Vai al contenuto

Cronica (Villani)/Libro I

Da Wikisource.
Libro I

../Prefazione ../Libro II IncludiIntestazione 14 marzo 2025 75% Da definire

Prefazione Libro II
[p. 1 modifica]

CRONICA

DI

GIOVANNI VILLANI


LIBRO PRIMO


Questo libro si chiama la nuova cronica, nel quale si tratta di più cose passate, e spezialmente dell’origine e cominciamento della città di Firenze, poi di tutte le mutazioni ch’ha avute e avrà per gli tempi: cominciato a compilare negli anni della incarnazione di Gesù Cristo 1300. Comincia il prolago, e il primo libro.

Indice

[p. 309 modifica]

Cap. I. Comincia il prolago, e il primo libro |||
 Pag. 1
Cap. II. Come per la confusione della terra di Babel si cominciò od abitare il mondo  |||
   » 3
Cap. III. Come si partì il mondo in tre parti, e della prima detta Asia  |||
   » 4
Cap. IV. Della seconda parte del mondo detta Affrica, e de’ suoi confini  |||
   » 5
Cap. V. Della terza parte del mondo detta Europa e de’ suoi confini  |||
   » 6
Cap. VI. Come il re Attalante nato di quinto grado di Giafet, figliuolo di Noè, prima venne in Europa  |||
   » 8
Cap. VII. Come il re Attalante prima edificò la città di Fiesole  |||
   » 9
Cap. VIII. Come Attalante ebbe tre figliuoli, Italo, e Dardano, e Sicano |||
   » 11
Cap. IX. Come Italo e Dardano vennero a concordia a cui dovesse rimanere la città di Fiesole, e il regno d’Italia |||
   » 12
Cap. X. Come Dardano arrivò in Frigia, e edificò la città di Dardania, che poi fu la grande Troia |||
   » 13
Cap. XI. Come Dardano ebbe uno figliuolo ch’ebbe nome Tritamo che fu padre di Troio, per lo quale la città di Troia fu così chiamata |||
   » 14
[p. 310 modifica]
Cap. XII. Delli re che furono in Troia; e come Troia fu la prima volta distrutta al tempo del re Laomedonte |||
   » 14
Cap. XIII. Come il buono re Priamo reedificò la città di Troia |||
   » 16
Cap. XIV. Come Troia fu distrutta per li Greci |||
   » 17
Cap. XV. Come i Greci che si partirono dall’assedio di Troia, quasi tutti arrivarono male |||
   » 18
Cap. XVI. Come Eleno figliuolo del re Priamo co' figliuoli d’Ettore si partì di Troia |||
   » 19
Cap. XVII. Come Antinoro e Priamo il giovane partiti di Troia, edificaro la città di Vinegia, e quella di Padova |||
   » 19
Cap. XVIII. Come Priamo il terzo fu re in Alamagna, e’ suoi discendenti re di Francia |||
   » 20
Cap. XIX. Come Ferramonte fu il primo re di Francia, e’ suoi discendenti appresso |||
   » 22
Cap. XX. Come il secondo Pipino padre di Carlo Magno fu re di Francia |||
   » 25
Cap. XXI. Com'Enea si partì di Troia e arrivò a Cartagine in Affrica |||
   » 26
Cap. XXII. Come Enea arrivò in Italia |||
   » 28
Cap. XXIII. Come il re Latino signoreggiava Italia, e come Enea ebbe la f gliuola per moglie, e tutto il suo regno |||
   » 30
Cap. XXIV. Come Giulio Ascanio figliuolo d’Enea fu re appresso lui, e gli re e signori che discesono di sua progenia |||
   » 32
Cap. XXV. Come Silvio secondo figliuolo d’Enea fu re appresso Ascanio, e come di lui discesono gli re de^ Latini e d’Albania e di Roma |||
   » 34
Cap. XXVI. Come Romolo e Remo cominciarono la città di Roma |||
   » 36
Cap. XXVII. Come Numa Pompilio fu re de’ Romani appresso la morte di Romolo |||
   » 38
Cap. XXVIII. Come furono in Roma sette re V l’uno appresso l’altro in fino a Tarquinia, e come al suo tempo perderono la signoria |||
   » 39
[p. 311 modifica]
Cap. XXIX. Come Roma si resse lungo tempo per la signoria de’ consoli e sanatori infinochè Giulio Cesare si fece imperadore |||
   » 41
Cap. XXX. Come in Roma fu fatta la congiurazione per Catellina e suoi seguaci |||
   » 43
Cap. XXXI. Come Catellina fece ribellare la città di Fiesole alla città di Roma |||
   » 44
Cap. XXXII. Come Catellina e suoi seguaci furono sconfitti da’ Romani nel piano di Piceno |||
   » 45
Cap. XXXIII. Come Metello con sue milizie fece guerra a’ Fiesolani |||
   » 47
Cap. XXXIV. Come Metello e Fiorino sconfissono i Fiesolani |||
   » 47
Cap. XXXV. Come i Romani la prima volta assediare Fiesole, e come morì Fiorino |||
   » 48
Cap. XXXVI. Come per la morte di Fiorino i Romani tornaro all’assedio di Fiesole |||
   » 50
Cap. XXXVII. Come la città di Fiesole s’arrendè a’ Romani e fu distrutta e guasta |||
   » 52
Cap. XXXVIII. Come di primo fu edificata la città di Firenze |||
   » 52
Cap. XXXIX. Come Cesare si partì di Firenze e andonne a Roma, e fu fatto consolo per andare contro a’ Franceschi |||
   » 56
Cap. XL. Come i Romani e gl’imperadori ebbono insegna, e come da loro l’ebbe la città di Firenze e altre cittadi |||
   » 57
Cap. XLI. Come la città di Firenze fu camera de’ Romani e dello ’mperio |||
   » 59
Cap. XLII. Come in Firenze fu fatto il tempio di Marti, il quale oggi si chiama il Duomo di san Giovanni |||
   » 60
Cap. XLIII. Racconta del sito della provincia di Toscana |||
   » 61
Cap. XLIV. Della potenzia e signoria ech’avea la provincia di Toscana innanzi che Roma avesse stato |||
   » 65
Cap. XLV. Questi sono i vescovadi delle città di Toscana |||
   » 67
Cap. XLVI. Della città di Perugia |||
   » 67
Cap. XLVII. Della città d’Arezzo |||
   » 68
[p. 312 modifica]
Cap. XLVIII. Della città di Pisa |||
   » 69
Cap. XLIX. Della città di Lucca |||
   » 70
Cap. L. Della città di Luni |||
   » 70
Cap. LI. Della città di Viterbo |||
   » 72
Cap. LII Della città d’Orbivieto |||
   » 72
Cap. LIII. Della città di Cortona |||
   » 72
Cap. LIV. Della città di Chiusi |||
   » 73
Cap. LV. Della città di Volterra |||
   » 73
Cap. LVI. Della città di Siena |||
   » 73
Cap. LVII. Torna la storia a’ fatti della città di Firenze, e come santo Miniato vi fu marlorizzato per Decio imperadore |||
   » 75
Cap. LVIII. Come santo Cresci e’ suoi compagni furono martirizzati nel contado di Firenze |||
   » 77
Cap. LIX. Di Costantino imperadore e de’ suoi discendenti, e le mutazioni che ne furono in Italia |||
   » 78
Cap. LX. Come la fede cristiana fu prima nella città di Firenze |||
   » 80
Cap. LXI. Della venuta de’ Goti e de’ Vandali in Italia, e come distrussono il paese, e assediaro la città di Firenze al tempo di santo Zenobio vescovo di Firenze |||
   » 83


[p. 1 modifica]

CAPITOLO PRIMO

Con ciò sia cosa che per gli nostri antichi Fiorentini poche e non ordinate memorie si trovino di[1] fatti passati della nostra città di Firenze, o per difetto della loro negligenzia, o per cagione che al tempo che Totile Flagellum Dei la distrusse si perdessono scritture; io Giovanni cittadino di Firenze, considerando la nobiltà e grandezza della nostra città a’ nostri presenti tempi, mi pare che si convegna di raccontare e fare memoria dell’origine e cominciamento di così [p. 2 modifica]famosa città, e delle mutazioni avverse e felici, e fatti passati di quella; non perch’io mi senta sofficiente a tanta opera fare, ma per dare materia a’ nostri successori di non essere negligenti di fare memorie delle notevoli cose che avverranno per gli tempi appresso noi, e per dare esemplo a quelli che saranno delle mutazioni e delle cose passate, e le cagioni, e perchè; acciocch’eglino si esercitino adoperando le[2] virtudi e schifando i vizi, e l’avversitadi sostegnano con forte animo a bene e stato della nostra repubblica. E però io fedelmente narrerò per questo libro in piano volgare, acciocchè gli[3] laici siccome gli alletterati ne possano ritrarre frutto e diletto; e se in nulla parte ci avesse difetto, lascio alla correzione de’ più savi. E prima diremo onde fu il cominciamento della detta nostra città, conseguendo per gli tempi infinochè Dio ne concederà grazia; e non[4] sanza grande fatica mi travaglierò di ritrarre e di ritrovare di più antichi e diversi libri, e croniche e autori, le[5] geste e’ fatti de’ Fiorentini compilando in questo; e prima l’origine dell’antica città di Fiesole, per la cui distruzione fu la cagione e ’l cominciamento della nostra città di Firenze. E perchè l’esordio nostro si cominci molto di lungi, in raccontando in brieve altre antiche storie, al nostro trattato ne pare di necessità; e fia dilettevole e utile e conforto a’ nostri cittadini che sono e che saranno, in essere virtudiosi e di grande operazione, considerando come sono discesi di nobile progenie e di virtudiose genti, come furono gli antichi buoni Troiani, e’ valenti e nobili Romani. E acciocchè [p. 3 modifica] l’opera nostra sia più laudabile e buona, richeggio l’aiuto del nostro Signore Gesù Cristo, per lo nome del quale ogni opera ha buono cominciamento, mezzo, e fine.

CAP. II

Come per la confusione della torre di[6] Babel si cominciò ad abitare il mondo.

Noi troviamo per le storie della Bibbia e per quelle degli Assiriani, che Nembrot il gigante fu il primo re, ovvero rettore e ragunatore di congregazione di genti; ch’egli per la sua forza e seguito signoreggiò tutte le schiatte de’ figliuoli di Noè, le quali furono settantadue; ciò furono ventisette quelle che uscirono di Sem il primo figliuolo di Noè, e trenta quelle di Cam il secondo figliuolo di Noè, e quindici quelle di Giafet il terzo figliuolo di Noè. Questo Nembrot fu figliuolo di Cus che fu figliuolo di Cam il secondo figliuolo di Noè, e per lo suo orgoglio e forza si credette contrastare a Dio, dicendo che Iddio era signore del cielo, ed egli della terra; e acciocchè Dio non gli potesse più nuocere per diluvio d’acqua, come avea fatto alla prima etade, si ordinò di fare la maravigliosa opera della torre di Babel; onde Iddio per confondere il detto orgoglio, subitamente mandò confusione in tutti i viventi, e che operavano la detta torre fare; e dove tutti parlavano una lingua, (ciò era l’ebrea) si[7] variaro in settantadue diversi linguaggi, che l’uno non intendea l’altro. E per cagione di ciò, rimase [p. 4 modifica] per necessità il lavoro della detta torre, la quale era sì grande, che girava ottanta miglia, e era già alta quattromila passi, e grossa mille passi, che ogni passo è braccia tre delle nostre. E poi quella torre rimase per le mura della grande città di Babilonia la quale è in Caldea, e tanto è a dire Babilonia, quanto confusione; e in quella per lo detto Nembrot e per gli suoi furono prima adorati gl’idoli di falsi Iddii. E fu cominciata la detta torre, ovvero mura di Babilonia, settecento anni appresso che fu il Diluvio, e duemila trecento cinquanta quattro anni dal cominciamento del secolo infino alla confusione della torre di Babel. E troviamo che si penò a fare anni cento sette: e le genti viveano in que’ tempi lungamente. E nota che in lunga vita, avendo più mogli, aveano molti figliuoli e discendenti, e multiplicaro in molto popolo, tutto fosse disordinato e sanza legge. Della detta città di Babilonia fu prima re che cominciasse battaglie Nino figliuolo di Belo, disceso di Assur figliuolo di Sem, il quale Nino fece la grande città di Ninive; e poi dopo lui regnò Semiramide sua moglie in Babilonia, che fu la più crudele e dissoluta femmina del mondo, e questa fu al tempo di Abraam.

CAP. III

Come si parti il mondo in tre parti, e della prima detta Asia.

Per cagione della detta confusione, convenne di necessità ch’e’[8] tribi e le schiatte de’ viventi [p. 5 modifica] ch’allora erano, si dipartissero e abitassono diversi paesi; e la prima generale partigione fu, che in tre parti si divise il mondo, per le schiatte dei primi tre figliuoli di Noè. La prima e maggiore parte si chiamò Asia, la quale contiene quasi la metade e più di tutta la terra abitata, cioè tutta la parte da levante, cominciando dal mare Oceano, e Paradiso terrestre: partendosi dalla parte di settentrione dal fiume di Tanai in Soldania che mette foce in sul mare maggiore, detto per la Scrittura Pontico; e dalla parte di mezzodì si parte e confina al diserto che parte Soria da Egitto, e per lo fiume del Nilo che fa foce a Damiata in Egitto, e mette capo nel nostro mare. Questa parte d’Asia contiene più province in se, Camia, e India, e Caldea, e Persia, e Assiria, Mesopotamia, Media, Erminia, Georgia, e Turchia, e Soria, e molte altre province. E questa parte abitaro i discendenti di Sem, il primo figliuolo di Noè.

CAP. IV

Della seconda parte del mondo detta Affrica, e de’ suoi confini.

La seconda parte si chiamò Affrica, la quale da levante comincia i suoi confini dal sopraddetto fiume del Nilo, dal mezzogiorno infino nel ponente allo stretto di Sibilia e di Setta, cinta e circondata dal mare[9] Oceano, che si chiama il mare di Libia; e dal settentrione confina col nostro mare detto[10] Mittaterreno. Questa parte [p. 6 modifica]ha in se Egitto, Numidia, Moriena, e Barberia, e ’l Garbo, e ’l reame di Setta, e più altre salvatiche province e diserti. Questa parte fu popolata per gli discendenti di Cam il secondo figliuolo di Noè.

CAP. V

Della terza parte del mondo detta Europa e de’ suoi confini.

La terza parte del mondo si chiama Europa, la quale comincia i suoi confini da levante dal fiume detto Tanai, il qual’è in Soldania, ovvero in Cumania, e mette nel mare della Tana nominato dal detto fiume, e quel mare si chiama maggiore; in sul qual mare e parte d’Europa si è parte di Cumania, Rossia, e Bracchia, e Bulgaria, e Alania, stendendosi sopra quel mare infino in Costantinopoli; e poi verso il mezzogiorno Saloniche, e l’isole d’Arcipelago nel nostro mare di Grecia, e tutta Grecia comprende infino in Acaia ov’è la Morea; e poi si torce verso settentrione il mare detto seno Adriatico, chiamato oggi Golfo di Vinegia, sopra il quale è parte di Romania verso Durazzo, e la Schiavonia, e alcuno capo d’Ungaria, e stendesi infino ad Istria, e Frioli, e poi torna alla Marca di Trevigi, e alla città di Vinegia; e poi verso il mezzogiorno aggirando il paese d’Italia, Romagna, e Ravenna, e la Marca di Ancona, e Abruzzi, e Puglia, e vanne infino in Calavra allo ’ncontro a Messina, e l’isola di Cicilia; e poi tornando verso ponente per la riva del nostro mare a [p. 7 modifica] Napoli e Gaeta infino a Roma; e poi la Maremma e ’l paese nostro di Toscana infino a Pisa e Genova, lasciandosi allo ’ncontro l’isola di Corsica e di Sardigna, conseguendo la Proenza, appresso la Catalogna, e Araona, e l’isola di Maiolica, e Granata, e parte di Spagna infino allo stretto di Sibilia ove s’affronta con Affrica in piccolo spazio di mare; e poi volge a mano diritta in sulla riva di fuori del grande mare Oceano, circondando la Spagna, Castella, Portogallo e Galizia verso tramontana, e Navarra, e Brettagna, e Normandia, lasciandosi allo ’ncontro l’isole d’Irlanda; e poi conseguendo, Piccardia e Fiandra ed il reame di Francia, lasciandosi allo ’ncontro verso tramontana, in piccolo spazio di partimento di mare, l’isola d’Inghilterra, che la grande Brettagna fu anticamente chiamata, e l’isola di Scozia con essa. E poi di Fiandra conseguendo verso levante e tramontana, Isilanda, e Olanda, e Frisinlanda, Danesmarche, Norvea, e Pollonia, conchiudendo in se tutta Alamagna, e Boemia, e Ungaria, e Sassogna; e poi è Gozia e Svezia, tornando in Rossia e Cumania al sosopraddetto confine ove cominciammo del fiume di Tanai. Questa terza parte così confinata ha in se molte altre province in fra terra che non sono nominate in questo, ed è del tanto la più popolata parte del mondo, perocchè tiene al freddo, ed è più temperata. Questa Europa prima fu abitata da’ discendenti di Giafet il terzo figliuolo di Noè, come faremo menzione appresso nel nostro trattato; ed eziandio secondo che racconta[11] Escodio maestro di storie, Noè in persona [p. 8 modifica] con Giano suo figliuolo, il quale ebbe poichè fu il Diluvio, ne vennero in questa parte d’Europa nelle parti d’Italia, e là fini sua vita; e Giano vi rimase, e di lui uscirono grandi signori e popoli, e fece molte cose in Italia.

CAP. VI

Come il re Attalante nato di quinto grado di Giafet, figliuolo di Noè, prima venne in Europa.

In tra gli altri principali, e che prima arrivasse in questo nostro paese d’Italia, partendosi dalla confusione della torre di Babel, fu Attalante ovvero Attalo; il quale fu figliuolo di Tagran, o Targoman che fu figliuolo di Tirras, il quale fu figliuolo primo di Giafet. Altri dottori scrissono che questo Attalo fu de’ discendenti di Cam il secondo figliuolo di Noè, in questo modo; che Cam ingenerò Cus, e Cus ingenerò Nembrot il gigante, ond’è fatta menzione; Nembrot ingenerò Cres, che fu il primo re e abitatore dell’isola di Creti, che per suo nome così fu nominata; Cres ingenerò Cielo, e Cielo ingenerò Saturno, e Saturno generò Giove e Attalo. Di questa nazione furono i re di Grecia e de’ Latini; ma non però il detto Attalante ovvero Attalo; anzi troviamo che di Saturno nacque Giove, come dice dinanzi, e Tantalo: e quello Giove re di Creti cacciò Saturno suo padre del regno, e venne bene Saturno in Italia, e fece la città di Suri detta Saturna, e di lui discesono poi i re dei Latini, [p. 9 modifica] come innanzi farà menzione. Ma il detto Tantalo fu re in Grecia, e troviamo ch’ebbe grande guerra con Troio re di Troia, ch’uccise Ganimede figliuolo di Troio. Ma l’errore dello scrittore fu di Tantalo ad Attalo; ma la vera progenie fu da Attalo detto Attalante, come dicemmo dinanzi.

CAP. VII

Come il re Attalante prima edificò la città di Fiesole.

Questo Attalante ebbe una moglie ch’ebbe nome Elettra. Questa Elettra moglie d’Attalo fu figliuola d’un altro Attalante re, il quale fu de’ discendenti di Cam secondo figliuolo di Noè. Quello Attalante abitò in Affrica giù nel ponente, quasi di contro alla Spagna, e per lui nominiamo prima il grande monte ch’è là, monte Attalante, che si dice ch’è sì alto che quasi pare tocchi il cielo, onde i poeti in loro versi feciono favole, che quello Attalante sostenea il cielo; e ciò fu che fu grande[12] astrolago. E sue sette figliuole si convertiro nelle sette stelle del Tauro che volgarmente chiamiamo[13] Galulle. L’una di quelle sette sue figliuole fu la sopraddetta Elettra moglie d’Attalante re di Fiesole, il quale Attalante con Elettra sua moglie con molti che’l seguiro, per[14] agurio e consiglio d’Apollino suo astrolago e maestro, arrivò in Italia nel paese di Toscana, il quale era tutto disabitato di gente umana; e cercando per astronomia tutti i confini d’Europa, per lo più sano e meglio[15] [p. 10 modifica] assituato luogo che eleggere si potesse per lui, sì si pose in sul monte di Fiesole, il quale gli parve forte per sito e bene posto. E in su quello poggio cominciò e edificò la città di Fiesole, per consiglio del detto Apollino, il quale trovò per arte di stronomia, che Fiesole era nel migliore luogo e più sano che fosse nella detta terza parte del mondo detta Europa. Imperocch’egli è quasi nel mezzo intra’ due mari che accerchiano Italia, cioè, il mare di Roma e di Pisa che la Scrittura chiama Mittaterrena, e il mare ovvero seno Adriatico, che oggi s’appella il Golfo di Vinegia; e per cagione de’ detti mari e per le montagne che vi sono intorno, vi regnano i migliori venti e più sani che in altra parte, e ancora per le stelle che signoreggiano sopra quello luogo[16]. E la detta città fu fondata sotto ascendente di tale segno e pianeta, che dà allegrezza e fortezza a tutti gli abitanti più ch’in altra parte d’Europa; e come più si sale alla sommità del monte, tanto è più sano e migliore. E nella detta cittade ebbe uno bagno, il quale era chiamato bagno reale, che sanava molte infermitadi; e nella detta cittade venian per maraviglioso condotto delle montagne di sopra a Fiesole acque di fontane finissime e sane, onde la città avea grande abbondanza. E fece Attalante murare la detta città di fortissime mura, e di maravigliose pietre e grossezza, e con grandi e forti torri, e una rocca in su la sommità del monte di grandissima bellezza e fortezza, ove abitava il detto re, siccome ancora si mostra e può vedere per le fondamenta delle dette mura, e per lo sito forte e sano. La detta città di Fiesole [p. 11 modifica] multiplicò e crebbe d’abitanti in poco tempo, sicchè tutto il paese e molto di lungi a se signoreggiava. E nota, ch’ella fu la prima città edificata nella detta terza parte del mondo chiamata Europa, e però fu nominata Fia sola, cioè prima sanza altra città abitata nella detta parte.

