Audizioni Commissione d'inchiesta Federconsorzi/48

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Audizione De Vitis, Celotti, Pecoraro Severini

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SENATO DELLA REPUBBLICA---------CAMERA DEI DEPUTATI

XIII LEGISLATURA


COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL DISSESTO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI CONSORZI AGRARI


RESOCONTO STENOGRAFICO 48 a SEDUTA MARTEDI’ 28 NOVEMBRE 2000


Presidenza del presidente Melchiorre CIRAMI


I lavori hanno inizio alle ore 12.05. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).


Presidenza del Presidente CIRAMI

Audizione dei dottori Fiammetta De Vitis, Paolo Celotti e Fausto Severini, in qualità di componenti del Collegio giudicante nella procedura di concordato preventivo della Federconsorzi, negli anni 1992-1993

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione dei dottori Fiammetta De Vitis, Paolo Celotti e Fausto Severini, in qualità di componenti del Collegio giudicante nella procedura di concordato preventivo della Federconsorzi, negli anni 1992-1993.

Prima di procedere all’audizione, informo la Commissione che l’assessore all’agricoltura e foreste della regione Sicilia, onorevole Salvatore Cuffaro, ci ha comunicato che non potrà essere presente, a causa di concomitanti, improcrastinabili impegni, alla seduta della Commissione convocata per procedere alla sua audizione. Pertanto la seduta prevista per giovedì 30 novembre alle ore 14 non avrà più luogo. Se non vi sono osservazioni, l’audizione dell’onorevole Cuffaro e dei dottori Domenico Caccamo e Giuseppe Venezia è rinviata a giovedì 6 dicembre alle ore 10.

La Commissione procede oggi all’audizione dei dottori De Vitis, Celotti e Severini, che ringrazio per aver accolto con cortese disponibilità il nostro invito. Avverto che i lavori della Commissione si svolgono in forma pubblica, secondo quanto dispone l’articolo 7 della legge istitutiva, e che è dunque attivato, ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del Regolamento interno, l’impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Qualora da parte delle persone ascoltate o dei colleghi lo si ritenga opportuno in relazione ad argomenti che si vogliono mantenere riservati, disattiverò l’impianto audiovisivo per il tempo necessario.

Preciso infine che dell’audizione odierna è redatto il Resoconto stenografico, che sarà sottoposto, ai sensi dell’articolo 12, comma 6, del Regolamento interno, alle persone ascoltate e ai colleghi che interverranno, perché provvedano a sottoscriverlo, apportando le correzioni di forma che riterranno in vista della pubblicazione negli atti parlamentari.

Pregherei ciascuno dei nostri ospiti di riferirci preliminarmente e molto brevemente quali funzioni ciascuno di loro aveva esercitato prima di occuparsi della procedura concordataria Federconsorzi e, quindi, di indicarci i provvedimenti assunti collegialmente durante quest’ultima.

CELOTTI. Signor Presidente, sono stato addetto alla sezione fallimentare del tribunale di Roma dal 1980 e mi sono occupato di fallimenti in qualità di giudice delegato.

Iniziai a occuparmi della Federconsorzi come giudice e componente del collegio che ha deliberato la sentenza di omologazione del concordato nel 1992. In sostanza, il mio incontro con la vicenda Federconsorzi è limitato, se così posso dire, alla questione della omologazione del concordato e, nei tempi successivi, alla questione legata alla famosa "cordata" SGR (così si chiamava: "cordata") quindi all’esame e alla valutazione di quella proposta di acquisto in blocco dei beni della Federconsorzi.

Questa deliberazione della sentenza di omologazione del concordato preventivo fu assunta dal presidente Greco, da me, come giudice anziano, e dalla collega De Vitis, come terzo giudice.

Questo è in breve il panorama.

DE VITIS. Io mi sono occupata della sezione fallimentare del tribunale di Roma dal 1987 in qualità di giudice delegato. Ho fatto parte del collegio che ha poi provveduto all’emanazione della sentenza di omologazione del concordato preventivo della Federconsorzi e naturalmente ho curato, insieme allo stesso collegio, l’esame di tutte le vicende che hanno preceduto questa sentenza. Nel prosieguo, ho partecipato anche all’esame delle proposte di acquisto in massa che venivano dai vari interessati e ho sottoscritto anche un provvedimento di autorizzazione alla Federconsorzi per la sottoscrizione dell’atto-quadro.

Questo è stato, diciamo, l’iter del mio intervento nella procedura del concordato preventivo della Federconsorzi.

SEVERINI. Anche io sono entrato nella sezione fallimentare del tribunale di Roma parecchio tempo fa, nel 1982. Mi sono occupato della Federconsorzi solo al momento in cui si pose il problema dell’approvazione dell’atto-quadro, perché, in precedenza, del collegio facevano parte i due colleghi più anziani. Fui poi giudice delegato dal tribunale alla procedura per sei od otto mesi (non ricordo) e poi fui trasferito in Corte d’appello e lasciai…

PRESIDENTE. A partire da quando?

SEVERINI. Mi pare verso ottobre-novembre del 1993, fino all’aprile 1994, quando andai in Corte d’appello. Questo è il periodo in cui, come giudice delegato, mi sono occupato pienamente della questione.

PRESIDENTE. È giusto che io vi dica qual è l’esigenza della Commissione. Voi sapete bene che di questa inchiesta se ne sta occupando la Commissione parlamentare e parallelamente pende a Perugia un giudizio di natura penale che riguarda altri aspetti di questa vicenda, quindi le domande che noi vogliamo rivolgere sono per comprendere, al di là delle fattispecie, delle responsabilità penali, delle quali noi non ci occupiamo, come fu decisa questa vicenda e nell’ambito di quale procedura.

Comincio allora con il chiedervi: presso la sezione fallimentare vi erano delle regole per l’assegnazione degli affari e, quindi, anche per la designazione del giudice delegato ad ogni procedura? E quali erano i criteri?

SEVERINI. In particolare vi erano dei criteri generali legati al lavoro contingente di ogni singolo magistrato; non si era ancora attuata una sorta di rotatoria precostituita e predefinita, per quel che mi ricordo, se non per le procedure fallimentari; per queste ultime, non ricordo l’anno, ma si avevano assegnazioni in un certo numero fisso, secondo l’ordine di iscrizione a ruolo, ragion per cui nessuno sapeva quello che…

PRESIDENTE. La cosiddetta assegnazione automatica.

