Dell'uomo di lettere difeso e emendato/Parte seconda/25

Da Wikisource.
Parte seconda - 25. Lo smarrimento di quegli , che incontrano difficoltà sul cominciare.

../24 ../26 IncludiIntestazione 16 novembre 2023 25% Da definire

Parte seconda - 25. Lo smarrimento di quegli , che incontrano difficoltà sul cominciare.
Parte seconda - 24 Parte seconda - 26

[p. 134 modifica]Lo smarrirnento di quegli, che incontrano difficoltà sul cominciare.


In ogni arte, in ogni impresa, più di tutto il rimanente, difficile è il cominciare. Lo sforzo e la costanza maggiore chieggono i primi passi; dopo i quali, come montata l’ erta d’ una gran rupe, sempre dipoi più spianato e agevole s’ incontra il camino. Potrebbero tutte l’ Arti dire de’ loro principj ciò, che il Sole, ammaestrando Fetonte, disse del suo viaggio:

Ardua prima via est, per quam vix mane recentes

Enituntur equi.

Ancor ne’ guadagni delle mercatanzie il piú difficile a uscire di povertà. Pecunia (disse lo Stoico) circa paupertatem plurimam moram habet, dum ex illa ereplat. Onde Lampi uomo ricchissimo, a chi lo riechiese, come d’ uomo mendico ch’ egli era, fosse divenuto sì facultoso, Le poche ricchezze, disse, io le feci vegliando ancor la notte; le molte, ora le fo dormendo ancora il giorno. Stentai da principio per un danajo più che ora non fo per un talento: né l’ esser’ ora sì ricco altro mi costa, che la prima fatica ch’ io feci per finir d’ esser povero.

Ciò non inteso da’ poco pratici del mestier di comporre, fa, che incontrando su le prime sterili i pensieri, secca la vena, e povero di concetti l’ ingegno, s’ impazientino, e o sé come inabili a riuscire condannino, o l’ arte come troppo malagevole ad apprendersi abbandonino. Non si raccordano, che dalle tenebre della notte alla luce chiarissima del meriggio non si fa inimediatamente passaggio. Vanno inanzi i primi chiarori, che sono poca luce stemperata con molta caligine; indi l’ Alba men fosca, che su l’ orlo dell’ Orizzonte biancheggia; poscia l’ Aurora più ricca di luce, più carica di colore; e finalmente il Sole: ma [p. 135 modifica]questo, nello spuntare sul nostro emisfero, torbido e vaporoso, obliquo, debile, e tremante, che dall’ Orizzonte (come chi astento s’ aggrappa per iscoscesa pendice) a poco a poco fino alle e, ime del cielo sormonta. Non sovvien loro, che uomo non s’ è prima d’ esser bambino, né abile al corso prima, d’ essere ito carponi per terra, portando su le mal ferme gambe e sa le tenere braccia la vita vacillante e cadente ad ogni passo: né spedito di favella, prima d’ avere avuto in bocca il silenzio, poscia i vagiti, indi una lingua scilinguata e balbettante, con voci di mezzate e storpie, sino a scolpire con fatica babbo e mamma; e questo, prendendo di bocca altrui ad una ad una una le sillabe e le voci, e rendendone, come l’ eco, i pezzi, più imitando l’ altrui favella che favellando.

I grandi uomini non si fanno di getto, come le statue di bronzo, che in un momento bell’ è intere si formano; anzi si lavorano come i marmi a punta di scarpello e a poco a poco. Gli Apelli, i Zeusi, i Parrasj, que’ gran maestri del disegno, alle cui pitture non si potea dire che mancasse l’ anima per parer vive, perche sapevano parer vive ancora senza anima, quando cominciarono a maneggiare i pennelli e stendere i colori, credete voi che non dessero a cinquanta per cento le botte false, e che i loro lavori non avessero di bisogno che vi si scrivesse al piè, di cui fossero quelle imagini, accioché un Lione non fosse creduto esser’ un Cane? La ntura istessa, che pur’ è sì grande artefice, e maestra d’ ogni più eccellente fattura, parve a Plinio, che inanzi d’ applicarsi al lavorio de’ Gigli, opera di gran magistero, s’ addestrasse con farne quasi l’ abbozzamento e ‘l modello ne’ Convolvi, fioretti candidi e semplici, perciò detti da lui veluti naturæ rudimentum, Litia facere condiscentis. Se aveste veduto il Campidoglio di Roma, e in esso il tempio di Giove, ricco delle spoglie di tutto il mondo, l’ avreste voi riconosciuto per quello che una volta fu quando

Juppiter angusta vix totus stabat in æde,

Inque Jovis dextra fictile fulmen erat? [p. 136 modifica]


Da questo seme negletto nacque quella gran pianta di tante palme, quanti trionfi vile il Campidoglio; con la legge commune a tutte le cose: che prima sieno fonti di povera origine e di bassi principj, indi ruscelli, poi fiumi, e all’ ultimo mare.

Che se ben’ è vero, che talvolta, giusta l’ antico proverbio, i fiumi reali hanno navigabili anche le fonti; e chi è per riuscire in qualche professione di Lettere oltre, a’ termini dell’ ordinario eccellente, straordinarj segni ne dà fin da principio, come Ercole

Monstra superavit prius quam nosse posset,

strozzando bambiano nella culla i dragoni, e con ciò preludendo all’ Idra, e dando il primo saggio delle sue forze; questo però, come cosa di pochi, non fa legge per tutti, né tanto pruova la facilità quanto la felicità delle prime operazioni, e anzi l’abilità dell’ingegno che l’uso dell’ arte.

Non si lasci dunque l’impresa, per malagevoli che riescano i principj, né s’ abbandoni Proteo, se avvien ch’egli fugga da’ primi nodi che gli si mettono. Non vogliamo fiarla da maestri prima d’ essere scolari: e ricordianci, che i Principianti fanno assai, se cominciano. Eccovi per consolazione alcuni versi del Re de’ Poeti, coll’applicazione a vostro proposito:

Qualis spelunca subito commota Columba,

Cui domus et dulces latebroso in pumice nidi,

Fertur in arva volans, plausumque exterrita pennis

Dat tecto ingentem; mox aere lapsa quieto,

Radit iter liquidum, celeres neque commovet alas;

tale appunto sarà il vostro ingegno. Ora gli bisogna batter fortemente l’ ali, e inviarsi al volo con molta fatica: non andrà guari, che senza scuotere ala né batter penna darà felicissimi voli; e ciò sarà, quando, acquistato l’uso di comporre, per fare quanto vorrete, basterà che vogliate e sarà fatto.