CAP. VIII

Come Attalante ebbe tre figliuoli, Italo, e Dardano, e Sicano.

Attalante re di Fiesole, poich’ebbe fatta la detta città, ebbe d’Elettra sua moglie tre figliuoli; il primo ebbe nome Italo, e per lo suo nome fu il regno d’Italia nominato, e ne fu signore e re; il secondo figliuolo ebbe nome Dardano, il quale fu il primo cavaliere che cavalcasse cavallo con sella e freno. Alcuni scrissono che Dardano fu figliuolo di Giove re di Creti e figliuolo di Saturno, come addietro è fatta menzione; ma non fu vero, perocchè Giove rimase in Grecia, e’ suoi discendenti ne furo re e siguori, e sempre nemici de’ Troiani; ma Dardano venne d’Italia, e fu figliuolo d’Attalo, come la storia farà menzione. E Virgilio poeta il conferma nel suo libro dell’Eneide, quando li Dei dissero ad Enea che cercasse il paese d’Italia, là ond’erano venuti i suoi anticessori ch’avevano edificata Troia, e così fu vero. Il terzo figliuolo di Attalo ebbe nome Sicano, quasi in nostro volgarecon sacrifici a sacrificare il loro Dio alto Marti: è notevole questa maniera di dire: sacrifici sta per le sezzaio, il quale ebbe una bellissima figliuola nomata Candanzia. Questo Sicano n’andò [p. 12 modifica] nell’isola di Cicilia, e funne il primo abitatore, e per lo suo nome fu prima l’isola chiamata Sicania, e per la varietà di volgari degli abitanti è oggi da loro chiamata Sicilia, e da noi Italiani Cicilia. Questo Sicano edificò in Cicilia la città di Saragosa, e fecela capo del reame ond’egli fu re e i suoi discendenti appresso per grandissimo tempo, come fanno menzione le storie de’ Ciciliani, e Virgilio nell’Eneide.

CAP. IX

Come Italo e Dardano vennero a concordia a cui dovesse rimanere la città di Fiesole e il regno d’Italia.

Morto il re Attalante nella città di Fiesole, rimasero appresso di lui signori Italo e Dardano suoi figliuoli; ed essendo ciascuno di loro signori di grande coraggio, e che ciascuno per se era degno di signoreggiare il regno d’Italia, si vennero tra loro in questa concordia, che dovessero andare[17] con loro sacrifici a sacrificare il loro Iddio alto Marti, il quale adorava no; e fatti i sacrifici, il domandarono, quale di loro dovesse rimanere signore in Fiesole, e quale di loro dovesse andare a conquistare altri paesi e reami. Dal quale idolo ebbono[18] risposto, o per commissione divina, o per artificio diabolico, che Dardano dovesse andare a conquistare altre terre e paesi, e Italo dovesse rimanere in Fiesole e nel paese d’Italia. Al quale comandamento e risponso[19] cosi asseguiro, che Italo rimase nella signoria, e [p. 13 modifica] di lui nacquero grandi signori, che appresso di lui signoreggiaro non solamente la città di Fiesole e la provincia intorno, ma quasi tutta Italia, e molte città v’edificaro; e la detta città di Fiesole montò in grande potenzia e signoria, infinochè la grande città di Roma non ebbe stato e signoria. E con tutto la grande potenzia di Roma, sempre le fu la città di Fiesole nemica e ribella, infinochè per gli Romani non fu disfatta, come innanzi farà menzione la vera storia. Lasceremo di più dire al presente dei Fiesolani ch’a luogo e tempo torneremo alla storia, e seguiremo come Dardano si partì di Fiesole, e fu il primo edificatore della grande città di Troia, e l’origine dei re de’ Troiani, ed eziandio de’ Romani.

CAP. X

Come Dardano arrivò in Frigia, e edificò la città di Dardania, che poi fu la grande Troia.

Dardano com’ebbe comandamento dal risponso del loro Iddio, si parti di Fiesole con Apollino maestro e astrolago del suo padre, e con Candanzia sua nipote, e con grande seguito di sua gente, ed arrivò nelle parti d’Asia nella provincia che si chiamava Frigia, per lo nome di Friga dei discenti di Giafet che prima ne fu abitatore; la quale provincia di Frigia si è di là dalla Grecia, passate l’isole d’Arcipelago, in terra ferma, che oggi si signoreggia per gli Turchi e si dice Turchia. In quello paese il detto Dardano per consiglio e [p. 14 modifica] arte del detto Apollino cominciò ad edificare, e fece una città in sulla riva del detto mare di Grecia, alla quale per lo suo nome pose nome Dardania, e ciò fu 3200 anni dal cominciamento del secolo. E così fu Dardania chiamata mentre Dardano vivette, e eziandio i figliuoli.

CAP. XI

Come Dardano ebbe uno figliuolo ch'ebbe nome Tritamo che fu padre di Troio, per lo quale la città di Troia fu così chiamata.

Il quale Dardano ebbe uno figliuolo ch’ebbe nome Tritamo di Tritamo nacque Troio e Toraio; ma Troio fu il più savio e valoroso, e per la sua bontà fu signore e re della detta città e del paese d’intorno, e con Tantalo re di Grecia figliuolo che fu di Saturno re di Creti, onde facemmo menzione, ebbe grande guerra. E poi dopo la morte del detto Troio, per la bontà e senno e valenzia che in lui era regnata, si piacque al figliuolo e agli uomini della sua città, che per lo suo nome sempre la detta città fosse chiamata Troia; e alla principale e maestra porta della città, per la memoria di Dardano, rimanesse il nome che avea prima la città, cioè Dardania.

CAP. XII

Delli re che furono in Troia; e come Troia fu la prima volta distrutta al tempo del re Laomedonte.

Del sopraddetto Troio, poichè fu morto, rimasono tre figliuoli; il primo ebbe nome Ilion, il [p. 15 modifica] secondo Ansaraco, il terzo Ganimede. Il detto Ilion edificò in Troia la mastra fortezza e castello reale di magnifica opera, e per lo suo nome, Ilion fu chiamato. Del detto Ilion nacque il re Laomedonte, e Titone che fu padre di Mennone ovvero Menelao, al cui tempo fu distrutta Troia la prima volta per lo possente Ercole, il quale fu figliuolo della reina Armene figliuola del re Laudan di Creti, e con lui Giasone figliuolo di Anson, e nepote del re Pelleo di Pelopense, e lo re Talamone di Salamina. E ciò fu per cagione del detto re Laomedonte, ch’aveva vietato il porto di Troia al detto Ercole e Giasone, e fatta loro onta e villania, e volutogli prendere ed uccidere, quando Giasone andava all’isola di Colco ov’era il montone col vello dell’oro, come raccontano i poeti; imperocchè il detto Laomedonte si tenea per nemico de’ Greci, per cagione che ’l re Tantalo avea morto Ganimede suo zio, e figliuolo di Troio, come innanzi faremo menzione; e per la detta antica guerra, allora rinnovellata, fu la prima distruzione di Troia; e per loro fu morto il detto re Laomedonte e molta di sua gente, e distrussono e arsono la detta città di Troia. E ’l detto re Talamone che al detto conquisto fu molto valoroso, rubò e prese Ansiona figliuola del detto re Laomedonte, e menollasene in Grecia, e tenne per sua femmina, ovvero amica. [p. 16 modifica]

CAP. XIII

Come il buono re Priamo reedificò la città di Troia.

Appresso la detta prima distruzione di Troia, Priamo figliuolo del re Laomedonte, il quale essendo giovane non era allora in Troia, tornò poi con aiuto d’amici, e rifece fare e ristorare di nuovo la detta città di Troia di maggiore sito, e grandezza, e fortezza che non era stata dinanzi, e tutta la gente del paese d’intorno vi ricolse e fece abitare, sicchè in piccolo tempo multiplicò e crebbe, e divenne delle maggiori e più possenti città del mondo; che secondo raccontano le storie, ella girava settanta delle nostre miglia con popolo innumerabile. Questo re Priamo ebbe della sua moglie Ecuba più figliuoli e figliuole: il primo ebbe nome Ettore il quale fu valentissimo duca, e signore di grande prodezza e senno; l’altro ebbe nome Paride, e l’altro Deifobo, e Eleno, e ’l buono Troilo; e quattro figliuole, Creusa moglie che fu d’Enea, e Cassandra, e Polissena, e Iliona, e più altri figliuoli di più altre donne, onde la storia di Troia di loro fa menzione, i quali tutti furono maravigliosi in prodezza d’arme. E appresso buon tempo essendo la detta città in grande e possente stato, e ’l re Priamo e’ figliuoli in grande signoria, Paride e Troilo suoi figliuoli, e Enea suo nipote, e Polidamante con loro compagnia, armarono venti navi, e con quelle navicando, arrivaro in Grecia per vendicare la morte e l’onta del re [p. 17 modifica] Laomedonte loro avolo, e la distruzione di Troia, e la ruberia d’Ansiona loro zia; e arrivaro nel regno del re Menelao fratello del re Talamone ch’avea presa Ansiona, il qual Menelao avea per moglie Elena, la più bella donna che allora fosse al mondo, la quale era ita a una festa di sacrifici in su una loro isola vocata Citerea; e veggendola Paride, incontanente innamorò di lei, e presela per forza, e uccisono e rubaro tutti quelli ch’erano alla detta festa e in su quell’isola, e tornarsi a Troia. E per molti si dice, che la detta reina Elena fu rubata in sull’isola che oggi è chiamata Ischia, e la terra del re Menelao era Baia e Pozzuolo, e ’l paese d’intorno ov’è oggi Napoli e Terra detta di Lavoro, che in quelli tempi era abitata da’ Greci e detta la Grande Grecia. Ma per quello che troviamo per le vere storie, quella isola ove fu presa Elena fu Citerea, che oggi si chiama il Citri, la quale è in Romania incontro a Malvagia nel paese d’Acaia detto oggi la Morea; e la detta Elena fu serocchia di Castore e di Polluce onde i poeti fanno versi.

CAP. XIV

Come Troia fu distrutta per li Greci.

Per la detta ruberia d’Elena, il re Menelao col re Talamone e col re Agamennone suo fratello, che allora era re di Cicilia, con più altri re e signori di Grecia e di più altri paesi, fecero lega e congiura di distruggere Troia, e raunarono mille navi con grandissima moltitudine di genti [p. 18 modifica] d’arme a cavallo e a piè, e con esse arrivaro e puosono assedio alla grande città di Troia; al quale assedio stettero per tempo di dieci anni, sei mesi, e quindici dì; e dopo molte aspre e diverse battaglie, e uccisione e tagliamento di gente dall’una parte e dall’altra, il buono Ettore con più de’ figliuoli del re Priamo furono morti in battaglia. La detta città di Troia per tradimento presa da’ Greci, e di notte v’entraro e rubarla, e misero a fuoco e fiamma, e il detto re Priamo uccisero, e quasi tutta sua famiglia, e di cittadini in grande quantità, sicchè pochi ne scamparo. Della quale distruzione Omero poeta, e Virgilio, e Ovidio[20] e Dario, e più altri savi (chi gli vorrà cercare) ne fecero compiutamente menzione in versi e in prosa, e ciò fu anni 430 anzichè si cominciasse Roma, e 4265 anni dal cominciamento del mondo, e nel tempo che Abdon era Giudice del popolo d’Isdraele. Di questa distruzione di Troia seguì quasi a tutto il mondo grandi mutazioni, e molti principii di reami usciro degli scampati Troiani, siccome innanzi faremo menzione.

CAP. XV

Come i Greci che si partirono dall'assedio di Troia, quasi tutti[21] arrivarono male.

Distrutta Troia, i Greci che si partiro dall’assedio la maggior parte arrivaro male, chi per fortuna di mare, e chi per discordie e guerre tra loro. Lasceremo ora di ciò, e diremo de’ Troiani che scamparo di Troia come arrivaro, acciocchè [p. 19 modifica] seguiamo nostra storia, mostrando l’origine de’ cominciamenti de’ Romani e poi di noi Fiorentini, come dinanzi promettemmo di narrare.

CAP. XVI

Come Eleno figliuolo del re Priamo co' figliuoli d'Ettore si partì di Troia.

Intra gli altri che scamparo e si partiro di Troia, fu Eleno figliuolo del re Priamo che non era uomo d’arme, e con Ecuba sua madre, e Cassandra sua serocchia, e con Andromaca moglie che fu d’Ettore, e con due figliuoli d’Ettore piccoli garzoni, e con più genti che gli seguiro, arrivaro in Grecia nel paese di Macedonia, e quivi ricevuti da’ Greci popolaro il paese e fecero città; che Pirro figliuolo d’Achille signore dal paese prese per moglie Andromaca moglie che fu d’Ettore di Troia, e di loro usciro poi grandi re e signori.

CAP. XVII

Come Antinoro e Priamo il giovane partiti di Troia, edificaro la città di Vinegia, e quella di Padova.

Un’altra gente si partì della detta distruzione; ciò fu Antinoro che fu uno de’ maggiori signori di Troia, e fu fratello di Priamo, e figliuolo del re Laomedonte, il quale fu incolpato molto del tradimento di Troia, e Enea il sentì, secondo che scrive Dario; ma Virgilio al tutto di ciò lo [p. 20 modifica] scolpa. Questo Antinoro con Priamo il giovane figliuolo del re Priamo, ch’era piccolo fanciullo, scampò della distruzione di Troia con grande seguito di genti in numero di dodicimila, e con grande[22] navilio per mare navicando, arrivaro nelle contrade ov’è oggi Vinegia grande città, e in quelle isolette d’intorno si posero, acciocchè fossero franchi e fuori d’ogni altra[23] giurizione e signoria d’altra gente, e di quegli scogli furo gli primi abitatori; onde crescendo poi, si fece la grande città di Vinegia, che prima ebbe nome Antinora per lo detto Antinoro. E poi ’l detto Antinoro si partì di là e venne ad abitare in terra ferma ov’è oggi Padova la grande città, ed egli ne fu il primo abitatore e edificatore; e Padova le pose nome perch’era infra paduli, e per lo fiume del Po che vi corre assai presso, che si chiamava Pado. Il detto Antinoro morì e rimase in Padova, e infino al presente nostro tempo si ritrovò il corpo e la sepoltura sua con lettere intagliate, che faceano testimonianza com’era il corpo d’Antinoro, e da Padovani fu rinnovata sua sepultura, e ancora oggi si vede in Padova.

CAP. XVIII

Come Priamo il terzo fu re in Alamagna e' subi discendenti re di Francia.

Priamo il terzo figliuolo di quello Priamo che con Antinoro avea edificata Vinegia, si partì con grande gente del detto luogo e andonne in Pannonia, cioè Ungheria, e nel paese detto Sicambra; [p. 21 modifica] e così la nominaro e popolaro di loro gente, e per la prodezza e virtù del detto Priamo ne fu re e signore. Questa gente erano chiamati Galli, ovvero Gallici perch’erano biondi; e stettono nel detto luogo lungo tempo, infino alla signoria dei Romani, quando signoreggiavano la Germania, cioè Alamagna, infino al tempo che regnava Valentiniano imperadore intorno gli anni di Cristo 367. Allora il detto imperadore per cagione ch’e’ detti Galli gli[24] ataro conquistare una gente ch’avevano nome Alani, i quali s’erano rubellati[25] dallo ’mperio di Roma, e per la loro forza gli sottomisero allo ’mperio, il detto imperadore li fece franchi dieci anni del tributo che doveano dare a’ Romani, e d’allora innanzi furono chiamati Franchi, onde poi derivò il nome de’ Franceschi. E a quello tempo era loro signore uno ch’avea nome Priamo, disceso per lignaggio del primo Priamo che venne in Sicambra. E morto Valentiniano imperadore, e compiuti i detti dieci anni, i detti chiamati Franchi rifiutaro di dare il tributo allo ’mperio, e per loro fierezza si rubellaro da’ Romani, e feciono loro signore Marcomene figliuolo del detto Priamo, e uscirono del loro paese di Sicambra, e entrarono in Alamagna, e in quella conquistaro città e castella assai tra ’l fiume del Danubio e quello del Reno, le quali erano alla signoria de’ Romani; e d’allora innanzi li Romani non v’ebbono libera signoria. E ’l detto Marcomene regnò nella Magna trenta anni, ma ancora erano pagani. Appresso lui fu re de’ Franchi Ferramonte suo figliuolo, il quale per forza d’arme entrò nel reame che oggi è chiamata Francia, [p. 22 modifica] e tolselo a’ Romani. E per lo loro nome in latino fu chiamata Gallia, e in comune volgare Francia e gli uomini Franceschi, derivato dal sopraddetto nome di Franchi; e ciò fu nelli anni di Cristo intorno 419.

CAP. XIX

Come Ferramonte fu il primo re di Francia, e' suoi discendenti appresso.

Ferramonte primo re di Francia regnò quarant’anni. Appresso lui regnò Clodius, ovvero Clodoveo il Capelluto diciotto anni, e prese la città di Cambragio, e ’l paese d’intorno che teneano li Romani, e cacciògli infino al fiume di Somnia in Francia. Appresso lui regnò Meroveo suo figliuolo dieci anni, e molto avanzò il suo reame. Appresso lui regnò Elderigo suo figliuolo ventisei anni; ma per lo suo male reggimento, usando sua vita in lussuria, fu cacciato da’ baroni, e toltagli la signoria, e fuggissi nel Reno al re Bazin, e là dimorò in esilio otto anni; poi fu rappellato da Franceschi. Ed ebbe uno figliuolo chiamato Clovis, il quale presso lui regnò trent’anni, e fu uomo di grande valore, che conquistò Alamagna, e Cologna, e poi in Francia Orleans e Sassona, e tutte le terre che teneano i Romani. E fu il maggiore e ’l più possente de’ suoi anticessori, e fu il primo re di Francia che fosse cristiano per conforto della sua moglie chiamata Crociera, la quale era cristiana. Ed essendo il detto Clovis[26] assembiato ad una battaglia contra agli Alamanni, [p. 23 modifica] si [27] botò a Cristo, s’egli avesse vittoria per lo suo nome, si farebbe egli e sua gente cristiano; e per virtù di Cristo così avvenne, onde si battezzò per mano di santo Remigio arcivescovo a Rems; e nel battesimo dimenticando la cresima, venne visibilemente dal cielo una colomba che in becco l’addusse al beato Remigio; e ciò fu gli anni di Cristo 500. Appresso il detto Clovis detto Clodoveo regnò Lottieri suo figliuolo cinque anni, e appresso Lottieri regnò Chilperico suo figliuolo ventitre anni. Questi fu fatto uccidere dalla moglie chiamata Fredegonda crudelissima; rimase di lui uno piccolo figliuolo di quattro mesi il quale ebbe nome Lottieri, e regnò quarantadue anni. Appresso di lui regnò Godoberto suo figliuolo quattordici anni: questi fece fare la chiesa di santo Dionigi in Francia. Appresso lui regnò Clovis suo figliuolo diciassette anni. Questi fu di mala vita, e molto abbassò il reame; ebbe tre figliuoli, Lottieri, Tederigo, e Elderigo. Appresso Clovis regnò Lottieri suo primo figliuolo tre anni; poi fu re Tederigo suo fratello un anno, e fu [28] disposto del reame da’ suoi baroni per sua misera vita, e rendési monaco a san Dionigi; e feciono re Elderigo terzo fratello, il quale regnò anni dodici. E morto Elderigo, fu tratto della badía di san Dionigi Tederigo monaco, e rifatto re, e regnò poi dodici anni, con tutto che poco si sapesse intramettere del reame; anzi il governava uno grande barone di Francia suo [29] balio ch’avea nome Hertaire. Ma il primo Pipino il quale era de’ maggiori signori di Francia figliuolo d’Ancherse, e per lo suo podere, veggendo male governare [p. 24 modifica] il reame, e per essere signore e balio del regno, sì combattè col detto Tederigo re e con Hertaire suo balio, e sconfissegli in battaglia, e uccise il detto Hertaire, e Tederigo re mise in pregione, e vivette tre anni. E dopo la sua morte fu fatto re Clovis suo primo figliuolo, e regnò sotto il governo di Pipino (che di tutto era balio sovrano) quattro anni. E dopo lui regnò Idelberto fratello del detto Clovis diciotto anni; e poi regnò Dangoberto suo secondo figliuolo quattro anni; e poi regnò Lottieri il quarto suo figliuolo due anni. E tuttora alla signoria de’ detti re era Pipino sovrano balio e governatore di tutta Francia, e fu mentre che fu in vita. E poi regnò Chilperico figliuolo del detto Lottieri cinque anni, e suo general balio fu Carlo Martello figliuolo del primo Pipino, il quale ebbe della sua amica serocchia di Dodone duca d’Equitania. Questo Carlo Martello fu uomo di grande valore e potenzia, bene avventuroso in battaglia: e conquistò tutta Alamagna, Soavia, e Baviera, e Frigia, e Lotteringia, e recolle sotto il reame di Francia. Del sopraddetto Chilperico fu uno figliuolo chiamato Tederigo, il quale regnò quindici anni al governo del detto Carlo Martello. Appresso lui regnò Elderigo suo figliuolo nove anni; ma non avea se non il nome e Carlo la signoria. E poi, morto Carlo Martello, il secondo Pipino figliuolo del detto Carlo fu sovrano balio del reame come era stato il padre. Elderigo re essendo uomo di poco valore, con volontà del papa Stefano che allora regnava, per molti servigi fatti per lo detto Pipino a Santa chiesa, e per Carlo Martello suo padre, come [p. 25 modifica] innanzi farà menzione, e con volontà di tutti gli baroni di Francia, il detto Elderigo re, siccome uomo disutile al reame, fu disposto della signoria, e rendési monaco, e morì sanza figliuoli, e in lui [30] fallì il primo lignaggio de’ re di Francia della schiatta di Priamo. E disposto il detto Elderigo re, come detto è di sopra, fu consegrato re di Francia per lo detto papa, e con volontà de’ baroni, il buono Pipino; e fu fatto decreto per lo papa, che mai non potesse essere re di Francia altri che di suo lignaggio; e ciò fu gli anni di Cristo 751.