SEVERINI. Esatto, l’assegnazione automatica: questa intervenne a metà o forse alla fine degli anni ’80 e nei primi anni ’90. Invece, per le procedure cosiddette minori, di concordato e di amministrazione controllata, essendo diverse come occasioni, perché potevano essere proposte in blocco e per vari periodi non ne erano presentate, quindi era molto più irregolare la loro frequenza, la loro presentazione, era il presidente che le assegnava di volta in volta: questo, diciamo, da sempre.

PRESIDENTE. Quindi il presidente sceglieva la procedura e la persona, cioè il magistrato a cui affidarla secondo dei criteri non predeterminati, secondo una prassi, diciamo, che era corrente per l’assegnazione degli affari.

SEVERINI. Ho parlato del presidente perché il presidente teneva d’occhio gli affari: però teniamo sempre conto che ogni assegnazione la fa il collegio; quindi il presidente insieme agli altri due giudici valutava chi era il magistrato da delegare volta per volta, sempre sulla base del lavoro pendente per ogni magistrato. Era quindi il collegio che sceglieva, anche se è chiaro che il presidente presentava il prospetto di lavoro e pertanto si vedeva chi era il magistrato delegato più idoneo in quel momento.

CELOTTI. Forse è opportuno sottolineare la differenza di trattamento, sotto questo aspetto, tra le procedure fallimentari e quelle cosiddette concorsuali minori. La procedura fallimentare nasceva nel modo seguente: vi era una distribuzione pressoché automatica, se non ricordo male, delle istruttorie prefallimentari fra tutti i magistrati, queste istruttorie venivano condotte dal magistrato designato e poi, naturalmente, si concludevano o con il rigetto dell’istanza di fallimento o con la dichiarazione di fallimento. Nel secondo caso, il magistrato delegato dal collegio all’istruttoria prefallimentare diveniva giudice delegato al fallimento. Quindi un certo automatismo, anzi, direi proprio un meccanismo automatico esisteva per le procedure fallimentari.

Per le procedure concorsuali minori (concordato preventivo e amministrazione controllata), invece, siccome erano numericamente di gran lunga inferiori, interveniva una valutazione caso per caso da parte del collegio, in primis del presidente, a cui facevano capo tutte queste questioni, per la designazione del giudice delegato. Il presidente Greco, quando è venuto fuori il caso Federconsorzi, era delegato a più procedure relative a concordati preventivi e amministrazioni controllate.

DE VITIS. Il Presidente, in quanto tale, non era giudice delegato ai fallimenti come gli altri componenti della sezione, perché aveva compiti di direzione e di organizzazione e quindi l’attività che svolgeva in queste procedure concorsuali minori costituiva evidentemente un impegno personale diverso da quello delle normali procedure fallimentari.

PRESIDENTE. Dato il tipo e l’entità della questione non credo che presso la sezione fallimentare di Roma fosse all’ordine del giorno come vicenda ordinaria la richiesta di fallimento o di procedura concorsuale per la Federconsorzi. Nell’assumere le funzioni di giudice delegato della procedura Fedit, il presidente Greco consultò il collegio o i componenti della sezione fallimentare? Vorrei capire come arrivò all’autodesignazione come giudice delegato per questa procedura.

SEVERINI. Non esiste l’autodesignazione, la designazione è solo collegiale, non c’è altra possibilità. Si tratta di un atto in cui un presidente e altri due giudici nominano un delegato. Poi, come abbiamo detto prima, in concreto, secondo i carichi di lavoro si decideva caso per caso.

Nel caso in specie, il presidente all’epoca si occupava di un numero di procedure inferiore rispetto a noi, quindi, quando si è presentata questa che si comprendeva essere molto impegnativa e, direi, sproporzionata rispetto alle normali procedure, si decise di affidarla a lui anche perché, in caso contrario, effettivamente la questione avrebbe completamente bloccato il lavoro di uno di noi: alla fine, infatti, il presidente si dedicava esclusivamente ad essa.

ABBATE. Il presidente non trattava procedure fallimentari vere e proprie, era sottratto a questo automatismo che disciplinava l’assegnazione degli affari nella sezione?

SEVERINI. In base all’assegnazione automatica, il presidente trattava molte meno procedure fallimentari rispetto a noi, qualcuna ne aveva sicuramente, da quello che mi ricordo, ma se noi potevamo averne mille lui ne aveva dieci.

CELOTTI. Come dicevo prima, trattava procedure concorsuali cosiddette minori, non fallimenti veri e propri. Si definiscono minori, ma non perché lo siano per importanza. SEVERINI. In particolare (specialmente con Castaldi che era il presidente che lo ha preceduto) la prima udienza, la prima fase di ammissibilità della procedura, veniva trattata quasi sempre dal presidente e da altri due giudici. Questa prima fase era comune a tutte le procedure c.d. minori. In tutte le procedure, all’inizio, c’era comunque il presidente nel collegio e si decideva sull’ammissibilità, sulla nomina del commissario e questo per prassi. Già con Castaldi e prima ancora con Palmisano (siamo a dieci anni prima) il presidente era comunque nel collegio che indicava il commissario e ammetteva o non ammetteva alla procedura. MANCUSO. Quanti sono i presidenti della sezione fallimentare?

SEVERINI. Sono sempre due, sono stati tre fino a qualche tempo fa.

MANCUSO. Non era uno solo?

SEVERINI. Io sapevo che erano tre fino a qualche tempo fa, quindici o venti anni fa. Poi scesero a due e, da quando vi sono stato io, sono sempre stati due.

PRESIDENTE. Sulle questioni più importanti il presidente Greco procedeva a consultare anche i magistrati che non appartenevano strettamente al collegio, ma alla sezione fallimentare?

CELOTTI. Sì, è accaduto diverse volte.

SEVERINI. In particolare ricordo la questione della vendita in massa di cui all’atto-quadro: facemmo due, tre o forse anche quattro riunioni plenarie in cui ognuno diceva la sua, anche non facendo parte del ristretto collegio che poi avrebbe deciso la singola questione, attesa l’importanza di tutta la vicenda.

PRESIDENTE. Questa era una prassi o questa circostanza si verificò soltanto per la Federconsorzi?

CELOTTI. No, questo era nella tradizione della sezione fallimentare, perché le decisioni di particolare importanza e peso sulla gestione e le decisioni che caratterizzavano la giurisprudenza della sezione venivano sottoposte al parere di tutti i colleghi.

PRESIDENTE. Questo avveniva in una circostanza formale come le camere di consiglio o in circostanze anche di natura informale?

CELOTTI. Preferibilmente sì, nelle camere di consiglio, quando vi era la convocazione per la deliberazione delle cause trattenute in decisione si sottoponevano tali questioni.

Naturalmente in un caso come questo della Federconsorzi, riguardante la eventuale vendita in blocco, probabilmente ci fu una convocazione ad hoc, non mi pare che l’argomento potesse essere inserito in una discussione riguardante varie decisioni.

