Dal dialetto alla lingua/Parte II
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LE PARTI DEL DISCORSO
Parti variabili e invariabili.
Variabili e invariabili.51. L’articolo, il nome, l’aggettivo, il pronome e il verbo sono variabili, e si chiamano così, perchè cambiano, variano di regola la loro terminazione o desinenza: le prime quattro secondo il genere, il numero e, per quanto riguarda il pronome, anche secondo il costrutto o caso (tu sogg., te ogg.); la quinta secondo il modo, il tempo, la persona e il numero.
L’avverbio, la preposizione, la congiunzione e l’interiezione sono invariabili.
Decl. e coniug.52. La variazione o flessione delle prime quattro chiamasi declinazione; del verbo, coniugazione.
I. — L’ARTICOLO.
§ 1. — Determinativo.
Le sue forme.54. Le forme del determinativo sono:
Sing. | Plur. | ||
masch. | il, lo | i, gli | |
femm. | la | le |
Ragione della doppia forma pel maschile.55. Queste forme sono le stesse del dimostrativo su cui formaronsi anche le voci quello, -i, quella, -e, e cioè: illo, -i, illa, -e1. Appoggiandosi illo alla parola seguente, ossia al nome a cui si riferisce, perde la prima o la seconda sillaba, secondo che il nome comincia per vocale o per consonante. Così illo uomo diventerà lo uomo e, apostrofato, l’uomo; illo padre, il padre.
Lo stesso avviene del plurale illi: illi uomini, gli uomini; illi padri, i padri.
Nel femminile, invece, si perde sempre la prima sillaba: la rosa, l’anima; le rose, le anime.
Ma queste forme non ogni dialetto pronunziò e adoperò i in modo identico a quello che si rese stabile nel fiorentino e quindi nell’italiano.
Quando si adopera il, quando lo: s impura; z, gn, j, x, ps.56. Nell’italiano si adopera il davanti a consonante che non sia s impura, cioè complicata con altra consonante (sbr, sc, str, ecc.); lo davanti a vocale (nel qual caso si elide) e, s’intende, a s impura: il soldato, l’elmo, lo squadrone.
Una parola che cominci con s impura è, in sostanza, come se cominciasse per vocale: difatti spesso richiede una vocale, la i, al principio, per esser meglio pronunziata dopo altra parola che finisca in consonante e sia ad essa intimamente legata: per istrada, in ispirito, non iscrivere.
Nel lucchese quest’i (prostetico) si trova anche quando l’s impura sia a principio di frase: istá buono; istudia la lezione; isposammo di venerdí.
57. Per ragioni analoghe, cioè di speditezza nella pronuncia, hanno dall’articolo il medesimo trattamento dell’s impura i suoni z, gn, j e, di preferenza, x, ps: lo zinco, lo Gnecchi, lo iodio o, meglio, l’iodio; lo xilografo, lo psichiatra.
Lo si adopera ancora ne’ modi per lo più, per lo meno, da taluno anche nell’altro per lo passato, e in modi simili.
I e gli.58. Al plur., i si adopera nei casi in cui, al sing., è richiesto il; gli in quelli in cui è richiesto lo. Eccez.: gli Dei. Ma mentre lo si apostrofa solo davanti a qualunque vocale (l’asino, l’inno, l’urlo), gli si apostrofa solo davanti a i: gl’innocenti, ma gli occhi.
59. Nel femm. si ha sempre la, al sing., le, al plur.; ma, mentre la si apostrofa, come lo, davanti a qualunque vocale, le si apostrofa, di regola, solo dinanzi a e: l’erbe, ma le audacie de’ nostri soldati (v., del resto, 30-33).
Forme e uso dell’articolo ne’ dialetti merdionali, settentr. e centr.60. Forme antiche o poetiche sono el, ’l per il; e e li per i e gli, le quali tutte ritroviamo ne’ dialetti.
Caratteristica fondamentale, rispetto alla lingua, de’ dialetti merid. è l’uso esclusivo dell’art. lo (napolet. ’u opp. ’o con perdita di l; sic. lu, ma anche ’u) tanto davanti a vocale, quanto davanti a consonante; de’ settentr. quello di il (mil. el, berg. ol, bol. al, ecc., ma friul. il) così davanti a consonante semplice come davanti a s impura e agli altri suoni richiedenti lo. Di qui la tendenza degl’Italiani del Nord a scrivere e a dire erroneamente in italiano il scemo (e quel scemo), il zero (mentre si può dire solo un bel zero), il gnocco, il iato, il pseudonimo.
Nell’Italia centrale queste tendenze estreme s’incrociano. Così, ad es., nell’Umbria al romanesco er (v. n. 48) che a Bevagna si usa come il fiorentino il, si contrappone a soli nove chilometri di distanza, a Foligno, il sic. lu, che si ritrova poi anche nelle Marche e nell’Abruzzo: lu pane.
Nella stessa Toscana, a Lucca: il zucchero, li sposi, l’animali.
Esempi di altre caratteristiche dialettali.Nel valsuganotto, dinanzi a s impura l’art. masch. singolare si tace del tutto: stivale, lo stivale; e non sempre il femm. si apostrofa dinanzi a vocale: la ánara l’anitra.
Si notino: mil. i roos, sic. li rosi le rose; bol. el fióle le figliole; abr. le perle le perle, le pide i piedi (v. sorte delle finali, n. 41).
§ 2. — L’indeterminativo.
Forme, troncamento e elisione.61. Le forme dell’articolo indeterminativo sono pel masch. un, uno, pel femm. una, un’.
Il plurale, naturalmente, manca. Gli uni e gli altri sono pronomi; uni per uniti è aggettivo.
62. Un, troncamento di uno, si adopera ne’ casi in cui il determ. adopera il e davanti a voc.: un cavallo, un eroe; uno negli altri casi in cui si richiede lo: uno sprone.
Un’, forma apostrofata di una, si adopera ne’ casi in cui si usa la apostrofata: un’anima; una negli altri: una sentinella, una sciocchezza.
Particolarità dialettali.63. Caratteristica comune a molti dialetti la perdita dell’u iniziale così al masch. come al femminile, e vicende simili a quelle di il, lo. Vals.: n’òmo un uomo, ’n stivale uno stivale, n’âcqua un’acqua, na ánara un’anitra; abr. ’nu pède un piede; per ecc. ’n (che diventa m) in ’m bo’ un poco.
§ 3. — Preposizioni articolate.
Formazione e uso.64. Quando; ne’ complementi indiretti, le preposizioni semplici di, a, da, in, con, per, su, tra s’incontrano con l’articolo premesso al nome, si fondono con esso e dànno luogo così alle cosiddette preposizioni articolate. Non si dirà, pertanto, di il maestro, di lo spettacolo, ma del maestro, lo spettacolo.
Le preposizioni articolate ottenute con le prime quattro sono tutte normalmente usate; a molte delle altre si preferiscono le forme sciolte. Nessuno forse direbbe: combatter colla tedesca rabbia, gironzolar pelle strade. Al contrario, si preferirà col ferro e col fuoco, con le mani e co’ denti; tra le battaglie.
In poesia e ne’ dialetti: con l’indet.65. In poesia, come in molti dialetti, s’incontrano le forme sciolte: a l’altare; sic. di lu figghiu.
Ma i dialetti offrono innumerevoli particolarità. Se ne accennerà qualcuna, per saggio.
In questi due versi del Di Giacomo:
E d’ ’e feneste pe li betriate
trase ’o sole e p’ ’a chiesia se spanne
trovate d’ ’e delle, pe li per le, p’ ’a per la.
Nel ven. tela o ta nella; nell’umbr. niola, nila; nell’abr: che lu, nghe lu, che le, nghe le, col collo, coi con gli, con le. Nel friul., mentre il masch. coincide coll’it. del, al ecc., il femm. si fonde: de della.
Analoghe fusioni con l’indeterm.; ven. den fiá d’un fiato, tena recia in un’orecchia; umbr. con zompo con un salto, d’un salto, nton bòtto in un bòtto.
§ 4. — Particolarità di significato e d’uso.
Funzione del determ. e dell’indeterm.66. Si rilevi la differenza di funzione tra il determ. e l’indeterm. nel seguente brano de’ Promessi sposi: «Erano un uomo, una donna e, qualche passo indietro, un ragazzotto. L’uomo reggeva a stento sulle spalle un gran sacco di farina... più sconcia era la figura della donna... Il ragazzotto teneva con tutt’e due le mani sul capo una paniera colma di pani...».
Significato enfatico.67. Ne’ dialetti come nella lingua, l’indeterminativo dà al sostantivo, in certe maniere reticenti, un significato enfatico, di grandezza o altro senso speciale: abr. te’ ’na forze, ’na fame, ’nu sonne!, «tiene» ha una forza, una fame, un sonno (grandissimi)! te’ ’na faccia, antipatica, di bronzo, da far paura, ’nu core, un cuor d’oro, duro, sensibile, secondo l’espressione di chi parla.
Pleonasmi con nomi propri, col possessivo.Sono pleonasmi da non usar nella lingua, i modi dialettali: aver la furia aver fretta, furia, averci la rabbia, averci rabbia, passar per uno stupido, per o da stupido, per uno sbaglio per isbaglio.
I nomi propri in genere, non richiedono l’articolo perchè sono già per sè stessi determinati (v. n. 53).
68. I. nomi propri di donna, in Toscana specialmente, ricevono l’articolo nel parlar familiare: «la Lisetta non è ancora tornata?» Un esempio bellissimo di quest’uso ci offrono i Promessi Sposi, dove pur sempre si dice Lucia, Agnese, Perpetua, ecc.: «Se qualche volta la Gertrudina trascorreva a qualche atto un po’ arrogante...», perchè qui la fanciullina è ancor tutta nelle grazie e nei vezzeggiamenti de’ suoi, che la volevano monaca ad ogni costo.
Necessario è l’articolo coi cognomi di donna: la Ristori, la Serrao.
Con quelli d’uomo, l’uso oscilla: l’Alighieri, Garibaldi; Petrarca e il Petrarca.
I nomi di città non hanno l’art., tranne pochi in cui esso n’è parte integrativa; l’Aia, l’Aquila.
Quelli de’ monti, laghi, fiumi ricevono l’articolo. Ma a Firenze lo tacciono davanti a Arno.
69. Il nome preceduto dal poss. mio, tuo, ecc., richiede l’art. I nomi di parentela padre, madre, sorella, fratello ecc., al sing., di regola lo rifiutano; ma si dirà il mi’ babbo, la mia mamma opp. il babbo, la mamma, invece che semplicemente, come in qualche dialetto, babbo, mamma; e, col diminutivo, il mio fratellino, la mia zietta (ma anche la mia zia).
Il sardo omette l’art. anche quando non c’è il possessivo: fradis mius i miei fratelli, torru de campagna torno dalla campagna; viceversa l’usa senza necessità: andai al brazzettu, andare a braccetto.
Partitivo.70. Al partitivo («aver della terra al sole») qualche dialetto supplisce talvolta con forme equivalenti: abr. s’á fatte ’na puche de quatrine, ha messo insieme un po’ di danaro; dajje du’ fiquere, dàgli de’ fichi; ma anche l’italiano non sdegnerebbe due fichi.II. — IL NOME.
§ 1. — Generalità.
Sostantivo e aggettivo.71. Il nome sostantivo (o sempl. nome, o anche sempl. sostantivo) denota gli esseri viventi o un loro particolare aspetto o stato (uomo, padre, re), le cose reali, materiali (casa, via) e le immateriali (pace, giustizia).