CAP. XX

Come il secondo Pipino padre di Carlo Magno fu re di Francia.

Del sopraddetto re Pipino discese il buono Carlo Magno suo figliuolo, il quale fu re di Francia e imperadore di Roma; e appresso lui furono sei suoi discendenti imperadori di Roma, e più re di Francia, come innanzi faremo menzione, ove tratteremo del detto Carlo Magno e de’suoi discendenti; ma per la loro discordia fallì loro lo ’mperio, ed eziandio il diritto Stocco: schiatta, legnaggio, Intorno all’etimologia di questa voce, e ad altri suoi significati, è da vedersi l’eruditissima nota del Biscioni st. 1. del Malm. stocco reale di Carlo Magno venne meno al tempo d’Ugo Ciapetta duca d’Orliens, il quale fu poi re di Francia, e sono ancora i suoi discendenti. Onde noi in questo in brieve quando fia tempo ne tratteremo, imperocchè la loro signoria si mischia molto ne’ nostri fatti della città di Firenze, come innanzi faremo menzione. Lasceremo de’ Franceschi, e [p. 26 modifica] torneremo addietro alla vera storia d’Enea di Troia onde discesono gli re e poi gl’imperadori romani, tornando a nostra materia poi della edificazione di Firenze fatta per li Romani.

CAP. XXI

Com'Enea si partì di Troia e arrivò a Cartagine in Affrica.

Ancora si parti della detta distruzione di Troia Enea con Anchise suo padre, e con Ascanio suo figliuolo nato di Creusa figliuola del grande re Priamo, con seguito di tremila trecento uomini della migliore gente di Troia, e ricolsonsi in su ventidue navi. Questo Enea fu della schiatta reale de’ Troiani in questo modo: che Ansaraco figliuolo di Troio e fratello d’Ilio, onde al cominciamento è fatta menzione, ingenerò Danao, e Danao ingenerò Anchise, e Anchise ingenerò Enea. Questo Enea fu signore di grande valore, savio, e di grande prodezza, e bellissimo del corpo. Quando si parti di Troia co’ suoi, con grande pianto, avendo perduta Creusa sua moglie allo [31] stormo dei Greci, si n’andò prima all’isola d’Ortigia, e sacrificio fece ad Apollo Iddio del sole, ovvero idolo, domandando consiglio e risponso in quale parte dovesse andare; dal quale ebbe risponso e comandamento che dovesse andare nel paese e terra d’Italia, là onde prima erano venuti a Troia Dardano e’ suoi anticessori, e dovesse entrare in Italia per lo porto ovvero foce del fiume d’Albola; e dissegli per lo detto risponso, che dopo molte fatiche [p. 27 modifica] di mare e battaglie nella detta terra d’Italia, avrebbe moglie e grande signoria, e della sua schiatta sarebbono possenti re e imperadori, i quali farebbono grandissime e notabili cose. Udito ciò, Enea fu molto riconfortato per la buona risposta e promessa: incontanente si mise in mare con sue genti e navile, il quale navicando per più tempo ebbe di molte fortune, e arrivò in molti paesi, e prima nella contrada di Macedonia ov’erano già Eleno, e la moglie, e ’l figliuolo di Ettore: e dopo la dolorosa accoglienza per la ricordanza della ruina di Troia, si partiro. E navicando per diversi mari, ora innanzi, e ora addietro, o a traverso, come gente ignoranti del paese d’Italia, nè grandi maestri nè [32] pedotti di mare non aveano con loro che gli guidasse, anzi navicavano quasi come la fortuna e’ venti del mare gli menava, si arrivaro nell’isola di Cicilia ch’e’ poeti chiamano Trinacria, e dove è oggi la città di Trapali scesono in terra; nel quale luogo Anchise suo padre per molta fatica e vecchiezza passò di questa vita, e nel detto luogo fu soppellito a loro maniera con grande solennità. E dopo il grande [33] corrotto fatto per Enea del caro padre, di là si partirono per arrivare in Italia: e per grande fortuna di mare si [34] dipartiro la detta conserva delle navi, e l’una tenne una via, e l’altra un’altra. E l’una delle dette navi con tutta la gente profondò in mare, l’altre arrivaro alli liti d’Affrica, non sappiendo l’una dell’altra, là dove si facea la nobile città di Cartagine per la possente e bella reina Dido venuta là di Sidonia, che oggi si chiama Suri; la quale, il detto Enea e Ascanio suo [p. 28 modifica] figliuolo, e tutta sua gente delle ventuna navi che a quello porto si ritrovaro, la detta reina accolse con grande onore, e maggiormente, perchè la detta reina di grande amore fu presa d’Enea incontanente che ’l vide, per modo che per lei vi dimorò Enea più tempo in tanto diletto, che non si ricordava del comandamento degli Dei che dovesse andare in Italia; e per sogno, ovvero visione, per gli detti Dei gli fu comandato, che più non dovesse dimorare in Affrica. Per la qual cosa subitamente con sua gente e navilio si parti di Cartagine; e però la detta reina Dido per lo smaniante amore colla spada del detto Enea ella medesima se uccise. E chi questa storia più pienamente vorrà trovare, legga il primo e secondo libro dell’Eneide che fece il grande poeta Virgilio.

CAP. XXII

Come Enea arrivò in Italia.

Partito Enea d’Affrica, ancora capitò in Cicilia là dove avea soppellito il padre Anchise, e in quello luogo fece [35] l’annovale del padre con grandi giuochi e sacrifici, e ricevettono grande onore da Aceste allora re di Cicilia, per lo antico parentado de Troiani discendenti di Sicano di Fiesole. Poi si partì di Cicilia e arrivò in Italia nel golfo di Baia, che oggi si chiama Mare morto, al capo di Miseno assai presso dov’è oggi Napoli; nella qual contrada avea boschi e selve grandissime, e per quelle andando Enea, per fatale guida della Sibilla Erittea menato fu a vedere l’inferno e le [p. 29 modifica] pene che vi sono, e poi il limbo; e secondo che racconta Virgilio nel sesto libro dell’Eneide, vi trovò e conobbe l’ombre, ovvero imagini dell’anima del suo padre Anchise, e di Dido, e di più altre anime passate. E per lo detto suo padre gli fu mostrato, ovvero per visione notificato, tutti i suoi discendenti e loro signoria, e quelli che doveano fare la grande città di Roma. E dicesi per li più, che in quello luogo ove fu per la savia Sibilla menato, fue per le diverse caverne di monte Barbaro il quale è sopra Pozzuolo, che ancora al di d’oggi sono maravigliose e paurose a riguardare e altri avvisano e stimano, che per virtù divina o per arte magica ciò fosse mostrato ad Enea in visione di spirito, per significargli le grandi cose che doveano uscire e essere dei suoi discendenti. Ma quale che si fosse, come uscì dello inferno, si partì; e entrato in nave, seguendo le piagge e la foce del fiume del Tevero detto Albola, entrò e arrivò, e disceso in terra, per agurio e per segni conobbe ch’era arrivato nel paese d’Italia, che dagl’Iddii gli era promesso; e con grande festa e allegrezza fecero fine alle loro fatiche del navicare, e cominciaro a fare loro abitacoli e fortezze di fossi e di legname delle loro navi. E quello luogo fu poi la città di Ostia; e quella fortezza feciono per tema de’ paesani, i quali per paura di loro. siccome gente straniera e da’ loro costumi salvaggia, e per nimici gli trattavano, e più battaglie ebbono co’Troiani per cacciarli del paese, delle quali i Troiani di tutte furono vincitori. [p. 30 modifica]

CAP. XXIII

Come il re Latino signoreggiava Italia, e come Enea ebbe la figliuola per moglie, e tutto il suo regno.

Signoreggiava in quello paese il regno (ond’era principale la città di Laurenzia, che era presso dove è ora la città di Terracina e ancora appare disfatta) il re Latino, il quale fu de’ discendenti del re Saturno che venne di Creti, quando fu cacciato da Giove suo figliuolo, come dinanzi facemmo menzione. E quello Saturno arrivò nel paese di Roma che allora signoreggiava Giano uno dei discendenti di Noè; ma [36] la gente era allora molto grossa, e viveano, quasi come bestie, di frutta e di ghiande, e abitando in caverne. Quello Saturno savio di scrittura e di costumi, per suo senno e consiglio addirizzò que’ popoli a vivere come gente umana, e feceli lavorare terre e piantare vigne, e edificare case, e terre e città murare, e della città di Sutri detta Saturna fu il primo edificatore, e per lui così ebbe nome; e fu in quella contrada per lo suo studio prima seminato grano, onde quelli del paese l’avevano per uno Iddio; e Giano medesimo che n’era signore il si fece compagno, e li diede parte nel regno. Questo Saturno regnò in Italia trentaquattro anni, e dopo lui regnò Pico suo figliuolo anni trentuno; e dopo Pico regnò Fauno suo figliuolo ventinove anni, e fu morto da’ suoi: di Fauno rimasono Lavino e Latino. Quello Lavino edificò la città di Lavina; e [p. 31 modifica] poco regnò Lavino; e morto lui rimase il regno a Latino, il quale alla città di Lavina mutò il nome in Laurenzia, perchè in sulla mastra torre nacque uno grande albore d’alloro. Il detto Latino regnò trentadue anni, e fu molto savio, e molto ammendò la lingua latina. Questo re Latino avea solamente una figliuola bellissima chiamata Lavina, la quale per la madre era promessa a uno re di Toscana ch’avea nome Turno della città d’Ardea, oggi chiamata Cortona. Toscana ebbe nome il paese e provincia, perocchè vi furono i primi sacrificatori agl’Iddii con fummò d’incenso, detto tuscio. Venuto Enea nel paese, richiese pace al detto re Latino, e che potesse abitare in esso; dal quale Latino fu ricevuto graziosamente e non solamente datogli licenza d’abitarvi, ma gli promise Lavina sua figliuola per moglie, perocchè per fatale comandamento degli Dei avea, che la dovesse maritare a straniero a non a uomo del paese. Per la qual cagione, e per avere il retaggio del re Latino, grandi battaglie ebbe [37] da Enea e Turno, e que’ di Laurenzia per più tempo; il quale Turno uccise in battaglia il grande e forte gigante Pallas figliuolo di Evandro re dei sette colli ov’è oggi Roma, il quale era venuto in aiuto a Enea; e morinne la vergine Cammilla per mano d’Enea, ch’era maravigliosa in arme. Alla fine il detto Enea vincitore dell’ultima battaglia, e morto di sua mano Turno, Lavina ebbe per moglie, la quale molto amava Enea, e Enea lei, e ebbe la metà del regno del re Latino. E dopo la morte del re Latino, che poco vivette poi, Enea ne fu al tutto signore, il quale dopo la morte del [p. 32 modifica] re Latino regnò tre anni e morio: il modo non si sa di certo. Queste istorie Virgilio poeta pienamente fa menzione nell’Eneide; e nota che in ogni cittade che avesse [38] rinomo o potenzia avea uno re, che alla comparazione de’nostri presenti tempi, era ciascuno re di piccolo essere e potenzia.

CAP. XXIV

Come Giulio Ascanio figliuolo d'Enea fu re appresso lui lui, e gli re e signori che discesono di sua progenia.

Morto Enea, Giulio Ascanio suo figliuolo rimase signore del regno de’ Latini, e Lavina la moglie d’Enea rimase grossa di lui d’uno figliuolo; la quale per paura che Ascanio suo figliastro non uccidesse lei e la creatura, si fuggì in selve ad abitare con pastori, tanto ch’ella si [39] diliberò, e fece uno figliuolo il quale fu chiamato Silvio Postumo: Silvio, perchè nacque in selva: Postumo, perchè la madre rimase [40] incinta di lui morto il padre Enea. Quando Ascanio seppe ove Lavina sua matrigna era, e com’avea uno figliuolo il quale era suo fratello, mandò per lei e per lo figliuolo che venisse sanza alcuna [41] dottanza; e lei e ’l suo figliuolo venuti, gli trattò benignamente, e alla reina Lavina e al suo figliuolo lasciò la signoria della città di Laurenzia, ed egli edificò la città di Alba, ovvero Albania, al tempo di Sansone d’Isdraele lo forte; la quale Albania è presso dov’è oggi Roma; e di quella fece capo del suo regno e de’ Latini [42] uno co’ Troiani. [p. 33 modifica] E la detta città fece per agurio, che quando Enea ed egli arrivaro nel paese, in quello luogo ove edificò la detta città, trovaro sotto uno leccio una troia bianca con trenta porcellini bianchi, e però, e per la memoria di Troia la edificò, e pose nome Troia Albania per la sopraddetta troia bianca; ma poi gli abitanti la chiamaro pure Albania, onde più re furono appresso, come innanzi farà menzione. E il detto Ascanio regnò appresso Enea trentotto anni, ed ebbe due figliuoli; l’uno fu chiamato Giulio onde nacque la progenie de’ Giulii onde poi furono i re di Roma, e Giulio Cesare, e Catellina, e più nobili Romani sanatori e consoli furo di quella schiatta: l’altro ebbe nome Silvio per lo zio figliuolo di Lavina. Quello Silvio s’innamorò d’una nipote di Lavina, e di lei ebbe uno figliuolo, nel qual partorendo ella morío, e però gli fu posto nome Bruto; e crescendo poi, disavvedutamente in una foresta cacciando, uccise Silvio suo padre; il quale per temenza di Silvio Postumo re si fuggio del paese, e con seguito di sua gente navicando per diversi mari, arrivò nell’isola di Brettagna, che per suo nome, siccome de’ primi abitatori e signori, fu così nominata per lui, la quale oggi si chiama Inghilterra. Ed egli fu l’origine e cominciamento de’ Brettoni, onde discesero molti grandi e possenti re e signori: intra gli altri il valente Brenno e Bellino fratelli, i quali per loro potenza sconfissero gli Romani ed assediaro Roma, e presonla infino al Campidoglio, e molta persecuzione fecero a’ Romani, come racconta il Tito Livio maestro di storie. E di loro progenie discese il buono e cortese re Artù [p. 34 modifica] onde i [43] ramanzi brettoni fanno menzione; e ancora Costantino imperadore che dotò la Chiesa fu di loro discendenti; e chi ciò vorrà pienamente trovare, cerchi la cronica della Badía di [44] Salisbiera in Inghilterra. Ma poi per le dissensioni e guerre finio il legnaggio e signoria de’ Brettoni, e fu signoreggiata la detta isola e reame da diverse nazioni e genti di Sassonia, e da Fresoni, e di Danesmarce, e Morucchi, e Spagnoli per diversi tempi; ma il legnaggio de’ presenti re che sono a’ nostri tempi in Inghilterra, sono stratti di Guiglielmo Bastardo figliuolo del duca di Normandia disceso della schiatta de’ Normandi, il quale per sua prodezza e virtù conquistò Inghilterra, e diliberò da diverse e barbare nazioni che la signoreggiavano. Lasceremo de’ Brettoni e de’ re d’Inghilterra, e torneremo a nostra materia.

CAP. XXV

Come Silvio secondo figliuolo d’Enea fu re appresso Ascanio, e come di lui discesono gli re de’ Latini, d’Albania, e di Roma.

Dopo la morte di Giulio Ascanio, fu signore e re del regno de’ Latini Silvio Postumo figliuolo d’Enea e della reina Lavina, come addietro è fatta menzione, e regnò ventinove anni con grande senno e prodezza, e dopo lui furo dodici re di sua progenia, l’uno appresso l’altro, i quali regnaro 350 anni, e tutti ebbono soprannome Silvio per lo sopraddetto primo Silvio Postumo; che dopo lui regnò Enea Silvio suo figliuolo trentadue [p. 35 modifica] anni, dopo Enea regnò Capis Silvio suo figliuolo ventott’anni: questi edificò la città di Capova in Campagna; dopo Capis regnò Latino Silvio suo figliuolo cinquant’anni, al tempo di David re d’Isdraele; dopo Latino regnò Alba Silvio suo figliuolo quaranta anni al tempo di Salamone; dopo costui regnò Egitto Silvio suo figliuolo ventiquattro anni al tempo di Roboamo re di Giudea; dopo costui regnò Carpento Silvio suo figliuolo diciassette anni, al tempo di Giosafat re di Giudea; dopo costui regnò Tiberino Silvio suo figliuolo anni nove, al tempo del re Ocozia di Giudea; il quale Tiberino annegò nel fiume d’Albola passandolo, e per lo suo nome fue sempre poi chiamato Tibero. Dopo Tiberino regnò Agrippa Silvio suo figliuolo quarant’anni al tempo di Jeu re d’Isdraele; dopo Agrippa regnò Aremolo Silvio suo figliuolo diciannove anni: questi pose intra’ monti ov’è ora Roma la signoria degli Albani. Dopo costui regnò Aventino Silvio suo figliuolo trentotto anni, e edificò sopra il monte di Roma che per lui fu chiamato monte Aventino, e in quello fu soppellito al tempo d’Amasía re di Giudea. Dopo costui regnò Proca Silvio suo figliuolo ventitre anni al tempo di Ozía re di Giudea; dopo costui regnò Amulio Silvio suo figliuolo quarantaquattro anni, al tempo di Joatam re di Giudea. Il quale Amulio per sua malizia e forza cacciò dal regno Numitore suo maggiore fratello che dovea esser re, e la figliuola del detto Numitore, che Rea era chiamata, fece rinchiudere in munistero,acciocchè di lei non nascesse [45] reda. E essendo ella al servigio del tempio della vergine Vesta, [p. 36 modifica] concepette occultamente a uno portato due figliuoli Romolo e Remo, dello Iddio Marti di battaglia, com’ella confessò e dicono i poeti, o forse piuttosto del sacerdote di Marti; [46] e alcuno scrisse del genero del suo padre: e quella trovata in sacrilegio, fu fatta dal detto Amulio soppellire viva viva per lo ’ncesto commesso là ov’è oggi la città di Rieti, che per lo suo nome poi fu Reata appellata; e i detti suoi figliuoli comandò fossero gittati in Tevere; ma da’ ministri del re per la innocenza non furono morti, ma gittati in pruni presso alla riva del Tevere, e quivi, si dice, furono lattati e nudriti da una lupa. Ma trovandogli uno pastore chiamato Faustulo gli portò a Laurenzia sua moglie che gli nutricasse, e così fece. Questa Laurenzia era bella, e di suo corpo guadagnava come meretrice, e però da’ vicini era chiamata Lupa, onde si dice furono nutricati da lupa.

CAP. XXVI

Come Romolo e Remo cominciarono la città di Roma.

Dappoichè Romolo e Remo furono cresciuti in loro etade, per la loro forza e virtude cominciaro a signoreggiare tutti gli altri pastori, e poi sappiendo la loro reale nazione, congregarono ladroni, e fuggitivi, e sbanditi, e gente d’ogni condizione disposta a mal fare, e con loro sforzo cominciaro a prendere e signoreggiare il paese, e ’l regno del loro zio Amulio presono per forza e la città d’Albania, e lui uccisero, e restituirlo a [p. 37 modifica] Numitore loro avolo. I quali Romolo e Remo lasciata Albania a Numitore, edificaro prima e chiusero di mura la grande e nobile città di Roma, con tutto che prima era in diverse parti in monti e in valli abitata anticamente, e con borghi e villate sparte e fortezze; ma i detti la recarono in una a modo di città, 454 anni appresso la struzione di Troia, e 4484 anni dal cominciamento del mondo, quando regnava in Giudea il re Acaz, avendo Romolo ventidue anni. E la signoria d’Albania recaro poi in Roma e fecionla capo del reame de’ Latini, e per lo nome del detto Romolo fu da lui nominata Roma. E poi il detto Romolo fece morire il suo avolo Numitore per essere al tutto signore, ed eziandio Remo suo fratello, perchè passò le mura di Roma contro a suo comandamento. E ’l detto Romolo signoreggiando Roma, infra ’l terzo anno che l’avea cominciata, non avendo mogli nè femmine con loro, faccendo pensatamente una festa e giuochi, venutevi le femmine de’ Sabini, le presero e ritennero per loro; e poi l’ordinò con leggi e statuti come cittade, e chiamò cento, i migliori uomini della città e più antichi, per suoi consiglieri, i quali fece chiamare padri coscritti e sanatori, perchè i loro nomi furono per lui fatti scrivere in tavole d’oro. E così regnò Romolo signore e re otto anni, e in età di trent’anni, essendo di costa a uno fiume, compreso da una nuvola, non si trovò mai, nè si seppe di sua morte, se non che per gli savi s’avvisa ch’annegasse in quello fiume. Ma i Romani dissono e aveano oppinione, che lo Iddio Marti che l’avea creato, l’avesse portato intra gli [p. 38 modifica] Dei in anima e corpo per la sua podestà e signoria. Potete vedere come il comune popolo erano ignoranti del vero Iddio.