DE VITIS. Quello era – o perlomeno credo – il primo caso in cui il tribunale, in una sentenza omologativa di concordato preventivo, si determinava alla decisione di una forma di liquidazione che – non che non fosse prevista – ma non era adottata nella generalità dei casi, cioè la liquidazione dell’intera massa dei beni affidata al liquidatore per un contenimento dei costi, per ridurre al massimo i costi di gestione e le spese per la procedura. Si trattava di una vendita in massa e questo non veniva deciso tutti i giorni, quindi in quell’occasione si discusse parecchio di questo sbocco della procedura e dei problemi che avrebbe naturalmente comportato.

PRESIDENTE. Era un fatto inusuale che richiedeva una più larga consultazione; come diceva lei non è di tutti i giorni discutere di queste cessioni in massa, viste anche le proporzioni.

DE VITIS. No, infatti, perché crac di quelle dimensioni non se ne erano ancora verificati e soprattutto si trattava di un patrimonio cospicuo e difficile da liquidare perché, tra l’altro, alcuni beni erano sparsi su tutto il territorio nazionale e quindi non era una cosa semplice stabilirne i criteri di liquidazione.

SEVERINI. Confermo questa circostanza; nel caso della Federconsorzi ci fu una particolare cura nel raccogliere più volte i pareri di tutti i componenti da parte del presidente, con riunioni ad hoc, come diceva il collega Celotti. Il problema era proprio la vendita di questi beni che erano i più svariati, da partecipazioni ad assicurazioni come la FATA, a Palazzo Rospigliosi con i disegni del Bernini. Si trattava di una cosa talmente varia che effettivamente non si sapevano i tempi, i modi e la valutazione, e proprio quello era l’oggetto della discussione.

PRESIDENTE. Nella circostanza della trattazione della vicenda della Federconsorzi, come giudici appartenenti alla sezione fallimentare o come componenti del collegio, avete avuto dei colloqui con il professor Casella e con il professor Capaldo?

DE VITIS. A titolo personale no.

PRESIDENTE. In che occasione allora avete avuto questi colloqui e chi li ha avuti?

SEVERINI. Io mai.

DE VITIS. Io ho partecipato a delle riunioni collegiali nelle quali era presente il professor Capaldo, proprio per esaminare i vari aspetti dell’offerta che aveva fatto la SGR. Si è trattato di discussione e di esame dei problemi in camera di consiglio.

CELOTTI. Desidero fare una puntualizzazione. Ripercorrendo nella memoria questa vicenda, è necessario tenere distinto il periodo dell’istruttoria sulla proposta di concordato preventivo, quindi la fase di deliberazione su tale proposta, dal momento successivo concernente la gestione della procedura una volta omologato il concordato.

La sentenza di omologazione del concordato fu deliberata nell’estate del 1992 e pubblicata il 5 ottobre dello stesso anno. Quindi dovemmo anzitutto affrontare le questioni riguardanti la proposta di concordato preventivo, ovvero l’ammissibilità della Fedit al concordato preventivo, la meritevolezza dell’imprenditore e prima ancora la qualità di imprenditore commerciale della Fedit, questioni che poi enumererò con più precisione. In questa prima fase della deliberazione tenemmo forse delle camere di consiglio allargate, con scambi di opinioni, ma poi il collegio si riunì ripetutamente nella composizione che ho prima detto: Greco, Celotti, De Vitis.

Affrontammo il tema della qualità di imprenditore commerciale della Federconsorzi; ritenemmo che fosse imprenditore commerciale, di conseguenza assoggettabile a fallimento e quindi tale da potersi giovare del beneficio del concordato preventivo. Diversamente sarebbe stata sottoposta a liquidazione coatta amministrativa (il concordato è previsto anche nella liquidazione coatta ma comunque non ci avrebbe riguardato in quella fase).

Si trattava quindi di temi di carattere squisitamente giuridico, affrontati sulla base dei fatti che venivano portati a nostra conoscenza.

Per quanto concerne la questione della meritevolezza dell’impresa, vi furono su questo punto discussioni poiché naturalmente vari erano i criteri per fissare questo concetto.

Vi fu poi l’esame nel merito, cioè il rapporto tra il passivo e l’attivo. Su tale aspetto vorrei fare una precisazione poiché su diversi giornali (in particolare quando riportarono la notizia dell’incriminazione di alcune persone) ho letto costantemente una notazione che, se da un lato mi ha fatto sorridere, dall’altro mi ha provocato una certa tristezza in quanto vorrei che le questioni venissero trattate con maggiore competenza. Si affermava che la Fedit non poteva essere ammessa a concordato preventivo poiché l’attivo superava largamente il passivo. I giornali riportavano anche alcune cifre: 5.000 miliardi contro 4.000, oppure 4.500 contro 4.000. L’attivo quindi sarebbe stato superiore e di conseguenza la Fedit non poteva essere ammessa al beneficio del concordato.

Questo è sbagliatissimo perché l’imprenditore che può ottenere il beneficio (che è appunto definito tale perché evita il fallimento) del concordato preventivo è l’imprenditore che può - anzi deve - essere dichiarato fallito. E viene dichiarato fallito l’imprenditore che non è in grado di soddisfare con mezzi ordinari i creditori.

La Fedit si presentava come un ente che aveva un patrimonio fuori discussione, rappresentato, come diceva il collega Severini, dai beni più svariati, che andavano dai quadri dei grandi autori alle vacche (allora ancora non così folli). Tuttavia a fronte di questo patrimonio sicuramente ingente, la Fedit aveva una massa di debiti spaventosa, che non poteva fronteggiare. Dunque era in condizione di insolvenza ed essendo insolvente se vi fosse stata, ad esempio, un’istanza di fallimento di un dipendente che vantava un credito di dieci milioni avrebbe dovuto essere dichiarata fallita.

Questi sono sacrosanti principi, consolidati da giurisprudenze secolari, dunque siamo in un ambito che non può essere messo in discussione.

La presenza di un patrimonio cospicuo semmai - questo è il punto - giustificava l’ammissione al concordato preventivo: posto che l’imprenditore era in condizione di poter essere dichiarato fallito, grazie al fatto che disponeva di un bel patrimonio, poteva giovarsi del concordato preventivo.

