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Dalla Terra alla Luna/Capitolo XIII

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Capitolo XIII

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Jules Verne - Dalla Terra alla Luna (1865)
Traduzione dal francese di C. o G. Pizzigoni (1872)
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STONE’S-HILL.


In seguito alla scelta fatta dai membri del Gun-Club a scapito del Texas, ognuno in America, dove tutti sanno leggere, si credette in dovere di studiare la geografia della Florida. I librai non vendettero mai tanti Bartram’s travel in Florida, Roman’s natural history of East and West Florida, William’s territory of Florida, Cleland on the culture of the Sugar-Cane in East Florida. Bisognò stampare nuove edizioni. Era un furore.

Barbicane aveva di meglio da fare che leggere; voleva vedere co’ proprî occhi e stabilire il posto della Columbiad. E però, senza perdere un minuto, egli mise a disposizione dell’Osservatorio di Cambridge i fondi necessarî alla costruzione d’un telescopio, e trattò colla casa Breadwill e C.° d’Albania per avere il proiettile d’alluminio; poi lasciò Baltimora, accompagnato da J. T. Maston, dal maggiore Elphiston e dal direttore della fucina di Goldspring. [p. 112 modifica]

All’indomani i quattro compagni di viaggio arrivavano alla nuova Orleans. Quivi s’imbarcarono immediatamente sul Tampico, avviso della marina federale, che il governo metteva a loro disposizione, e, quando l’elice cominciò a girare, le rive della Luigiana disparvero in breve ai loro occhi.

La traversata non fu lunga; due giorni dopo la sua partenza, il Tampico, avendo percorso quattrocent’ottanta miglia, ebbe in vista la costa floridiana. Nell’avvicinarsele, Barbicane videsi dicontro ad una terra bassa, piana e d’aspetto sterile. Dopo aver costeggiato una sequela di seni, ricchi d’ortiche e di granchi, il Tampico entrò nella baia d’Espiritu-Santo.

Questa baia dividesi in due rade allungate, la rada di Tampa e la rada d’Hillisboro, il cui valico fu tosto passato dallo steamer. Poco tempo dopo, il forte Brooke disegnò le sue batterie rasenti al disopra delle onde, e la città di Tampa apparve, situata in fondo ad un piccolo porto naturale, formato dall’imboccatura della riviera Hillisboro.

Quivi ancorò il Tampico, il 22 ottobre a sette ore pomeridiane, e i quattro passeggeri sbarcarono immediatamente.

Barbicane sentì battere il cuore con violenza quando calcò il suolo floridiano: pareva che lo tastasse col piede, come fa un architetto di una casa della quale vuol provare la solidità. J. T. Maston raspava il suolo coll’estremità del suo uncino.

«Signori, disse allora Barbicane, non abbiamo tempo da perdere, e incominciando da domani monteremo a cavallo per riconoscere il paese.» [p. 113 modifica]

Nel momento in cui Barbicane aveva approdato, i tremila abitanti di Tampa-Town erano mossi incontro a lui, onore ben dovuto al presidente del Gun-Club, che li aveva favoriti della scelta. Essi lo accolsero fra entusiastiche acclamazioni; ma Barbicane si sottrasse a tutte le ovazioni, entrò in una camera dell’albergo Franklin e non volle ricevere nessuno. Insomma, il mestiere d’uomo celebre non era proprio fatto per lui.

L’indomani, 23 ottobre, alcuni cavallini di razza spagnuola, pieni di vigore e di fuoco, scalpitavano sotto le sue finestre. Ma invece di quattro, ve ne erano cinquanta coi loro cavalieri. Barbicane discese accompagnato da’ suoi tre colleghi, ed a prima giunta fece le maraviglie di trovarsi in mezzo a simile cavalcata. Egli osservò inoltre che ogni cavaliere portava una carabina a bandoliera ed un paio di pistole nelle fondine. La ragione di siffatto lusso di forze gli fu subito data da un giovane floridiano, che gli disse:

«Signore, ci sono i Seminoli.

- Quali Seminoli?

- I selvaggi che scorrono le praterie, e ci è sembrato prudente di farvi scorta.

- Manco male! esclamò J. T. Maston scalando la sua cavalcatura.

- Così, riprese il floridiano, la cosa sarà più sicura.

- Signori, rispose Barbicane, vi ringrazio della vostra gentilezza, ed ora mettiamoci in cammino!

La piccola cavalcata subito si mosse, e scomparve in una nube di polvere. Erano cinque ore [p. 114 modifica]del mattino, il sole già risplendeva ed il termometro segnava 84°1, ma una fresca brezza di mare moderava questa eccessiva temperatura.