CAP. XXVII

Come Numa Pompilio fu re de' Romani appresso la morte di Romolo .

Morto Romolo sanza nullo erede, fu retta la città di Roma per gli detti cento sanatori uno anno alla fine per lo comune bene della repubblica, elessero a re e loro signore Numa Pompilio, che fu co’ cento. Questi fu savio di scienza e di costumi, ed ammendò molto le leggi e lo stato di Roma, e fece tempii ove si adorassero gli loro Iddei, e fu uomo d’onesta vita, e recò quasi tutte le città vicine sotto la signoria e legge di Roma per lo suo senno e dichiarò l’ordine de’ dodici mesi dell’anno, ’l bisesto, che prima erano dieci con grande confusione del corso solare e lunare. E regnò per lo suo senno e virtù sanza avere guerra con niuno vicino quarantun’anno in grande stato, e pace, e signoria, secondo il piccolo podere ch’allora aveva Roma: e ciò fu al tempo d’Ezechia re di Giudea, e del figliuolo Manasse. [p. 39 modifica]

CAP. XXVIII

Come furono in Roma sette re l'uno appresso l'altro infino a Tarquinio, e come al suo tempo perderono la signoria.

Appresso Numa Pompilio regnò Tullio Ostilio trentadue anni, al tempo di Manasse re di Giudea. Questi fu crudele e guerriere, e fu il primo che portasse porpora e onori reali, e ruppe la pace a’ Sabini, e dopo molte battaglie per forza gli sottomise a sua signoria; e poi fu morto di folgore. Appresso Tullio regnò Anco Marzio ventitre anni al tempo di Giosía re di Giudea, che fu figliuolo della figliuola del buono re Numa Pompilio, ed ebbe grande guerra co’ Latini di Laurenzia e d’Albania; alla fine per forza gli recò sotto sua signoria, e a Roma fece il tempio di Giano. Appresso lui regnò Prisco Tarquinio trentasette anni. Questi aggrandì molto Roma, e fece il Campidoglio, e sottomise i Sabini che s’erano rubellati, e fu quelli che prima volle trionfo di sua vittoria; e fece il tempio di Giove capo di loro Iddei, e regnò al tempo che Nabucodonosor distrusse Gerusalemme e ’l tempio di Salamone: alla fine fu morto per li figliuoli del sopraddetto Marzio. Appresso costui regnò Servio Tullio trentaquattro anni, al tempo di Sedecía re di Giudea, ed ebbe al suo tempo aspre battaglie co’ Sabini, e crebbe la città di Roma assai, e fu il primo che mettesse imposte o dazzii, ovvero censo, nella città di Roma a pagare; alla fine [p. 40 modifica] l’uccise Tarquinio Superbo ch’era suo genero. E nota, che poichè Roma fu fondata e richiusa per Romolo, fu caporale regno di se medesima, e nimica del regno de’ Latini e di tutte le città vicine, e sempre ebbe guerra con ciascuna, infinochè al tutto l’ebbe sottoposte a sua signoria. Appresso regnò il settimo re de’ Romani Tarquinio Superbo ventitre anni al tempo di Ciro re di Persia. Questi in tutte sue opere fue pessimo e crudele, e avea uno suo figliuolo ch’avea nome similemente Tarquinio ed era crudele e dissoluto in lussuria, prendendo per forza quale donna o pulcella gli piacesse in Roma. Alla fine, come racconta Valerio e Tito Livio, giacendo per forza con la bella e onesta Lucrezia figliuola di Bruto sanatore, nato ischiatta di Giulio Ascanio, e consorto per ischiatta del detto re Tarquinio, ella per conservagione di sua castità, e per dare esempio alle altre, se medesima uccise innanzi al padre e al marito e suoi parenti. Onde Roma per lo dissoluto peccato corse e si commosse a romore, e cacciaro il re Tarquinio e il figliuolo, e ordinaro e feciono decreto, che mai non avesse più re in Roma, ma che si reggesse a consoli, mutando d’anno in anno, col consiglio de’ sanatori; e il primo consolo fu il detto Bruto e Lucio Tarquinio grandi cittadini e nobili, e questo fu 250 anni dal cominciamento di Roma, al tempo di Dario figliuolo d’Itaspio re di Persia. E così falliro li re in Roma, che aveano regnato circa dugento quaranta quattro anni. [p. 41 modifica]

CAP. XXIX

Come Roma si resse lungo tempo per la signorid de' consoli e sanatori infinochè Giulio Cesare si fece imperadore.

Rimasa la signoria di Roma a’ consoli e sanatori, cacciati li re, il detto Tarquinio re, e ’l figliuolo colla forza del re Porcena di Toscana che regnava nella città di Chiusi, feciono molta guerra a’ Romani: ma alla fine gli Romani rimasero vincitori. E poi si resse e governò la repubblica di Roma 450 anni per consoli e sanatori e talora dittatori, che durava cinque anni loro signoria, e erano quasi come imperadori, che ciò che diceano convenía fosse fatto; e altri uficii diversi, come furono tribuni del popolo, e pretori, e censori, e [47] ciliarche. E in questo tempo ebbe in Roma più diverse mutazioni e guerre e battaglie non solamente co’ vicini, ma con tutte le nazioni del mondo; i quali Romani per forza d’arme e virtù e senno di buoni cittadini, quasi tutte le province e reami e signori del mondo domaro, e recaro sotto loro signoria, e feciono loro tributarie con grandissime battaglie e uccisioni di molti popoli del mondo, e di Romani medesimi, in diversi tempi, quasi innumerabile a contare. E ancora tra’ cittadini medesimi per invidia della signoria e questioni da’ grandi e’ popolani, e riposando le guerre di fuori, molte battaglie e tagliamenti per più volte tra’ cittadini ebbe; e a giunta a ciò, di tempi in tempi pestilenzie [p. 42 modifica] incomportabili ebbono li Romani: e questo reggimento durò infino alle grandi battaglie che furo tra Giulio Cesare e Pompeo, e poi co’ figliuoli, il quale vinto da Cesare, il detto Cesare levò l’uficio de’ consoli e dittatori, ed egli primo si fece chiamare imperadore. E appresso lui Ottaviano Augusto, che signoreggiò in pace dopo molte battaglie tutto l’universo mondo, al tempo che nacque Gesù Cristo, anni 700 dopo la edificazione di Roma; e così mostra che Roma si reggesse a signoria di re 254 anni, e di consoli 450 anni, siccome di sopra avemo detto, e ancora più distesamente per Tito Livio, e più altri autori. Ma nota che la grande potenza de’ Romani non era solamente in loro, se non per tanto ch’erano capo guidatori: ma tutti gli Toscani principalmente, e poi tutti gl’Italiani seguivano nelle guerre e nelle battaglie loro, ed erano tutti chiamati Romani. Ma lasceremo omai l’ordine delle storie de’ Romani e degl’imperadori, se non in tanto quanto apparterrà a nostra materia, tornando al nostro proposito della edificazione della città di Firenze, come promettemmo di dire. E avemo fatto sì lungo esordio perchè ci era di necessità per dimostrare come l’origine de’ Romani edificatori della città di Firenze, siccome appresso farà menzione, fu estratto di nobili Troiani; e l’origine e cominciamento di Troiani nacque e venne da Dardano figliuolo dello re Attalante della città di Fiesole, siccome brievemente avemo fatta menzione; e de’ discendenti poi nobili Romani e de’ Fiesolani, per la forza de’ Romani fatto è uno popolo chiamati Fiorentini. [p. 43 modifica]

CAP. XXX

Come in Roma fu fatta la congiurazione per Catellina e suoi seguaci.

Nel tempo ancora che Roma si reggeva alla signoria di consoli, anni da 680 poichè la detta città fu fatta, essendo consolo Marco Tullio Cicerone e Gaio Antonio, e Roma in grande e felice stato e signoria, Catellina nobilissimo cittadino, disceso di sua progenia della schiatta reale di Tarquinio, essendo uomo di dissoluta vita, ma prode e ardito in arme, e bello parlatore, ma poco savio, avendo invidia di buoni uomini e ricchi e savi che signoreggiavano la città, non piacendogli la loro signoria, congiurazione fece con più altri nobili ed altri seguaci disposti a mal fare, e ordinò d’uccidere gli consoli e parte de’ sanatori, e di disfare loro uficio, e correre, e rubare, e mettere da più parti fuoco nella città, e poi farsene signore: e sarebbegli venuto fatto, se non che fu riparato per lo senno e provedenza del savio consolo Marco Tullio. Così si difese la città di tanta [48] pistilenzia, e trovata la detta congiurazione e tradimento, e per la grandezza e potenza del detto Catellina, e perchè Tullio era nuovo cittadino in Roma, venuto il padre da Capova ovvero d’un’altra villa di Campagna, non ardì di fare prendere Catellina nè giustiziare, come al suo misfatto si convenia; ma per suo grande senno e bello parlare il fece partire della città; ma più de’ suoi congiurati e compagni, de’ maggiori cittadini, e [p. 44 modifica] tale dell’ordine de’ sanatori che partito Catellina rimasero in Roma, fece prendere, e nelle [49] carcere faccendoli strangolare moriro, siccome racconta ordinatamente il grande dottore Sallustio.

CAP. XXXI

Come Catellina fece ribellare la città di Fiesole alla città di Roma.

Catellina partito di Roma, con parte de’ suoi seguaci se ne venne in Toscana, ove Manlio uno de’ suoi principali congiurati e capitano, era raunato con gente nella città antica di Fiesole. E venuto là Catellina, la detta città dalla signoria de’ Romani fece rubellare, raunandovi tutti gli rubelli e sbanditi di Roma e di più altre province, e gente dissoluta e disposta a guerra e a mal fare, e cominciò aspra guerra a’ Romani. Li Romani sentendo ciò, ordinaro che Gaio Antonio consolo e Publio Petreio con una milizia di cavalieri e popolo grandissimo venissono in Toscana ad oste contro alla città di Fiesole e contro a Catellina, e mandaro per loro lettere e messaggi a Quinto Metello che tornava di Francia con grande oste di Romani, che simigliante fosse colla sua forza dall’altra parte all’assedio di Fiesole, e per seguire Catellina e suoi seguaci. [p. 45 modifica]

CAP. XXXII

Come Catellina e suoi seguaci furono sconfitti da’ Romani nel piano di Piceno.

Sentendo Catellina ch’e’ Romani venieno per assediarlo nella città di Fiesole, e già era Antonio e Petreio con loro oste nel piano di Fiesole in sulla riva del fiume d’Arno, e aveano novelle come Metello era già in Lombardia coll’oste sua di tre legioni che venía di Francia, e veggendo che ’l soccorso che aspettava de’ suoi ch’erano rimasi in Roma gli era fallito, diliberò per suo consiglio di non rinchiudersi nella città di Fiesole, ma d’andar in Francia; e però di quella città si partì con sua gente e con uno signore di Fiesole ch’avea nome Fiesolano, e fece ferrare i suoi cavalli a ritroso, acciocchè partendosi, le [50] ferrate de’ cavalli mostrassono che gente fosse entrata in Fiesole e non uscita, per far badare i Romani alla città, e poterne andare più salvamente. E di notte partito per ischifare Metello, non tenne il diritto cammino dell’Alpi, che noi chiamiamo l’alpe di Bologna, ma si mise per lo piano di costa alle montagne, e arrivò di là ov’è oggi la città di Pistoia nel luogo detto Campo a Piceno, ciò fu di sotto ov’è oggi il castello di Piteccio, per intendimento di valicare per quella via l’Alpi Appennine, e riuscire in Lombardia; ma sentendo poi sua partita Antonio e Petreio, incontanente il seguiro con loro [51] oste per lo piano, sicchè il sopraggiunsero nel detto luogo, e Metello [p. 46 modifica] d’altra parte fece mettere guardie a’ passi delle montagne, acciocchè non potesse per quelle passare. Cetellina veggendosi così distretto e che non poteva schifare la battaglia, si mise alla fortuna del combattere egli e’ suoi con grande franchezza e ardire, nella quale battaglia ebbe grande tagliamento di Romani [52] d’entro, e di rubelli, e di Fiesolani alla fine dell’aspra battaglia Catellina fu in quello luogo di Piceno sconfitto e morto con tutta sua gente; e ’l campo rimase a’ Romani con dolorosa vittoria, per modo che i detti due consoli con venti a cavallo scampati sanza più, per vergogna non ardiro tornare in Roma. La qual cosa da Romani non si potea credere, se prima i sanatori non vi mandaro per vedere il vero, e quello trovato, grandissimo dolore n’ebbe in Roma. E chi questa storia più appieno vuole trovare, legga il libro di Sallustio detto Catellinario. I tagliati e’ [53] fediti della gente di Catellina scampati di morte della battaglia, tutto fossono pochi, si ridussero ov’è oggi la città di Pistoia, e quivi con vili abitacoli ne furono i primi abitatori per guerire di loro piaghe. E poi per lo buono sito e grasso luogo multiplicando i detti abitanti, i quali poi edificaro la città di Pistoia, e per la grande mortalità e pistolenza che fu presso a quello luogo e di loro gente e di Romani, le posero nome Pistoia; e però non è da maravigliare, se i Pistolesi sono stati e sono gente di guerra fieri e crudeli intra loro e con altrui, essendo stratti del sangue di Catellina e del rimaso di sua così fatta gente, sconfitta e tagliata in battaglia. [p. 47 modifica]

CAP. XXXIII

Come Metello con sue milizie fece guerra a' Fiesolani.

Dappoi che Metello il quale era in Lombardia presso alle montagne dell’Alpi Appennine nelle contrade di Modona, udita la sconfitta e morte di Catellina, tostamente venne con sua oste al luogo dov’era stata la battaglia, e veduti i morti, per istupore della diversa e grande mortalità temette, maravigliandosi come di cosa impossibile. Ma poi egli e la sua gente igualmente spogliò il campo de’ suoi Romani come quello de’ nimici, rubando ciò che vi trovarono; e ciò fatto, venne verso Fiesole per assediare la città. I Fiesolani vigorosamente prendendo l’arme, usciro della città al piano, combattendo con Metello e con sua oste, e per forza il ripinsono e cacciaro di là dal fiume d’Arno con grande danno di sua gente, il quale co’ suoi in su i colli, ovvero ripe del fiume, s’accampò; e’ Fiesolani con loro oste si misero dall’altra parte del fiume d’Arno verso Fiesole.

CAP. XXXIV

Come Metello e Fiorino sconfissono i Fiesolani.

Metello la notte vegnente ordinò e comandò, che parte della sua gente di lungi dall’oste de’ [p. 48 modifica] Fiesolani passassono il fiume d’Arno, e si riponessono in aguato tra la città di Fiesole e l’oste de’ Fiesolani, e di quella gente fece capitano Fiorino nobile cittadino di Roma della schiatta [54] de’ Fracchi, ovvero Floracchi, il quale era suo pretore, ch’è tanto a dire come [55] mariscalco di sua oste; e Fiorino, come per lo consolo fu comandato, così fece. La mattina al fare del giorno, Metello armato con tutta sua gente passando il fiume d’Arno, cominciò la battaglia a’ Fiesolani, e’ Fiesolani difendendo vigorosamente il passo del fiume, nel fiume d’Arno sosteneano la battaglia. Fiorino il quale era colla sua gente nell’aguato, come vide cominciata la battaglia, uscì francamente al di dietro al dosso de’ Fiesolani che nel fiume combatteano con Metello. I Fiesolani [56] sprovveduti dell’aguato, veggendosi subitamente assaliti per Fiorino di dietro e da Metello dinanzi, sbigottiti gittarono l’armi e fuggiro sconfitti verso la città di Fiesole, onde molti di loro furono morti e presi.

CAP. XXXV

Come i Romani la prima volta assediaro Fiesole, e come morì Fiorino.

Sconfitti e cacciati i Fiesolani della riva d’Arno, Fiorino pretore coll’oste de’ Romani pose campo di là dal fiume d’Arno verso la città di Fiesole, che v’aveva due villette, l’una si chiamava villa Aruina, e l’altra Camarte, ovvero campo o domus Martis, ove i Fiesolani alcuno giorno [p. 49 modifica] della [57] semmana faceano mercato di tutte cose con loro ville e terre vicine. Il consolo fece con Fiorino decreto, che niuno dovesse vendere nè comperare pane, o vino, o altre cose che ad uso di battaglia fossono, se non nel campo ov’era posto Fiorino. Dopo questo, Quinto Metello consolo mandò incontanente a Roma che mandassero gente d’arme all’assedio della città di Fiesole, per la quale cosa i sanatori feciono ordine che Giulio Cesare, e Cicerone; e Macrino con più legioni di genti armati dovessero venire all’assedio e distruzione di Fiesole, i quali venuti, assediaro la detta città. Cesare pose suo campo nel colle che soprastava la cittade; Macrino nell’altro colle ovvero monte; e Cicerone dall’altra parte; e così stettono per sei anni all’assedio della detta città, avendola per lungo assedio e per fame quasi distrutta. E simigliante que’ dell’oste per lungo [58] dimoro e per più difetti scemati ed [59] affieboliti, si partiro dall’assedio, e si ritornaro a Roma, salvo che Fiorino vi rimase all’assedio con sua gente nel piano ov’era prima accampato, e chiusesi di fossi e di steccati a modo di [60] battifolle, ovvero bastita, e tenea molto afflitti i Fiesolani, e così gli guerreggiò lungo tempo. Poi assicurandosi troppo, e avendogli per niente, e i Fiesolani ripresa alcuna lena, e ricordandosi del male che Fiorino avea loro fatto e faceva, subitamente, e come disperati, si misero di notte con iscale e con ingegni ad assalire il campo, ovvero battifolle di Fiorino, ed egli e la sua gente con poca guardia, e dormendo, non prendendo guardia de’ Fiesolani, furono sorpresi; e Fiorino, e [p. 50 modifica] la moglie, e’ figliuoli morti, e tutta sua oste in quello luogo furono quasi morti, che pochi ne scamparono; e il detto castello e battifolle disfatto, e arso, e tutto abbattuto per gli Fiesolani.

CAP. XXXVI

Come per la morte di Fiorino i Romani tornaro all’assedio di Fiesole.

Come la novella fu saputa a Roma, gli consoli e’ sanatori e tutto il comune dolutosi della disavventura avvenuta al buono duca Fiorino, incontanente ordinaro che di ciò fosse vendetta, e che oste grandissima un’altra volta tornassero a distruggere la città di Fiesole, intra’ quali furono eletti questi duchi: Rainaldo conte, Cicerone, Teberino, Macrino, Albino, Gneo Pompeo, Cesare, Camertino Sezio conte Tudertino, cioè di Todi, il quale era con Giulio Cesare e di sua milizia. Questi pose suo campo presso a Camarti, quasi ov’è oggi Firenze; Cesare si pose a campo in sul monte che soprastava la città, ch’è oggi chiamato monte Cecero, ma prima ebbe nome monte Cesaro per lo suo nome, ovvero per lo nome di Cicerone; ma innanzi tengono per Cesare, perocch’era maggiore signore nell’oste. Rainaldo pose suo campo in sul monte allo ’ncontro alla città di là dal Mugnone, e per suo nome infino a oggi è così chiamato; Macrino in sul monte ancora oggi nominato per lui; Camertino nella contrada che ancora per gli viventi per lo suo nome è chiamata Camerata. E tutti gli altri signori di [p. 51 modifica] sopra nominati, ciascuno pose per se suo campo intorno alla città, chi in monte e chi in piano; ma di più non rimase proprio nome che oggi sia memoria. Questi signori con loro milizie di gente a cavallo e a piede grandissima, assediando la città, con ordine s’apparecchiaro di fare maggiori battaglie alla città che la prima volta; ma per la fortezza della città i Romani invano lavorando, e molti di loro per lo soperchio d’assedio, e soperchio di fatica morti, que’ maggiori signori e consoli e sanatori quasi tutti si tornaro a Roma: solo Cesare con sua milizia rimase all’assedio. E in quella stanza comandò a’ suoi che dovessero andare nella villa di Camarti presso al fiume d’Arno, e ivi edificassero parlatorio per potere in quello fare suo parlamento, e una sua memoria lasciarlo: questo edificio in nostro vulgare avemo chiamato [61] Parlagio. E fu fatto tondo e in volte molto maraviglioso, con piazza in mezzo, e poi cominciavano gradi da sedere tutto al torno; e poi di grado in grado sopra volte andavano allargandosi infino alla fine dell’altezza, ch’era alto più di sessanta braccia; e avea due porte: e in questo si raunava il popolo a fare parlamento, e di grado in grado sedeano le genti, al di sopra i più nobili, e poi digradando secondo la dignità delle genti; e era per modo, che tutti quelli del parlamentò si vedeano l’uno l’altro in viso, e udivasi chiaramente per tutti ciò che uno parlava e capeavi ad agio infinita moltitudine di genti: e ’l diritto nome era parlatorio. Questo fu poi guasto al tempo di Totile, ma ancora a’ nostri di si ritrovano i fondamenti, e parte delle [p. 52 modifica] volte presso alla chiesa di San Simone a Firenze, e infino al cominciamento della piazza di Santa Croce; e parte de’ palagi de’ Peruzzi vi sono su fondati, e la via ch’è detta Anguillaia che va a Santa Croce, va quasi per lo mezzo di quello Parlagio.

CAP. XXXVII

Come la città di Fiesole s'arrendè a' Romani e fu distrutta e guasta.