Il nome aggettivo (o sempl. aggettivo) esprime una qualità o altra determinazione del sostantivo; padre affettuoso, casa natía, divina pace, questa, quella casa, la mia casa.
Concreto e astratto; proprio e comune; collettivo.72. Concreto è il nome che denota esistenza concreta: scolare, cane, sole; astratto, quello che denota una proprietà mentalmente separata, astratta da essa: diligenza, fedeltà, splendore.
Proprio è il nome concreto che designa un individuo determinato, distinto per qualità proprie dagli altri della stessa specie: Tiziano; comune, se conviene a più individui aventi una qualità comune: pittore.
Collettivo, se comprende una totalità: gregge, scolaresca.
Generi e numeri.73. La nostra lingua ha due generi: il maschile e il femminile, due numeri, il singolare e il plurale.
§ 2. — Declinazione: numero.
Differenza fondamentale tra dialetti e lingua.74. Data la sorte delle vocali finali ne’ dialetti (v. n. 41) ela conservazione di s finale in qualcuno di essi (v. n. 47), è chiaro che la declinazione dialettale è in gran parte diversa dall’italiana, in cui tutti i nomi (tranne pochi e speciali, v. n. 81) finiscono in vocale schietta e ben sonante. In qualche dialetto, poi, non si distinguerebbe affatto la declinazione, se non avvenisse nel corpo della parola quel mutamento che s’è studiato al n. 37, e per cui si ha latre pl. lètre, mése mise, vòve vuve, fióre fiùre, znòc znúc, vècchie fem. viècchie masch., ecc.2.
Le tre classi e declinazioni italiane.75. L’italiano, secondo la terminazione del singolare che è -a, -o, -e, ha tre classi:
I. Classe in -a:
a) Femminili | sing. | -a, | plur. | -e: la rosa, le rose; |
b) Maschili | » | -a, | » | -i: il poeta, i poeti. |
II. Classe in -o:
a) Maschili sing. -o, plur. -i: il servo, i servi; |
b) Masch. » -o, » femm. -a: il braccio, le braccia (ma v. n. 79). |
III. Classe in -e:
Maschili e Femminili |
sing. -e, plur. -i: | il fiore, i fiori, la parte, le parti |
A) Classe prima.
I classe: nomi in -ca, -cia, -ga, -gia.76. Per il plur. de’ femm. in -ca e -ga, in -cia e -gia con l’i non accentato, e de’ masch. in -ca e -ga si vedano le norme su i e h considerati come puri segni e non suoni (n. 17).
Alcuni maschili come capoccia, procaccia, boia non si declinano. Belga fa Belgi.
Paesaggi dialettali dall’una all’altra declinazione.77. In dialetti centro-meridionali sono della prima e non della terza molti nomi, quali: canzona, cóta, dòta, falcia, funa, lenta, lita, péscia, pèsta, tòssa, nocia che in lingua oggi sarebbero errori. Così umbr. mirigghia per meriggio (poet. merigge); il rom. effiggia per effige («Ché te scasso l’effiggia de la faccia» Belli, Le donne litichine, 2); l’umbr. ciniscia, friul. cinise per cenere; mentre il velletr. monnezze per immondezza o immondizia è rimasto della terza.
Vivono tuttavia nella lingua sorta e sorte, arma e arme, strofa e strofe, ma con diverso significato o uso.
Pagini per pagine è oggi anch’esso un errore. Le molli per le molle vive nel lucch. e altri dialetti.
B) Classe seconda.
Plur. de’ nomi in -io, -co, -go.78. Per il plur. de’ nomi in -io con l’i non accentato si vedano le norme già ricordate (n. 17).
De’ nomi in -co alcuni fanno il plur. in -ci, altri in -chi; qualcuno in tutt’e due i modi: medici, monaci, sindaci; carichi, giòchi, valichi; traffici e traffichi, lastrici e lastrichi.
I nomi in -go fanno in -ghi, tranne quelli in -fago e -ólogo: laghi, luoghi, ma antropofagi, antropologi. Monologo, tuttavia, fa monologhi.
I dialettali canonichi, amichi, pórchi sarebbero oggi errori.
Uomo fa uomini: del femm. mano sarebbe oggi errore il regolare le mano o le mane da la mana, in vece di le mani.
Patriotto e piloto hanno quasi interamente sostituito patriota e pilota della prima.
Nel rom. in cambio di lavoro si ode anche lavore («un lavore de ricotta»; Belli, Lo scatolaro, 2).
De’ nomi in -aro si usano notaro e danaro; per gli altri s’adopera la forma in -aio: cucchiaio, calzolaio, paio, centinaio, migliaio, ecc.
Femm. plur. in -a e masch. in -i.79. Accanto ai regolari femminili plurali in -a di questa declinazione son sorti i plurali maschili in -i, ma quasi sempre con diverso uso o significato: braccia (del corpo) e bracci (della stadera); legna (da bruciare) e legni; mura (della città e della casa) e muri; calcagna (in alcuni modi: aver uno alle calcagna, voltar le calcagna) e calcagni, ecc.
Ad alcuni di essi corrisponde un singolare in -a, della prima, col relativo plur. in -e: frutta, -e; gesta, -e; legna, -e; midolla, -e; suola, -e. Per cui si possono avere tre diversi plurali i frutti, le frutta, le frutte.
Pochi son rimasti nella sola forma in -a (moggia, centinaia, ecc.) che ne’ dialetti, non escluso il toscano, continuano invece a essere frequenti: le mela, le poma, le cotogna, ecc.
Lo stesso dicasi de’ plur. in -ora, fórnora, dónora, tèmpora di cui solo l’ultimo è vivo per la lingua nelle quattro tempora.
C) Classe terza.
Plur. dial. in -e.80. Nell’uso dial. anche di Toscana, non esclusa Firenze, è frequente il plur. femm. in -e, come in antico, in vece che in -i: le gente, le noce, le ragione, le parte, le torre, le pulce, le azione, le forbice, per le genti, le noci, le ragioni, le parti, le torri, ecc.
Passaggi da altra declinazione.Gli ormai dialettali fume, fime, pome, per fumo, fimo, pomo son passati a questa classe con redina, ala, arma della prima, che hanno anche redine, ale, arme e con padrone e carpine della seconda. Pe’ nomi in -ie v. il n. seguente.
D) Indeclinabili e difettivi.
Indeclinabili.81. Non variano al plurale i nomi uscenti in vocale accentata (virtù, città), in -i e -ie non accentati (crisi e specie; moglie però fa mogli), in consonante (lapis) e in monesillabi (re).
Difettivi.82. Non hanno o non usano uno de’ due numeri alcuni pochi, quali: dere, brio, uopo; ambagi, esequie, ferie.
E) Composti.
Composti.83. I composti (guastamestieri, portalettere, portafogli, capomastro, ecc.) formano il plurale o variando tutt’e due le desinenze (mezzetinte), o l’una delle due (ragnatele, capirione, capi d’un rione, ma caporioni capi in cose non buone o fatte per celia), o nessuna delle due (guastamestieri, portafogli), secondo il valore o la natura di esse.
§ 3. — Declinazione: genere e formazione del femminile.
Nomi di persona, di cosa.84. Il genere de’ nomi riferiti a persona è normalmente determinato dal sesso: sono cioè maschili quelli indicanti maschio, femminili quelli indicanti femmina, qualunque sia la terminazione: il pio Enea, la poetessa Saffo, il papa.
Spia, guida, sentinella e altrettali, sebbene riferiti a uomo, sono femminili.
85. Quelli di cosa si regolano, di solito, dalla desinenza, e sono maschili se terminano in -o, femminili se terminano in -a: il muro, la strada.
Mano è femm.; eco al sing. è femm. in poesia; tèma è masch., téma (timore) è femm.; pianeta (astro) è masch., pianeta (abito sacerdotale) è femm.; nulla è masch.
I nomi in -ice, -ine, -ie, -ione, -si sono femminili; radice, origine (ma ordine, pettine e altri sono maschili), barbarie, opinione, analisi.
D’ambo i generi, ma di diverso significato, sono alcuni, come la cenere, il cenere (gli avanzi mortali).
Scambi di genere ne’ dialetti.86. Non infrequentemente nei dialetti sono femminili i nomi che nel moderno uso italiano sono maschili, e viceversa; o la forma dialettale è identica a quella che in italiano è men viva, o morta affatto, o poetica.
A non citar nomi d’animali, piante, frutti o geografici che richiedono norme a parte, si osservino: borm. la lum, la odór, la dí, la stéla de la dí», l’invèrn, «un’invèrn orenda», la sal (il sale); sard. una manna arvure un grand’albero; abr. cartulíne «cartolino» cartolina; mbrupèreje «improperia» improperio: friul. une vore «un lavoro» «un’opera» frase avverbiale, molto; «un fî di stampe une vore diviarse» un figlio di stampa molto diversa.
Frequenti sono anche al centro questi scambi: lucch. bigóngio, umbr. biónzo per «bigoncia»; lucch. salviétto, cal. sarviettu, per «salviétta» (più com. tovagliólo); lucch. la Comune, umbr. la Communa per «il Comune»; lucch. e altri: puzza, tomara, ventaglia, per «puzzo, tomaio, ventaglio».
Lo scambio spesso avviene per l’incorporamento, così frequente nella lingua, della prima vocale del nome con quella dell’articolo: l’arena diventa la rena; l’allodola, la lodola; l’azzeruola, la lazzeruola, l’assale masch., la sala femm. (l’asse che congiunge le ruote); e così l’armadio in dial. la rmária; l’amor di Dio, la mordeddio; l’alluvione, er lalluvione; e perfino l’osteria, lo sterìo.
Formazione del femminile.87. Quando non si abbia una forma speciale pel maschile e un’altra pel femminile (frate, suora; padre, madre), la formazione del femminile viene regolata dalle norme seguenti:
De’ nomi in -sta, -cida non varia il singolare, ma il plurale: sing. artista m. e f., pl. gli artisti, le artiste; sing. omicida m. e f., pl. gli omicidi, le omicide.
Molti nomi fanno il femm. mutando l’-o, l’-e in -a: figlio, figlia; fornaio, fornaia; cameriere, cameriera.
Altri coi suffissi -essa, -irice, -ditrice: duca, duchessa, dottore, dottoressa (anche dottora), scultore, scultrice (ma anche stiratora), difensore, difenditrice.
Eroe e re fanno eroina e regina.
§ 4. — Genere de’ nomi d’animali, piante, frutto, geografici.
Nomi d’animali, di pianta e frutto; geografici.88. I nomi degli animali o non variano dal maschile al femminile, come i terminanti in -e, -u (il serpe e la serpe, il gru e la gru), o variano seguendo le norme comuni: gatto gatta, leone leonessa; ma cane fa cagna, gallo gallina; o hanno due forme diverse: bue, vacca. In altri il genere si distingue ne’ due modi seguenti: il coniglio femmina o la femmina del coniglio; il gorilla maschio o il maschio del gorilla. Ma il Belli nelle Donne litichine ha:
Esce fòra, animaccia de cunija
E vederai si ciò arrotate l’ógna,
89. D’ordinario, i nomi delle piante fruttifere sono maschili e quelli relativi del frutto femminili: il pero, la pera. Ma quercia, pop. querce, vite, palma sono femm. Alcuni indicano tanto il frutto, quanto l’albero: limone, fico. Arancio va divenendo più comune di arancia. Noce, albero è masch., ma la noce di Benevento è femm. Molti dialetti per indicare un noce, ricorrono alla locuzione nu pede ’e noce o ad altra consimile. Di alcune piante il frutto ha un nome diverso: coccola del cipresso, bacca del lauro, ghianda della quercia, dattero della palma.