Quindi nelle discussioni che si svolsero in camera di consiglio, nel corso di ripetute sedute, superati questi primi aspetti, affrontammo il tema del confronto tra attivo e passivo. Come sapete, può essere ammesso al concordato preventivo l’imprenditore che possiede un patrimonio che garantisca il pagamento integrale dei crediti privilegiati e di quelli chirografari nella misura non inferiore al 40 per cento. Facemmo dei conti sulla base dei dati che ci venivano riferiti dal presidente Greco in camera di consiglio, dati che egli traeva dalle perizie svolte, dalla contabilità presentata dall’impresa e così via. Su tali dati soffermammo a lungo la nostra attenzione per decidere alla fine che la Fedit era nella condizione di potersi giovare del concordato preventivo poiché aveva un patrimonio che poteva soddisfare teoricamente i crediti privilegiati per intero ed i crediti chirografari nella misura non inferiore al 40 per cento.

DE VITIS. Vorrei fare una precisazione. La composizione del collegio venne attuata secondo un criterio base, che era quello dell’anzianità. Proprio in ragione di tale criterio, il collega Celotti ed io facemmo parte del collegio molto spesso. Per ogni altro provvedimento successivo il criterio fu il medesimo, quello dell’anzianità.

ABBATE. Poiché lei ha detto che nella prima fase vi furono delle camere di consiglio un po’ allargate, in relazione alla domanda che poneva il presidente, cioè se avevate avuto rapporti con il professor Capaldo e l’avvocato Casella, lei che cosa intende dire per "allargate"? Allargate a tutti i giudici della sezione o allargate anche ad estranei?

CELOTTI. Estranei alla camera di consiglio sicuramente no. Il professor Casella, ricordo di averlo visto qualche volta, però poiché con l’apertura della procedura di concordato preventivo…

PRESIDENTE. Quindi siamo nella fase successiva rispetto alle questioni pregiudiziali che avevate affrontato.

CELOTTI. No. Ripercorriamo la vicenda. La Fedit ha presentato la domanda di ammissione al concordato; il tribunale l’ha valutata nelle sue linee essenziali e ha deliberato con decreto l’ammissione al concordato preventivo. A quel punto viene nominato un giudice delegato e un commissario giudiziale e pertanto fu nominato giudice delegato il presidente Greco e commissario giudiziale il professor Picardi. Da quel momento si apre la fase della valutazione, delle perizie, eccetera, la quale si deve concludere con la deliberazione del tribunale con sentenza che, appunto, ammette o non ammette al concordato preventivo. Le questioni di cui parlavo prima, naturalmente, furono affrontate nella fase finale di questa lunga istruttoria condotta dal giudice delegato Greco, e quindi dovemmo affrontare tutte quelle questioni per decidere se si poteva ammettere o non ammettere al concordato. PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Celotti, però, secondo uno schema che ho qui davanti a me, il decreto di ammissione della Federconsorzi al concordato, che è del 18 luglio 1991, evidenzia nel collegio giudicante Ivo Greco, Umberto Apice e Giovanna De Virgiliis. CELOTTI. Sì, altri magistrati. PRESIDENTE. Quindi voi non avete partecipato al collegio che decretò l’ammissione della Federconsorzi al concordato preventivo, quello del 18 luglio 1991. CELOTTI. No. PRESIDENTE. Ma successivamente sì, quando, invece, avete adottato la sentenza di omologazione del concordato preventivo del luglio 1992: allora il collegio giudicante era composto da Greco, Celotti, De Vitis. CELOTTI. Esattamente. PRESIDENTE. Ora, per ritornare alla materia di cui stavamo parlando, degli incontri con il professor Casella o con il professor Capaldo (se vi furono, quando vi furono, eccetera): quale ne era l’oggetto? CELOTTI. In quella fase, dopo l’ammissione alla procedura, il giudice delegato era investito di tutti i poteri necessari alla direzione di quel procedimento e dunque, poiché a quel tempo c’erano i commissari governativi della Federconsorzi a rappresentarla, principalmente il presidente Greco si incontrava con queste persone perché si doveva poi procedere alla votazione, a mettere a fuoco un’infinità di problemi. E, per quello che io so e mi ricordo, cominciò a profilarsi la possibilità che, una volta ammessa la Federconsorzi al concordato preventivo, si sarebbe presentata un’offerta per l’acquisto. PRESIDENTE. Prima non se n’era parlato? In colloqui, in incontri informali, con il professor Casella o il professor Capaldo, prima dell’ammissione? A voi non consta o consta? Questo volevo capire. CELOTTI. Questo almeno io non lo ricordo. Domando alla collega De Vitis se lo ricorda. DE VITIS. Nella sentenza di omologazione del concordato vi era un accenno a ciò; la sentenza parla della possibilità di una vendita in massa e, se non sbaglio, vi è anche un accenno alla possibilità di un’offerta di questo tipo. PRESIDENTE. Ma io volevo capire se voi avete partecipato e a che titolo ad incontri, prima o dopo il decreto di ammissione della Federconsorzi alla procedura di concordato, con il professor Capaldo, con l’avvocato Casella, eccetera. CELOTTI. Prima no. PRESIDENTE. Dopo lo comprendo, è prima che volevo capire se c’erano stati degli incontri. CELOTTI. No, almeno non mi ricordo di incontri svolti prima. SEVERINI. Forse occorre fare una precisazione. Io non ho partecipato, comunque, ma la fase preliminare è molto più breve e sintetica, l’ammissione o meno a seguito del ricorso comporta sempre un carattere di urgenza e quindi passano trenta giorni, due mesi massimo, in linea generale… PRESIDENTE. Ecco, in questo periodo ci sono stati dei rapporti? SEVERINI. …è difficile che si tratti già del problema della vendita in quel periodo. PRESIDENTE. Dico questo per eliminare i dubbi nel caso in cui eventualmente qualcuno potesse dire che tutto questo fu concordato prima e fu mirato ad un certo scopo. Ecco, volevo sapere se a voi constava di incontri avvenuti con il professor Capaldo o l’avvocato Casella prima dell’ammissione al concordato preventivo. SEVERINI. No, non solo non mi consta, ma penso che questo sia anche molto difficilmente ipotizzabile, perché si trattava di problemi sorti dopo. PRESIDENTE. Ribadisco che qualcuno potrebbe ipotizzare che il decreto di ammissione al concordato fu finalizzato a quello che sarebbe dovuto avvenire dopo. È proprio per togliere i dubbi su questo che ponevo la mia domanda. (Commenti del senatore Mancuso). Sto dicendo che, siccome si parlava di incontri, volevo capire che tipo di incontri erano. CELOTTI. Certo, se ne è parlato, se ne è letto. PRESIDENTE. Abbiamo letto tutti qualcosa al riguardo ed il campo lo dobbiamo sgombrare, per quello che ci è possibile fare. MANCUSO. Volevo sapere se i magistrati qui presenti, di cui dobbiamo apprezzare la linearità, classica, una volta, in magistratura, sono stati mai sentiti dal giudice penale di Roma o di Perugia.