Stato l’assedio a Fiesole la detta seconda volta, e consumata e afflitta molto la cittade sì per fame, e sì perchè a loro furono tolti i condotti dell’acque e guasti, s’arrendè la città a Cesare e a’ Romani in capo di due anni e quattro mesi e sei dì che vi si pose l’assedio, a patti, chi ne volesse uscire fosse salvo. Presa la terra per li Romani fu spogliata d’ogni ricchezza, e per Cesare fu distrutta, e tutta infino a’ fondamenti abbattuta; e ciò fu intorno anni settantadue anzi la natività di Cristo.

CAP. XXXVIII

Come di primo fu edificata la città di Firenze.

Distrutta la città di Fiesole, Cesare con sua oste discese al piano presso alla riva del fiume d’Arno, là dove Fiorino con sua gente era stato morto da’ Fiesolani, e in quello luogo fece [p. 53 modifica] cominciare ad edificare una città, acciocchè Fiesole mai non si rifacesse, e rimandò i cavalieri latini, i quali avea seco, arricchiti delle ricchezze de Fiesolani; i quali Latini Tudertini erano appellati. Cesare adunque [62] compreso l’edificio della città, e messovi dentro due ville dette Camarti e villa Arnina, voleva quella appellare per suo nome Cesaria. Il senato di Roma sentendolo, non sofferse che per suo nome Cesare la nominasse; ma feciono decreto e ordinaro che quegli maggiori signori ch’erano stati alla guerra di Fiesole e all’assedio dovessono andare a fare edificare con Cesare insieme, e popolare la detta città, e qualunque di loro soprastesse al lavorio, cioè facesse più tosto il suo edificio, appellasse la cittade di suo nome, o come a lui piacesse. Allora Macrino, Albino, Gneo Pompeo, e Marzio apparecchiati di fornimenti e di maestri, vennero da Roma alla cittade che Cesare edificava, e [63] inviandosi con Cesare si divisono l’edificare in questo modo: che Albino prese a smaltare tutta la città, che fue uno nobile lavoro e bellezza e nettezza della cittade, e ancora oggi del detto smalto si trova, cavando, massimamente nel sesto di Santo Piero Scheraggio, e in porte San Piero, e in porte del Duomo ove mostra fosse l’antica città. Macrino fece fare il condotto dell’acqua in docce e in [64] arcora, faccendola venire di lungi alla città per sette miglia, acciocchè la città avesse abbondanza di buona acqua da bere, e per lavare la cittade; e questo condotto si mosse infino dal fiume detto la Marina a piè di Montemorello, ricogliendo in se tutte quelle fontane sopra Sesto, e Quinto, e [p. 54 modifica] Colonnata. E in Firenze faceano capo le dette fontane a uno grande palagio che si chiamava termine caput aquae, ma poi in nostro vulgare si chiamò Capaccia, e ancora oggi in Terma si vede dell’anticaglia. E nota che gli antichi per [65] santade usavano di bere acque di fontane menate per condotti, perchè erano più sottili e più sane che quelle de’ pozzi, perocchè pochi, o quasi pochissimi, beveano vino, ma i più acqua di condotto, ma non di pozzo; e pochissime vigne erano allora. Gneo Pompeo fece fare le mura della cittade di mattoni cotti, e sopra i muri della città edificò torri ritonde molto spesse per ispazio dall’una torre all’altra di venti cubiti, sicchè le torri erano di grande bellezza e fortezza. Del compreso e giro della città non troviamo cronica che ne faccia menzione; se non che quando Totile Flagellum Dei la distrusse, fanno le storie menzione ch’ell’era grandissima. Marzio l’altro signore romano fece fare il Campidoglio al modo di Roma, cioè palagio, ovvero la mastra fortezza della cittade, e quello fu di maravigliosa bellezza; nel quale l’acqua del fiume d’Arno per gora con cavate fogne venía e sotto volte, e in Arno sotterra si ritornava; e la cittade per ciascuna festa dello sgorgamento di quella gora era lavata. Questo Campidoglio fu ov’è oggi la piazza che si chiama Mercato vecchio di sopra alla chiesa che si chiama Santa Maria in Campidoglio: e questo pare più certo. Alcuni dicono che fu ove oggi si chiama il Guardingo di costa alla piazza ch’è oggi del popolo dal palazzo de’ Priori, la quale era un’altra fortezza. Guardingo fu poi nomato l’anticaglia [p. 55 modifica] de’ muri e volte che rimasono disfatte dopo la distruzione di Totile, e stavanvi poi le meretrici. I detti signori per avanzare l’uno l’edificio dell’altro, con molta sollecitudine si studiavano, ma in uno medesimo tempo per ciascuno fu compiuto; sicchè nullo di loro ebbe acquistata la grazia di nominare la città a sua volontà, sicchè per molti fu al cominciamento chiamata la piccola Roma. Altri l’appellavano Floria, perchè Fiorino fu ivi morto, che fu il primo edificatore di quello luogo, e fu in opera d’arme e in cavalleria fiore, e in quello luogo e campi intorno ove fu la città edificata sempre nasceano fiori e gigli. Poi la maggiore parte degli abitanti furono consenzienti di chiamarla Floria, siccome fosse in fiori edificata, cioè con molte delizie. E dicerto così fu, perocch’ella fu popolata della migliore gente di Roma, e de’ più sofficienti, mandati per li sanatori di ciascuno rione di Roma per rata, come toccò per sorte che l’abitassono; e accolsono con loro quelli Fiesolani che vi vollono dimorare e abitare. Ma poi per lungo uso del volgare fu nominata Fiorenza: ciò s’interpetra spada fiorita. E troviamo ch’ella fu edificata anni 682 dopo la edificazione di Roma, e anni 70 anzi la nativitade del nostro Signore Gesù Cristo. E nota, perchè i Fiorentini sono sempre in guerra e in dissensione tra loro, che non è da maravigliare, essendo stratti e nati di due popoli così contrarii e nemici e diversi di costumi, come furono gli nobili Romani virtudiosi, e’ Fiesolani ruddi e aspri di guerra. [p. 56 modifica]

CAP. XXXIX

Come Cesare si parti di Firenze e andonne a Roma, e fu fatto consolo per andare contro a Franceschi.

Dappoichè la città di Firenze fu fatta e popolata, Giulio Cesare irato perchè n’era stato il primo edificatore, e aveva avuta la vittoria della città di Fiesole, e non avea potuto nominare la cittade per suo nome, sì si parti di quella, e tornossi a Roma, e per suo studio e valore fu eletto consolo, e mandato contro a’ Franceschi, ove dimorò per dieci anni al conquisto di Francia, e d’Inghilterra, e d’Alamagna: e lui tornando con vittoria a Roma, gli fu vietato il trionfo, perchè aveva trapassato il decreto fatto per Pompeo consolo e’ sanatori per invidia, sotto colore d’onestà, che [66] nullo dovesse stare in [67] neuna balía più di cinque anni. Il qual Cesare colle sue milizie tornando con Oltramontani, Franceschi, e Tedeschi, Italiani, Pisani, Pirati, Pistolesi, e ancora con Fiorentini suoi cittadini, pedoni, e cavalieri, e [68] rombolatori menò seco a fare cittadinesche battaglie, perchè gli fu vietato il trionfo; ma più per essere signore di Roma, come lungo tempo avea desiderato, contro a Pompeo e il senato di Roma combattéo. E dopo la grande battaglia tra Cesare e Pompeo, quasi tutti morti furo in Emathia, cioè Tessaglia in Grecia, come pienamente si legge per Lucano poeta, chi le storie vorra trovare. E Cesare avuta la vittoria di [p. 57 modifica] Pompeo e di molti re e popoli ch’erano in aiuto de’ Romani che gli erano nimici, si tornò a Roma, e si si fece primo imperadore di Roma, che tanto viene a dire come comandatore sopra tutti. E appresso lui fu Ottaviano Augusto suo nipote e figliuolo adottivo, il quale regnava quando Cristo nacque, e dopo molte vittorie signoreggiò tutto il mondo in pace; e d’allora innanzi fu Roma a signoria d’imperio, e tenne sotto la sua giurizione e dello imperio tutto l’universo mondo.

CAP. XL

Come i Romani e gl'imperadori ebbono insegna, e come da loro l'ebbe la città di Firenze, e altre cittadi.

Al tempo di Numa Pompilio, per divino miracolo cadde in Roma da cielo uno scudo vermiglio, per la qual cosa e agurio i Romani presono quella insegna e arme, e poi v’aggiunsero S. P. Q. R. in lettere d’oro, cioè, Senato del popolo di Roma: e così dell’origine della loro insegna diedono a tutte le città edificate per loro, cioè vermiglia. Così a Perugia, e a Firenze, e a Pisa; ma i Fiorentini per lo nome di Fiorino e della città v’aggiunsono per [69] intrassegna il giglio bianco, e’ Perugini talora il grifone bianco, e Viterbo il campo rosso, e gli Orbietani l’aquila bianca. Bene è vero ch’e’ signori romani, consoli e dittatori, dappoichè l’[70] aguglia per agurio apparve sopra Tarpea, cioè sopra la camera del tesoro di Campidoglio, come Tito Livio fa [p. 58 modifica] menzione, si presono l’arme in loro insegne ad aquila; e troviamo che ’l consolo Mario nella battaglia de’ Cimbri ebbe le sue insegne coll’aquila d’argento, e simile insegna portava Catellina quando fu sconfitto da Antonio nelle parti di Pistoia, come recita Sallustio. E ’l grande Pompeo la portò il campo azzurro e l’aquila d’argento; e Giulio Cesare la portò il campo vermiglio e l’aquila ad oro, come fa menzione Lucano in versi, dicendo:

Signa pares aquilas, et pila minantia pilis.

Ma poi Ottaviano Augusto suo nipote e successore imperadore, la mutò, e portò il campo ad oro, e l’aquila naturale di colore nero a similitudine della signoria dello imperio, che come l’aquila è sovra ogni uccello, e vede chiaro più ch’altro animale, e vola infino al cielo dell’emisperio del fuoco, così lo ’mperio dee essere sopra ogni signoria temporale. E appresso Ottaviano tutti gli imperadori de’ Romani l’hanno per simile modo portata; ma Costantino, e poi gli altri imperadori de’ Greci ritennono la insegna di Giulio Cesare, cioè il campo vermiglio e l’aquila ad oro, ma con due capi. Lasceremo delle insegne del comune di Roma e degl’imperadori, e torneremo a nostra materia sopra i fatti della città di Firenze. [p. 59 modifica]

CAP. XLI

Come la città di Firenze fu camera de' Romani e dello imperio.

La città di Firenze in quello tempo era camera d’imperio, e come figliuola e fattura di Roma in tutte le cose, e da’ Ramani abitata, e però de’ propri fatti di Firenze a quelli tempi non troviamo cronica nè altre storie che ne facciano grande memoria. E di ciò non è da maravigliare, perocch’e’ Fiorentini erano sudditi e [71] una co’ Romani, e per Romani si trattavano per lo universo mondo, e come i Romani andavano ne’ loro eserciti e nelle battaglie. E troviamo nelle storie di Giulio Cesare, nel secondo libro di Lucano, quando Cesare assediò Pompeo nella città di Brandizio in Puglia, uno de’ baroni e signori della città di Firenze ch’avea nome Lucere, era in compagnia di Cesare, e fue alla battaglia delle navi alla bocca del porto di Brandizio, valente uomo d’arme e virtudioso; e molti altri Fiorentini furono in quello esercito e battaglie con Cesare e di sua parte; perocchè quando fue discordia da Giulio Cesare a Pompeo e del senato di Roma, quelli della città di Firenze e d’intorno al fiume d’Arno tennero la parte di Cesare. E di ciò fa menzione Lucano nel detto libro ove dice in versi:

Vulturnusque celer, nocturnaeque editor aurae
Sarnus, et umbrosae Lyris per regna Maricae.

E così dimorarono i Fiorentini mentre ch’e’ Romani ebbono stato e signoria. Bene si truova per [p. 60 modifica] alcuno scritto, che uno Uberto Cesare, soprannominato per Giulio Cesare, che fu figliuolo di Catellina, rimaso in Fiesole picciolo garzone dopo la sua morte, egli poi per Giulio Cesare fue fatto grande cittadino di Firenze, e avendo molti figliuoli, egli e poi la sua schiatta furono signori della terra gran tempo, e di loro discendenti furono grandi signori e grandi schiatte in Firenze, e che gli Uberti fossero di quella progenie si dice: questo non troviamo per autentica cronica che per noi si pruovi.

CAP. XLII

Come in Firenze fu fatto il tempio di Marti, il quale oggi si chiama il Duomo di san Giovanni.

Dappoi che Cesare, e Pompeo, e Macrino, e Albino, e Marzio prencipi de’ Romani edificatori della nuova città di Firenze si tornarono a Roma, compiuti i loro lavori, la città cominciò a crescere e moltiplicare di Romani e di Fiesolani insieme, che rimasono all’abitazione di quella; e in poco tempo si fece buona città secondo il tempo d’allora, che gl’imperadori e ’l senato di Roma l’avanzavano a loro podere, quasi come un’altra piccola Roma. I cittadini di quella essendo in buono stato, ordinaro di fare nella detta cittade uno tempio maraviglioso all’onore dell’Iddio Marti, per la vittoria ch’e’ Romani avieno avuta della città di Fiesole, e mandaro al senato di Roma che mandasse loro gli migliori e più sottili maestri che fossono in Roma, e così fu fatto. E [p. 61 modifica] feciono venire marmi bianchi e neri, e colonne di più parti di lungi per mare e poi per Arno; feciono conducere e macigni e colonne da Fiesole, e fondaro e edificaro il detto tempio nel luogo che si chiamava Camarti anticamente, e dove i Fiesolani faceano loro mercato, Molto nobile e bello il feciono a otto facce, e quello fatto con grande diligenzia, il consecraro allo Iddio Marti, il quale era Iddio de’ Romani, e fecionlo figurare in intaglio di marmo in forma d’uno cavaliere armato a cavallo; il puosono sopra una colonna di marmo in mezzo di quello tempio, e quello tennero con grande reverenza e adoraro per loro Iddio mentre che fu il paganesimo in Firenze. E troviamo che il detto tempio fu cominciato al tempo che regnava Ottaviano Augusto, e che fu edificato sotto ascendente di sì fatta costellazione, che non verrà meno quasi in eterno: e così si truova scritto in certa parte, e intagliato nello spazio del detto tempio.

CAP. XLIII

Racconta del sito della provincia di Toscana.

Quando per noi s’è detto della prima edificazione della città di Firenze e di quella di Pistoia, si è convenevole e di necessità che si dica dell’altre città vicine di Toscana quello che n’avemo trovato per le croniche di loro principii e cominciamenti brievemente, per tornare poi a nostra materia. Narreremo in prima del sito della provincia di Toscana. Toscana comincia dalla parte [p. 62 modifica] di levante al fiume del Tevere, il quale si muove nell’alpi di Pennino della montagna chiamata Falterona, e discende per la contrada di Massa Tribara, e dal Borgo san Sepolcro, e poi la Città di Castello, e poi sotto la città di Perugia, e poi appresso di Todi, stendendosi per terra di Sabina e di Roma, e ricogliendo in se molti fiumi, entra per la città di Roma infino in mare ove fa foce di costa alla città di Ostia presso a Roma a venti miglia; e la parte di quà dal fiume, che si chiama Trastibero, e il portico di san Pietro di Roma è della provincia di Toscana. E dalla parte del mezzogiorno si ha Toscana il mare detto Terreno che colle sue rive batte la contrada di Maremma, e Piombino, e Pisa, e per lo contado di Lucca e di Luni infino alla foce del fiume della Magra, che mette in mare alla punta della montagna del Corbo di là da Luni e di Serrezzano dalla parte di ponente. E discende il detto fiume della Magra delle montagne di Pennino di sopra a Pontremoli, tra la riviera di Genova e ’l contado di Piacenza in Lombardia, nelle terre de’ marchesi Malaspina. Il quarto confine di Toscana di verso settentrione sono le dette Alpi Appennine, le quali confinano e partono la provincia di Toscana da Lombardia e Bologna e parte di Romagna; e gira la detta provincia di Toscana settecento miglia. Questa provincia di Toscana ha più fiumi: intra gli altri reale e maggiore si è il nostro fiume d’Arno, il quale nasce di quella medesima montagna di Falterona che nasce il fiume del Tevere che va a Roma; e questo fiume d’Arno corre quasi per lo mezzo di Toscana, scendendo per le montagne [p. 63 modifica] della Vernia, ove il beato santo Francesco fece sua penitenzia e romitaggio, e poi passa per la contrada di Casentino presso a Bibbiena e a piè di Poppi, e poi si rivolge verso levante, vegnendo presso alla città d’Arezzo a tre miglia, e poi corre per lo nostro Valdarno di sopra, scendendo per lo nostro piano, e quasi passa per lo mezzo della nostra città di Firenze. E poi uscito per corso del nostro piano, passa tra Montelupo e Capraia presso a Empoli per la contrada di Greti e di Valdarno di sotto a piè di Fucecchio, e poi per lo contado di Lucca e di Pisa, raccogliendo in se molti fiumi, passando poi quasi per mezzo la città di Pisa ove assai è grosso, sicchè porta galee e grossi legni; e presso di Pisa a cinque miglia mette in mare, e ’l suo corso è di spazio di miglia cento venti. E del detto fiume d’Arno le antiche storie fanno menzione: Virgilio nel libro VII. dell’Eneide parlando della gente che fu in aiuto al re Turno incontra Enea di Troia con questi versi:

Sarrastes populos, et quae rigat aequora Sarnus:

e Paolo Orosio raccontando in sue storie del fiume d’Arno, disse, che quando Annibale di Cartagine tornando di Spagna in Italia passò le montagne d’Appennino, vegnendo sopra i Romani, ove si combatteo in sul lago di Perugia col valente consolo Flaminio da cui fu sconfitto, in quel luogo dice, che passando Annibale l’Alpi appennine, per la grande freddura che v’ebbe, discendendo poi in su i paduli del fiume d’Arno sì perdè tutti gli suoi [72] leofanti, che non ne gli rimase se non uno solo, e la maggiore parte de’ suoi cavalli e bestie vi morirono; ed egli medesimo per la detta [p. 64 modifica] cagione vi perdè uno de’ suoi occhi del capo. Questo Annibale mostra per nostro arbitrare, ch’egli scendesse l’Alpi tra Modona e Pistoia, e paduli fossono per lo fiume d’Arno da piè di Firenze infino di là da Signa: e questo si prova, che anticamente tra Signa e Montelupo nel mezzo del corso del fiume d’Arno, ove si ristrigne in piccolo spazio tra rocce di montagne, aveva una grandissima pietra che si chiamava e chiama Golfolina, la quale per sua grandezza e altezza comprendeva tutto il corso del fiume d’Arno per modo, che ’l facea ringorgare infino assai presso ov’è oggi la città di Firenze, e per lo detto ringorgamento si spandea l’acqua del fiume d’Arno, e d’Ombrone, e di Bisenzio per lo piano sotto Signa, e di Settimo, e di Prato, e di Micciole, e di Campi, infino presso appiè de’monti, faccendo paduli. Ma e’ si truova, e per evidente sperienza si vede, che la detta pietra Golfolina maestri con per picconi e scarpelli per forza fu tagliata e dibassata per modo, che ’l corso del fiume d’Arno calò e dibassò sì che i detti paduli scemaro, e rimase terra [73] guadagnabile. Bene racconta Tito Livio quasi per simili parole, dicendo, che ’l passo, e dove s’accampò Annibale, fu tra la città di Fiesole e quella d’Arezzo. Avvisiamo che passasse l’Alpi Appennine per la contrada di Casentino, e paduli poteano simile essere tra l’Ancisa e ’l piano di Fegghine, e potea essere o nell’uno luogo o nell’altro, perocchè anticamente il fiume d’Arno avea in più luogora rattenute e paduli; ma dove che si fosse, assai avemo detto sopra il nostro fiume d’Arno, per trarre d’ignoranza [p. 65 modifica] e fare avvisati i presenti moderni di nostra città, e gli strani che sono e saranno. Lasceremo di ciò, e diremo in brieve della potenza che anticamente avea la nostra provincia di Toscana, che si confà alla nostra materia.

CAP. XLIV

Della potenzia e signoria ch'avea la provincia di Toscana innanzi che Roma avesse stato.

Dappoichè avemo detto del sito e confini della nostra provincia di Toscana, sì ne pare convenevole di dire in brieve dello stato e signoria che Toscana avea anzi che Roma avesse podere. La provincia di Toscana innanzi al detto tempo fu di grande potenzia e signoria; e non solamente lo re di Toscana chiamato Porcena, che facea capo del suo reame nella città di Chiusi, il quale col re Tarquinio assediò Roma, era signore della provincia di Toscana, ma [74] le sue confine, dette colonne, erano infino alla città d’Adria in Romagna in sul golfo del mare di Vinegia, per lo cui nome anticamente quello mare è detto seno Adriatico; e nelle parti di Lombardia erano i suoi confini e colonne di Toscana infino di là dal fiume di Po e del Tesino, infino al tempo di Tarquinio Prisco re de’ Romani, che la gente de’ Galli, detti oggi Franceschi, e quella de’ Germani, detti oggi Tedeschi, di prima passaro in Italia per guida e condotto d’un Italiano della città di Chiusi, il quale passò i monti per ambasciadore, per fare commuovere gli oltramontani contro a’ Romani, e [p. 66 modifica] portò seco del vino, il quale [75] dagli oltramontani non era in uso, nè conosciuto per bere, perocchè di là non avea avuto mai vino nè vigna; il quale vino per li signori di là assaggiato, parve loro molto buono; e intra le altre cagioni, con altre grandi impromesse, quella della ghiottornia del buono vino gl’indusse a passare i monti, udendo come Italia era [76] piantadosa di vino, e larga d’ogni bene e [77] vittuaglia. E indussegli ancora il passare di quà, che per lo loro buono stato erano sì cresciuti e multiplicati di gente, che appena vi poteano capere. Per la qual cosa passando i monti in Italia i Galli e’ Germani, de’ primi furono Brenno e Bellino, i quali guastarono gran parte di Lombardia e del nostro paese di Toscana, e poi assediaro la città di Roma e [78] presonla infino al Campidoglio, con tutto che innanzi si partissono furono sconfitti in Toscana dal buono Cammillo ribello di Roma, siccome Tito Livio in sue storie fa menzione. E poi più altri signori Gallici, e Germani, e Goti d’altre nazioni barbare passaro in Italia di tempi in tempi, faccendo in Lombardia e in Toscana grandi battaglie co’ Romani, come si trovano ordinatamente per le storie che scrisse il detto Tito Livio maestro di storie. Lasceremo della detta materia, e diremo i nomi delle città e vescovadi della nostra provincia di Toscana. [p. 67 modifica]

CAP. XLV

Questi sono i vescovadi delle città di Toscana.