Anche in Toscana si scambia facilmente il melo per «la mela», il pero per «la pera», ecc.
90. I nomi propri geografici di regola seguono il genere del nome comune corrispondente: il (mar) Caspio, il (lago) Trasimeno, il (fiume) Volga, il (monte) Fallerona, l’isola di Sicilia o la Sicilia, la bella (città di) Napoli. Fanno eccezione: la Propontide, alcuni nomi di monti o catene di monti come la Maiella, le Alpi, alcune isole come il Madagascar, e quasi tutti i nomi de’ fiumi terminanti in -a. Si veda, in proposito di questi ultimi, la celebre ode manzoniana Marzo 1821 alla strofe:
Chi potrà della gemina Dora,
Della Bormida al Tánaro sposa ecc.
I nomi di regioni, continenti, ecc., in -a o -de sono femm.: la Campania, l’Oceania, l’Ellade; ma il Béngala.
§ 5. — Nomi alterati.
Accrescitivi, diminutivi, peggiorativi, vezzeggiativi.91. Un singolare primato su non poche lingue antiche o moderne hanno i dialetti toscani o toscaneggianti per la «proprietà di accrescere o diminuire, peggiorare o ingentilire l’idea d’una cosa, mediante vari suffissi, e di farne insieme l’elogio e la caricatura», fondendo a volte le sillabe «in guisa da dare, con un termine solo, della cosa medesima l’idea o peggiorativa e vezzeggiativa insieme unite, o l’una delle due accresciuta sulla positiva in un senso e diminuita in un altro, ovvero diminuita due volte, come in questi modelli, consonettinaccia, giovanottino, grassottino, ignorantoncino, ladroncellinaccio, librettucciaccio... Tanta ricchezza manca ai dialetti3 che più s’allontanano» da essi, e, «oggigiorno, anche negli scritti di stile familiare e popolare, dove ci starebbero tanto bene, diminutivi e vezzeggiativi si senton di rado, molto di rado» (Romanelli, Lingua e dialetti). Questa proprietà appartiene così ai sostantivi come agli aggettivi.
§ 6. — Alcune particolarità di costrutto.
Costrutti avverbiali.92. Nelle locuzioni: «tira dieci lire la settimana», «un discorso lungo un miglio», «una culla tutta gigli e oro» e simili, le espressioni sottolineate non sono che complementi avverbiali.
Costrutti dialettali.93. Ne’ dialetti, specie centrali e meridionali, dell’Elba e della Corsica l’oggetto (animato) in certi casi è preceduto dalla preposizione a, che nella lingua sarebbe un errore: sic. l’aviti vistu a me frati? l’avete visto mio fratello? cal. pjja a frateta prendi tuo fratello; nap. chiamma a isso chiama lui; cor. sentiteme a me, sentitemi me. Anche il mil. ha ghe (ci, a lui) ciamáven fra Macari lo chiamavano, si chiamava fra Macario.
Il vocativo in dialetto.94. Nella maggior parte de’ dialetti, il nome al vocativo perde quanto ha dopo l’accento: Pié Pietro, Micchè Michele, giuvinò giovinotto giovinotti, zi’ mo’ zi’ monaco, opp. zi’ fra’ zi’ frate.
III. — L’AGGETTIVO.
§ 1. — Generalità.
Qualitativo e indicativo:95. L’aggettivo che, come s’è detto (n. 71), aggiunge al nome una qualità o altra determinazione, è, conseguentemente, di due specie, qualificativo (buono, grande) e indicativo.
L’indicativo, secondo che indica quantità, possesso, o altra relazione, dicesi numerale, possessivo, dimostrativo, indefinito: «pochi, questi tuoi libri», «i quattro Evangeli».
Ma poichè tutte le specie dell’agg. indicativo, tranne il numerale, sono pronomi in funzione di aggettivi, per la conoscenza delle rispettive forme rimandiamo ai corrispondenti paragrafi del capitolo sul pronome, avvertendo però sin d’ora che funzione d’aggettivo possono assumere solo le forme del pronome relative a cosa (questo, non questi sing., quello non quegli sing., ecc.).
§ 2. — Declinazione: genere e numero.
96. L’aggettivo ha le stesse terminazioni del nome, ma due sole classi:
I classe;I. Maschile sing. -o, plur. -i: buono, buoni (= 2ª decl.).
Femminile » -a, » -e: buona, buone (= 1ª decl.).
II classe.II. Masch. e femm. » -e, » -i: forte, forti (= 3ª decl.).
Particolarità.Per il plur. de’ terminanti in -co e per il troncamento di bello, grande, santo v. i nn. 78 e 30.
Accanto a fino e triste stanno, ma con significato a volte alquanto diverso, fine e tristo.
Saggio di declinazione dialettale.97. Ne’ dialetti in cui si avvera la caduta delle vocali finali tranne -a e in cui quest’a sostituisce l’-e della II classe, le due classi si riducono a una sola: bon bona, fort forta, buono buona, forte.
In altri, come l’abruz., in cui anche l’-a digrada a -e muta o indistinta, si ha traccia di declinazione solo quando nella vocale accentata si produce il cambiamento che conosciamo (metafònesi), nel femminile: femmena bbelle, femmene bbille; mana grosse, mane grusse. (v. n. 74).
In altri, come pel nome, accade il passaggio da una classe all’altra che s’è visto pel femminile forta: ven. grando, -a grande; umbr. móllo, -a molle.
§ 3. — Gradi dell’aggettivo.
Comparativo di maggioranza, minoranza, e uguaglianza.98. Son due: il comparativo e il superlativo.
Il comparativo serve a esprimere un paragone o 1° tra due termini rispetto a una qualità comune ad essi («il Colosseo è più grande del Panteon»); o 2° tra due qualità considerate in un solo oggetto («vi sono alunni più intelligenti che studiosi»); o 3° tra due qualità considerate in due oggetti diversi («è più pericoloso l’ozio che agevole il lavoro»).
Esso si forma con più... di o che, se è di maggioranza, come negli esempi citati; con meno... di o che, se di minoranza; con così... come, tanto... quanto, al par di..., non meno di o che, se è di uguaglianza.
Qualche dialetto, come il lucchese, forma il comparativo di magg. con più che di: la mia casa è piú grande che della tua.
Non sempre l’espressione comparativa è completa: «a una madre così buona [come Agnese]», «non saprei immaginare una contentezza più viva [di quella]» (Manzoni).
Superlativo: relativo, assoluto.99. Il superlativo indica una qualità posseduta dall’oggetto nella più alta misura o 1° rispetto a tutti gli oggetti della stessa specie, relativo, o 2° senza riferimento a nessuno di essi, assoluto.
Il relativo si forma con il più... di o tra, o di meno... di o tra: «il più valoroso dei re o tra i re»; «il meno diligente degli scolari talvolta è il più bravo (sott. tra essi)».
Il superlativo assoluto si forma col suffisso -issimo: valorosissimo, proprissimo, piissimo (con due i, perchè l’i di pio è accentato e non si perde, come quello di proprio disaccentato).
In espressioni come la seguente: «Si rimetteva col pensiero nelle circostanze più terribili di quella giornata» (Manz.), l’art. precede il nome, e più terribili non è comparativo, ma superlativo.
Alcuni aggettivi in -re o -ro formano il sup. assoluto sostituendo a detta sillaba il suffisso -errimo: acerrimo, integerrimo, saluberrimo, celeberrimo, miserrimo (con fusione de’ due ee).
Altri come benefico, munifico col suffisso -entissimo: beneficentissimo, munificentissimo.
Comparativi e superlativi organici nella lingua e nei dialetti.100. Sono comuni alla lingua e ai dialetti i comparativi (organici): maggiore, minore, migliore, peggiore, anche nella forma accorciata meno, meglio, peggio (maggio è stato sostituito da più), e i corrispondenti superlativi massimo, minimo, ottimo, pessimo: la meglio roba, le peggio case.
Ma i dialetti, non escluso il toscano, che non sentono più in essi tutta la forza del grado, son capaci di dire: rom. er più mejo fijo, e anche er più pessimo, lucch. la più peggio disgrazia che può succedere a un uomo è quella di non poter lavorare; e, con trasposizione, come nell’abr. la chiù ppéna forte, la maggior pena, la cchiù ppecura ’ròsse la pecora più grande march. er piú fronte cattío è stato el nostro; lucch. la piú donna chiacchierona ch’abbia mai conosciuto sei tu.
Di altri comparativi e superlativi (organici) che anche in italiano hanno perduto la loro natura, i dialetti usano la corrispondente forma sciolta, o altra corrispondente: così, in vece di superiore, inferiore, diranno più alto, più basso, opp. di sopra, di sotto: rom. le cammere de sopra, le camere superiori.
Altre forme di superlativo.101. Dialetti e lingua hanno, tuttavia, innumerevoli modi di dare all’agg. forza di superlativo: arcicontento, straricco, magro magro, briaco fradicio, nuovo fiammante, rosso infuocato; particolarm. dialettali sono i modi: umbr. nuo matre, «nudo madre», nudo nudo, grasso ’mpallato, come una palla, jaccio marmito freddo gelato; e col part. in -ente, lomb. emil. ross foghent, umbr. méllo colente.
Tuissimo, più sublime, sublimissimo, padronissimo, bastonabilissimo, e molte altre formazioni di tal genere sono consentite in casi particolari o di stile familiare.
La proprietà del grado hanno anche, come s’è visto, alcuni degli aggettivi indicativi: è più mio che tuo, più nostro che vostro.
§ 4. — Numerali.
Varie specie:102. Si dividono in cardinali, ordinali, collettivi, moltiplicativi, distributivi.
Di essi è declinabile solo uno: trentuno scudo, ventuna lira (che son forme abbreviate di trenta e uno scudo, venti e una lira: ma mille e una notte e i dialettali trentauno, zento-e-zinquanta, che il tosc. accorcia in cencinquanta, come cenquaranta e così via.
Qualche dialetto declina anche due: borm. doj, dòa, ventidoj e ventidda, dojmila e doamila.
Il dial. cal. ha treina due o tre, quattrina tre o quattro, cinquina quattro o cinque, e così via seina, settina, ottina.
Mezzo (mezzo foglio, mezza pagina) è indecl. quando è sostantivo e significa metà: una lira e mezzo, una casa mezzo distrutta, per metà distrutta. Mai dialetti lo declinano. ’
§ 5. — Aggettivo sostantivato e altre particolarità.
Proprietà che ha l’aggettivo di sostantivarsi.103. L’aggettivo adoperato senza il nome a cui logicamente appartiene e che può esser facilmente sottinteso, viene ad assumere funzione o natura di nome sostantivo, e però dicesi sostantivato: in alcuni che tale natura hanno preso stabilmente, non si avverte neppur più il carattere primitivo di aggettivi: giornale, massima, prossimo, manzo, pubblico (il popolo; il pubblico de’ teatri); il che dicasi anche de participi: detto, fatto, manoscritto, sposo, soldato, Messa.
La proprietà di sostantivarsi è comune ai qualificativi e agl’indicativi: «I poveri, ci vuol poco a farli comparir birboni»; «Anche questa gli hanno rapportato le chiacchierone», «La sventurata rispose», «La finirò io» (Manz.); gli sciocchi, «i bravi», l’offensiva, nel bergamasco, l’Addolorata, alla svelta, agli estremi, il. vero, il bello, di cotte e di crude, ecc.