SEVERINI. Io sono stato invitato in via telefonica, privata, come persona informata, dal pubblico ministero di Perugia ed ho deposto regolarmente, per iscritto, per due volte.

CELOTTI. Io non sono mai stato convocato.

PRESIDENTE. Infatti non mi risulta della sua convocazione; invece la dottoressa De Vitis mi pare di sì.

DE VITIS. Sì, io sono stata convocata a Perugia per essere sentita come persona informata dei fatti.

CELOTTI. Non sono mai stato convocato, ribadisco, ma mi aspettavo di essere imputato. PRESIDENTE. Su questo mi consentirete in ultimo di rivolgervi una domanda specifica, proprio su questa affermazione che fa lei, che si aspettava di essere imputato e le chiederò perché non lo è stato.

ABBATE. Per chiudere questo capitolo, è ovvio che anche in quella sede avete detto le stesse cose che state dicendo a noi.

PRESIDENTE. Il dottor Celotti ha fatto alcune considerazioni circa l’esistenza di una massa attiva che addirittura si diceva superasse il passivo. Al di là dei criteri di determinazione dell’attivo, perché abbiamo avuto la prova che a volte nei bilanci questo attivo veniva arricchito da rivalutazioni dei beni immobiliari che andavano oltre ogni limite, vi informo anche che abbiamo accertato, nel corso della nostra indagine, che alcune voci passive addirittura erano inesistenti, che alcuni debiti non avevano ragion d’essere e furono cancellati di colpo dal bilancio: 374 miliardi furono cancellati sotto la voce prescrizioni. Non si capisce neanche l’origine di questi debiti che venivano appostati in bilancio.

Al di là di queste valutazioni formali tra massa attiva e passiva, a quale fase avete partecipato e con chi si è discusso in camera di consiglio circa l’entità dell’offerta? Mi risulta che qualcuno, indipendentemente dalla verifica di questi numeri, avesse chiesto anche al professor Capaldo di aumentare la famosa offerta dei 2150 miliardi. Chi partecipò di voi a queste riunioni in cui si è discusso dell’offerta, della sua congruità e delle pressioni che sono state esercitate eventualmente per elevarne il quantum?

CELOTTI. Io ho lasciato la sezione fallimentare nei primi giorni di luglio 1993 e ricordo che nella primavera, poco prima che io lasciassi la sezione fallimentare, si cominciò a parlare più concretamente di questa offerta, della quale si fa un accenno nella sentenza di omologazione come possibilità di un futuro sviluppo della vicenda liquidatoria. Quindi, mentre nella sentenza si trattò l’argomento su un piano puramente teorico, per così dire, poi concretamente la questione fu portata in discussione dal presidente Greco e io partecipai con la collega Fiammetta De Vitis a queste riunioni con il presidente Greco nelle quali discutemmo di questa offerta.

Per quel che ricordo io, si cominciò a valutare la veridicità di quelle poste attive per poter confrontare il patrimonio con l’entità dell’offerta. Cominciarono ad emergere delle situazioni particolari e quindi si tennero ripetute riunioni, nelle quali chiedevamo al presidente Greco le notizie e le informazioni che potevano essere utili a quel fine. Per fare un esempio che mi è rimasto nella memoria, ricordo che un pezzo della Federconsorzi era rappresentato da un’industria conserviera, la Massalombarda che aveva avuto in sede di ammissione una certa valutazione, non ricordo più la cifra precisa, ma si trattava di tanti miliardi. Secondo informazioni avute, pareri espressi da periti e notizie dal mercato, sembrava che questi pomodori avessero avuto un crollo per cui questo bene valutato ad esempio cento, non si poteva piazzare sul mercato se non a quaranta. Come questo ci furono altri casi, per cui certi beni venivano a svuotarsi di valore o perlomeno ne perdevano una parte. Fu naturalmente considerata con molto favore la circostanza che questi 2150 miliardi sarebbero stati versati in un tempo breve, specie a fronte di una liquidazione che poteva essere destinata a languire nel tempo e a perdersi in infiniti rivoli che avrebbero finito con il prosciugare la massa dei beni. Quindi si trattava di un’offerta sostanziosa, magari non completamente soddisfacente sotto il profilo della congruità rispetto al valore teorico del patrimonio. Dopo molta discussione e tanta sofferenza parve tale da essere privilegiata. Qui si chiuse la mia presenza nella sezione fallimentare. Mi pare che fu emesso un provvedimento nella tarda primavera, dal presidente Greco, da me e dalla collega De Vitis, che accoglieva questa istanza in linea generale, non lo rammento perfettamente ma ricordo le discussioni sull’opportunità e sulla congruità di questa offerta. So che poi c’è stato l’atto-quadro ma non facevo più parte della sezione fallimentare. SEVERINI. Vorrei precisare due aspetti, anche se ad essi non mi sono interessato direttamente. Il primo riferitomi, non ricordo se dal dottor Apice o dal dottor Greco, in ordine a questi incontri con il professor Capaldo per vedere se era possibile aumentare l’offerta. Nel senso che questa era fissa a 2150 miliardi e si tentava di farla lievitare con qualche altro beneficio indiretto: la liquidazione di alcuni lavoratori o il pagamento di alcuni arretrati ai lavoratori. Quasi sempre si registrò un rifiuto da parte del professor Capaldo il quale già si diceva pentito, così mi hanno riferito, di aver fatto quella proposta perché era al limite. Quindi egli non accolse le nuove richieste di aggiornamento, salvo – e ciò è rimasto nell’atto-quadro – l’assunzione da parte della SGR di circa 100 dipendenti. Quello fu il vantaggio che si ottenne. DE VITIS. Vorrei dire che la consistenza dell’attivo, nell’evolversi della procedura e nei vari esami che si susseguirono, fu oggetto di ripetute valutazioni. Si era partiti da una stima dell’attivo, da un’esposizione dell’attivo qual era stata presentata dal ricorrente per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo; se non erro si aggirava intorno ai 4.000 miliardi di lire. Qualche mese dopo, quando effettivamente la Federconsorzi era già stata ammessa alla procedura di concordato preventivo, vi fu una relazione di bilancio dei commissari governativi che presentò un’altra stima dell’attivo, alquanto superiore. Vi fu poi una terza stima dell’attivo, quale risultava al tribunale dalle stime fatte nei vari settori. Quindi si passò dai 4.000 miliardi iniziali ai circa 3.300 miliardi delle ultime stime. Mi sembra che questo fosse l’ordine dell’attivo. Quando poi esaminammo con grande attenzione tutte le poste dell’attivo ci accorgemmo che in realtà alcune di esse erano vuote. Ad esempio una delle poste più rilevanti dell’attivo era costituita da crediti per 2.700 miliardi, quasi tutti inesigibili o inesistenti. Si trattava di un qualcosa che incideva quindi profondamente sulla possibilità di realizzo di questo attivo. Certamente la proposta dei 2150 miliardi in un primo tempo ci destò grande preoccupazione, essendo di gran lunga inferiore alla previsione iniziale, e ne discutemmo a lungo. PRESIDENTE. Nella valutazione di quelle perizie o consulenze che portavano la massa attiva prima a 4000 miliardi, poi a 3300 miliardi, erano compresi i circa 1000 miliardi per crediti che allora venivano ritenuti inesigibili? DE VITIS. Senza dubbio erano compresi, era una delle poste dell’attivo. Facemmo più di una riunione per cercare di far lievitare in qualche modo l’offerta ed incontrammo subito una resistenza piuttosto secca, piuttosto feroce. A noi preoccupava il problema dei lavoratori, per i quali sollecitammo una disponibilità maggiore della società. Quest’ultima in un primo tempo si dichiarò disposta a mantenere in servizio 70 persone e, dopo nostre insistenze, addivenne ad una soluzione assai più soddisfacente poiché si impegnò ad incentivare l’esodo volontario di altri 250 dipendenti, a suo carico, con un esborso di 20 o 30 miliardi.