La chiesa e sedia di San Piero di Roma la quale è di quà dal fiume del Tevere in Toscana, il vescovado di Fiesole, la città di Firenze, la città di Pisa la quale è arcivescovado per grazia, come in questo fia menzione; la città di Lucca il vescovado dell’antica città di Luni, la città di Pistoia, la città d’Arezzo, la città di Perugia, la città di Castello, la città di Volterra, la città di Massa, la città di Grosseto, il vescovado di Soana in Maremma, la città antica di Chiusi, la Città d’Orbivieto, il vescovado di Bagnoregio, la città di Viterbo, la città di Toscanella, il vescovado di Castri, la città di Nepi, l’antichissima città di Sutri, la città d’Arti, il vescovado di Civitatensi. Avendo detto i nomi di venticinque vescovadi e città di Toscana, diremo in ispezialità del cominciamento e origine d’alquante di quelle città famose a’ nostri tempi onde sapremo il vero per antiche storie e croniche, tornando poi a nostra materia.

CAP. XLVI

Della città di Perugia.

La città di Perugia fu assai antica, e secondo che raccontano le loro croniche, ella fu da’ Romani edificata in questo modo: che tornando uno [p. 68 modifica] oste de’ Romani d’Alamagna, perch’avea il loro consolo chiamato Persus dimorato al conquisto più tempo che non diceva il decreto de’ Romani, si furono sbanditi e divietati che non tornassono a Roma, sicchè rimasono in quello luogo ov’è l’uno corno della città di Perugia, siccome esiliati e nemici del comune. Poi gli Romani mandarono sopra loro una oste, i quali si puosono di contro a loro in sull’altro corno per guerreggiarli siccome ribelli del comune di Roma; ma ivi stati più tempo, e riconosciuti insieme, si pacificaro l’uno oste e l’altra, e per lo buono sito rimasono abitanti in quello luogo. Poi di due luoghi feciono la città di Perugia, e per lo nome del primo consolo che ivi si puose, fu così nominata. Poi pacificatisi co’ Romani, furono contenti della città di Perugia, e favoreggiarla assai e diedonle stato, quasi per tenere sotto loro giuridizione le città di quella contrada. Poi Totile Flagellum Dei la distrusse, come fece Firenze e più altre città d’Italia, e fece marterizzare Santo Ercolano vescovo della detta città.

CAP. XLVII

Della città d’Arezzo.

La città d’Arezzo prima ebbe nome Aurelia, e fu grande città e nobile, e in Aurelia furono anticamente fatti per sottilissimi maestri vasi rossi con diversi intagli di tutte forme di sottile intaglio,che veggendogli parevano impossibili a essere opera umana, e ancora se ne truovano. E di certo [p. 69 modifica] ancora si dice, che ’l sito e l’aria d’Arezzo genera sottilissimi uomini. La detta città d’Aurelia fu anche distrutta per lo detto Totile, e fecela arare e seminare di sale, e d’allora innanzi fu chiamata Arezzo, cioè città arata.

CAP. XLVIII

Della città di Pisa.

La città di Pisa fu prima chiamata Alfea. Troviamo mandò aiuto ad Enea contro a Turno, e ciò dice Virgilio nel sesto libro dell’Eneide; ma poi ella fu porto dello ’mperio de’ Romani dove s’adduceano per mare tutti gli tributi e censi che li re e tutte le nazioni e paesi del mondo ch’erano sottoposti a’ Romani, rendeano allo ’mperio di Roma, e là si pesavano, e poi si portavano a Roma; e perocchè il primo luogo ove si pesava non era sufficiente a tanto strepito, vi si feciono due luoghi ove si pesava, e però si declina il nome di Pisa in grammatica: pluraliter, nominativo hae Pisae: e così per l’uso del porto e detti pesi, genti vi s’accolsono ad abitare, e crebbono e edificaro la città di Pisa poi ad assai tempo dopo l’avvenimento di Cristo, con tutto che prima per lo modo detto era per molte genti abitata, ma non come città murata. [p. 70 modifica]

CAP. XLIX

Della città di Lucca.

La città di Lucca ebbe in prima nome Fridia, e chi dice Aringa; ma perchè prima si convertì alla vera fede di Cristo che città di Toscana, e prima ricevette vescovo, ciò fu Santo Fridiano, che per miracolo di Dio rivolse il Serchio, fiume presso alla detta città, e diegli termine, che prima era molto pericoloso, e guastava la contrada, e per lo detto Santo prima fu luce di Fede, si fu rimosso il primo nome e chiamata Luce, e oggi per lo corrotto vulgare si chiama Lucca. E truovasi che il detto beato Fridiano veguendo da Lucca a Firenze in pellegrinaggio per visitare la chiesa ov’è il corpo di Santo Miniato a monte, non potendo entrare in Firenze perchè ancora erano pagani, e trovando il fiume d’Arno molto grosso per grandi piove, si mise a passare in su una piccola navicella contro al volere del barcaiuolo, e per miracolo di Dio passò liberamente e tosto, come l’Arno fosse piccolo, e colà dove arrivò, fu poi per li cattolici fiorentini fatta la chiesa di Santo Fridiano per sua levozione.

CAP. L

Della città di Luni.

La città di Luni la quale è oggi disfatta, fu molto antica, e secondo che troviamo nelle storie [p. 71 modifica] di Troia, della città di Luni v’ebbe navilio e genti all’aiuto de’ Greci contra gli Troiani: poi fu disfatta per gente oltramontana per cagione d’una donna moglie d’uno signore, che andando a Roma, in quella città fu corrotta d’[79] avoltero; onde tornando il detto signore con forza la distrusse, e oggi è diserta la contrada e mal sana. E nota che le marine anticamente erano molto abitate, e quasi infra terra poche città avea e pochi abitanti, ma in Maremma e in Maretima verso Roma alla marina di Campagna avea molte città e molti popoli, che oggi sono consumati e venuti a niente per corruzione d’aria: che vi fu la grande città di Populonia, e Soana, e Talamone, e Grosseto, e Civitaveglia, e Mascona, e Lansedonia che furono colla loro forza all’assedio di Troia; e in Campagna, Baia, Pompeia, Cumina, e Laurenza, e Albania. E la cagione perchè oggi sono quelle terre della marina quasi disabitate e inferme, e eziandio Roma peggiorata, dicono gli grandi maestri di stronomia che ciò è per lo moto della ottava spera del cielo, che in ogni cento anni si muta uno grado verso il polo di settentrione, cioè tramontana, e così farà infino a quindici gradi in 1500 anni, e poi tornerà addietro per simile modo, se fia piacere di Dio che ’l mondo duri tanto; e per la detta mutazione del cielo è mutata la qualità della terra e dell’aria, e dove era abitata e sana, è oggi disabitata e inferma, et e converso. Ed oltre a ciò naturalmente veggiamo che tutte le cose del mondo hanno mutazione, e vegnono e veranno meno, come Cristo di sua bocca disse, che neuna cosa ci ha stato fermo. [p. 72 modifica]

CAP. LI

Della città di Viterbo.

La città di Viterbo fu fatta per li Romani, e anticamente fu chiamata Vegezia, e’ cittadini Vegentini. E gli Romani vi mandavano gl’infermi per cagione de’ bagni ch’escono del [80] bulicame, e però fu chiamata Vita Erbo, cioè, vita agl’infermi, ovvero città di vita.

CAP. LII

Della città d’Orbivieto.

La città d’Orbivieto si fu simile fatta per li Romani, e Urbs Veterum ebbe nome, cioè a dire città de’ vecchi; perchè gli uomini vecchi di Roma v’erano mandati a stare per miglior aria ch’a Roma per mantenere loro santade, e per lo lungo uso e buono sito ve ne ristettono assai ad abitarla, e popolarla di gente.

CAP. LIII

Della città di Cortona.

La città di Cortona fu antichissima, fatta al tempo di Giano e de’ primi abitanti d’Italia; e Turno che si combattè con Enea per Lavina fu re di quella, come detto è dinanzi, e per lo suo nome prima ebbe nome Turna. [p. 73 modifica]

CAP. LIV

Della città di Chiusi

La città di Chiusi simile fu antichissima e potentissima, fatta ne’ detti tempi, e assai prima che Roma, e funne signore e re Porcena, che col re Tarquinio scacciato di Roma fu ad assediare Roma, come racconta Tito Livio.

CAP. LV

Della città di Volterra.

La città di Volterra prima fu chiamata Antonia, e fu molto antica, fatta per li discendenti d’Italo, e secondo che si leggono i ramanzi, indi fu il buono Buovo d’Antonia.

CAP. LVI

Della città di Siena.

La città di Siena è assai nuova città, ch’ella fu cominciata intorno agli anni di Cristo 670, quando Carlo Martello padre del re Pipino di Francia co’ Franceschi andavano nel regno di Puglia in servigio di Santa chiesa a contastare una gente che si chiamavano i Longobardi, pagani, e eretici, e arriani, onde era loro re Grimaldo di Morona, e facea suo capo in Benevento, e perseguitava gli Romani e Santa chiesa. E trovandosi la [p. 74 modifica] detta oste de’ Franceschi e altri oltramontani ov’è oggi Siena, si lasciaro in quello luogo tutti gli vecchi e quelli che non erano bene sani, e che non poteano portare arme, per non menarglisi dietro in Puglia: e quelli rimasi in riposo nel detto luogo, vi si cominciaro ad abitare, e fecionvi due [81] residii a modo di castella, ove è oggi il più alto della città di Siena, per istare più al sicuro; e l’uno abitacolo e l’altro era chiamato Sena, derivando di quelli che v’erano rimasi per vecchiezza. Poi crescendo gli abitanti, si raccomunò l’uno luogo e l’altro, e però secondo grammatica si declina in plurali: pluraliter, nominativo hae Senae. E dappoi a più tempo crescendo, in Siena ebbe una grande e ricca albergatrice chiamata madonna Veglia. Albergando in suo albergo uno grande Legato cardinale che tornava delle parti di Francia alla corte a Roma, la detta donna gli fece grande onore, e non gli lasciò pagare nulla [82] spensaria. Il Legato ricevuta cortesia, la domandò se in corte volesse alcuna grazia. Richieselo la donna divotamente, che per lo suo amore procurasse che Siena avesse vescovado: promisele di farne suo podere, e consigliolla che facesse che ’l comune di Siena facesse ambasciadori, e mandasse al papa a procurarlo: e così fu fatto. Il Legato sollecitando, il papa udì la petizione, e diede vescovo a’ Sanesi, e il primo fu messer Gualteramo. E per dotare il vescovado, si tolse una pieve al vescovado d’Arezzo, e una a quello di Perugia, e una a quello di Chiusi, e una a quello di Volterra, e una a quello di Grosseto, e una a quello di Massa, e una a quello [p. 75 modifica] d’Orbivieto, e una a quello di Firenze, e una a quello di Fiesole; e così ebbe Siena vescovado, e fu chiamata città: e per lo nome e onore della detta madonna Veglia, per cui fu prima promossa e domandata la grazia, si fu sempre soprannomata Siena la Veglia.

CAP. LVII

Torna la storia a' fatti della città di Firenze, e come Santo Miniato vi fu martorizzato per Decio imperadore.

Dappoichè brievemente avemo fatta alcuna menzione delle nostre città vicine di Toscana, torneremo a nostra materia a raccontare della nostra città di Firenze: e siccome innarrammo dinanzi, la detta città si resse grande tempo a governo e signoria degl’imperadori di Roma, e spesso venieno gl’imperadori a soggiornare in Firenze quando passavano in Lombardia, e nella Magna, e in Francia al conquisto delle province. E troviamo che Decio imperadore l’anno suo primo, ciò fu gli anni di Cristo 270, essendo in Firenze siccome camera d’imperio, dimorandovi a suo diletto, e il detto Decio perseguitando duramente i cristiani dovunque gli sentiva e trovava, udì dire come il beato santo Miniato eremita abitava presso a Firenze con suoi discepoli e compagni, in una selva che si chiamava Arisbotto fiorentina, di dietro là dove è oggi la sua chiesa sopra la città di Firenze. Questo beato Miniato fu figliuolo del re d’Erminia primogenito, e [p. 76 modifica] lasciato il suo reame per la fede di Cristo per fare penitenza e dilungarsi dal suo regno, passò di quà da mare al perdono a Roma, e poi si ridusse nella detta selva, la quale allora era salvatica e solitaria, perocchè la città di Firenze non si stendea nè era abitata di là dall’Arno, ma era tutta di quà, salvo che uno solo ponte v’avea sopra l’Arno, non però dove sono oggi, ma si dice per molti ch’era l’antico ponte de’ Fiesolani, il quale era da Girone a Candegghi: e quella era l’antica e diritta strada e cammino da Roma a Fiesole, e per andare in Lombardia e di là da’ monti. Il detto Decio imperadore fece prendere il detto beato Miniato, come racconta la sua storia: grandi doni e profferte gli fece fare siccome a figliuolo di re, acciocchè rinnegasse Cristo; ed egli costante e fermo nella fede, non volle suoi doni, ma sofferse diversi martirii: alla fine il detto Decio gli fece tagliare la testa ove è oggi la chiesa di Santa Candida alla croce al Gorgo, e più fedeli di Cristo ricevettono martirio in quello luogo. E tagliata la testa del beato Miniato, per miracolo di Cristo colle sue mani la ridusse al suo imbusto, e co’ suoi piedi andò e valicò l’Arno, e salì in sul poggio dov’è oggi la chiesa sua, che allora v’avea uno piccolo oratorio in nome del beato Piero Apostolo, dove molti corpi di santi martiri furono soppelliti e in quello luogo Santo Miniato venuto, rendè l’anima a Cristo, e il suo corpo per li cristiani nascosamente fu ivi soppellito; il quale luogo per li meriti del beato Santo Miniato, da’ Fiorentini, dappoichè furono divenuti cristiani, fu divotamente venerato, e [p. 77 modifica] fattavi una picciola chiesa al suo onore. Ma la grande e nobile chiesa de’ marmi che v’è oggi a’ nostri tempi, troviamo che fu poi fatta per lo procaccio del venerabile padre messer Alibrando vescovo e cittadino di Firenze nelli anni di Cristo 1013, cominciata a dì 26 del mese d’Aprile per comandamento ed autorità del cattolico e santo imperadore Arrigo secondo di Baviera, e della sua moglie imperatrice santa Gunegonda che in quelli tempi regnava,e diedono e dotarono la detta chiesa di molte ricche possessioni in Firenze e nel contado per l’anime loro, e feciono reparare e reedificare la detta chiesa, siccome è ora, di marmi; e feciono traslatare il corpo del beato Miniato nell’altare il quale è sotto le volte della detta chiesa con molta reverenza e solennità fatta per lo detto vescovo e chericato di Firenze, con tutto il popolo uomini e donne della città di Firenze; ma poi per lo comune di Firenze si compiè la detta chiesa, e si feciono le scalee de’ macigni giù per la costa, e ordinaro sopra la detta opera di Santo Miniato i consoli dell’arte di Calimala, e che l’avessono in guardia.

CAP. LVIII

Come santo Cresci e' suoi compagni furono martirizzati nel contado di Firenze.

Ancora in quelli tempi di Decio imperadore, dimorando il detto Decio in Firenze, fece perseguitare il beato Cresci con suoi compagni e discepoli, il quale fu delle parti di Germania [p. 78 modifica] gentile uomo, e faceva penitenza con santo Miniato, prima nella selva Arisbotto detta di sopra, e poi in quelle selve di Mugello ov’è oggi la sua chiesa, cioè san Cresci a Valcava; e in quello luogo egli co’ suoi seguaci da’ ministri di Decio furono martirizzati. Avemo raccontate le storie di questi due santi, acciocchè s’abbiano in reverenza e in memoria a’ Fiorentini, siccome per la fede di Cristo in questa nostra contrada furono martirizzati, e sono i loro santi corpi. Bene troviamo noi per più antiche croniche, che al tempo di Nerone imperadore nella nostra città di Firenze e nella contrada, prima fu recata da Roma la verace fede di Cristo per Frontino e Paolino discepoli di san Piero, ma ciò fu tacitamente e in pochi fedeli, per paura de’ vicari e proposti degl’imperadori ch’erano idolatri, e perseguivano li cristiani dovunque gli trovavano: e così dimoraro infino al tempo di Costantino imperadore e di santo Silvestro papa.

CAP. LIX

Di Costantino imperadore e de' suoi discendenti, e le mutazioni che ne furono in Italia.

Troviamo che la nostra città di Firenze si resse sotto la guardia dello imperio de’ Romani intorno di 350 anni, dappoichè prima fu fondata, tenendo legge pagana e coltivando gl’idoli, contuttochè assai v’avesse de’ cristiani per lo modo ch’è detto, ma dimoravano nascosi in diversi [p. 79 modifica] romitaggi e caverne di fuori dalla città, e quelli ch’erano dentro non si palesavano cristiani per la tema delle persecuzioni che gl’imperadori di Roma, e de’ loro vicari e ministri facevano a’ cristiani, infino al tempo del grande Costantino figliuolo di Costantino imperadore, e d’Elena sua moglie figliuola del re di Brettagna, il quale fu il primo imperadore cristiano, e [83] adotò la Chiesa di tutto lo ’mperio di Roma, e diede libertà a’ cristiani al tempo del beato Silvestro papa, il quale il battezzò e fece cristiano, mondandolo della lebbra per virtù di Cristo: e ciò fu negli anni di Cristo intorno 320. Il detto Costantino fece fare in Roma molte chiese all’onore di Cristo, e abbattuti tutti gli templi del paganesimo e degl’idoli, e riformata la Santa chiesa in sua libertà e signoria: e ripreso il temporale dello ’mperio della Chiesa sotto certo censo e ordine, se ne andò in Costantinopoli, e per suo nome così la fece nominare, che prima avea nome Bisanzia, e misela in grande stato e signoria: e di là fece sua sedia, lasciando di quà nello ’mperio di Roma suoi [84] patrici, ovvero censori, cioè vicari, che difendeano e combatteano per Roma e per lo ’mperio. Dopo il detto Costantino, che regnò più di trent’anni tra nello ’mperio di Roma e in quello di Costantinopoli, e’ rimasono di lui tre figliuoli Costantino, e Costanzo, e Costante, i quali tra loro ebbono guerra e dissensione, e l’uno di loro era cristiano, ciò fue Costantino, e l’altro eretico, ciò fue Costanzo, e perseguitò i cristiani d’una resia che si cominciò in Costantinopoli per uno chiamato Arrio, la quale per lo suo nome si [p. 80 modifica] chiamò Arriana, e molto errore sparse per tutto il mondo e nella chiesa di Dio. Questi figliuoli di Costantino per la loro dissensione guastarono molto lo ’mperio di Roma e quasi abbandonaro, e d’allora innanzi sempre parve che andasse al dichino e scemando la sua signoria: e cominciaro ad essere due e tre imperadori a una volta, e chi signoreggiava in Costantinopoli, chi lo ’mperio di Roma, e tale era cristiano, e tale eretico arriano, perseguitando i cristiani e la chiesa: e durò molto tempo, e tutta Italia ne fu maculata. Degli altri imperadori passati, e di quelli che furono poi, non facciamo ordinata memoria, se non di coloro che pertengono a nostra materia; ma chi per ordine li vorrà trovare, legga [85] la Cronica martiniana, e in quella gl’imperadori e gli papi che furono per li tempi troverà ordinatamente.

CAP. LX

Come la fede cristiana fu prima nella città di Firenze.