104. Per la concordanza dell’aggettivo col nome, si osservi: 1° esso va nel genere e numero del nome; 2° se i nomi son più e d’uno stesso genere, si pone al plur. in quel genere; 3° se sono di genere diverso, prevale il maschile.
105. Ne’ dialetti centro-merid., di solito l’aggettivo si pospone: nap. cunvento nuosto, benefattore nuosto, abr. amecizia ’ndiche, antica amicizia; ma ’na bbona mamme una buona madre, la mamma bbone, la vera madre, non la matrigna.
106. Davanti al comparativo qualche dialetto ripete a volte il positivo: sic.
Ciuri di lumìa
Nun cc’è un beddu cchiù beddu di tia.
IV. — IL PRONOME.
§ 1. — Personale.
108. Le persone indicate da questo pronome nel sing. e nel plur. sono tre: la prima, quella che parla (io, noi); la seconda, quella a cui si parla (tu, voi), la terza quella (o la cosa, riguardata in questo caso come persona) di cui si parla (lui, loro).
La prima e la seconda non hanno distinzione di genere; la terza ha voci distinte per il masch. e per il femm., e per il riflessivo (sé, si).
Prospetto generale delle forme.Tra le voci d’ognuna sono da distinguere quelle che fanno da soggetto o soggettive da quelle che servono per i complementi, diretti e indiretti e che diconsi oblique: io, me; tu, te; e le toniche dalle àtone: te, ti (v. n. 25).
109. Ecco un prospetto generale delle forme (in 2ª col. le oblique, in corsivo le àtone):
Sing. | Plur. | ||||||||||
1ª | pers., | m. e f., | io i’ | me mi | noi | ci, ne | |||||
2ª | » | » » | tu | te ti | voi | vi | |||||
3ª | » | masch. | egli, ei e’, gli | lui lo, gli |
| ||||||
» | femm. | ella la | lei la, le | ||||||||
» | riflessivo | — | sé si | sé si |
Gli avverbi ci, vi, ne, in funzione di pronome.Ci, vi, ne, dette particelle pronominali, sono gli avverbi di luogo ci = qui, vi = ivi, lì, ne = di qui, di li. A ci, vi corrispondono ne’ dial. sett. ge, ghe; il ne (da inde, nde, nne, ne) si scrive ne’ merid. in più modi: nd, inne, ecc. Il ne vale non solo noi, a noi, ma anche di o da me, te, noi, voi, lui, lei, loro, (e ciò).
Declinazione di tutte le persone per esteso.110. Sicchè la declinazione per esteso è la seguente:
Prima persona | Seconda persona | |||||||||
sing. | plur. | sing. | plur. | |||||||
soggetto: | io | i’ | noi | tu | voi | |||||
complemento | spec. | di me | ne | di noi | ne | di te | ne | di voi | ne | |
term. | a me | mi | a noi | ci, ne | a te | ti | a voi | vi | ||
ogg. | me | mi | noi, | ci, ne | te | ti | voi | vi | ||
ag., ecc. | da me | ne | da noi | ne | da te | ne | da voi | ne |
Terza persona maschile | Terza persona femminile | ||||||
egli,ei | e’, gli | eglino | ei | ella | la | élleno | le |
di lui | ne | di loro | ne | di lei | ne | di loro | ne |
lui, a lui | gli (i) | loro, a loro | gli (fam.) | lei, a lei | le | loro, a loro | |
lui | lo (il, ’l) | loro | li, gli | lei | la | loro | le |
da lui | ne | da loro | ne | da lei | ne | da loro | ne |
Pel vocativo si adoperano le voci sogg. (e fam. anche le ogg.) con o senza o: «o tu, che pasci i buoi presso Mevania caliginosa » (Card.); ma non tutte le persone l’usano.
Varietà dialettali:111. Nella forma di così varie voci, nel modo di unirle tra loro e al verbo e, soprattutto, nella misura in cui vengono adoperate, i dialetti, specie settentrionali, presentano non poche né lievi differenze, di cui giova conoscere almeno le più importanti.
Nel centro e nel mezzog. le forme piane, allungate: umbr. me, te, ecc., e mene, tene, vune, lune; nap. nuje, vuje; sic. (e altri dial.) mia, tia, sia, me, te, se.
Per il si (se) in luogo di ci (ce) v. 132.
b) nell’incontro delle atone;112. b) Nell’incontro di più atone, la prima persona precede la seconda, e entrambe la terza, di due terze la riflessiva, tranne nel caso di se gli, se le, sebbene non ne manchino esempi.
Nel corso vige la norma contraria, che è la più antica: dilumi, dilami, diluli, dilali sono molto più diffusi. di dimmilu, dimmila, dililu, dilila per dimmelo, ecc.
Mi, ti, ci, vi, gli davanti alle terze, mutansi in me, te, se, ce, ve, glie, la quale ultima voce con la, lo, li, le, ne va sempre unita e vale pel masch. e pel femm.
Meco vale con me, teco con te, seco con sé con loro (non con lui): non più usate vosco, nosco. Vivissime sono invece tutte queste forme in qualche dialetto, come p. es. nell’emil. megh, tegh, segh, nòsch, vòsch.
c) e nella loro unione al verbo;113. c) Le forme atone se anteposte al verbo (proclitiche) si scrivono staccate, se posposte (enclitiche) attaccate: mi chiedi, chiedimi; me lo devi chiedere, devi chiedermelo.
Ma glielo, gliene, ecc., vanno sempre unite anche avanti al verbo: glielo dirò, gliene parlerò.
In alcuni dialetti anche le forme non atone si fanno encl.: tor. astu? ven. gastu? hai tu?
In altri, specie nel lomb., la voce pron. s’incorpora al verbo: parlet parli, parlavev parlavate.
Si notino questi altri costrutti: abr. sómele magnate, me lo son mangiato, sòtele ditte te l’ho detto, sòmene jite me ne sono andato, soce jito ci sono andato; pe l arevé «per lo riavere» per riaverlo; nap. pe se la fumà per isvignarsela.
Interrogativo: mil. cuse disel? cosa dice? cuse disela? cosa dice essa? cuse dìsej? cosa dicono essi, esse? ven. cossa gala, ela? cos’ha, lei? sémoi proprio a sto punto? siamo (noi) proprio a questo punto?
d) sovrabbondanza de’ pronomi ne’ dialetti settentrionali.114. d) Ma la caratteristica più rilevante ne’ dialetti settentrionali compreso il veneto, è la sovrabbondanza de’ pronomi. In unione al verbo i pronomi sogg. atoni vengono ridotti (e spesso usati l’uno per l’altro, specie l’a, at, al) e son fatti precedere da un altro pronome soggettivo o obliquo: mil. lü l’è egli è; ven. lori i è essi sono; emil. me a degg io dico (fr. moi je dis); friul. jo i soi, io sono, ecc.
Oltre a ciò il piem. ripete anche il pron. ogg. di 3ª: mi i l’ö vdülo, io l’ho veduto, l’astu nen podülo vede? non hai potuto vederlo?
Certe ripetizioni non sono ignote al toscano: lucch. tu, che tu sei tanto bravo...
Così i pleonastici mi, ti, gli, ecc., dopo a me, a te, a lui ecc.: rom.. a me non me piace pe’ gnente; lucch. a noi ce l’han fatti pagare cari.
Le forme obl. per le sogg.115. L’adoperar le forme oblique per le soggettive in molti casi non è solo corretto, ma necessario. Eccone qualche esempio: come te, quanto me, l’ha detto lui, partiti loro.
Lo stesso dicasi del riferimento del pronome personale a cosa, e della sostituzione di esso, -a, essi -e, a egli, ella, eglino, elleno.
Esso per egli.Gli, ammesso per a loro, usasi anche in Toscana anche per le, a lei.
§ 2. — Possessivo.
Quadro delle forme.116. Designano una relazione di possesso, in corrispondenza alle persone suddette, le seguenti forme:
sing. | plur. | |||||||||
1ª | pers.: | mio, | mia, | miei, | mie; | nostro, | nostra, | nostri, | nostre; | |
2ª | » | tuo, | tua, | tuoi, | tue; | vostro, | vostra, | vostri, | vostre; | |
3ª | » | suo, | sua, | suoi, | sue; | loro. |
Con proprio.Proprio rafforza il possessivo, che può esser taciuto solo se di terza persona: co’ miei propri occhi, dalla sua propria bocca, difende il (suo) proprio diritto.
La forma congiunta.La forma congiunta (oltre che in messere, madonna, ecc., dove non si avverte più) si trova ormai soltanto ne’ dialetti coi nomi di parentela e col nome casa: abr. pátreme, sóreme, mójjeme, cunáteme, ecc., mio padre, mia sorella, mia moglie, mio cognato; patrete, ecc. tuo padre; laz. cásema, cáseta, casa mia, casa tua. Nelle forme esclamative: nell’Umbria e altr. eh, mammasua! equivale a figlio mio! ziosuo! a nipote mio! ecc.
Particolarità dialettali.117. Ne’ dialetti, compreso il toscano, quando il possessivo precede il nome (e questa è tendenza prevalente al nord), perde l’atona finale: emil. per la so streda, a la so ora, per la sua strada, «alla sua ora» al tempo suo, in casa sua a casa sua; ven. la me bareta, le so mutande, la mia berretta, le sue mutande; cal. a strata sua, certi amici sua, la strada sua, certi amici suoi; rom. per la su strada per la sua strada, ar tempo suo a suo tempo.
In costrutto partitivo: nap. quatto parzunale d’ ’e suoie; rom. quattro opere de le sue, quattro suoi contadini, quattro delle sue opere, e anche quattro opere delle sue.
Rafforzato con di lui: ven. soo de elo; rom. suo de lui, suo.
In vece di loro in molti dialetti non escluso il toscano, ma specie ne’ meridionali, si usa la forma della terza sing., suo, sua, suoi, sue: abr. ha’ lassate lu paiése sé, abbandonarono il loro paese; lucch. i fatti suoi non li dicono.
Sostantivato (come nella lingua): nell’Umbria (e altrove) sta sur suo, campa der suo, sta, lavora la terra propria, vive del proprio.
§ 3. — Dimostrativo.
Varie specie o distinzioni.118. Indicano persone e cose in modo determinato (i primi tre con forme distinte e in corrispondenza con le tre persone che parlano nel discorso):
Persona (sogg.) | ||||
Sing. | Plur. | |||
masch. | femm. | masch. e femm. | ||
questi | — | — | ||
costui | costei | costoro | ||
colui, (e quegli)4 | colei | coloro |
Persona e cosa (obl. e sogg.) | ||||||
Sing. | Plur. | |||||
masch. | femm. | masch. | femm. | |||
questo | questa | questi | queste | |||
cotesto | cotesta | cotesti | coteste | |||
quello | quella | quelli5 | quelle |
I quali tutti nella forma enclitica e proclitica vengono sostituiti dal pron. pers. di terza persona: lo vedo = vedo questo o quello, le vide = vide queste o quelle, ecc., guardalo = guarda questo, quello; eccolo = ecco questo, quello, ecc.
Forma neutra, ciò: = questa o quella cosa, queste o quelle cose.
Inoltre: esso, desso, stesso, medesimo, tale (cotale, altrettale), cosiffatto, tanto (cotanto, altrettanto), che si declinano secondo le norme comuni.
Tutte le predette forme, adoperabili per i pronomi di cosa, si usano in funzione di aggettivo (n. 95).
Usi dialettali.119. Le forme accorciate sto, sta, ecc. (che nella lingua si trovano solo in congiunzione con alcune parole, stamane, stasera) sono frequenti ne’ dialetti: sto cavallo, sti cavalli.
