una straordinaria inversione dell’indebitamento che invece nei due anni precedenti era cresciuta.

In secondo luogo le scadenze vennero rispettate perché pagammo un terzo rispetto ad un terzo del giro di affari. Ci sarà stato qualche arretrato ma in misura minima.

In terzo luogo abbiamo incrementato le linee di credito non utilizzate, che al 17 maggio 1991 ammontavano a oltre 600 miliardi.

Si tratta di indici che da una parte confermano che la società non era insolvente e che alla scadenza rispondeva alle proprie obbligazioni, dall’altra che chi ha preso la decisione del commissariamento avrebbe dovuto chiedere spiegazioni al management dell’azienda prima di intervenire in quel modo, vale a dire, senza una preparazione adeguata.

PRESIDENTE. Quindi la situazione, benché non fosse ottimale, non era così grave; per questo non fu tentato un consolidamento dei debiti con le banche.

BAMBARA. Le dico un’altra cosa. In aprile, ci sono state due riunioni con un consulente esterno di provata fama romana (presenti il presidente della Federconsorzi, il direttore generale, io ed il nostro segretario generale, assistiti da un avvocato), in cui si varò un piano di consolidamento del debito a sostegno del piano di ristrutturazione. Quindi riscontrammo la necessità di incontrarci con le principali banche per poter arrivare ad un azzeramento degli interessi per due anni e ad un consolidamento, appunto, di questo debito. Successivamente, fu deciso che il discorso sarebbe stato ripreso dopo l’approvazione del bilancio, cioè il 30 aprile.

PRESIDENTE. Ma non c’era un’urgenza?

BAMBARA. Secondo me, bisognava darsi da fare perché non si poteva aspettare un altro anno. Era da un anno che speravamo di poterci riorganizzare.

PRESIDENTE. Ma il consolidamento non era così urgente?

BAMBARA. No, però secondo me era importante e bisognava farlo entro l’estate, per poter affrontare con più serenità le attività di riorganizzazione e la questione sociale (bisognava purtroppo ridurre il numero del personale): questo era un costo straordinario cui bisognava far fronte.

In attesa che questo consolidamento avvenisse, e che poi purtroppo non è avvenuto, mi è stato dato incarico da parte del presidente di contrattare con le banche un’anticipazione sul credito verso lo Stato (proprio in quei giorni, a cavallo dell’approvazione del bilancio) per 250 miliardi su 400 miliardi circa di credito. La banca che è emersa, per le condizioni che ha offerto, è stata il Credito italiano. Il comitato Fidi del Credito italiano, a Milano, aveva già deliberato a favore – anche questo la dice lunga sulla tenuta del sistema e sull’assenza dello stato di insolvenza – di questo finanziamento. Tra l’altro, ero riuscito a negoziare un tasso molto remunerativo, perché era inferiore al tasso che ci riconosceva lo Stato, ma anche questo è saltato, ovviamente, con l’atteggiamento delle banche subito dopo il commissariamento. Quindi in attesa del consolidamento erano state compiute delle attività di tipo gestionale.

PRESIDENTE. Lei mi ruba una domanda. Se tutto questo è vero (e al momento non ho motivi per dubitare che lo sia, almeno guardando dal suo punto di vista), l’operato e il comportamento di Goria, nel decidere contro tutti e nonostante tutto il commissariamento, come va interpretato?

BAMBARA. Sono otto anni che me lo chiedo, Presidente. E non la consideri una risposta politica.

PRESIDENTE. Stiamo tentando accanitamente di trovare le risposte per le quali è nata questa Commissione, che poi dovrà riferire al Parlamento. Vogliamo però la collaborazione attiva da parte di chi ha vissuto quelle vicende in prima persona.

BAMBARA. Ma io non mi tiro indietro.

PRESIDENTE. Giustamente lei, dal suo punto di vista, ha riferito tutta una serie di notizie che inducevano al commissariamento non come foriero di quello che ha prodotto, ma come momento di ripresa su un piano diverso della gestione della Federconsorzi. Ma l’irrigidimento delle banche, il commissariamento improvviso, la costituzione di S.G.R., la creazione di questo pool di soci in S.G.R., la valutazione dei beni e così via non le forniscono elementi sufficienti per dare oggi una risposta a questa vicenda, che per otto anni l’ha lasciata sconcertata? In sostanza, questo commissariamento non ubbidiva ad un criterio di gestione economica. E allora?

BAMBARA. Presidente, come faccio a dare un risposta del genere quando, leggendo il decreto di commissariamento, si vede che è scritto a chiarissime lettere che era uno strumento per riorganizzare e rilanciarsi? Allora ci sono delle contraddizioni.

PRESIDENTE. Le conseguenze…

BAMBARA. Le conseguenze forse non erano state previste, perché non era stato preparato il commissariamento. In questo do una patente di ingenuità all’onorevole Goria.

PRESIDENTE. All’ingenuità credo poco.

BAMBARA. Anch’io, ma non mi viene in mente la parola giusta. Sicuramente, Goria non voleva mettere in liquidazione la società, perché così ha scritto nel decreto, quindi questa non è un’interpretazione; poi invece è successo quel che è successo.

Ma io torno a riflettere sulla preparazione. I primi tre commissari governativi (che mi auguro ascolterete, in particolare il dottore Cigliana, che era più addentro alle vicende gestionali) hanno dichiarato in tribunale, sotto giuramento, che sono stati avvertiti del commissariamento alle ore 17,30 del giorno prima. Secondo lei, Presidente, questo significa preparare un commissariamento di quella portata?