Nel tempo che ’l detto grande Costantino si fece cristiano, e diede signoria e libertà alla Chiesa, e Santo Silvestro papa regnò nel papato palese in Roma, si sparse per Toscana e per tutta Italia, e poi per tutto il mondo la vera fede e credenza di Gesù Cristo. E nella nostra città di Firenze si cominciò a coltivare la verace fede, e abbattere il paganesimo al tempo di ......... che ne fu voscovo in Firenze fatto per papa Silvestro; e del bello e nobile tempio de’ Fiorentini, onde [p. 81 modifica] è fatta menzione addietro, i Fiorentini levaro il loro idolo il quale appellavano lo Iddio Marti, e puosonlo in su un’alta torre presso al fiume d’Arno, e nol vollono rompere nè spezzare, perocchè per loro antiche memorie trovavano, che il detto idolo di Marti era consegrato sotto ascendente di tale pianeta, che come fosse rotto e commosso in vile luogo, la città avrebbe pericolo e danno, e grande mutazione. E contuttochè i Fiorentini [86] di nuovo fossono divenuti cristiani, ancora teneano molti costumi del paganesimo, e tennero gran tempo, e temeano forte il loro antico idolo di Marti: si erano ancora poco perfetti nella santa fede. E ciò fatto, il detto loro tempio consecraro all’onore d’Iddio e del beato santo Giovanni Battista, e chiamarlo duomo di santo Giovanni: e ordinaro che si celebrasse la festa il dì della sua nativitade con solenni oblazioni, e che si corresse uno [87] palio di sciamito, e sempre per usanza s’è fatto in quello giorno per gli Fiorentini. E feciono fare le fonti del battesimo in mezzo del tempio ove si battezzavano le genti e’ fanciulli, e fanno ancora: e ’l giorno di sabato santo che si benedice nelle dette fonti l’acqua del battesimo e fuoco, ordinaro che si spandesse il detto fuoco santo per la città a modo che si faceva in Gerusalemme, che per ciascuna casa v’andasse uno con una facellina ad accendere. E di quella solennità venne la dignità che hanno la casa de’ Pazzi della grande facellina, intorno fa di 170 anni dal 1300 addietro, per uno loro antico nomato Pazzo, forte e grande della persona, che portava la maggiore facellina che niuno altro, ed era il [p. 82 modifica] primo che prendea il fuoco santo, e poi gli altri da lui. Il detto duomo si crebbe, poichè fue consecrato a Cristo, ov’è oggi il coro e l’altare del beato Giovanni; ma al tempo che ’l detto duomo fu tempio di Marti, non v’era la detta aggiunta, nè ’l capannuccio, nè la mela di sopra; anzi era aperto di sopra al modo di santa Maria Ritonda di Roma, acciocchè il loro idolo Iddio Marti ch’era in mezzo al tempio fosse scoperto al cielo. Ma poi dopo la seconda redificazione di Firenze nel 1150. anni di Cristo, si fece fare il capannuccio di sopra levato in colonne, e la mela, e la croce dell’oro ch’è di sopra, per li consoli dell’arte di Calimala, i quali dal comune di Firenze ebbono in guardia la fabbrica della detta opera di san Giovanni. E per più genti che [88] hanno cerco del mondo, dicono ch’egli è il più bello tempio, ovvero duomo, del tanto che si truovi: e a’ nostri tempi si compiè il lavorio delle storie a moises dipinte dentro. E troviamo per antiche ricordanze che la figura del sole intagliata nello smalto, che dice:

En giro torte sol ciclos, et rotor igne:

fu fatta per astronomia: e quando il sole entra nel segno del Cancro, in sul mezzo giorno, in quello luogo luce lo aperto per di sopra ov’è il capannuccio. [p. 83 modifica]

CAP. LXI

Della venuta de' Goti e de' Vandali in Italia, e come distrussono il paese, e assediaro la città di Firenze al tempo di santo Zenobio vescovo di Firenze.

Dappoichè lo ’mperio de’ Romani si traslatò di Roma in Grecia per Costantino, e quasi fu partito, e talora abbandonato per li suoi successori, venne molto scemando. Per la qual cosa negli anni di Cristo circa 400, regnando nello ’mperio di Roma e di Costantinopoli Arcadio e Onorio figliuoli di Teodosio, una gente barbara delle parti tra ’l settentrione e levante, delle province che si chiamano Gozia e Svezia di là dal fiume del Danubio, scese uno signore ch’ebbe nome Alberigo re de’ Goti, con grande seguito della gente di quelli paesi, e per loro forza passaro in Affrica, e distrussonla in grande parte: e tornando in Italia, per forza distrussono grande parte di Roma, e la provincia d’intorno ardendo, e uccidendo chiunque loro si parava innanzi, siccome gente pagana e sanza alcuna legge, volendo disfare e abbattere lo ’mperio de’ Romani; e in grande parte il consumaro. E poi negli anni di Cristo 415 intorno, Radagasio re de’ Goti successore del detto Alberigo ancora passò in Italia con innumerabile esercito di gente, venne per distruggere la città di Roma, e guastò molto della provincia di Lombardia e di Toscana. Per la detta cagione gli Romani veggendosi così afflitti, e forte temendo del [p. 84 modifica] detto Radagasio che già era in Toscana, e poi si all’assedio della loro città di Firenze, manpose daro per soccorso in Costantinopoli allo ’mperadore. Per la qual cosa Onorio imperadore venne in Italia per soccorrere lo ’mperio di Roma, e coll’oste de’ Romani venne in Toscana alla città di Firenze per contastare il detto Radagasio ovvero Rodagoso, il quale era allo assedio di Firenze con dugento migliaia di Goti e più; il quale per la volontà d’Iddio spaventò,sentendo la venuta dello imperadore Onorio, e si ritrassono ne’ monti di Fiesole e d’intorno nelle valli, e ivi ridotti in arido luogo e non provveduti di vittuaglia, e assediati d’intorno alle montagne da Onorio e dall’oste de’ Romani, più per miracolo divino che per forza umana (imperocchè a comparazione de’ Goti l’oste dello imperadore Onorio era quasi niente); ma per la fame e sete sofferta per più giorni per li Goti, s’arrendero i Goti presi, dopo molto grande quantità prima morti di fame, li quali come bestie furono tutti venduti per servi, e per uno danaio diedono l’uno, con tuttochè per la fame e disagio ch’aveano avuto, la maggiore parte si moriro in brieve tempo a danno de’ comperatori che li aveano a soppellire; e Radagasio di nascosto fuggito della sua oste, da’ Romani fu preso e morto. E così mostra, che niuna signoria nè grandezza non ha fermo stato,e che non venga meno: che siccome anticamente gli Romani andavano per le universe parti del mondo conquistando e sottomettendosi le province, e’ popoli sotto loro giuridizione, così per diversi popoli e nazioni furono afflitti e tribulati lungo tempo, [p. 85 modifica] come innanzi farà menzione; e quelli che lo ’mperio consumarono, furono alla fine distrutti per le loro peccata.

Essendo la nostra provincia di Toscana stata in questa afflizione, e la città di Firenze per la venuta e assedio de’ Goti in grande tribolazione, si era in Firenze per vescovo uno santo padre ch’ebbe nome Zenobio. Questi fu cittadino di Firenze, e fue santissimo uomo, e molti miracoli fece Iddio per lui, e risuscitò morti, e si crede che per li suoi meriti la città nostra fosse libera da’ Goti e dopo la sua vita santa molti miracoli fece. E simile santificò con lui santo Crescenzio e santo Eugenio suo diacono e suddiacono, i quali sono soppelliti i loro corpi santi nella chiesa di santa Reparata, la quale prima fu nominata santo Salvadore; ma per la vittoria che Onorio imperadore co’ Romani e co’ Fiorentini ebbono contra Radagasio re de’ Goti il dì di santa Reparata, fu a sua reverenza rimosso il nome alla grande chiesa di santo Salvadore in santa Reparata, e rifatto santo Salvadore in vescovado, com’è a’ nostri dì. Il detto santo Zenobio morì a san Lorenzo fuori della città: e recando il suo corpo a santa Reparata, toccò un olmo ch’era secco nella piazza di santo Giovanni, e incontanente tornò verde e fiorío; e per memoria di ciò v’è oggi una croce in su una colonna in quello luogo.


Immagine dal testo cartaceo

Note

  1. Di fatti passati ec. altri codici leggono dei fatti ec. Non solo il nostro autore, ma altri ancora degli antichi, usarono la preposizione o segnacaso di invece della prep. articolata dei o degli. Noi ne avvertiamo il lettore sì perchè spesse volte gli avverrà d’incontrarsi in sì fatto modo di dire, leggendo quest’opera, e sì ancora perchè quest’avvertenza non è stata fatta nel Vocabolario.
  2. virtudi. A rigore parlando, la nostra lingua non ha voce alcuna terminata con accento, perchè dolcissima com’ella è di sua natura, fugge a suo potere ogni asprezza di suono: così presso a poco si esprime Leonardo Salviati nell’aureo libro degli Avvertimenti. Però gli antichi padri della nostra favella accrescevano sì di frequente quelle voci che oggi si scrivono e si pronunziano con accento sull’ultima sillaba, aggiungendovi in alcune un de, o te, e dicevano virtude, avversilade, pietate, invoce di virtù, avversità, pietà; in altre un’e, o ne, e dicevano ée, éne, piúe, piúne, peróe, anderóe ec. invece di è, più, però, anderò; ed anche un o, e dicevano salío; uscío etc. invece di salì, uscì: e quanto più ci accostiamo a una maggiore antichità, tanto più ciò si trova avverarsi. Poche di queste natie maniere sono oggi rimaste fra quelli che si dicono pulitamente e gentilmente parlare e scrivere in prosa, moltissime però ai poeti, e quasi tutte al basso popolo, che più naturalmente parla, e ben poche alterazioni ha introdotte nel suo linguaggio, specialmente in ciò che riguarda la pronunzia. Nè per sfuggire nell’ultima sillaba l’asprezza dell’accento, o, come la chianna il Salviati, quasi puntura, ricorrevano sempre a questo mezzo di accrescimento, ma talora non facevano che cambiare il luogo all’accento medesimo, ponendolo or nella penultima sillaba, come in podésta, piéta ec. ed ora nella terz’ultima, del che ce ne resta ancora ottimo e sicurissimo segno nel titolo di alcune chiese, quali sono s. Felícita, s. Trínita, la Fratérnita, ed altre tali, che per essere nomi propri, hanno ritenuto la primitiva pronunzia. Lo stesso dir si dee delle voci terminate in u, che propriamente la nostra lingua non ne avrebbe alcuna; e sebbene il Bembo n’eccettuasse due, che sono, tu e gru, tuttavia sono esse pure comprese nella regola generale, perchè così pronunziate sono mozze, e intere sarebbero tue, grue, come sono usate spesso, o quasi sempre, dagli antichi scrittori. Neppur tribù è da eccettuarsi. imperciocché tribo nel singolare, e tribi nel plurale scriveano per lo più gli antichi; cosi nel Cap. 3 di questo lib. I. e nel 29 del lib. V. disse il N. A., e Dante nel XXXL del Purgatorio: e il Borghini (Orig. di Firenze pag 255. ) afferma che così pronunziavano questa voce i nostri padri e maestri della lingua. Non dee adunque recar maraviglia, se parole per questa guisa accresciute s’incontrano ad ogni passo nella presente opera: l’autore non fece in ciò che seguitare il gusto del suo tempo, come noi seguitiamo quello del nostro; e l’uso comune in tali cose è il vero e sicuro maestro.
  3. laici: v. a. idioti, ignoranti. Incontrasi questa voce nel detto significato e nel N. A. e negli altri scrittori di quell’età. Gli antichi chiamarono cherici i dotti, e laici gl’ignoranti, forse perchè fu proprio dei soli cherici, cioè dei preti e dei frati, il possedere un po’ di cultura, mentre tutto il resto degli uomini erano per lo più ignoranti.
  4. sanza: v. a. senza. Negli scritti del secolo decimo quarto si trova sempre sanza, e noi l’abbiam voluto conservare.
  5. le geste: in significato d’impresa, o fatto glorioso, viene da gesta di gen. fem. che ha doppio plurale, cioè, le geste, e le gesta, sebbene quest’ultima sia usata più da’ moderni che dagli antichi. Abbiamo questa voce nello stesso significato anche di gen. mas. cioè, gesto, che nel pl. ha gesti, usata anche dall’Ariosto, che disse:
    Ruggier come in ciascun suo degno gesto.
    e altrove:
    L’alto valore e i chiari gesti suoi.