Si trattava in un certo senso di un passo in avanti poiché questo era uno dei problemi più spinosi. Il collega Celotti ricorderà che tenemmo anche una riunione con i rappresentanti dei lavoratori per avere maggiore cognizione di quello che era un problema abbastanza serio: la Federconsorzi, al momento dell’ammissione al concordato, aveva 850 dipendenti, quindi la preoccupazione era rilevante.

PRESIDENTE. Perché non fu fatto, quali furono le ragioni di ostacolo, un approfondimento delle poste attive prima della omologa?

DE VITIS. Vi sono state perizie in tutti i settori, dalle proprietà immobiliari, alle partecipazioni a società immobiliari, ai beni dei consorzi agrari. Quindi un approfondimento venne fatto.

PRESIDENTE. Avete potuto verificare personalmente questi atti, almeno i più significativi, o ne siete stati soltanto informati dal presidente Greco? Questo approfondimento è stato fatto dal collegio o dal giudice delegato, cioè il presidente Greco?

DE VITIS. C’erano le relazioni del commissario giudiziale a nostra disposizione e noi le abbiamo consultate. Non le singole perizie, ma certamente le relazioni.

CELOTTI. Noi abbiamo consultato i dati riassuntivi di questo patrimonio attivo e passivo. Naturalmente su quelli ci siamo soffermati a discutere a lungo.

PRESIDENTE. La verifica dell’esistenza dei libri contabili e della loro regolarità venne fatta dal collegio o veniste informati di ciò che era stato fatto separatamente, magari dal presidente Greco quale giudice delegato?

CELOTTI. Una prima verifica della regolarità formale della contabilità viene fatta nella fase iniziale, quella di ammissione alla procedura. Una volta aperta la procedura di concordato, ammesso cioè l’imprenditore al concordato, il commissario giudiziale compie una prima verifica, anche sostanziale, scende più a fondo nel merito; nel caso di specie, con l’ausilio di periti che vennero all’uopo nominati. Quando si giunge alla fase di omologazione, si raccolgono questi dati e si portano alla conoscenza del collegio affinché esso possa valutarli nell’insieme.

PRESIDENTE. Quindi c’è un’attività istruttoria che viene compiuta dal giudice delegato con i suoi collaboratori, il commissario giudiziale e così via?

CELOTTI. Certamente.

PRESIDENTE. Devo ora porvi una domanda delicata, alla quale potreste anche non rispondere perché da ex magistrato mi rendo conto di chiedere qualcosa cui è perfettamente legittimo opporre il silenzio, giacché invade il segreto della camera di consiglio.

La decisione di omologare il concordato fu unanime o vi furono divergenze o contrasti con il presidente Greco? Vi furono contrasti o si registrò unanimità di consensi sulla vendita a SGR?

CELOTTI. La decisione di omologare il concordato fu unanime.

PRESIDENTE. Dottoressa De Vitis, lo conferma?

DE VITIS. Confermo che la decisione fu unanime.

CELOTTI. Ho fatto prima un rapido excursus delle questioni che affrontammo. Alcune di esse ci impegnarono in discussioni assai vivaci, nel senso che si trattava di problemi delicati. La decisione quindi non fu presa in una seduta, ma maturò nel corso di più sedute, con uno scambio di idee che partiva dalla base dei dati che potevamo e dovevamo esaminare. Quindi questa omologazione del concordato è stata laboriosissima.

PRESIDENTE. La dialettica interna la comprendo, non fu a maggioranza che venne presa la decisione.

CELOTTI. La dialettica interna, perfettamente, e la decisione non fu presa a maggioranza; non solo, ma, per esempio, mi ricordo un particolare, cioè che ci fu una questione sulla quale io avevo particolarmente soffermato la mia attenzione e sulla quale discutemmo a lungo: non mi ricordo più quale fosse, ma ricordo che accadde questo fatto e che quindi il presidente Greco stesso mi pregò di occuparmi di quella parte della sentenza; io stilai un lungo appunto su questo aspetto e lui praticamente lo recepì nella sentenza che stese per intero.

Quindi diciamo che è stata una decisione frutto di una discussione ampia, approfondita, molto delicata; su qualche punto vi era un’incertezza (ad esempio su quello cui accennava la collega De Vitis, di lasciare al debitore la possibilità eventuale di procedere esso stesso ad una parziale liquidazione dei beni, che è contenuta nella sentenza di omologazione), poi piano piano arrivammo a considerare i vari aspetti e quindi la decisione sulla omologazione posso dire che fu unanime.

La decisione sulla vendita ad SGR fu più sofferta, a mio ricordo, perché in quel caso si entrava, appunto, in una materia che intanto non ci è più così congeniale, se vogliamo dirla tutta, perché finché siamo nei campi del diritto e così via ci muoviamo meglio, sulla base dei fatti che ci vengono portati; lì invece si trattava di esprimere valutazioni concrete su stabili, immobili, stalle, vacche, partecipazioni sociali, eccetera, insomma era un’impresa veramente dura per dei magistrati.

PRESIDENTE. Dunque, dubbi sull’an non vi erano.

CELOTTI. No.

PRESIDENTE. Cioè sulla cessio bonorum dubbi non ne avete avuti.