Barbicane, lasciando Tampa-Town, scese verso il Sud, e seguì la costa in modo da giungere i creek2 d’Alifia. Questo piccolo fiume si getta nella baja Hillisboro, a dodici miglia al disotto di Tampa-Town. Barbicane e la sua scorta costeggiarono la riva destra risalendo verso l’Oriente. In breve i flutti della baia scomparvero dietro un rialzo del terreno, e la campagna floridana si offerse sola agli sguardi.

La Florida dividesi in due parti: l’una al Nord, più popolosa, meno abbandonata, ha Tallahassee per capitale e Pensacola, uno tra i principali arsenali marittimi degli Stati Uniti; l’altra, compresa fra l’Atlantico e il golfo del Messico, che la serrano nelle loro acque, non è che una stretta penisola rôsa dalla corrente del Gulf-Stream, punta di terra perduta in mezzo a un piccolo arcipelago, e sempre visitata dalle numerose navi del canale di Bahama. È la sentinella avanzata del golfo delle grandi tempeste. La superficie di questo stato è di trentotto milioni trentatremila e dugentosessantasette acri3, fra i quali bisognava sceglierne uno situato al di qua del ventottesimo parallelo e conveniente all’impresa; e però Barbicane, cavalcando, esaminava attentamente la configurazione [p. 115 modifica]del suolo, e la sua particolare distribuzione.

La Florida, scoperta da Juan Ponce de Leon, nel 1512 la domenica delle Palme, fu dapprima chiamata Pasqua-fiorita. Ben poco le si addiceva tale denominazione gentile sulle sue coste ignude ed arse. Ma, ad alcune miglia dalla riva, la natura del terreno si cambiò a poco a poco, il paese si mostrò degno del suo nome e il suolo era solcato da una rete di creeks, di ruscelli, di stagni, di laghetti; pareva d’essere in Olanda o nella Guiana; ma la campagna elevossi sensibilmente e di lì a poco mostrò le sue pianure coltivate, dove riunivansi tutti i prodotti vegetali del nord e del mezzogiorno, i suoi campi immensi di cui il sole de’ tropici e le acque conservate nell’argille del suolo facevano tutte le spese di cultura; poi infine le sue praterie d’ananas, d’ignames, di tabacco, di riso, di cotone e di canne di zucchero, che estendevansi in grande lontananza, dispiegando le loro ricchezze con una noncurante prodigalità.

Barbicane parve soddisfattissimo di constatare l’elevazione progressiva del terreno, e allorquando J. T. Maston lo interrogò in proposito:

«Mio degno amico, ei gli rispose, per noi è di grandissima importanza il fondere la nostra Columbiad nelle terre alte.

- Per essere più vicini alla Luna? domandò il segretario del Gun-Club.

- No! rispose Barbicane sorridendo. Che cosa importano alcune tese di più o di meno? No, ma in mezzo ai terreni elevati i nostri lavori progrediranno [p. 116 modifica]più facilmente; noi non avremo da lottare colle acque, circostanza che ci risparmierà incanalature lunghe e costose; ed è cosa di non lieve conto quando si tratta di scavare un pozzo della profondità di novecento piedi.

- Avete ragione, disse allora l’ingegnere Murchison; bisogna, per quanto è possibile, evitare i corsi d’acqua durante la scavatura; ma se per mala ventura incontriamo delle fonti, noi le asciugheremo colle nostre macchine o le svieremo. Non si tratta qui di un pozzo artesiano4, stretto ed oscuro, dove la madrevite, la canna da investire lo scandaglio, in una parola tutti gli utensili del foratore, lavorarono alla cieca. No, noi opereremo a cielo aperto, alla luce del giorno, colla zappa o col piccone in mano, e col soccorso della mina farem camminare l’impresa con rapidità.

- Però, riprese Barbicane, se per l’elevazione del suolo o per la sua natura noi possiamo schivare una lotta colle acque sotterranee, il lavoro ne sarà più rapido e più perfetto; procuriamo dunque d’aprire la nostra trincea in un terreno situato ad alcune centinaia di tese al di sopra del livello del mare.

- Avete ragione, signor Barbicane, e, se non m’inganno, fra poco troveremo un luogo conveniente.

- Ah! vorrei essere già al primo colpo di zappa, disse il presidente.

- Ed io all’ultimo, esclamò J. T. Maston. [p. 117 modifica]

- Ci arriveremo signori, rispose l’ingegnere, e, credete a me, la compagnia del Goldspring non avrà da pagarvi l’indennità del ritardo.

- Per santa Barbara! avete ragione, replicò J. T. Maston; cento dollari al giorno fino a che la Luna si presenti colle stesse condizioni, cioè durante diciott’anni e undici giorni. Ma sapete che si farebbe la somma di seicentocinquantottomila e cento dollari5?