  6. Babel: ora si trova scritto Babel, ora Babello, ora Babelle. Essendo queste variazioni di niuna importanza, e opera forse dei copisti piuttosto che dell’autore, abbiam creduto esser meglio il legger sempre in un modo, che seguir l’incostanza dei manoscritti; e ognun sa quanto sia grande questa incostanza negli antichi testi a penna, specialmente trattandosi di nomi propri, che si trovano il più delle volte bruttamente storpiali. Questo metodo abbiam tenuto costantemente; cosi in questo stesso capitolo leggiamo sempre Nembrot e Babilonia, mentre nei mss. si trova confusamente Nembrot, Nenibrotto, Nenibrotte, Nebrotte, Babillonia, e Babbillonia.
  7. si variaro: il verbo variare in questo luogo non offre una sola idea o di mutamento o di diversità, ma tutte e due in complesso, più quella di moltiplicazione: onde questo passo ci parrebbe meritevole di aver luogo nel Vocabolario, non essendovene neppur uno tra quelli ivi riportati, che abbia la stessa forza. E da notarsi, che il N. A. quasi sempre usa di troncare la terza persona plurale del preterito indeterminato, del che frequentissimi esempli pur se ne trovano negli altri antichi scrittori: oggi però non si concederebbe che in verso, e raramente in prosa.
  8. tribi: tribù. Dell’antica terminazione di questa voce ne abbiam detto di sopra al n. 2.
  9. Oceano: veramente il testo dice Uziano, nè il solo del Davanzati ha questa lezione, ma altri codici ancora de’ più antichi; e quindi avremmo dovuto lasciar correre Uziano. Ma perchè altrove sempre si trova Oceano, e noi ci siamo proposti di conservare una certa uniformità di lezione, quando si tratta di nomi proprii, (se però far si possa senza alcun pregiudizio) quindi è che abbiamo amato piuttosto di scrivere Oceano; e speriamo che solo l’averlo avvertito possa bastare anche a’ più scrupolosi.
  10. Mittaterreno: Mediterraneo. Tutti i migliori testi e più antichi da noi riscontrati, si accordano in questa lezione, se non che in alcuno si legge, con piccola varietà, Mittaterrena, in tal altro Metaterreno, quasi dicesse posto in mezzo del terreno; come gli antichi dissero miluogo, in mezzo del luogo, oppure, il luogo di mezzo.
  11. Escodio: questi è senza dubbio lo stesso che Estodio, o Metodio rammentato dal Fabricio (Bibl. med. et inf. latin.), e citato da Martino Polono nella sua Cronica a pag. 7 dell’edizione di Besilea del 1554, ove l’autore riporta questo passo dal quale forse imparò il Villani la venuta e la morte di Noè in Italia «Postquam filii Noe aedificaverunt turrim confusionis, Noe tunc aliquando ratem ingressus, venit in Italiam, et non longe ab eo loco ubi nunc est Roma, civitatem construxit nominis sui, in qua et laboris et vitae terminum dedit», Quindi chiaro appare l’errore delle passate edizioni del Villani che leggono Esiodo, e quello anche più grossolano ch’è nella nota a questo luogo apposta nell’edizione milanese, ove si vorrebbe far credere, che l’autore scrivesse Eusebio. «Dove dice Esiodo, (così la nota) in uno antico originale scritto a mano lice Escodio, e forse che l’Autore scrisse Eusebio».
  12. astrolago: astrologo, astronomo. Gli antichi dissero anche strolago, stronomo, e storlamo; e la scienza la chiamarono indistintamente astrologia, strologia, storlo mia, stronomia, e astronomia. Oggi questa nobile scienza che tratta degli astri, dicesi semplicemente astronomia, e astronomo chi questa scienza professa; e abbiam rilasciato il nome di astrologia o strologia coll’aggiunto di giudiciaria a quella scienza, o per dir meglio, a quel superstizioso vaneggiamento, che si perde dietro a trar ragione delle umane vicende dal corso degli astri, e a rinvenire in certi segni la buona e la mala ventura degli uomini; e strolaghi chiama il popolo coloro che spacciano si fatte fandonie. Vogliam qui aggiungere a gloria della civilizzazione del nostro secolo, che pochissimi oggi s’incontrano uomini di tal fatta; e a que’ pochi, anche la plebe più rozza delle campagne (almeno della Toscana) non solo non dà più fede, ma gli deride e gli sprezza.
  13. Galulle: l’ediz. de’ Giunti legge Gallule, e de’ testi a penna, chi legge nell’una, e chi nell’altra maniera. Questa è la costellazione detta le Pleiadi, dai Greci e dai Latini Pleiades, e oggidì volgarmente le Gallinelle, e le Gaille
  14. agurio: oggi più comunemente si dice augurio: gli antichi dissero anche auguro, augura, e aguria; e il volgo dice uria. Merita d’esser letta la nota del Minucci, Cant. III. st. 7 del Malmantile, al verso che dice «Un segno che le ha dato cattiv’uria». Non è disutile il notare alle volte certi sensi che il popolo dà ad alcune parole, i quali non si trovano negli scrittori. Noi udiamo adoperare uria per mal pensiero, o idea stravagante, ma sempre in mal senso, e dicono: i’ ho cert’urie; mi vien cert’urie ec. Talora in un senso anche più singolare; cioè, fare a uria, dire a uria una cosa, per fare e dire una cosa come sè, a caso, come detta la fantasia, quasi dicesse a aria, in aria.
  15. assituato: situato, aggiunta nel principio una sillaba. Le voci così vantaggiate di qualche sillaba si trovano assai frequenti negli antichi scrittori, come che ne riesca più fluida e dolce la pronunzia. Abbisogno per bisogno accadere per cadere, si trova nel Volgariz. dell’Amicizia di Tullio pubblicato dal Sig. Fiacchi nel 180g: innarrare, innarrazione, innarramento ne’ Dial. di S. Greg. e nel nostro Autore medesimo: innodiare per odiare nel detto volgarizzamento di Tullio e nell’Albertano: innascondere, innascoso ne’ Gradi di S. Girol.: infuturo per futuro nel Centiloquio del Pucci: abbaire per baire (sbigottirsi trovasi più volte ripetuto nella prima Deca di Livio etc. Meritano a questo riguardo d’esser letti il Salviati Avv. lib. III. partic. XIII. la Tavola delle voci apposta dal Bettari a’ Gradi di S. Girol. p. III, e le note 3, e 36 al detto Volg. di Tullio, ove il ch. Editore illustrando, con quella sua molta erudizione ch’egli ha nel fatto di nostra lingua, le voci indiceria e abbisogno, molti passi riporta, che mostrano, quanto facilmente aggiugnessero gli autichi delle sillabe in principio alle parole.
  16. e la detta città fu fondata sotto ascendente di tale segno e pianeta ec. Il nostro autore parla spessissimo, e con molta gravità, dell’influenza de’ pianeti sopra le cose umane; con che dimostra quanto egli prestasse fede a questo pregiudizio, comune in quei tempi; anzi dà a vedere d’essere stato un peritissimo storlamo egli medesimo. Niuno però vorrà fargliene un debito, poichè sa ognuno che lo studio dell’astrologia per questa guisa applicata, teneva un luogo distinto fra le occupazioni dei dotti di quell’età.
  17. vittime stesse da sacrificarsi; e il verbo sacrificare è usato col quarto caso, come dicono i grammatici, di persona; mentre, secondo l’uso comune, avrebbe dovuto dire sacrificare al loro Dio etc. Nel Vocab. non è riportato alcun passo che equivaglia a questo del N. A.
  18. risposto: invece di risposta. Gli accademici non riportarono questa voce nel Vocab. ma noi l’abbiam trovata, oltre al Test. Dav., in quello del Sig. Moreni, e in un altro Riccardiano, che noi chiamiamo del Salvini. E non potrebbe essere che il Villani scrivesse risposto per risposta, come Dante disse dimando per dimanda, e come dicesi dimoro per dimora?
  19. al quale comandamento così asseguiro: così leggono i migliori testi a penna contro altri men reputati, e contro le edizioni, che invece di asseguiro hanno asseguitò, meno quella de’ Giunti citata. Questa nostra lezione ci offre un’elegante maniera non men singolare di quella che facciamo osservare al n. 18. Asseguiro è lo stesso che eseguiro, pel cambiamento dell’e in a in sul principio, molto praticato dagli antichi, che dissero Abreo per Ebreo, asempio e assempro per esempio, accezione per eccezione ec. sopra di ciò può vedersi il Manni nella Lez. 10, e il Buommattei nella Gram. Tratt. III. cap. 7; Potrebbe alcuno aver difficoltà sopra quella preposizione al, comecchè mal si convenga al verbo eseguire; dicendosi ordinariamente eseguire il camandamento, non già eseguire, al comandamento: ma se pongasi mente che a o al si adopera alcuna volta avverbialmente, ed equivale a dopo, secondo, in ordine, conformemente ec. allora non vi può esser più dubbio, e vede ognuno che il detto passo è come se dicesse: dopo il quale comandamento, ovvero, secondo il quale comandamento, così eseguirono, così adoperarono. Il Testo Moreni legge: el quale comandamento e risposto così seguiro.
  20. Dario: Darete; ed è questi quel Darete Frigio che vien riguardato come il più antico storico tra i profani. Dicesi, che in foglie di palme scrivesse la sua storia de’ Greci e de’ Troiani. A lungo ne parla il Fabricio (Bibl. Grec. lib. I. cap. 5) Perchè poi dica Dario invece di Darete, convien credere che così lo trovasse il N. A. scritto in qualche cronica, ovvero, volgarizzasse in Dario il nome latino Dares.
  21. arrivarono male: arrivare vuol dir propriamente approdare, accostarsi alla spiaggia del mare, o alla riva di un fiume; e si usa anche generalmente in significato di giugnere, pervenire in un luogo. Qui però figurat. arrivarono male vuol dire capitarono male, uscirono a male. Questa frase manca nel Vocab. quantunque siavi arrivar bene nel senso di capitar bene, con un esempio del Boccaccio. Anche il Machiavelli adoperò arrivar male nel significato stesso del N. A. quando disse: egli non fu giammai femmina peggio arrivata di me. ( Commedia senza titolo; atto 1 sc. 1).
  22. navilio: ed anche naviglio, e navile: flotta, armata navale.
  23. giurizione: v. a. accorciamento di giuridizione, o giurisdizione. Noi avremmo reputato questa voce come uno di que’ tanti goffi storpiamenti che deturpano le opere degli antichi, non già per colpa degli autori, ma de’ copisti, se non l’avessimo trovata in più luoghi, e in più d’un codice, e non l’avesse usata anche Matteo Villani, il passo del quale è allegato nel Vocabolario.
  24. ataro: v. a. il verbo atare invece di aiutare, con tutti i suoi derivati, fu a tutti i trecentisti familiarissimo.
  25. dallo ’mperio: gli antichi che sfuggivano nella pronuuzia non solo l’asprezza che nasce dall’accoppiamento di più consonanti, ma pur l’iato che risulta dal concorso delle vocali, specialmente, se con vocale termina una parola, e per vocale incomincia la seguente, usarono di troncare molte parole togliendone una vocale, o nel fine dell’una o nel principio dell’altra, e pronunziavano insieme due voci, come se fossero una sola; e come pronunziavano, così scrivevano. Però troviamo negli antichi codici scritto lomperadore, dellomperio, lampromessa, lonferno, longegno ec. I Greci che avevano anch’essi di simili troncamenti, si servirono dell’apostrofo per indicarli. Non così i nostri antichi, poichè questo segno non fu introdotto tra noi che dal secolo sedicesimo in qua. Noi in questo luogo abbiamo scritto dallo ’mperio, cioè, abbiam posto l’apostrofo dove crediamo mancar la vocale, e non abbiam osservato a ciò che dice il Marrini nell’annot. prima alla st. III. dell’Idilio del Baldovini, che secondo lui si dovrebbe scrivere dall’omperio, staccando l’o dalla prep. articolata dello, e aggiungendolo al nome, come che gli antichi avessero voluto dire omperio, ongegno, onferno, invece d’imperio, ingegno, inferno ec. a che forse mai non pensarono.
  26. assembiato ad una battaglia: il verbo assemblare, che dicesi anche assembrare, e forse che i nostri antichi l’originarono dall’antico verbo provenzale assembler, vuol dire propriamente. riunire, mettere insieme, radunare, ed anche ordinare; e si usa nel siguif attivo, neut. e neut. pass. Il n. A. l’usa quasi sempre in significato di mettersi in ordine per combattere, o di stare disposto alla battaglia; ove si avverta che l’adopra con qualche aggiunto, come quando dice assembiarsi ad oste, o a battaglia; ed anche senza, come nel lib. 6. c. 78: come fossono assembiati, si dovessero da più parti fuggire delle schiere.
  27. si botò: v. a. il verbo botare vuol dire far voto, e cambiato il bin v, si dice oggidì votare.
  28. fu disposto: molti sono i significati del verbo disporre, e appresso gli antichi ebbe anche quello di deporre, privare, com’è in questo luogo.
  29. balio: diversi sono i significati di questa voce presso gli antichi: talvolta vuol dir precettore, custode, tutore, e tal’altra uomo rivestito di grande autorità, e della prima dignità dopo il sovrano, o luogotenente del legittimo signore, o governatore supremo del regno. In tutti questi diversi significati si trova usato dal Villani.
  30. fallì: terminò, finì, si spense. Oltre a questo significato, molti altri n’ebbe appresso gli antichi il verbo fallire: per andare a vuoto: tes. Brun. E quando egli conobbe che lo ’ntendimento suo era fallito; e Gio. Vill. fallirono le speranze; e Liv. M. a’ Romani falli la speranza: per mancare, venir meno: Ovid. Pist. io mi sforzai tre volte di parlarti, e tre volte mi falli la lingua; e Dante: E poichè forse gli fallìa la lena: per violare, o non mantener la parola: Petr. Risposi: nel signor che mai fallito Non ha promessa; e Gio. Vill. come lo re Piero d’Araona falli la giornata promessa a Bondello: per tradire, o ribellarsi: Gio. Vill. come genti infedeli e vaghi di nuovo signore, si fallirono a Manfredi, abbandonandolo: per errare, commetter fallo, che più comunemente si dice fallare: Gio. Vill. I Fiorentini non ci usarono frodo nè inganno contro a’ Pisani, ma fallirono in negligenza.
    Tutti questi passi son quegli stessi riportati nel Vocab. alla voce fallire; ma siccome sono ivi messi confusamente, e senza alcuna speciale dichiarazione, come che servir dovessero tutti a confermare il solo significato di mancare o venir meno che gli accademici diedero al verbo fallire, senz’altro; perciò noi abbiam voluto riparare al difetto, dichiarando parte a parte i significati diversi in cui è stato preso quel verbo nei passi ivi allegati, per potere ai luoghi opportuni rimettere il lettore a questa nota, giacchè in tutti i detti sensi viene adoperato dal n. A. il verbo fallire, come si potrà vedere leggendo.
  31. stormo: in questo luogo vuol dire combattimento: così secondo il Vocab. ove questo passo è riportato.
  32. pedotti: v. a. piloti, coloro che guidano le navi: negli antichi si trova pedotto, pedoto, e pedotta, e non solamente in senso di piloto, ma di qualunque guida, o scorta.
  33. corrotto: v. a. funerale, mortorio, pianto che si fa a’morti; e si trova usato anche per lutto, dolore e pianto qualunque.
  34. si dipartiro la detta conserva delle navi. Il n. A. usa spessissimo di porre al numero del più le voci dei verbi dipendenti da’ nomi collettivi posti al numero del meno; così invece di dire: si dipartì la detta conserva delle navi, dice: si dipartirono: una gente vennero, invece di dire venne ec. e in ciò è anche più abbondante degli altri scrittori del buon secolo, ne’ quali tutti però s’incontrano esempi di questa fatta. Oggi non è molto in uso questa maniera, sebbene chi parcamente l’adoperasse, non sarebbe da riprendersi. Conserva delle navi vuol dire un numero di navi riunite in uno stuolo, che si dice flotta.
  35. annovale: In questo luogo vale anniversario: gli altri significati di questa voce possono vedersi nel Vocabolario. CAP, XXIII.
  36. La gente era allora molto grossa: non al fisico, ma bensì al morale si riferisce l’aggett. grossa, e vale molto rozza, ignorante, di grossolano intelletto: manca nel Vocab. questa osservazione. Vero è che alla voce grosso § XIV. si dice, che grosso è contrario di gentile, o delicato, ma non vi si parla che di cose puramente materiali. Potrebbe dirsi, che grosso volesse dire rozzo si di maniere, come d’ingegno: il luogo citato del nostro autore può esserne una conferma, come pure un altro passo del lib. 6. cap. 6. secondo la nostra ediz. E nota che al tempo del detto popolo, è in prima, e poi a gran tempo, i cittadini di Firenze viveano sobrii e di grosse vivande, e con piccole spese, e di molti costumi e leggiadrie grossi e rudi; e di grossi drappi vestiano loro e le loro donne ec. ove l’espressione di molti costumi e leggiadrie grossi e rudi, fa al nostro proposito. E poi, uomo di grosso o grossolano ingegno, noi lo diciamo comunemente.
  37. da Enea e Turno: quella prep. da equivale a tra, o fra, cioè tra Enea e Turno. Spessissimo si trova dal n. A. usata così la prepos. da; e lo notiamo ora per sempre.
  38. rinomo: v. a. rinomanza. Gli antichi dissero anche rinomea, e nomea, come pur si trova nel nostro autore.
  39. si diliberò: partorì, cioè, si sgravò, si liberò del feto. Il verbo diliberare per partorire si usa in signif. neut. come nel M. Aldob. Queste cose generalmente sono buone a tutte le femmine che di liberare, e partorire vogliono tostamente; e ancora nel signif. neut. pas. come il u. A. l’ha adoperato in questo luogo: nel Vocab. di quest’ultima maniera non v’è alcun esempio.
  40. incinta: è lo stesso che grossa, e gravida, e questa voce è usitatissima in Toscana e fuori da chiunque parla la lingua italiana. Questa dichiarazione non avrebbe avuto luogo, se non era, che nell’ediz. milanese v’è una nota a piè di pagina, che dice la voce incinta non essere più in uso. Anche l’etimologia, che ivi si dà di questa voce, è falsa, secondo ciò che ne dissero i Deputati.
  41. Dottanza: v. a. timore, paura, sospetto, dubbio: dal verbo dottare, di origine provenzale, che dagli antichi fu adoperato in tutti i detti significati. Si trova spesso anche dotta, coll’o largo, e l’usò anche l’Ariosto: Tanta fu la viltà, tanta la dotta, Cant. 18. st. 159.
  42. uno co’ Troiani: insieme co’ Troiani: dall’avverb. lat. una, insieme. Familiare fu questo avverbio a’ nostri antichi, e dicevano indistintamente uno e una con ec.
  43. ramanzi: v. a. Noi chiamiamo romanzo qualunque storia favolosa, sia in prosa o in versi, che racconta maravigliose, straordinarie, o verisimili avventure della vita umana. Questo genere di componimento fu familiare anche ai Greci. Una quantità prodigiosa di romanzi inondò l’Italia e la Francia, specialmente la Provenza, nei così detti mezzi tempi, per celebrare le maravigliose gesta de’ paladini; ma tutti risentono dell’ignoranza di quei secoli. Sembra che tal genere di componimento cominciasse sotto regno brillante di Carlo Magno; ma su questo punto è da consultarsi l’Huet, che ne ha trattato diffusamente. È da notarsi che il n. A. dice sempre ramanzi e non romanzi, e nelle stampe poteva benissimo lasciarsi correre quella voce così scritta all’antica, che non offendeva poi tanto l’orecchio, da doversi levare, come fecero alcuni editori.
  44. la cronica della Badia di Salisbiera: I Deputati alla correzione del Decamerone, nella nota 452, mossero dubbio, se il Villani citando la cronica della Badia di Salisbiera (Salisbury, Sarisburia) volesse intendere di quella di Vortimera. Certamente questo dubbio è affatto insussistente, poichè la cronica citata dal n. A. è tutto dì conosciuta in Inghilterra, e tratta delle cose sul proposito delle quali è citata; l’altra non già, secondo ciò che ci assicura un dotto Inglese da noi su questo punto interrogato.
  45. reda: v. a. erede: dal verbo redare, che è ancora in uso.
  46. e alcuno scrisse del genero del suo padre: queste parole non si trovano negli altri codici da noi riscontrati; e dubitiamo se le scrivesse l’autore, o non piuttosto sieno un’ aggiunta arbitraria del copista: il fatto sta che non vediamo come possano avervi luogo, nè come debbano interpretarsi. Basti l’averlo avvertito.
  47. ciliarche, o celiarche: v. a. capo di mille soldati: questa voce è di greca origine, e l’usarono anche i Latini, che dissero chiliarches, o chiliarcus.
  48. ciliarche, o celiarche: v. a. capo di mille soldati: questa voce è di greca origine, e l’usarono anche i Latini, che dissero chiliarches, o chiliarcus.
  49. nelle carcere: carcere si trova nel num. sing. di genere masc. e fem. cioè, il carcere, la carcere; ma nel plur. non è che di genere fem. sebbene abbia doppia uscita, cioè, le carceri, e le carcere.
  50. le ferrate de’ cavalli: l’orme de’ ferri de’ cavalli. Il vocabolario non ha la voce ferrata in questo senso; ma ferratura; nè altro passo vi si riporta che questo del n. A. Ma noi temiamo fortemente di errore: ognun sa che il verbale ferratura ha ben diverso significato da questo; e poi possiamo assicurare, che la nostra lezione non è soltanto del cod. Davanzati, ma sì di tutti i migliori e più antichi da noi riscontrati.
  51. oste: esercito: ordinariamente questa voce è di genere fem. ma qualche volta si trova anche di gen. masc. sì in questo, come in altri scrittori del buon secolo.
  52. di Romani d’entro e di rubelli: la parola entro in questo luogo par che stia in opposizione della parola rubelli, come se dicesse: di fedeli cittadini romani e di rubelli. Niun altro esempio abbiamo trovato della voce entro in questo significato; e d’altronde tutti i codici si accordano in questa lezione.
  53. fediti. v. a. Il verbo fedire con tutti i suoi derivati fu usitatissimo da tutti gli antichi, anche più che nol fosse ferire; ma quello è andato in disuso, e questo ha prevalso.
  54. de’ Fracchi, ovvero Floracchi: queste parole mancano nel codice Davanzati; ma le abbiamo trovate in più altri buoni testi a penna.
  55. mariscalco, o maliscalco: Questa voce che viene dalla lingua tedesca, propriamente vuol dire capitano di cavalleria; ma fu dall’uso trasportata a significare un gran comandante di un esercito: oggi si dice maresciallo. Merita d’esser letto tutto ciò che a questo proposito dice il Du-Fresne.
  56. sprovveduti dell’aguato: inconsapevoli, quasi dicesse, non avendo preveduto l’aguato. La voce sprovveduto manca in questo senso al Vocabolario.
  57. semmana: v. a. settimana. Trovasi in più e diversi antichi scrittori, detto forse per amore di brevità, come vilia per vigilia, e simili.
  58. lungo dimore: v. a. oggi non s’userebbe questa voce nel gen. masc. ma si dice dimora.
  59. affieboliti indeboliti; dal verbo affiebolire, che oggi cambiato il b in v, dicesi piuttosto affievolire. Gli antichi usarono sovente il b invece del v, onde si trova botare per votare, boce per voce ec. Sebbene può dirsi anche oggidì affiebolire, e gli accademici riportarono un esempio del Redi.
  60. battifolle, ovvero bastita, (talora si trova anche bastia): steccato o bastione fatto provvisoriamente, o in mezzo a una strada, o intorno a un castello, per impedire il passo a’ nemici; sebbene talvolta si trova usato tanto battifolle che bastita per denotare un forte castello, o una fortezza murata. In Toscana alcuni luoghi ritengono ancora il nome di Bastia, e di Battifolle, e tal è forse la loro origine.
  61. Parlagio: Questa voce è andata in disuso. Ciò che ne dice l’autore, basta per intenderne l’origine e il significato; ma chi ne volesse piena contezza, legga il trattato che ne ha fatto Domenico Maria Manni.
  62. compreso l’edificio della città: disegnato, fissatone i confini: dal verbo comprendere, che in questo preciso senso manca al Vocabolario .
  63. inviandosi con Cesare: In questo luogo inviarsi non vuol dire mettersi in via, o incamminarsi, perchè Cesare era già nel sito ove la città di Firenze si dovea edificare: bisogua dunque intenderlo in un senso metaf. cioè, unendosi a Cesare, o prendendo a far come Cesare, battendo la stessa via di Cesare. Manca in questo senso al Vocab. ma nel nostro Autore più volte si trova.
  64. arcora: v. a. archi. Gli antichi in molti nomi ammettevano nel num. del più due ed anche tre desinenze; come prati, prata, e pratora; tetti, tetta, e tettora; luoghi, e lungora; archi e arcora, e simili: queste desinenze in ora son ite affatto in disuso.
  65. santade: v. a. sanità: trovasi anche usato santà, e santate. Fu molto in uso appresso gli antichi il sincopare molte parole col toglierne del mezzo qualche lettera o sillaba, come in questo luogo santà, tolto un i, invece di sanita; semmana invece di settimana notata di sopra; vilia invece di vigilia; mastro in vece di maestro (add. che vuol dir primo, principale) com’è appunto poco appresso in questo stesso cap. ove dice mastra fortezza ec.
  66. nullo, e nulla: per niuno e niuna: voci comunissime a’ nostri antichi, non più usate oggidì nella prosa, ma in versi compariscono sempre con eleganza.
  67. neuna balìa: v. a. niuna autorità, nessun potere, o comando: gli antichi dissero frequentemente neuno per niuno o nessuno; neente per niente. Dalla voce balìa ne derivò l’altra di balio, notata di sopra al n. 30. quando però denota uomo esercitante qualche autorità.
  68. rombolatori: v. a. oggi direbbesi frombolatori, cioè, tiratori di frombola. Lat. funditores.
  69. intrassegna: parola composta, che equivale a insegna messa dentro; e vuol dir quell’insegna, ch’è nel campo dell’armi gentilizie. Si trova ancora usata questa voce dal n. A. a significare l’impronta delle monete, come si vedrà a suo luogo.
  70. aguglia: v. a. aquila. Nel Vocab. non è questa voce posta tra le antiquate, ma noi in significato di aquila la reputiamo tale, poichè non trovasi usata dai moderni. Aguglia vuol dir anche colonna fatta a piramide; ma oggi più comunemente si dice guglia.
  71. una co’ Romani: in questo luogo una non è preso nello stesso significato che abbiamo detto di sopra al n. 44, cioè, non denota semplicemente compagnia; ma vuol dire una cosa stessa co’ Romani.
  72. leofanti; idiotismo rimasto fino al di d’oggi in bocca del basso popolo, che dice: leofante per elefante; Leoferne invece di Oloferne ec.
  73. terra guadagnabile: terra atta a render guadagno; ed è ben appropriata questa voce alle colmate o interrimenti che si fanno dagli agricoltori. Il Vocab. cita questo passo del testo Davanzati poichè l’edizioni leggono fertile. E non è il solo testo Davanz. che abbia la voce guadagnabile, l’ha pure l’altro Riccardiano del Salvini, l’ha il Marucelliano e le correzioni del Borghini all’ediz. prima de’ Giunti, esistenti nella Marucelliana.
  74. le sue confine: i suoi confini. Nel Vocab. si riportano vari passi della voce confine nel numero del più, che nell’altro numero ha confina di gen. fem. e si nota quella voce come antiquata. L’usò anche l’Ariosto c. 37 st. 81 E darci qui gli piacque le confine.
  75. Dagli oltramontani non era in uso: la prepos. dagli vale in questo luogo tra, fra, appresso. Non se ne legge esempio nel Vocab. ma oltre questo incontrastabile del n. A. l’uso nostro continuo fa fede della legittimità di questo modo di dire, mentre tuttodì si dice da noi per appresso noi, o tra di noi.
  76. piantadosa: v. a. ben coltivata a vigne, fertile di vino. Questa voce che nell’ediz. del Muratori e nella milanese del 1802 fu cambiata in ubertosa, si trova in tutti i testi i più antichi da noi riscontrati. Trovasi anche nel Volgarizzamento del Tesoro, ne’ testi più antichi; siccome uomo, parla del re Manfredi, che tenea questo regno, ch’è in questo secolo più dilettevole, e più piantadoso: e altrove: Questo paese d’Affrica verso tramontana è molto abitato, e molto piantadoso, e abbondevole d’acqua e di fonti.
  77. vittuaglia: oggi vettovaglia. Con questa voce vuolsi esprimere tutto ciò che serve a nudrire un esercito; ma trovasi pure adoperata a significare generalmente qualunque sorta di viveri.
  78. presonla: il testo dice presolla. Familiarissima fu agli antichi questa maniera di raddoppiare una consonante per più facilità di pronunzia; e in chi parla più naturalmente, si sente anche oggidi fra di noi. Sopra di ciò può vedersi la nota del Marrini alla voce funno st. XII. dell’Idil. del Bald., e il Salviati Avvert. lib. III. partic. 17. Facciamo avvertito il lettore che sempre ci siamo presi la libertà di correggere questa lezione, come cosa appartenente all’ortografia.
  79. avoltero: v. a. adulterio: In tutti i buoni antichi trovasi il verbo avolterare con tutti i suoi derivati.
  80. bulicame: vena d’acqua che scaturisce bollendo. Il n. A. intende qui di parlare dei bagni di Viterbo, detti comunemente il Bulicame.
  81. residii a modo di castella. Il Vocab. non ha la voce residio, ma risedio, da risedere, ove riporta questo passo del Villani tolto dall’ediz. de’ Giunti. Il testo Davanzati però con più altri da noi riscontrati, legge residii; e forse può dirsi residio per la ragione medesima che dicesi residenza, che pur viene da. risedere.
  82. spensaria: v. a. spesa. Il Vocab. non ha questa voce sebbene il n. A. l’abbia usata più d’una volta, secondo la lezione non solo del testo Dav. ma di altri ancora, fra’ quali rammenteremo quello Moreni. Trovasi pure al cap. 81 del lib. IX. ove dice «essendo in grazia del re Carlo, a sua spensaria il fece studiare»,
  83. adotò: v. a. dotò, diede in dote, e per suo patrimonio. La voce adotare non è nel Vocab. ma ciò nulla monta, poichè non è una voce diversa da dotare: e la lettera a in principio è una semplice aggiunta secondo il gusto di quel tempo: onde in questo medesimo al cap. 7 del lib. II: si legge asciolto invece di sciolto; acostanza per costanza si trova nella Pist. 7 d’Ovidio, per tacer d’altri esempi che si potrebbero riferire.
  84. patrici, e nel sing. patrice: v. a. oggi patrizio, uomo nobile, e dei principali della città. Molte volte si trova usata questa voce a significare un luogotenente di re o d’imperatore.
  85. la Cronica martiniana: la Cronica di Martino Polono da noi citata al n. 11 in proposito di Escodio.
  86. di nuovo fossono divenuti cristiani: si osservi che di nuovo posto avverbialmente suole adoperarsi per ordinario a significare un’altra volta, rispondente all’iterum dei Latini. Il n. A. però in questo luogo l’adopera invece di recentemente, da poco tempo, che noi diciamo, di fresco, poco fa.
  87. uno palio di sciamito: il Vocab. dice, che sciamito è un drappo di vari colori; ma siccome il più delle volte si trova unito a un aggettivo qualificativo, per es. sciamito verde, sciamito vermiglio, bisognerà convenire che sciamito voglia dir generalmente drappo.
  88. hanno cerco del mondo: hanno girato gran parte del mondo: cerco è accorciamento di cercato. Esempi di participii per simil guisa troncati, s’incontrano in tutti gli scrittori del buon secolo. Di quest’uso degli antichi ragiona compiutamente il Bembo nelle Prose lib. II. e il Castelvetro nelle Giunte lib. III.