CELOTTI. La cessio bonorum era contenuta nella sentenza di omologazione e quindi la cessio bonorum fa parte della proposta; pertanto, una volta che si accerta, come accertammo, che i beni erano teoricamente sufficienti a pagare i creditori privilegiati per intero e i chirografari in misura non inferiore al 40 per cento, il concordato doveva essere omologato. Pertanto, in quella fase di deliberazione, ci soffermammo sulla considerazione se effettivamente, anche svalutando di qua e di là più di quello che magari compare nella sentenza, alla fine si sarebbe ottenuto quel risultato del pagamento dei creditori. Questo nella fase di omologazione. Poi, una volta omologato il concordato, nominato il liquidatore, eccetera, si tratta di vendere questo patrimonio: e allora questo patrimonio come va venduto? Può essere venduto attraverso una vendita frazionata di 1001cespiti; può essere venduto a blocchi; può essere venduto in altre maniere; ad un certo punto si è presentato qualcuno che ha messo sul banco 2150 miliardi: pochi o tanti che fossero, erano là e allora su questo problema abbiamo discusso.

SEVERINI. In rate, per diciotto mesi.

DE VITIS. Il pagamento era previsto in diciotto mesi.

CELOTTI. Sì, comunque la liquidazione è ancora aperta, naturalmente.

PRESIDENTE. Comunque anche quella fu una decisione presa all’unanimità?

CELOTTI. Sì, dopo una discussione.

PRESIDENTE. Certo, dopo una discussione, poiché il collegio è fatto proprio perché si eserciti la dialettica, com’è ovvio all’interno di un organismo collegiale. Ma voglio capire se (come a volte può accadere, e non vi è niente di illegittimo nel fatto che questo possa accadere) si decise a maggioranza: la decisione fu unanime, alla fine, dopo la dialettica?

CELOTTI. Faccio appello al collega Severini, perché io fui poco presente.

SEVERINI. Ci fu il primo provvedimento del 26-27 marzo 1993, in cui vi era Celotti nel collegio e in cui si decise la vendita in massa.

PRESIDENTE. Esatto, si tratta dell’autorizzazione alla vendita in blocco del marzo 1993, rispetto alla quale risultano nel collegio i magistrati Celotti e De Vitis.

SEVERINI. Questa fu già una vendita discussa: la Cassazione diceva che solo per beni mobili era concepibile e che, se ci fossero stati anche beni immobili, occorreva fare un’asta, e noi più o meno, o meglio, loro, deliberarono su questo. Dopo di che si presentò il problema della SGR e si deliberò di approvare l’atto-quadro nel luglio del 1993, quando anch’io facevo parte del collegio.

Per quest’ultima questione, in particolare, facemmo due o tre riunioni, quelle a cui accennavo all’inizio, due o tre riunioni collegiali (per lo meno, eravamo sicuramente dagli otto ai dieci)…

DE VITIS. Ma direi di più.

SEVERINI. …e discutemmo le singole voci, i pro e i contro, nella prima riunione con molte perplessità, nella seconda con un po’ meno, finché nella terza ci convincemmo che era sicuramente la cosa migliore.

Chiedo scusa, signor Presidente, vorrei fare una precisazione. Bisogna calcolare anche che i sindacati e i lavoratori spesso venivano in tribunale lamentando il numero di mensilità scoperte, le liquidazioni che attendevano e quant’altro.

PRESIDENTE. Capisco che c’era questa pressione quanto meno per la celerità del provvedimento.

SEVERINI. Non solo, ma, se si decideva di vendere all’asta, era necessario un certo tempo.

PRESIDENTE. Visto che la fase finale fu adottata dal collegio formato dai dottori Greco, De Vitis e Severini, volevo chiedere, circa l’aspetto giuridico dell’atto-quadro, di cui tanto si è discusso e ancora oggi si discute, se avete affrontato questioni relative alla giuridicità intrinseca dell’atto-quadro, alla natura giuridica di questo atto, che è un po’ atipico nella formulazione dei contratti bilaterali.

SEVERINI. Certo, se ne parlò, ma non fu il punto principale di discussione. C’era abbastanza unanimità, nel senso che, nella liquidazione del patrimonio, viene lasciata una grossa libertà al giudice dalla normativa, per cui non sussiste alcun vincolo; si dice in generale, addirittura, che nella cessione dei beni, neanche il 40 per cento dei crediti chirografari deve essere preciso, si può anche andare "al di sotto", e il concordato è sempre valido. Quindi il punto giuridico non fu toccato in particolare.

PRESIDENTE. Ma io intendevo riferirmi alla natura di questo tipo di contratto che praticamente poteva configurare o una cessio bonorum in senso stretto o quasi che SGR fosse un intermediario nella cessione dei beni dal liquidatore al terzo acquirente.

SEVERINI. Sotto questo profilo specifico, nell’atto risultava che era un’acquirente, perché qualunque fosse stata la vendita, era del tutto irrilevante per la procedura.

PRESIDENTE. Però di fatto si è poi verificato che la cessione dei beni è avvenuta tra la Federconsorzi e il terzo acquirente, non c’è stato il doppio passaggio di proprietà, insomma.

SEVERINI. Non c’ero più io quando sono stati fatti i singoli atti; questa può essere una forma giuridica ma nessuna esenzione di responsabilità poteva derivare alla SGR se non avesse venduto.

DE VITIS. Noi firmammo un provvedimento nel quale si autorizzava il legale rappresentante della Fedit a sottoscrivere l’atto-quadro. Questo fu semplicemente il nostro provvedimento, di autorizzazione a sottoscrivere l’atto-quadro.

PRESIDENTE. Questi provvedimenti furono firmati solo dal presidente Greco o da tutto il collegio? Perché, in altri termini, le ordinanze solitamente sono firmate dal presidente, mentre queste erano sottoscritte da tutto il collegio? Si volevano condividere le responsabilità?

SEVERINI. Per atti più impegnativi si decise così. Questo provvedimento di autorizzazione a sottoscrivere l’atto-quadro fu firmato da tutti e tre sicuramente perché la procedura era più rilevante e la decisione di vendere in blocco effettivamente era molto opinabile e quindi ognuno pensò di firmare il provvedimento.

PRESIDENTE. Non vi sembrò questa una prassi poco usuale?

SEVERINI. No, si è proceduto anche in qualche altro caso particolarmente delicato, firmando tutti, anche se la legge non lo richiede.