Come nello stile familiare italiano, si hanno le forme rafforzate ne’ dialetti: umbr. quisto ddecco, questo qui, tisto ddesto cotesto costì; quillo ddello quello là; abr. stu pajese queste, in questo paese, a ssa case quesse, in questa casa; ven. stoquà, quel là, questo qua, quello la, ecc.
§ 4. — Relativo (Interrogativo e dubitativo).
Forme e uso.120. Servono a congiungere due proposizioni (e possono essere adoperati nella forma interrogativa e dubitativa):
Costrutto dialettale.121. Più frequenti che nella lingua, sono ne’ dialetti le costruzioni irregolari, per troppa brevità, col che invariato: abr. quille che nné je piace la fatìje, quelli a’ quali (opp. a cui, cui) non piace la fatica. Ven.: che belo! bello!; chi che: non so chi che xe stato, non so chi è stato; cal. che beddu! bello! com’è bello!
§ 5. — Indefinito.
Forme.122. Designano persone e cose in modo indeterminato o generico:
Inoltre: checchessia (pers. chicchessia), qualsisia (pers. chi si sia), qualsivoglia (pers. chi si voglia), qualunque sia (pers. chiunque sia).
Notevole il seguente costrutto: abr. quando l’óme tè’ ffà, statte fitte, quando si è occupati, sta fermo, non dar noia.
V. — IL VERBO.
§ 1. — Tempi e modi.
Variazione.123. Il verbo, che esprime azione o stato, varia secondo la persona (n. 108), il tempo, e il modo ossia la indipendenza o dipendenza d’un’azione rispetto a un’altra: spero che arrivino in tempo.
Tempi semplici e composti.124. I tempi sono:
A codesti tempi (semplici) che esprimono l’azione considerata in atto, ne corrispondono altrettanti (composti), che esprimono l’azione considerata in effetto:
Modi reggenti e complementari.125. Rispetto ai modi, tre sono dell’indipendenza, o reggenti: l’indicativo (di cui si son visti tutti i tempi, che sono otto); il condizionale (che ha un presente, semplice, e un passato, composto) e l’imperativo; quattro della dipendenza o complementari: il congiuntivo (pres. e imperf., semplici; passato e trapassato, composti); l’infinito (presente sempl. e passato comp.); il participio (pres. e pass.); il gerundio (pres., sempl., e passato, comp.).
Coniugazioni.126. Le coniugazioni (esposizioni ordinate di tutta la variazione de’ verbi) in italiano sarebbero quattro (come in latino), considerando le varie terminazioni dell’infinito: -àre, -ère, -ere, -íre; ma, poiché la seconda e terza diversificano soltanto nell’accento di codeste terminazioni, mentre la vocale caratteristica (dominante nelle varie voci) è per esse unica (-e-; per la 1ª -a-, per la 4ª -i-), possono ridursi a tre.
Verbi incoativi.127. Molti verbi in -ire rafforzano l’i con sc nel sing. e nella 3ª plur. del pres. ind. e cong. e nel sing. imperativo (capisco, -isci, -isce, -iscono; capisca, -isca, -isca; -iscano; capisci). Alcuni di essi hanno la duplice forma: nutrisco e nutro.
Particolarità dialettali.128. Circa i dialetti è da osservare che non sono infrequenti:
§ 2. — Coniugazione7 degli ausiliari.
129. Coniugazione del verbo essere:
1. — Presente a) dell’indicativo.
siciliano | veneto | emiliano8 | sardo | |
io sono | iu sugnu | mi son | mé a son | deo so |
tu sei (se’) | tu sí | ti ti xè | ti t’ sen | tue sese |
egli è | iddu è (èsti) | łu, lu el xè | lu l’è | issu este |
noi siamo | nui sému | nualtri sémo | nuèter a sèm | noi semus |
voi siete | vui siti | vualtri sí, sié | vuèter a sí | bois sezis |
essi sono | iddi sunnu | łori, lori i xè | lor j’in | issos sunu |
Col participio forma il passato prossimo: sono stato, -a (siamo stati -e): pe’ dialetti v. n. 128, 4.
b) del congiuntivo.
siciliano | veneto | emiliano | sardo | |
sia | Manca ed è supplito generalmente dall’imperf. cong. |
sia | sia | sia |
sia (sii ant.) | sii | sij | sias | |
sia | sia | sia | siada | |
siamo | semo | sèma o sjèma | semus | |
siate | siè | sjèdi o sidi | siades | |
siano (sian) | sia | síen | siano |
Ne’ dial. merid. in genere questo tempo manca ed è sost. dall’ind. o dall’imperf. e trapassato cong. — Il pugl. ha: bessu, biessi, bessa, bessimu, bessiti, bessanu; piem. sia, sio; gen. segge, seggemmö; lomb. sía, síet, sía, síem, siev, síen.
Col participio, forma il passato: sia stato, -a (siamo stati, -e).
Non hanno questo tempo i dialetti che mancano del presente: lo sostituisce il trapassato.
c) dell’imperativo.
siciliano | veneto | emiliano | sardo | |
2ª sing. sii | sia | si, siestu | sjá | (istá) |
2ª plur. siate | siati | sié | sjé | (istade) |
2. — Imperfetto a) dell’indicativo.
siciliano | veneto | emiliano | sardo | ||
ero (era) | era | géra | era | adopera il pass. rem. | |
eri | eri | géri | er | ||
era | era | géra | era | ||
eravamo | èramu | gérimo | éren | ||
eravate | èravu, èrivu | géri | éri, érov | ||
erano | èranu, èrunu | géra | éren |
tosc. noi èramo, voi èrate; abr. ére o éve, hire, éve, savámo, savate, éve; nap. nuie éramu; pugl. èramu; lomb. séra, séret, éra, sérem, sérev, éren; piem. nui jeru; gen. nöi êmo.
Col participio forma il trapassato prossimo: ero stato, ecc. (pe’ dial., 128, 4°).
b) del congiuntivo.
siciliano | veneto | emiliano | sardo | |
fossi | fussi | fosse (fusse) | fus | essera |
fossi | fussi | fossi | fus | esseras |
fosse | fussi | fosse | fus | essérada |
fóssimo | fússimu | fóssimo | fusen | essemus |
foste | fússivu | fossi | fusi o fusov | essérisi |
fóssero | fússiru | fosse | fusen | essérena |
lucch. noi fóssemo, voi fóssete, essi fósseno; il pugl. ha solo: idhi fòssera (pel resto suppl. l’ind.); nap. fóssemo, fusseve, fosseno; lomb. mi füs o füdèss; piem. mi fussa, nui fusso; gen. nöi fûscimö; friul. fos, fossin.
Col participio forma il trapassato: fossi stato, ecc.
3. — Passato remoto.
siciliano | veneto | emiliano | sardo | |||
fui | fui | manca | fu | fui | per l’impf., essendo il rem. poco usato nel sardo | |
foste | fustu | fus | fusi | |||
fu | fu | fu | fudi (fit) | |||
fummo | fummu, fomu | fusen | fummisi | |||
foste | fústivu | fusov | fuzisi | |||
furono | foru | fun | funi |
poet. fòro, furo, fur; lucch. 3ª plur.: furno e funno; pugl. fuei, fommu; lomb.-piem.-lig. manca, è suppl. dal pass. pross.; friul. fòi, forin.
Col participio forma il trapassato remoto: io fui stato, ecc.
Manca anche ai dialetti che hanno il pass. rem., come all’emil., al pugl., ecc.
4. — Futuro. (tipo amare-ho = amerò).
siciliano | veneto | emiliano | sardo | ||
sarò | saroggiu, sarrò | sarò | srò | appo a essede | |
sarai | sarrai | sarà, sarè | srè | (il pres. di avere con a essede). | |
sarà | sarrà | sarà | srá | ||
saremo | sarremu | saremo | srèm | ||
sarete | sarriti | saré | srí | ||
saranno | sarranno | sarà | sran |
poet. 3ª sing. fia, 3ª plur. fiano; umbr. 3ª p.: sarónno; pugl. aggiu béssere, ecc.; nap. sarraggio, sarraje, sarrá, sarrammo, sarrate, sarranno; lomb. mi sarónt, ti te sarée o sarét; piem. mi sareu o sarai; lig. saiò, saiae; friul. sarai, sarin.
Col participio forma il futuro anteriore: sarò stato, ecc.
Al pugl. manca ed è suppl. dal fut. sempl.; sic. avirrò statu; sard. appo a essede istadu.
5. — Condizionale presente (tipo amare-ebbi = amerei).
siciliano | veneto | emiliano | sardo | ||
sarei | sarria | saria | sre | tia | essede |
saresti | sarrissi | saréssi | sris | tias | » |
sarebbe | sarrìa | saria | sre | tiada | » |
saremmo | sarriamu | saressimo | srisen | timis | » |
sareste | sarriavu | saréssi | srisi, -isov | tizis | » |
sarebbero | sarrianu | saría | sren | tiana | » |
poet. 1ª e 3ª sing. saria e fòra, 3ª plur. sariano e fòrano; il sic. ha anche 1ª e 3ª sing. fora, 1ª plur. fòramu, 2ª plur. fòravu e sarissivu, 3ª plur. fòranu; umb. sarío, saressimo; friul. sarés, saréssin; pugl. manca, suppl. impf. ind. o cong.; abr. sarré, sarresseme; lomb. saria o saris; piem. sarìa, tit sarie; lig. saiê, saiescimo.
Col participio forma il condiz. passato: sarei stato, ecc.
5. — Infinito: presente.
siciliano | veneto | emiliano | sardo | |
èssere | èssiri | èsser | èser | èssede |
rom. esse; mil. vès; piem. èsse; gen. ëse; friul. iessi o sei.
Col participio forma il passato: essere stato, -a -i -e.
5. — Participio a) presente.
(essente, -i raro; ente, sost.). Manca a’ dialetti.
b) passato.
siciliano | veneto | emiliano | sardo | |
stato, -a, -i, -e (da stare) |
statu, -a, -i | sta, -ada, -i, -e | stè | istadu, -a, -i, -e |
antiq. essuto, suto; umbr. (campagna) suto; mil. staa; piem. stait; gen. stoetö; friul. stad.
8. — Gerundio: presente.
siciliano | veneto | emiliano | sardo | |
essendo | essennu | essendo | sènd | essende |
pugl. manca; nap. e rom. essenno; mil. esénd; piem. essend; gen. essendo; friul. essind.
Col participio forma il ger. composto: essendo stato.
130. Coniugazione del verbo Avere.
De’ tempi regolari che si modellano su quelli della 2ª coniug. accenneremo solo la 1ª sing.
1. — Presente a) dell’indicativo.
napoletano | pugliese | piemontese | friulano | ||
ho | aggio | aggiu | j’ai | ái | |
hai | aje | ha | as | as | |
ha | ha | ha | a | a | |
abbiamo | avimmo | imu | avouma | avin, vin | |
avete | abite | iti | eve | avès, vès | |
hanno | hanno | hanu | l’an | an |
umbr. ho, emo; sic. haju, iddu havi, avemo; ven. go, gavémo; emil. ò, èm; lomb. óo, èm; gen. ho, emmö; sard. appo, asa, ada, ámoso, azis, ana.
b) del congiuntivo.
napoletano | pugliese | piemontese | friulano | ||
abbia | aggia | aggi | abiau | vedi, vei | |
abbia | aje | aggi | abie | vedi, vei | |
abbia | ha | aggia | abia | vedi, vei | |
abbiamo | avimmo | àggiamu | abiu | vedin, vein | |
abbiate | avite | ággiati | abie | vedis, veis | |
abbiano | hanno | ággianu | abiu | vedin, vein |
antiq. aggia, aggiano; lucch., sing. abbi, 3ª pl. abbino; sard. éppa, éppemus; sic. manca; ven. gabia, gavèmo; emil. ábia, èma; mil. ábia, ábiem; gen. agge, aggemmö.
c) dell’imperativo.
napoletano | pugliese | piemontese | friulano | ||
2ª sing. abbi | agge | aggi | abie | vèvi, vei | |
2ª plur. abbiate | avite | aíti | abie | vevit, veit |
sic. manca; ven. gabi, gavé; emil. abi, aví; lomb. abia, abieé; gen. aggi, aggê; sard. eppas, eppedas.
