Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni/Libro quarto/16. Autari ed Agilulfo

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16. Autari ed Agilulfo

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16. Autari ed Agilulfo [584-615]. — Con tutto quest’ordinamento, scioltissimo, come si vede, e giá simile a quello che fu poi detto «feodale», segue una storia povera di vera grandezza, ricca sí di quelle avventure cavalleresche, che ad alcuni paiono essere state rimedio, a noi poco piú che ornamento della feodalitá. — Autari allontanò i franchi scesi tre volte, trattando prima, poi sconfiggendoli; co’ greci fece tregue e guerre, e corsa l’Italia fino a Reggio di Calabria, spinse il cavallo in mare gridando: — Fin qui il regno. — Poi, volendo aver a moglie Teodelinda la bella e saggia figliuola del duca di Baviera, andò colá travestito da ambasciador di se stesso a dimandarla e vederla. E poco mancò che si scoprisse, ricevendo secondo l’usanza un nappo di mano della promessa sposa; e si scoprí poi a’ limiti, lanciando l’asta contro un albero e dicendo: — Cosí ferisce Autari. — Quindi Childeberto il re d’Austrasia, da cui dipendeva Baviera e a cui era stata impromessa la fanciulla, invase quel paese; ed ella si fuggí a Italia, e Autari la sposò, e Childeberto mandò qui un grand’esercito di franchi d’accordo co’ greci; e Autari indugiando e trattando si liberò degli uni e degli altri. Ma morí poco appresso [590]. — Allora, i longobardi diedero alla giovane lo scegliere a se stessa un nuovo sposo, ad essi il re; ed ella si scelse Agilulfo duca di Torino. Regnarono insieme e gloriosi venticinque anni. Ariani Agilulfo e i longobardi, cattolica Teodelinda, ella a poco a poco convertí lo sposo e gran parte della nazione; e fu un nuovo e massimo addolcimento della conquista; avendo noi veduto al tempo de’ goti, ed essendo sempre pessima di quante differenze separan conquistatori e conquistati, peggiore che non quella stessa delle lingue, la differenza delle religioni. Ed a ciò poi Teodelinda strinse pratiche col papa. — Il quale era san Gregorio I, detto «il magno», quantunque due altri poi ne sieno stati non guari minori per noi italiani. Nobile, ricco, potente in Roma da giovane, scrittore ecclesiastico copioso e sapiente rispetto all’etá, assunto al pontificato nel 590, e d’allora in poi zelante per la propagazione della fede a cui mandò sant’Agostino l’apostolo e incivilitor d’Inghilterra, fu quanto a noi, in Roma e nelle province greche e nelle stesse longobarde, gran protettore [p. 118 modifica] degl’italiani peggio che mai abbandonati; e per ciò negoziator co’ duchi e col re e la regina, e cosí grande avanzator della potenza papale, non indipendente per anco, ma giá differente dall’imperiale. Fu, in tutto, secondo de’ grandi papi politici. — Agilulfo e Teodelinda poi furono fondatori di chiese e monasteri; fra cui principale San Giovanni di Monza, dove mostrasi tuttavia, fra parecchie corone di essi, quella «di ferro», che dicesi d’uno dei chiodi della Passione di Nostro Signore; ed è quella su cui, cingendola, pronunziò Napoleone quelle vane parole: — Guai a chi la tocca. — Del resto Agilulfo ebbe a reprimere parecchie ribellioni di duchi, talor alleati co’ greci; guerreggiò con questi, impose loro tributo, e soffrí una correria degli ávari nel Friuli. Morí nel 615, ed ebbe a successore Adaloaldo figliuolo suo e di Teodelinda, giá associato da fanciullo al regno.