Così parlò Zarathustra/Parte prima/Del matrimonio e dei figli

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Del matrimonio e dei figli

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Friedrich Nietzsche - Così parlò Zarathustra (1885)
Traduzione dal tedesco di Renato Giani (1915)
Del matrimonio e dei figli
Parte prima - Del morso della vipera Parte prima - Della morte libera
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Del matrimonio e dei figli.

«Ho una domanda che è destinata a te solo, o mio fratello; come uno scandaglio io faccio scendere questa domanda nell’anima tua, perchè io sappia quant’è profonda.

Tu sei giovane e desideri moglie e bambini. Ma io ti domando: sei tu tal uomo che possa desiderare un figlio? [p. 65 modifica]Sei tu il vittorioso, il sacrificator di te stesso, il dominatore dei sensi, il sire delle tue proprie virtù? Questo io ti domando.

O il tuo desiderio t’è suggerito dalla bestia che è in te, dal bisogno? O dalla solitudine? O dal malcontento di te stesso?

Io vorrei che la tua vittoria e la tua libertà provassero il desiderio d’un figlio. Tu devi innalzare edifici viventi alla tua vittoria e alla tua deliberazione.

Tu devi edificare sopra te stesso. Ma prima di tutto devi aver finito d’edificare te stesso, ed essere retto di corpo e d’anima.

Non devi soltanto propagarti, ma propagare oltre te stesso! A ciò ti giovi il giardino del matrimonio!

Tu devi creare un corpo più sublime, un primo impulso, una rota girante per forza propria — devi creare un essere destinato a creare.

Matrimonio: così io chiamo la volontà che anima due esseri a creare quell’uno che dev’essere superiore a coloro che lo crearono. Io chiamo matrimonio il reciproco rispetto dei volenti per una tale volontà.

Questo sia il significato e la vera essenza del tuo matrimonio. Ma ciò che fu detto matrimonio dagli imbelli, ahimè, come dovrei chiamarlo io?

Ah, la miseria di quelle anime appaiate! Ah, la lordura di quelle anime accoppiate! Ah, la miserabile contentezza in due!

Matrimonio dicono tutto ciò; e di più affermano che i matrimoni sono conclusi in cielo.

Ebbene, io non so che farmi di questo cielo degli imbelli! No, io non voglio saperne di cotali bruti presi alla rete celeste!

È lontano da me quel Dio, che s’avvicina zoppicando per benedire coloro ch’egli non ha congiunto!

Non ridete di questi matrimoni! Quale nato non avrebbe motivo di piangere sui proprii genitori?

Degno tal volta mi sembrò un uomo, e maturo pel senso della terra: ma appena vidi la sua donna la terra m’apparve simile a un asilo di mentecatti.

Sì, io vorrei che la terra s’agitasse convulsamente, ogni volta che un santo ed un’oca s’accoppiano. [p. 66 modifica]

Tale mosse come un eroe alla ricerca delle verità, che finì poi col conquistarsi una piccola e graziosa menzogna. Egli la chiama il suo matrimonio.

Tale altro si mostrava difficile ed era riguardoso ne’ suoi rapporti con la gente; ma a un tratto guastò tutto col suo «matrimonio».

Tale altro pretendeva dalla sua donna le virtù degli angeli. Ma a un tratto divenne egli lo schiavo della donna, e ora avrebbe bisogno egli stesso di diventare un angelo.

Sinora i compratori mi son riusciti tutti molto cauti, e assai accorti. Pure, anche l’uomo più astuto compera la moglie nel sacco.

Molte follìe di breve durata per voi hanno il nome d’amore.

E il vostro matrimonio mette un fine a coteste piccole follie, diventando una follia eterna.

Il vostro amore per la donna è l’amore della donna per l’uomo: ohimè, potess’essere la compassione per gli dèi sofferenti e nascosti! Ma le più volte si tratta di animali che s’intendono tra loro.

Il vostro miglior amore non è che una similitudine estatica e una fiamma dolorosa. Esso è una face che deve guidarvi a più alti destini.

Voi dovete amare al di sopra di voi! In tal modo solamente imparate ad amare. E perciò dovete ingoiare il calice amaro del vostro amore.

C’è dell’amarezza anche nella coppa del miglior amore: così essa esalta il desiderio del superuomo: così procura essa la sete a te, che vuoi creare!

Sete per il creatore, freccia e desiderio del superuomo; parla, fratello mio, intendi a questo modo la tua volontà del matrimonio?

Sacra m’è una tale volontà, sacro un tal matrimonio».

Così parlò Zarathustra.