2. — Imperfetto a) dell’indicativo.
napoletano | pugliese | piemontese | friulano | |
aveva | aveva | ía | avía | avevi, vevi |
umbr. fa, iamo; sic. avía, aviamu. Per le forme ávamo, ávate v. modelli.
b) del Congiuntivo.
napoletano | pugliese | piemontese | friulano | |
avessi | avesse | solo 3ª pl. aíssera | aveissa | avess, vess |
per le forme -essemo, -éssete, -esseno v. modelli; sic. avissi; umb. essi, essimo; emil. avis; lomb. avès; gen. avesse; sard. eppéra.
3. — Passato remoto.
napoletano | pugliese | piemontese | friulano | ||
ebbi | avette | ibbi | manca | avei, vei | |
avesti | aviste | isti | averis, veris | ||
ebbe | avette | ibbe | avè, vè | ||
avemmo | avéttemo | íbbemu | averin, verin | ||
aveste | avítteve | istiu | averis, veris | ||
ebbero | avétteno | ibbera | averin, verin |
per ebbimo e ebbemo e ebbono v. modelli; forme antiq. e dial. avei o avetti, have o avette; pugl. ibbi, íbbemu; sic. appi, avísti, appi, áppimu, avístivu, áppiru; emil. avì; lomb.-piem.-lig.-ven., manca.
4. — Futuro.
napoletano | pugliese | piemontese | friulano | |
avró | avarraggio | aggiu bire | avréu, avrái | avarai, varai |
forme anti1. o dial. averó, ecc., o aró, ecc.; umbr. aró; sic. avirró o avirroggiu; emil. aró; lomb. avaróo; gen. aviò; ven. gavaró; sard. appo a aede.
5. — Condizionale presente.
napoletano | pugliese | piemontese | friulano | |
avrei | avria | (manca) | avria | avarres, varess |
forme antiq., dial., poet. avría, averei, arei; -ébbono per -ebbero v. mod.; rom. arei; umb. arío, aressimo; sard. tia aede; sic. avria o avirría; emil. aré; mil. avaría, averís; gen. aviaê; ven. gavaría.
6. — Infinito: presente.
napoletano | pugliese | piemontese | friulano | |
avere | avé | aíre | avéi | avé, vé |
sic. avíri; ven. avér; emil. avér; mil. avè o (a)vègh; gen. avéi; sard. appede o aede.
7. — Participio a) presente.
avente, -i (raro e in certe locuzioni). Manca a tutti i dialetti.
b) passato.
napoletano | pugliese | piemontese | friulano | |
avuto | avuto | utu | avú | avud, vud |
sic. avutu; umb.-march. auto; ven. avudo, avúo; emil. avú; lomb. avüü; gen. avûö; sard. appidu (più com. tentu da ténnere).
8. — Gerundio: presente.
napoletano | pugliese | piemontese | friulano | |
avendo | avenno | aèndu | avend | avind |
sic. avennu; pugl. aèndu; umbr.-march.-rom. avenno; ven. avènd; sard. appende.
§ 3. — Le quattro coniugazioni dei verbi attivi.
131. Coniugazione dei verbi attivi regolari in -are (Iª), -ere (IIª e IIIª) -ire (IVª): l’ausiliare pei tempi composti è avere; pe’ dialetti meridionali essere o avere (v. 128, 4°)9.
1. — Presente a) dell’indicativo.
i | canto | canti | canta | cantiamo | cantate | cantano |
ii - iii | credo | credi | crede | crediamo | credete | credono |
iv | sento | senti | sente | sentiamo | sentite | sentono |
emil. | cant | cant | canta | cantèm | cantè | cánten |
nap. | credo | cride | crede | credimmo | credite | credeno |
ven. | sento | senti | sente | sentimo | senti | sente |
lucch. essi credeno, senteno; umb. nuantre cantamo, loro cantono; sic. cantamu, cridemu; abr. ji’ cante, tu chènte; ven. 1ª plur. anche sentión; mil. mi canti, ti te cántet, nün cántem; piem. nui cantouma, chërdouma, ecc.; emil. me a crèd, nuòter a cherdèm; gen. nöi cantemmö; sard. cantamos, creimos.
b) del congiuntivo.
i | canti | canti | canti | cantiamo | cantiate | cantino |
ii - iii | creda | creda | creda | crediamo | crediate | credano |
iv | senta | senta | senta | sentiamo | sentiate | sentano |
emil. | canta | cant | canta | cantèma | cantèdi | cánten |
nap. | sost. dall’ind. o dall’imperf. cong. | |||||
ven. | sentá | senti | senta | sentimo | sentí | senta |
lucch. ii-iv, sing., -i, 3ª plur. -ino; dial. merid. disusato: umbro-marchig-rom. come il lucch. e altri dial. tosc.; mil. canta, cántet, cánta, cántem, cantégov, cánten, e così ii-iv; ven. 1ª e 2ª plur. anche sentión, sentighi.
c) dell’imperativo.
i | — , canta, | = cong., = cong., = pers. ind., = cong. |
ii - iii - iv | — , = pres. ind., | » , » , » , » |
Così, analogamente, in tutti i dialetti. Nel lucch. e altri dial. centr. e merid. -e per -i: crede, sente.
2. — Imperfetto a) dell’indicativo.
i | cantavo (-a) | -avi | -ava | -avámo | -aváte | -ávano |
ii - iii | credevo (-a) | -evi | -eva | -evámo | -eváte | -évano |
iv | sentivo (-a) | -ivi | -iva | -ivámo | -iváte | -ívano |
emil. | canteva | -év | -éva | -évamo | -évi o évov | -éven |
nap. | credeva | -ive | -eva | -évamo | -íveve | -évano |
ven. | sentiva | -ivi | -iva | -ívimo | -ívi | -íva |
lucch. 1ª e 2ª plur. l’acc. sulla voc. caratt. (cantávamo, ecc.); tosc. voi cantavi, credevi, sentivi; sic. cantávamu, cantávavu, ecc.; umb. cantáo, cantïámo, cantáono, ecc.; rom. noi cantammio, voi cantavvio, loro cantaveno, e così ii-iv; gen. credeiva, credèivimö; ven. 1ª plur. anche -iváne; sard. cantaáa, -iasa, -iada, -imis, -izis, -iana, e così ii-iv.
b) del congiuntivo.
i | cantassi | -assi | -asse | -ássimo | -aste | -ássero |
ii - iii | credessi | -essi | -esse | -éssimo | -este | -éssero |
iv | sentissi | -issi | -isse | -ìssimo | -iste | íssero |
emil. | cantis | -ís | -ís | -ísen | -ísi o ísov | -ísen |
nap. | credesse | -isse | -esse | -éssimo | -ísseve | -ésseno |
ven. | sentisse | -issi | -isse | -íssimo | -issi | -isse |
lucch. -ássemo, -ássete, -ásseno e così ii-iv (volg. -ássimo, -ássite, -ássimo, ecc.); umb. -ássimo, -ássivo, ecc; pugl. solo 3ª plur. cantassera, cridissera; sic. -ássimu, -assivu, ecc.; mil. -ásem, -ásev, ecc.; ven. 1ª e 2ª plur. anche -essáne, -essà (i-ii-iii) -issane -issá (iv); sard. deo cantére, nois canteremus; friul. o cantás, tu cantássis,
3. — Passato remoto.
i | cantai-ai | -asti | -ò | -ammo | -aste | -arono |
ii - iii | cred-ei (-etti) | -esti | -é (-ette) | -emmo | -este | -erono (-ettero) |
iv | sent-ii | -isti | -í | -ímmo | -iste | -irono |
emil. | cant-í | -is | -í | -ísen | -ísov | -ín |
nap. | cred-ette | -iste | -ette | -éttemo | -íttive | -étteno |
ven. | manca |
lucch. cantarno (volg. cantórno, cantónno); nap. cantaje, — ájemo, -ásteve, -áieno; umb. cantassimo, -assivo, -órno, ecc. (cresi, orese, oresero); sic. cantavi o cantai, -asti, -au, -amu, -astivu, -aru ecc.; lomb.-piem.-gen. (manca); sard. solo alla 1ª e 3ª sing. cantesi, cantesidi; friul. cantai, credei, sentíi.
4. — Futuro.
i | cant-erò | -erai | -erá, | -eremo | -erete | -eranno |
ii - iii | cred-erò | c. s. | ||||
iv | sent-irò | -irai | -irá, | -iremo | -irete | -iranno |
emil. | cantarò | -aré | -ará, | -arèm | -arí | -arán |
nap. | credarraggio | -aje | -á, | -ammo | -ate | -anno |
ven. | sentirò | -irá | -irá, | -émo | -iré | -irá |
sic. cantiró o cantiroggiu; pugl. aggiu cantare, cridere, ecc.; sard. appo a cantade, ecc.; abr. solo 3ª sing. cantarrà (per le altre: haje da cantà, hi da c., ecc.); mil. cantaróo, cantarém; piem. chërdreu, cherdrouma, chërdreve; friul. cantarai, — ás, -á, -ín, -és, -án.
5. — Condizionale: presente.
i | cant-er-ei | -esti | -ebbe, | -emmo | -este | -ebbero |
ii - iii | cre-er-ei, | c. s. | ||||
iv | sent-ir-ei, | c. s. | ||||
emil. | cant-ar-é | -is | -é, | -ísen | -isis o -ísov | -én |
nap. | cred-ar-ria | -isse | -ia, | -iamo | -isseve | -ieno |
ven. | sent-ir-ía | -essi | -ia | -essimo | -essi | -ía |
lucch. -ébbeno (-ébbino); pugl. manca; sard. tia cantade, ecc.; sic. cant-ir-ria o ía o éva, ecc., -riamu, o -iamu, o -issimu; umb. cant-ar-ío, -éssimo, -éssivo, -íono; mil. cant-ar-ía o -ís, ecc.; piem. chërdria, nui chërdriu; gen. crediaè, crediesci, crediescimö; friul. cantarés, cantaressis, ecc.
6. — Infinito: presente.
i cantare | (ii temere) | iii crédere | iv sentire |
emil. cantèr (temér), créder, sentir; nap. cantá (temé), credè, partí; ven. cantár (temér), créder, sentir; abr. cantá (temé), credé, sendí; mil. cantá, (temè o temègh), créd, sentí; sard. cantadé, créere; friul. cantá, crodi, sintí.
7. — Participio: a) presente.
i cantante, -i | ii-iii credente, -i | iv sentente, -i |
Ne’ dialetti, quando è usato, vale generalm., come del resto in ital., come un sost.: mil. cantánt, credént. Nel lucch. e altri dialetti anche non toscani, certi verbi della i hanno la forma in -énte: luccichente, strillente.
b) passato.
i cantanto, -a, -e, -i | ii-iii creduto, -a, -e, -i | iv sentito, -a, -e, -i |
emil. cantè, cherdú, sentí; nap. cantato, creduto, sentuto; ven. cantá, -ai, -ada, -ae; credudo o credúo, sentio ecc. (anche sentú, sentisto, sentí).