PRESIDENTE. Vi siete mai chiesti, se questa fu una gestione collegiale e, se il presupposto è questo, come ascolto da voi, come mai quando poi si è discusso di una eventuale responsabilità di ordine penale, voi non siete stati mai chiamati a rispondere di questa condivisione di responsabilità? Perché qualcuno avanza l’ipotesi (i fatti di Perugia militano in questo senso) che ci sia stata una gestione personalistica del presidente Greco, il quale avrebbe prevaricato i membri del collegio. Altrimenti non si spiegherebbe perché, in merito a decisioni adottate da un organismo collegiale, si chieda di rendere conto, dal punto di vista della responsabilità intesa in senso lato, penale e civile, soltanto ad una persona, cioè al presidente del collegio.

Vorrei una risposta da parte di ciascuno di voi per la parte che ha assunto in questa vicenda, perché sembra emergere dagli atti che noi abbiamo letto come se il presidente Greco avesse gestito questa vicenda all’insaputa vostra e si contesta, nella richiesta di rinvio a giudizio, che egli abbia riunito un collegio di comodo a seconda della decisione da adottare per evitare di essere sindacato nella sua "gestione" di questo caso così complesso e così grave.

SEVERINI. Per quanto mi riguarda rivolsi la stessa osservazione al pubblico ministero che mi chiamò, perché in effetti non riesco a comprendere come tutto sia imputabile a Greco. Addirittura mi sentii dire che avevo agito come delegato di Greco e precisai, come risulta dal verbale, che il delegato è solo di un tribunale, non esiste il delegato di un altro magistrato, anche se è il presidente.

Quindi la gestione non solo fu collegiale come emerge da tutti gli atti, ma la possibilità che si potesse scegliere un magistrato o l’altro è totalmente esclusa proprio dai nominativi dei magistrati del Collegio che lei vede e che sono esattamente i più anziani del momento: infatti quando il dottor Celotti va in Corte d’appello subentro io e rimaniamo io e la dottoressa De Vitis, esattamente secondo la regola e la prassi normale che si segue da anni.

Il fatto che il presidente Greco abbia voluto escludere altri, (lo feci presente proprio io al pubblico ministero, perché a parere mio è un non senso) presuppone, come giustamente diceva lei, un’intenzione particolare del presidente di voler escludere altri magistrati del collegio e decidere lui soltanto per certe questioni, cosa della quale io non mi sono mai accorto, credo che nessuno se ne sia mai accorto e credo che proprio non risulti da nessuna parte agli atti.

DE VITIS. Questo fatto mi ha molto meravigliato perché ha confermato una persuasione che c’è nell’aria: spesso gli avvocati parlano delle camere di consiglio come per dire che non si fanno. In occasione della procedura relativa alla Federconsorzi e degli attacchi al presidente Greco che sono seguiti, io, come firmataria di un’infinità di provvedimenti in questa procedura, ho avuto proprio questa impressione: che i giudici che compongono il collegio vengono considerati come giudici minori. Questa è stata la mia impressione, molto spiacevole.

CELOTTI. La mia carriera di magistrato si è svolta per una grandissima parte nelle funzioni di giudice delegato ai fallimenti. Io già dal 1972 rivestivo questo ruolo e quindi ne ho viste di cotte e di crude in quell’ufficio dove passano tante cose mirabolanti, come ad esempio i casi Caltagirone, di cui ha avuto modo di occuparsi anche l’onorevole Mancuso quando era magistrato in una certa veste.

Per quanto per mia formazione io sia più attratto da questioni teoriche, tuttavia non credo che mi possano passare sotto il naso fatti grossi senza che io ne senta l’odore o ne veda l’ombra. Il presidente Greco è sicuramente un protagonista della scena, non ama parti di comparsa e quindi sicuramente l’occuparsi della procedura concorsuale più grande della storia italiana lo ha gratificato e riempito di soddisfazione e quindi questo è un aspetto umano che ho tenuto sempre presente.

Non posso pensare però che la decisione sull’omologazione del concordato, per andare più sul concreto, per quello che ho detto prima, possa essere stata frutto di una presentazione di fatti distorti alla base oppure di occultamento di certi fatti o situazioni. Posto che sulle questioni giuridiche non poteva sicuramente avere spazio, perché abbiamo la nostra esperienza e il nostro modesto addottrinamento, su di esse quindi non avrebbe in ipotesi potuto forzare. Sulle questioni di fatto - e qui mi riporto a quanto detto e ripetuto prima - nella fase di omologazione abbiamo davanti soltanto l’attivo e il passivo e, di fronte ad un attivo certo, posto che l’imprenditore doveva essere dichiarato fallito perché insolvente, il concordato doveva essere omologato. Questo è, in grande sintesi, il mio parere su questo punto. Quindi – per carità non voglio sostituirmi a nessuno né portare la loro indagine fuori strada – ma, se per caso è posto come base accusatoria il fatto che l’ammissione al concordato preventivo sarebbe stata forzata, frutto di inganni o di prevaricazioni, su questo punto dissento nella maniera più ferma, perché la Fedit era un soggetto che doveva essere ammesso, non poteva non essere ammesso al concordato preventivo.

Per quanto riguarda la questione dei 2000 o 4000 miliardi mi riporto a quanto detto prima, vale a dire alla valutazione caso per caso.

DE VITIS. Come membro del collegio mi è sufficiente sottolineare che il mio compito, in sede di omologazione del concordato, era proprio quello di verificare se sussistessero o meno le condizioni di cui all’articolo 160 della legge fallimentare. Mi sembra dunque che il nostro campo di indagine fosse quello normalmente previsto.

PRESIDENTE. Un’ultima domanda. Le notizie relative a quanto affermava il dottor Celotti sulla Massalombarda giunsero dopo l’omologa o prima della vendita a SGR?

CELOTTI. Naturalmente dopo l’omologa e nella fase di valutazione della possibilità di una vendita in blocco unico che ha dato poi luogo al provvedimento del marzo 1993; il primo, quello che per così dire ha aperto la strada.

PRESIDENTE. Quelli che voi definite crediti inesigibili lo erano da sempre o lo sono divenuti successivamente? In altre parole, sono stati ritenuti inesigibili o lo erano oggettivamente?

CELOTTI. Penso che, in quel caso, abbiano molto pesato le valutazioni fatte da parte del commissario giudiziale con i suoi periti, dopo l’apertura della procedura.

PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, dichiaro conclusa l’audizione dei dottori De Vitis, Celotti e Severini e ringrazio i nostri ospiti per la disponibilità dimostrata.

Ricordo che la Commissione tornerà a riunirsi giovedì 6 dicembre 2000, alle ore 10, per procedere all’audizione dell’assessore all’agricoltura e foreste della regione Sicilia, onorevole Cuffaro, e dei dottori Domenico Caccamo e Giuseppe Venezia, e alle ore 14, per procedere all’audizione dei dottori Giovanna De Virgiliis e Umberto Apice.

I lavori terminano alle ore 13,30.