PRESIDENTE. Sono stati avvertiti alle ore 17,30 del 16 maggio?

BAMBARA. Sì.

PRESIDENTE. Lei pensi allora, che i rappresentanti di Confagricoltura e Coldiretti, almeno secondo quello che hanno dichiarato a questa Commissione, hanno appreso del commissariamento qualche ora dopo la riunione fissata alla Presidenza del Consiglio per discutere del commissariamento, mentre Goria in quella sede disse che era già tutto deciso e tutto fatto.

BAMBARA. Allora ho ragione io circa l’impreparazione del commissariamento.

PRESIDENTE. Allora si può pensare - e al riguardo le chiedo se può fornirci qualche elemento in più rispetto ai nostri ragionamenti - che il commissariamento era stato deciso prima perché c’era un piano strategico, c’era una prospettiva? Stiamo cercando proprio di individuare quale era la prospettiva, che alla luce dei fatti non era certamente quella di salvare Federconsorzi, se poi l’ha - tra virgolette - "annegata".

BAMBARA. Però il decreto parla di salvezza. Comunque escludo che ci fosse una strategia di tipo imprenditoriale ed economico già predefinita. Anzi, Goria forse l’aveva, perché poi ha riunito le banche e ha tentato - come diceva lei - il discorso imprenditoriale. Però mi sembrava per lo meno un’azione non studiata e soprattutto non ben documentata (mi viene sempre in mente la parola "ingenuità").

PRESIDENTE. Annoto la sua risposta diplomatica.

Vorrei rivolgerle altri due quesiti, uno dei quali forse la riguarda personalmente. Il pareggio del bilancio 1990 era o no stato ottenuto con un artifizio contabile?

BAMBARA. Ma cosa vuole dire "artifizio contabile"? Prima degli interventi sui crediti, prima delle rivalutazioni o delle svalutazioni delle partecipazioni e prima di altre operazioni straordinarie, il bilancio ordinario di Federconsorzi, l’utile operativo dell’azienda chiudeva in perdita di circa 60 miliardi, se ricordo bene. Questo, fra l’altro, ero lo specchio fedele di quelle difficoltà gestionali e organizzative di cui parlavo prima, che avevano una valenza non solo economica, ma anche finanziaria, poiché contribuivano a ridurre i flussi interni finanziari. Quindi c’era una perdita di 50-60 miliardi.

Si è arrivati al pareggio attraverso l’utilizzo di fondi inseriti in bilancio (passività liberate, fondi "rischi" su crediti, rivalutazioni di partecipazioni, come quelle di BNA e FATA, di cui abbiamo parlato, nel rispetto dei principi contabili) che hanno consentito di chiudere in pareggio il bilancio. Tuttavia, non si può parlare di artifizi contabili. "Artifizio" è una parola che non mi piace; si è trattato di interventi contabili dettati dalla prudenza e dalla lungimiranza degli amministratori.

Nel bilancio, documentatissimo nella sua redazione gestionale, c’è anche scritto che rimanevano appostati dei fondi "rischi" nel bilancio 1990 perché anche nel 1991 avremmo potuto aver bisogno di compensare delle perdite per alcune sopravvenienze negative. C’era un titolo - non ricordo più quale fosse - che identificava questo fondo. Questo la dice lunga su come l’intervento era non tattico ma strategico. Non erano artifizi contabili. Li chiamerei interventi contabili, dettati dalla prudenza degli amministratori nell’ambito di una politica di bilancio che aveva degli obiettivi ben precisi: la certificazione volontaria.

PRESIDENTE. Adesso devo farle una domanda e se lei ritiene di rispondere secretando gli atti lo posso fare. Nel tentativo di spiegarci anche i comportamenti di chi agì allora nei termini in cui ha agito, le pongo una domanda tesa a cercare di capire l’atteggiamento dei personaggi che allora mossero quest’intera vicenda o diedero inizio alle mosse di quest’intera vicenda: le risulta se tra le società consulenti della Fedit ce ne era una di cui era socia la moglie di Goria? BAMBARA. No. Questa è la prima volta che lo sento.

PRESIDENTE. Per questo gliela faccio.

BAMBARA. Si è sentito dire che di una delle società fosse socia la moglie di Pellizzoni, cosa che escludo nella maniera più assoluta, ma di altro non ne ho proprio cognizione.

PRESIDENTE. La ringrazio e vorrei registrare eventualmente la sua disponibilità a dare dei chiarimenti sulla lettura dei bilanci ai nostri consulenti.

BAMBARA. Sono a disposizione della Commissione anche se poi vi sono anche tanti altri argomenti che ho vissuto in prima persona.

PRESIDENTE. Se, in ordine alla vicenda Federconsorzi, vi sono argomenti che non siamo riusciti a trattare attraverso le domande rivoltele, la invito ad esporli alla Commissione.

BAMBARA. La mia presenza in Federconsorzi è stata molto lunga ed ha attraversato vari momenti.

PRESIDENTE. Vi sono uno o più argomenti che Lei ritiene di esporre alla Commissione pertinenti all’inchiesta che questa sta conducendo su questo argomento?

BAMBARA. Penso di aver risposto a tutto. Sono comunque a disposizione della Commissione.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Bambara per il contributo fornito ai lavori della Commissione e dichiaro conclusa l’audizione. Rinvio il seguito dell’indagine ad altra seduta.

I lavori terminano alle ore 16,15.