8. — Gerundio: presente.
i cantando | ii-iii credendo | iv sentendo |
emil. cantánd, cherdènd, sentend; nap. cantanno, credenno, sentenno; ven. cantando, credendo, sentindo; sard. cantadu, cretidu; friul. cantad, crodud, sentud.
§ 4. — Forma riflessiva e passiva.
Riflessivo;132. La forma riflessiva si ottiene premettendo le particelle pronominali (mi, ti, si, ci, vi) a ciascuna voce verbale, eccettuate quelle dell’imperativo (2ª sing., 1ª e 2ª plur.), dell’infinito, del participio e del gerundio, alle quali invece si attaccano: véstiti, vestiámoci, vestítevi, vestirsi, vestítosi, vestèndosi; mi vesto, ci vestimmo, sì vestirono.
Notevole è ciò che avviene ne’ dialetti settentr., che recano già premesse al verbo le particelle pronominali nella forma non riflessiva: ne daremo un esempio, togliendolo dal milanese:
mi me pentíssi | io mi pento |
ti te se pentísset | tu ti penti |
lu ’l se pentíss | egli si pente |
nün se pentíssem | noi ci pentiamo |
vijalter ve pentíi | voi vi pentite |
luur se pentíssen | essi si pentono. |
Nel popolo s’ode anche mi se pentíssi o mi me se pentíssi, io mi pento, vijalter se pentíi o vijalter ve se pentíi, voi vi pentite. Anzi ve pentíi è molto, troppo civile.
Il si (se) per ci (ce) è comune ai vernacoli toscani, non escluso il fiorentino, e al romanesco: speravamo di divertirsi e invece s’annoiammo per divertirci e ci annoiammo.
passivo;133. La forma passiva si ottiene aggiungendo alle voci dell’ausiliare essere il participio passato del verbo che si vuol coniugare, e concordando il participio stesso con la persona del verbo: sono amato, erano amate, furono amati, sarai amato, sii amato, siate amate, sareste stati amati, ecc.
Nei tempi in cui non entra il part. stato, il passivo si forma anche con le voci del verbo venire: vengo amato, verrai amato, ecc.
In alcune voci (3ª sing. e plur.), nell’inf., part. e ger. il passivo si può formare anche con la particella si: si lodò l’atto del ragazzo; si biasimarono i vanti che se ne diede.
Da non confondersi con tali formazioni passive i costrutti attivi: noi si lodé, noi si biasimerebbe (permessi nella 1ª pl. del pass. rem. e del condiz. pres.).
Non sono che riflessivi apparenti i costrutti: s’è bevuto un bicchiere intero di vino; mi godo in pace le mie vacanze, ne quali, peraltro, è sempre da usare l’ausiliare essere e non l’avere.
Intransitivo134. L’uso dell’ausiliare de’ verbi intransitivi, che abbiam visto così oscillante nei dialettali transitivi e intransitivi, non è regolato da una norma fissa: d’ordinario, richiedono l’avere i verbi esprimenti azione o attività; essere quelli indicanti un modo d’essere, un fatto: ho girato tutto il giorno e non son riuscito a trovarlo; quando me ne sono accorto, son rimasto!
Uno stesso verbo può ricevere l’uno o l’altro ausiliare, secondo che l’idea da esso espressa è considerata dal primo o dal secondo punto di vista: ha mancato ai suoi doveri; ci é mancato il tempo10.
§ 5. — Irregolarità.
Riduzione di sillabe;135. Nell’infinito, nel futuro e nel condizionale di alcuni verbi e solo nel futuro e condizionale di molti in -ére e -ire si ha una riduzione di sillaba, che invece non si avvera in alcuni dialetti: dire per dicere; porre per ponere, ma nap. dicere; rimarrei, ma umbr. armanirío; terrò, verrò, ma ven. tegnarò, vegnarò (opp. tegnirò e vegnirò).
Vi son voci, nondimeno, che ammettono tutt’e due le forme: bévere e bere, morrò e morirò; torrò e toglierò, ven. togarò e torò; lucch. averò e avrò.
dittongamento di e e o.L’e e l’o accentati, non preceduti nè seguiti da due consonanti, nel presente (ind., cong. e imp.) di alcuni verbi si dittongano in -ie, -uo; siedo, suono, muoio; siedi, suona, muori; sieda, suoni, muoia.
Udire e uscire mutano l’u accentato rispettivamente in -o e -e: odo, esco.
Così dovere fa debbo (e devo), devi, ecc.
Altre forme, quali voglio da volere, colgo da cogliere, tengo da tenere, ecc., sono relativamente agevoli a intendersi e apprendersi nella pratica.
Verbi forti e deboli regolari e irregolari.136. Normale, non irregolare, rispetto ai verbi (deboli) che terminano al pass. rem. in -ái, -éi (-étti), -íi e al participio passato in -ato, -uto, -ito, è la ritrazione dell’accento con perdita della vocale caratteristica (e conseguenti mutamenti), che si determina nella 1ª e 3ª sing. e 3ª plur. del pass. rem. e a volte anche nel part. pass. o solo in questo, dei verbi forti, che terminano, così, nel primo tempo, in -ui, -si, -di e, nel secondo, in -sò, -to: tacqui, tacque, tacquero; scrissi, scrisse, scrissero; vidi, vide, videro; arso, detto.
Alcuni di questi verbi hanno la doppia forma: rendei (meno com.) e resi, renduto (meno com.) e reso.
Irregolari, invece, sono tanto i verbi deboli quanto i forti che in queste e altre voci si scostano dai loro rispettivi modelli, per fatti di cui già abbiamo dato alcuni e bastevoli esempi.
Di essi si hanno elenchi più o meno abbondanti nelle varie grammatiche; ma, anche per questo riguardo, sarà utile ricorrere, anzi muovere dal dialetto, che non raramente presenta forme regolari o tali da agevolare la comprensione delle italiane irregolari: i merid. aggio, saccio, vaio ci avvicinano meglio alle voci monosillabiche dell’italiano ho, so, vo; e così i ven. stao, dao, fao a sto, do, fo.
Difettivi.137. Difettivi sono i verbi che difettano, mancano della maggior parte delle loro voci, quali calére «importare», (cale, caleva, calse, caglia, calésse, uniche e non popolari), solére (soglio, suoli, suole, sogliamo, solete, sogliono; solevo, ecc.; soglia, ecc.; solessi, ecc.; solendo, solito), licere, vigere e pochi altri.
Impersonali.Impersonali, quelli ehe si adoperano solo nella terza persona singolare senza soggetto determinato: nevica, piove, annotta, baléna.
Sovrabbondanti.Sovrabbondanti, quelli che hanno doppia coniugazione, spesso di diverso significato e uso: arrossare (far diventar rosso, e anche intr.) e arrossire (diventar rosso, di vergogna, per umiltà), assordare trans. e assordire trans. e intr.; imbrunare (non pop.) e imbrunire, ecc.
§ 6. — Osservazioni circa l’uso.
Concordanza.138. L’accordo del participio de’ tempi composti è necessario anche nel genere, quando esso si riferisce ai pronomi lo, la, ecc.: hai detto una bugia o hai detta una bugia; ma l’hai detta tu, una bugia.
Nel riflessivo (mi sono vestito, ti sei vestita, si sono vestite, si erano vestiti) e nella forma passiva (sono stimato, -a, siamo stimati, -e) è necessario nel genere e nel numero.
Presente storico.139. Il presente (storico) usasi in vece del passato, quando si voglia dare al racconto una maggiore vivacità, quasi per metter sotto gli occhi la cosa narrata. È molto naturale nello stile popolare, come può vedersi nella versione sarda del brano manzoniano.
Usasi, analogamente, per indicare certezza, in vece del futuro (v. n. 162).
Futuro concessivo.Il futuro, invece, serve a volte a smorzare una affermazione o ad ammettere la verità di un’altra: sarà; avrò torto (forse è così; ho torto); avrà avuto le sue buone ragioni (può darsi che abbia avuto, forse ha avuto ecc.): abr. n’ n ge stará nescióne dendr’a shta cäse, non ci sarà nessuno dentro a questa casa.
Pleonasmi.140. Pleonastiche sono le particelle pronominali che s’incontrano in qualche dialetto, ma non sono estranee alla lingua: rom. che te credi, de famme paura a me? ah, me pensavo! che credi.... mi pensavo.
Scambio tra il trans. e l’intr.141. Specie ne’ dialetti meridionali non è raro l’uso dell’intransitivo come transitivo: abr. jindre lu lum’a la cambre, «entra» = porta il lume in camera; cal. scennimi u libbru, portami giù il libro.
Comune ai dialetti merid. e settentr. è l’uso del verbo volere nel senso di dover essere: il pesce vuol cotto bene, il pesce dev’esser ben cotto; le gonnelle delle bambine vogliono corte, devono esser. E anche nel senso di andare o andarci (bisognare): la virgola voleva prima, andava prima.
Tutto merid. è invece l’uso del part. pass. in cambio di una prop. sub. col verbo volere, e del verbo avere col part. pass. di un altro verbo con sogg. pers.: il professore la vuole imparata tutta a mente la storia,... vuole che la storia sia imparata...; questa settimana non ho avuto corretto nessun cómpito, ...non mi è stato corretto...
Circa l’uso de’ tempi e de’ modi, si veda il numero 162.
VI. — L’AVVERBIO.
Definizione.142. L’avverbio si pone accanto al verbo per qualificare o circostanziare l’azione o condizione da esso espressa: combatterono valorosamente, vinsero sempre.
Alcune specie di avverbi possono riferirsi anche all’aggettivo o a un altro avverbio: molto bello; poco gentilmente.
Varie specie:143. Degli avverbi possono farsi tre categorie: 1. qualificativi o di qualità; 2. indicativi; 3. locuzioni o modi avverbiali.
a) di qualità;Gli avverbi di qualità si formano sugli aggettivi della stessa natura e hanno, com’essi, i gradi di comparazione e la proprietà di alterarsi: fortemente
o forte, altamente o alto, bene, meglio, ottimamente; più utilmente, il più utilmente; pochino, adagetto, maluccio.
Alla forma in -mente i dialetti, di solito, preferiscono l’altra più semplice: rom. ce vengo certo, sicuro, ci verrò sicuramente; abr. dijele secrete, diglielo segretamente.
b) gli indicativi;144. Gl’indicativi esprimono:
Sì e no hanno una portata speciale, equivalendo a un’intera frase (parole olofrastiche).
Alcuni de’ sopraddetti avverbi possono avere i gradi di comparazione: più spesso, spessissimo.
c) locuzioni avverbiali.145. Varie nella lingua e ancor più ne’ dialetti sono le locuzioni avverbiali: è anzi uno degli aspetti questo, in cui meglio si spiega l’ingegnosità popolare. Esempi ciascuno ne troverà a iosa nella propria memoria: quest’a iosa a cui nel brano manzoniano del miracolo delle noci riportato in fine al volume corrisponde a bizzeffe, ha per equivalenti (non unici nè sempre esclusivamente dialettali) in mil. lo stesso a bisèf, in piem. a mugg (o mucc), in gen. a brœtio, in emil. a bizèf, in ven. in quantità o a monti, in friul. a pesenái, in rom. a barozze, in abr. ’n guandetá, in nap. a battagliune, in pugl. a tutta passata, in sic. a quantitati.