- No, signore, non lo sappiamo, rispose l’ingegnere, nè avremo bisogno di saperlo.

Verso le dieci della mattina, il piccolo gruppo di viaggiatori aveva percorso una dozzina di miglia; ai fertili campi succedeva allora la regione delle foreste. Quivi crescevano le essenze più varie con una profusione tropicale. Queste foreste quasi impenetrabili erano composte di melagrani, di aranci, di cedri, di fichi, d’olivi, d’albicocchi, di banani, di grandi piedi di vite, con frutti e fiori che tra loro gareggiavano di colori e di profumi. All’ombra odorosa di que’ magnifici alberi cantava e volava un immenso stuolo d’uccelli dalle tinte brillanti, tra i quali distinguevansi più particolarmente le sgarze, il cui nido doveva essere uno stipetto, perchè si confacesse a quei piumati gioielli.

J. T. Maston ed il maggiore non potevano trovarsi in presenza di sì ricca natura senza ammirarne le splendide bellezze.

Ma il presidente Barbicane, il cui animo non commovevasi a tali meraviglie, erasi affrettato d’andare [p. 118 modifica]avanti; chè quel paese sì fertile dispiacevagli per la sua stessa fertilità; senza essere altrimenti idroscopo, egli sentiva l’acqua sotto i suoi passi e cercava, ma invano, i segni di un’incontestabile aridità.

Intanto si andava innanzi; bisognò passare a guado diversi fiumi, e non senza qualche pericolo, perchè erano infestati da caiman lunghi da quindici a diciotto piedi. J. T. Maston li minacciò arditamente col suo terribile uncino, ma non giunse a spaventare che i pellicani, i pinguini e le querquedule, selvaggi abitatori di quelle rive, mentre i gran fenicotteri rossi stupidamente stavano a guardarlo.

Infine questi ospiti dei paesi umidi scomparvero a lor volta; alberi meno grossi venian diradandosi tra boschi meno folti; infine pochi gruppi isolati campeggiavano in mezzo a pianure interminabili dove passavano numerose torme di daini spaventati.

«Finalmente! esclamò Barbicane rizzandosi sulle staffe, ecco la regione dei pini!

- E quella dei selvaggi, rispose il maggiore.»

Infatti alcuni Seminoli apparivano all’orizzonte: essi agitavansi, correvano dall’uno all’altro sui loro rapidi cavalli come per abboccarsi, brandendo lunghe lance, o talvolta scaricando i loro fucili a detonazione sorda; del resto si limitarono a queste dimostrazioni ostili, senza disturbare nè Barbicane nè i suoi compagni.

Costoro occupavano allora il mezzo di una pianura rocciosa, vasto spazio scoperto, d’un’estensione di più acri, che il Sole inondava di raggi [p. 119 modifica]cocentissimi. Essa era formata come di una vasta intumescenza del terreno, che pareva offrisse ai membri del Gun-Club tutte le condizioni richieste per mettervi la loro Columbiad.

- Alto là! disse Barbicane fermandosi. Questo luogo ha un nome nel paese?

- Si chiama Stone’s-Hill6, rispose un floridiano.

Barbicane, senza aprir bocca, mise piede a terra, pigliò i suoi istrumenti e cominciò a rilevarne la posizione con estrema esattezza; la piccola carovana, ordinata intorno a lui, lo esaminava osservando profondo silenzio.

In quel momento il Sole passava il meridiano. Barbicane, dopo alcuni istanti, comunicò rapidamente il risultato delle sue osservazioni, e disse:

«Questo terreno è situato a trecento tese al di sopra del livello del mare ed è al 27° 7’ di latitudine e al 5° 7’ di longitudine occidentale7; parmi che per la sua natura arida e rocciosa offra tutte le condizioni favorevoli alla sperienza; è dunque in questa pianura che s’innalzeranno i nostri magazzini, le nostre officine, i nostri fornelli, le capanne dei nostri operai, ed è pure da questo stesso punto, egli ripetè battendo col piede la vetta di Stone’s-Hill, che il nostro proiettile volerà verso gli spazî del mondo lunare!»

Note

  1. Termometro Fahrenheit, e cioè 28 gradi centigradi.
  2. Piccolo corso d’acqua.
  3. Quindici milioni e trecentosessantacinquemila e quattrocentoquaranta ettari.
  4. S’impiegarono nove anni a forare il pozzo di Grenelle, che ha cinquecentoquarantasette metri di profondità.
  5. Tre milioni cinquecentosessantaseimila e novecento due franchi.
  6. Collina di pietre.
  7. Del meridiano di Washington. La differenza col meridiano di Parigi è di + 79° 22’. Questa longitudine è dunque sulle misure francesi 83° 25’.