Così parlò Zarathustra/Parte seconda/L'ora cheta

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L’ora cheta

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Friedrich Nietzsche - Così parlò Zarathustra (1885)
Traduzione dal tedesco di Renato Giani (1915)
L’ora cheta
Parte seconda - Della prudenza umana Parte terza
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L’ora cheta.

«Che cosa m’accadde, o miei amici? Voi mi vedete turbato, desideroso di partire, obbediente contro la mia volontà, pronto, ahimè, a lasciarvi!

Sì un’altra volta Zarathustra deve recarsi nella sua solitudine: ma a mal cuore l’orso ritorna oggi alla sua tana!

Che cosa m’accadde? Chi mi impone di far ciò? — Ahimè, così vuole la mia fiera signora; essa mi parlò; v’ho io già detto il suo nome?

Ieri sull’imbrunire mi parlò la più deliziosa delle mie ore: questo è il nome della mia terribile signora.

Così avvenne — poichè a voi devo dir tutto, affinchè il vostro cuore non si faccia duro contro colui che deve improvvisamente partire!

Conoscete voi lo sgomento di chi sta per addormentarsi?

Sino alla estremità delle dita dei piedi egli è atterrito dal sentir mancare la terra e incominciare il sogno.

Questo vi narro in forma di parabola. Ieri, nell’ora più silenziosa, mi mancò la terra: il sogno cominciò.

La sfera si pose in movimento, l’orologio della mia vita prese fiato — nè mai mi circondò una quiete più profonda: talchè il mio cuore n’ebbe paura. [p. 140 modifica]

Poi sentii parlarmi senza voce: «Lo sai tu, Zarathustra?».

E io gridai per lo spavento, e impallidii: ma tacqui.

E di nuovo sentii dirmi senza voce: «Tu lo sai, o Zarathustra, ma non me lo dici!».

E finalmente risposi come indispettito: «Sì, io lo so, ma non voglio dirlo!».

E nuovamente udii parlarmi senza voce: «Tu nol vuoi, Zarathustra? È proprio vero? Non nasconderti dietro il tuo dispetto!».

E io piansi e tremai come un bambino, e dissi: «Ah, io vorrei, ma come lo potrei? Non obbligarmi a ciò! Questo vince ogni mia forza.

E un’altra volta intesi dire senza voce: «Che importa di te, Zarathustra! Di’ la tua parola, e spezzati!».

E io risposi: «Ahimè, sarebbe la mia parola? Chi sono io? Io attendo un più degno di me; io non sono degno d’essere infranto da quella parola».

E di nuovo udii parlarmi senza voce: «Che importa di te! Tu non sei ancor abbastanza umile. L’umiltà ha la pelle più dura».

E io risposi: «Che cosa non ha già sopportato la pelle della mia umiltà? Io dimoro ai piedi della mia altezza. Quanto sono alte le mie sommità? Nessuno me lo disse ancora. Ma io conosco bene le mie valli».

Allora fu detto ancora a me senza voce: «Oh, Zarathustra, colui che deve muovere le montagne, nuove anche le valli e le pianure».

E io risposi: «Sin qui la mia parola non ha peranco mosso i monti, e quello ch’io dissi non ha peranco toccato gli uomini. Io sono andato tra gli uomini, ma non li ho ancora toccati».

E un’altra volta mi venne detto senza voce: «Che ne sai tu di ciò? La rugiada cade sull’erba, allor che la notte è più silenziosa».

E io risposi: «Essi mi schernirono quando io trovai la mia strada e la percorsi; e in verità allora i miei piedi tremavano.

E così mi parlarono: Tu hai perduto la via, ora perderai anche la facoltà di camminare!». [p. 141 modifica]

E nuovamente senza voce mi fu detto: «Che t’importa del loro scherno?! Tu hai disimparato ad obbedire; ora devi comandare!

Non sai tu chi è più necessario d’ogni altro? Colui che comanda grandi cose.

Operare cose egregie è difficile: ma più difficile ancora il comandarne.

Questo è in te sopra tutto degno di biasimo: tu hai il potere e non vuoi governare».

E io risposi: «A me fa difetto la voce del leone».

E di nuovo udii come un bisbiglio: «Le parole più tranquille sono le foriere della tempesta. Le idee che giungono su ali di colomba governano il mondo.

Oh, Zarathustra, tu devi camminare come l’ombra di ciò che deve giungere: in tal modo tu comanderai e procederai comandando».

E io risposi: «Io mi vergogno».

Allora un’altra volta senza voce sentii dirmi: «Tu devi ridiventar bambino e perdere il senso del pudore.

L’orgoglio della gioventù ancora ti circonda: tarda ti venne la giovinezza: ma chi vuol ridiventare bambino deve saper superare anche la sua giovinezza».

E io meditai a lungo, e tremai. Finalmente ripetei ciò che avevo detto prima: «Io non voglio».

Allora udii scrosci di risa intorno a me. Ahimè, come quelle risa mi dilaniarono le viscere e mi squarciarono il cuore!

E per l’ultima volta senza voce mi fu detto: «Oh, Zarathustra, le tue frutta sono mature, ma tu non sei maturo per le tue frutta!

E per ciò tu devi ritornare alla tua solitudine: giacchè tu devi ancor diventare maturo».

E di nuovo intesi scrosci di risa intorno a me che poi si dileguarono; e al fine intorno a me tutto fu silenzio; per così dire, un silenzio duplice. Ma io giaceva disteso al suolo, e il sudore mi bagnava tutte le membra.

Ora voi sapete tutto, e anche conoscete perchè io debba far ritorno alla mia solitudine. Nulla vi nascosi, o miei amici. [p. 142 modifica]

Ma anche questo voi apprendestexa me: che tra gli uomini io sono sempre il più discreto, e tale voglio essere.

Ah, miei amici! Dovrei dirvi ancora qualche cosa, e qualche cosa ancora vi dovrò dare. Perchè non ve la do? Sono forse avaro?».

Poiché Zarathustra ebbe pronunciate queste parole, lo assali con violenza di dolore il pensiero della sua prossima dipartita dagli amici, così che pianse dirottamente; e nessuno potè confortarlo. Ma a notte fatta egli se ne partì solo, lasciando indietro gli amici.