E i modi di formazione sono i più vari: abr. a la munacine, a mo’ de’ monaci; ven. a pizego menúzego, a spizzichi e bocconi; (Castro de’ Volsci) a ccialuonge a gambe levate, all’appedrete a tradimento, a ccape o faccia annenze bocconi, ecc.
Preposizioni usate come avverbi.146. Assumono funzione avverbiale certe preposizioni a cui non sia dato alcun reggimento: sotto, sopra o su, avanti, dietro, prima, dopo, ecc.
Avverbi relativi.Viceversa, hanno sempre valore di congiunzione (salvo alcuni, quando sono usati nella forma interrogativa) i cosiddetti avverbi relativi a) di luogo: dove, donde, dovunque, ecc.; b) di tempo: quando, allorquando, qualora, ecc.; c) di modo: come, qualmente, comunque.
A ci, vi, ne abbiamo fatto cenno parlando de’ pronomi (n. 109). i
Particolarità dialettali.147. L’avverbio è parola invariabile; ma nei dialetti alcuni avverbi, quali poco, troppo, fisso, non raramente si accordano col termine a cui si riferiscono: lucch. la sua mamma è troppa (per troppo) buona; guarda fisse (per fisso) tutte le persone che incontra; oppure prendono una desinenza analoga a quella di un termine vicino: abr. (la femmene) poca vedute, cara tenute; cors. uni pochi d’amici, alcuni amici.
Ma nell’abr. la desinenza in a è frequente anche con altri avverbi per ragioni varie di analogia: chela puche di quatrini, quei pochi, ’na poche de rrobbe, un pò di roba (na bbella sci vu na bbella no un bel sì o un bel no), addova vi? dove vai?, gna se fa? come si fa?
Notevole è il frequente uso dialettale di avverbi nella formazione di locuzioni verbali: mil. gh’é ndaa inturna la vuus, si sparse la voce; el miracol l’è vegnüü fora fu, riuscì; l’aveva lassaa indree, aveva lasciato; cuntava sü, raccontava; metüü giò, messo, ecc.
E lVellissi del non: mil. el ga minga, non ha mica; l’aveva mai sentüü, non aveva mai sentito.
VII. — LA PREPOSIZIONE.
Definizione: proprie e improprie.148. La preposizione si pone avanti al nome per esprimere la relazione in cui esso si trova rispetto a un’altra parte del discorso: correr per la via; umile con dignità.”
149. Sono preposizioni e soltanto preposizioni, e però dette proprie: di, a (ad avanti a vocale, non sempre), da, con, per, in, tra o fra; delle quali (e di su) si formano le preposizioni articolate (v. 65).
Inoltre su, avanti, dietro, prima, dopo, ecc., che senza il nome hanno valore di avverbi (v. 146).
Improprie sono altre parole, di solito aggettivi o verbi usati come prep.: eccetto, salvo, lungo, mediante, nonostante, e le locuzioni composte ordinariamente di un avverbio e di una preposizione: accanto a, fuori di, contro a, di fronte a, per mezzo del, ecc.
Particolarità dialettali.150. Frequente è ne’ dialetti lo scambio d’una preposizione per l’altra, l’ellissi e l’uso pleonastico di esse: mil. g’avii de savé, emil. a-j-í da savér, nap. avite sapé, avete a sapere; abr. ’nze vede de mení, sott’a la casce, sotto la cassa, sopra lu lètte, sopra il letto (v. 67); piem. fè d’ nus, fasso d’ bosch, gen. fa de noxi, fasso da legna, far noci, faccio legna (retto uso del partitivo); gen. de primmaveia a primavera, fratte da serchia, frate della cerca; sard. este paltidu a Roma è partito per Roma, istà a lettu tres mesos sta a letto da tre mesi.
VIII. — LA CONGIUNZIONE.
Definizione:151. La congiunzione unisce due proposizioni o due elementi uguali d’una stessa proposizione: i maestri vogliono che gli scolari siano buoni e studiosi.
a) semplici;152. Le congiunzioni semplici o proprie sono: e (ed) né (= e non), o, ma, anzi, che, se, però, dunque, mentre.
b) composte;Le composte: perché, dacché, purché, allorché, benché; bensí, sebbene, quantunque, inoltre, ovvero, seppure, neppure (tra le quali sono alcuni degli avverbi relativi di cui s’è parlato, 146).
c) modi congiuntivi.Modi congiuntivi: per conseguenza, d’altra parte, per la qual cosa, ecc.
Particolarità dialettali.153. I dialetti fanno largo uso di questi ultimi: mil. intra quèla ch’el diis mentre dice; emil. in col menter ch’al-dis, mentre dice (l’ital. ha in quel mentre = intanto, frattanto); rom. quanno che spuntò la primavera, quando spuntò..., come che ve dirò, come vi dirò; nap. comm’infatti, infatti (nelle quali ultime locuzioni è da notare il riempitivo che e come).
IX. — L’INTERIEZIONE.
Definizione e specie.154. L’interiezione è voce di solito monosillabica nulla esprimente in se stessa, ma che, posta a principio di proposizione o avanti a una singola parola, serve ad annunziare o esprimere il sentimento di chi parla: di maraviglia, di dolore, di dubbio, di minaccia, ecc.: oh! ah! mah! veh! ecc..
Talvolta la segue, e fa tutt’uno con essa, la parola medesima di cui preannunzia l’idea: oh, orrore! oh, gioia!
Altre volte è una parola che viene usata in esclamazione: peccato! coraggio! diavolo!
Usi dialettali.Tra le esclamazioni si considerano le infinite frasi che escono dall’animo commosso, e tra le quali tengono un triste primato le imprecative: p. es. che sci sparate! che sii «sparato», ammazzato!
X. — FORMAZIONE DELLE PAROLE.
Per flessione, derivazione, composizione.155. S’è già visto come da un’medesimo tema o radice si possano formare voci diverse modificando la terminazione: e sappiamo che questo modo di formar le parole si chiama flessione (nn. 52 e 75).
Un altro modo è quello di aggiungere al tema un suffisso, e questo chiamasi derivazione, di cui s’è avuto pure qualche esempio, trattando de’ nomi alterati (n. 91). I suffissi sono vari e una stessa parola puὸ averne più d’uno, come s’è già osservato. Tra i principali si notino: -ario (dizion-ario, vocabol-ario, salsament-ario); -ato (re-ato, sold-ato, pontific-ato); -estre (camp-estre, silv-estre, terr-estre); -ione (junz-ione, lez-ione, prig-ione); -ore (col-ore, od-ore, sent-ore), -ura (mietit-ura, battit-ura, sarchiat-ura). Tutte queste si chiamano parole derivate.
Finalmente le parole si formano per composizione, o unendone due insieme (v. 83) o premettendo al tema d’una uno o più prefissi con le necessarie modificazioni: ad- (adorare, addurre, accorrere); con- (commercio, commensale, confetto); per- (peraltro, perdurare, percorrere), pre- (preparare, pretendere, prepotente). E queste si chiamano composte.
Le parole non derivate nè composte si dicono primitive: pace, guerra.
Note
- ↑ In Sardegna (come in parte anche in Sicilia) l’articolo sì formò sull’altro dimostrativo a cui in italiano corrisponde esso: sing. su il, sa la, pl., sos, i, gli, sas lo: segúndu su bisonzu sóu secondo il bisogno suo.
- ↑ La distinzione, altre volte, è data o dall’art. o dall’agg. che conserva intatta la finale: sta bbella femmene (opp. femmena bbelle); v. n. 97.
- ↑ Non al sic. p. es., che ha diminutivi di una grazia ed efficacia grandissime come nel bellissimo prov. casuzza mia, fuculareddu miu! o nello stornello incomparabilmente poetico
Ciuri di risu
E si ’na vota ssi labbruzza vasu,
Ju moru, e mi mi vaju in paradisu.Non al rom., che ha guidarello («il castrato che con il campano al collo guida il branco»), carosino o tosarello («chi fa il mestiere di carosare le pecore»), i capoccetti, la vergaretta, ecc. (Sindici, Poesie, passim).
- ↑ Anche quei
- ↑ Anche quegli, quei, que’.
- ↑ A rigore il vernacolo di qualche dialetto, come l’abruzzese, fa uso assai raro de’ tempi semplici, tranne per qualche voce, ricorrendo a forme analitiche e perifrastiche.
- ↑ Diamo prima la coniugazione degli ausiliari, sebbene irregolari, servendo essi alla formazione de’ tempi composti, de’ quali diamo solo la prima persona.
Nell’esporre le coniugazioni, seguiamo l’ordine naturale de’ tempi semplici e non il consueto de’ modi, nella certezza che ciò giovi meglio all’apprendimento della loro formazione.
Contrapponiamo alla forma italiana, in colonna, quattro differenti modelli dialettali e, come in nota, esempi di altri, riferendoci di solito alla 1ª sing. e plur., sia per una maggior compiutezza, sia perchè risulti evidente il non raro accordo de’ dialetti coll’italiano o di fronte ad esso.
Le voci pronominali indichiamo pure una sol volta. — Nei dialetti centrali, salve lievi differenze specie alla 1ª e 2ª plur., sono: i’, tu, lui, noiartri, voiartri, loro; nel nap.: i’, tu, chillo, nuie, vuie, chilli; nell’abr.: i’, tu, cullú, nu, vu, chilli; nel pugl.: ieu, tie, idhu, nui, ui, idhi; nel gen.: mi, ti ti (ti t’), le ö (le, l’), nöi, vöi, lö; nel piem. i’, ti t’, a (a l’), nui (nui j), vui (vui j), a; nel mil. mi, ti te, lü l’ (lü el), nün, viàlter, lor; nel friul,: jo o (i, a, e), tu tu, tu al (lu l’), no o (i, a, e), vo o (i, a, e), lor a (e). - ↑ È l’emil. di Novellara, nel cui dialetto è stata redatta la versione del brano manzoniano. Si tenga presente anche per gli altri dialetti la possibile varietà delle forme nell’ambito d’una stessa regione. Circa le voci pronominali, si avverta che spesso variano secondo che il verbo a cui sono prefisse comincia per vocale o per consonante: lu l’è egli è, ma lu al canta egli canta; mè a son io sono, mè a j’era, io ero; e per il veneto, quanto si è osservato al n. 111, che cioè la 3ª pl. ha lori pel masch. e lore pel femm.
- ↑ Disponiamo le voci in modo diverso dal consueto, per ragione di spazio, ma anche perché ci sembra che così meglio risalti il quadro delle desinenze.
Mettiamo nella stessa disposizione tre diversi tipi dialettali, ma un solo per ogni coniugazione; e, come in nota, forme particolari dell’uno o dell’altro dialetto. Con tali espedienti crediamo aver incluso la maggior varietà e abbondanza di forme nel più breve spazio.
Per le voci pronominali v. n. 129, nota. - ↑ V. C. De Titta, Dizionarietto dei verbi intransitivi coll’uso dell’ausiliare, Lanciano.
- Testi con annotazioni a lato
- Testi in cui è citato Salvatore Di Giacomo
- Testi in cui è citato il testo I promessi sposi (1840)
- Testi in cui è citato Giuseppe Gioachino Belli
- Testi in cui è citato il testo Le donne litichìne
- Testi in cui è citato il testo Lo scatolaro
- Testi in cui è citato il testo Marzo 1821
- Testi in cui è citato Giuseppe Romanelli
- Testi in cui è citato Raffaello Fornaciari
- Testi in cui è citato Giosuè Carducci
- Testi in cui è citato Augusto Sindici
- Testi in cui è citato Cesare De Titta
- Testi SAL 75%
- Testi che usano NMIS